La Ragazza Di Polvere

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MICHAEL CONNELLY LA RAGAZZA DI POLVERE (The Closers, 2005) Ai detective che devono scrutare dentro l'abisso PARTE PRIMA LA MISSIONE 1 Secondo la prassi e il protocollo del Dipartimento di Polizia di Los Angeles, la chiamata due-sei è quella che provoca la reazione più immediata e nel contempo desta i maggiori timori dietro i giubbotti antiproiettile; perché è una di quelle chiamate da cui spesso dipende tutta la carriera. Il nome deriva dall'accostamento tra il codice 2 della chiamata radio, «Rispondere il prima possibile», e il numero del piano del Parker Center, il sesto, dal quale il capo della polizia dirige il dipartimento. Una due-sei implica la convocazione senza ingiustificato ritardo nell'ufficio del comandante, di fronte alla quale nessun agente che conosca e abbia a cuore la propria posizione nel dipartimento indugerà. Nel suo primo periodo di servizio al dipartimento, durato venticinque anni, il detective Harry Bosch non aveva mai ricevuto una convocazione senza ingiustificato ritardo dal capo della polizia. Di fatto, a parte quando gli avevano consegnato il distintivo nel 1972 all'Accademia, non aveva più stretto la mano o parlato di persona con un comandante. Era sopravvissuto a diversi di loro, e certo li aveva incontrati alle parate e ai funerali, ma non se li era mai trovati sulla propria strada. La mattina in cui doveva rientrare in servizio dopo tre anni di congedo, ricevette la sua prima due-sei mentre si faceva il nodo alla cravatta davanti allo specchio del bagno. Un assistente del capo lo aveva chiamato sul cellulare privato. Bosch non si preoccupò di domandare come avessero recuperato il numero. Era comprensibile che l'ufficio del comandante avesse il potere di allungare in questo modo i propri tentacoli. Bosch rispose che sarebbe arrivato nel giro di un'ora, ma l'assistente ribatté che era atteso prima. Harry finì di annodarsi la cravatta sull'auto, mentre guidava alla velocità massima che il traffico gli consentiva sulla freeway 101 in direzione del centro.

Trascorsero ventiquattro minuti esatti tra il momento in cui Bosch interruppe la conversazione con l'assistente e quello in cui attraversò le doppie porte degli uffici del comando al sesto piano del Parker Center. Pensò che dovesse trattarsi di una specie di record, senza considerare che aveva parcheggiato in divieto di sosta sulla Los Angeles Street davanti al quartier generale della polizia. Visto che conoscevano il suo numero di cellulare, dovevano sapere anche che impresa era stata raggiungere l'ufficio del comandante da Hollywood Hills in meno di mezz'ora. Ma l'assistente, un tenente di nome Hohman, lo fissò con occhi disinteressati e indicò un divano ricoperto di plastica sul quale sedevano già altre due persone in attesa. «È in ritardo» disse. «Si sieda.» Bosch decise di non protestare, per non peggiorare ulteriormente la situazione. Raggiunse il divano e si sedette in mezzo ai due uomini in uniforme, che si stringevano ai braccioli. Erano seduti rigidi e non chiacchieravano. Immaginò che anche loro avessero ricevuto la due-sei. Passarono dieci minuti. Gli uomini ai lati di Bosch furono chiamati prima di lui, ed entrambi liquidati dal capo in cinque minuti secchi. Mentre il secondo era dentro, Bosch ebbe l'impressione di sentire delle grida dallo studio, e quando l'agente uscì aveva il viso cinereo. Doveva aver combinato qualche casino agli occhi del capo, e correva voce - una voce che era filtrata fino a Bosch in congedo - che questo nuovo comandante non tollerasse i casinisti. Bosch aveva letto un servizio sul Times a proposito di un membro dello staff del comandante che era stato retrocesso per aver omesso di informarlo che il figlio di un consigliere cittadino, di solito schierato contro il dipartimento, era stato beccato per un reato da due anni di galera. Il capo lo aveva scoperto solo dopo che il consigliere aveva chiamato per lamentarsi dell'arresto, come se fosse stato il Dipartimento di Polizia a costringere il ragazzo a bersi sei vodka martini al Bar Marmount, a tornarsene a casa in macchina e ad abbattere il tronco di un albero sul Mulholland. Finalmente Hohman mise giù il telefono e puntò il dito in direzione di Bosch. Era il suo turno. Venne chiuso in un ufficio d'angolo che si affacciava sulla Union Station e sul deposito dei treni. Era una vista decente, ma non grandiosa. Non aveva alcuna importanza, il palazzo sarebbe stato presto demolito. Il dipartimento si sarebbe trasferito in una sede provvisoria mentre veniva ricostruito un nuovo e più moderno quartier generale nello stesso punto. Gli agenti avevano soprannominato il quartier generale "la casa di vetro", con tutta probabilità perché al suo interno non c'erano

segreti. Bosch si domandò come sarebbe stato chiamato il nuovo edificio. Il capo della polizia era seduto dietro una grande scrivania, intento a firmare delle carte. Senza alzare la testa dal lavoro ordinò a Bosch di accomodarsi all'altro capo del tavolo. Nel giro di trenta secondi firmò l'ultimo documento e levò lo sguardo su Bosch. Sorrise. «Volevo incontrarla e darle il bentornato nel dipartimento.» La voce era segnata da un accento dell'est. Dipa-timento. Per Bosch non c'era problema. A Los Angeles tutti erano originari di qualche altro posto. O almeno così pareva. Era insieme il punto di forza e la debolezza della città. «È bello essere di nuovo qui» disse Bosch. «Capirà di essere tornato grazie al mio interessamento.» Non si trattava di una domanda. «Sì, signore. Lo so.» «Come è ovvio, ho controllato con attenzione il suo operato prima di approvare il reinserimento nei ranghi. Avevo qualche perplessità riguardo al suo... possiamo definirlo "stile", ma alla fine il talento ha avuto la meglio. Deve anche ringraziare la sua partner, Kizmin Rider, per le pressioni che ha esercitato su di me. È un buon agente e io mi fido di lei. E Rider si fida di lei, Bosch.» «L'ho già ringraziata, ma lo farò di nuovo.» «So che sono passati solo tre anni da quando è andato in congedo, ma le assicuro, detective, che non ritroverà lo stesso dipartimento che ha lasciato.» «Capisco.» «Lo spero. Sa della sentenza consensuale?» Poco dopo che Bosch aveva lasciato il dipartimento, il precedente capo era stato costretto a mettere in atto una serie di riforme per evitare che il Dipartimento di Polizia di Los Angeles venisse commissariato a seguito di un'indagine dell'FBI su casi di corruzione su larga scala, violenza e violazione dei diritti umani. Dal capo all'ultimo dei pivelli, nessuno desiderava il commissariamento. «Sì» rispose Bosch. «Ho letto qualcosa in proposito.» «Bene, sono contento che si sia tenuto aggiornato. E sono lieto di informarla che, a dispetto di quanto avrà letto sul Times, facciamo grandi progressi, e vogliamo mantenere questo slancio. Stiamo anche cercando di aggiornare il dipartimento dal punto di vista tecnologico. Stiamo spingendo dal lato dell'ordine pubblico. Stiamo facendo un mucchio di cose buo-

ne, detective Bosch, molte delle quali perderebbero valore agli occhi dell'opinione pubblica se tornassimo ai vecchi sistemi. Capisce cosa intendo?» «Penso di sì.» «Il suo rientro non è garantito. Lei è in prova per un anno. Si consideri di nuovo una recluta. Un pivello, il pivello più anziano d'America, a ben vedere. Sono stato io ad approvare il suo reinserimento, posso anche sbatterla fuori in qualsiasi momento, alla prima occasione. Non me ne dia motivo.» Bosch non rispose. Non pensava di essere tenuto a farlo. «Venerdì diplomeremo una nuova classe di cadetti all'Accademia. Vorrei che ci fosse anche lei.» «Signore?» «Voglio che ci sia anche lei. Voglio che lei veda la dedizione sul volto dei nostri giovani. Voglio che si riavvicini alle tradizioni di questo dipartimento. Penso che possa esserle utile, aiutarla a riconsacrarsi.» «Se vuole che ci sia, ci sarò.» «Bene. Ci vediamo lì, allora. Siederà sotto la tenda delle autorità, come mio ospite.» Prese un appunto riguardo all'invito su un blocchetto accanto al tampone, quindi posò la penna e alzò la mano per puntare il dito contro Bosch. I suoi occhi assunsero un'espressione feroce. «Mi ascolti, Bosch. Non le è consentito infrangere la legge, neppure per difendere la legge. Il suo operato deve avere come guida la costituzione e la compassione. Non accetterò alcun altro metodo. Questa città non accetterà alcun altro metodo. Siamo d'accordo su questo?» «Siamo d'accordo.» «Allora siamo pronti a partire.» Bosch raccolse l'invito e si alzò. Il capo lo sorprese alzandosi a sua volta e allungando il braccio. Bosch pensava che volesse stringergli la mano e la distese verso il superiore. Il capo gli posò qualcosa sul palmo, Harry abbassò lo sguardo e riconobbe il distintivo dorato dei detective. Gli era stato assegnato il vecchio numero. Non lo avevano dato a qualcun altro. Quasi sorrise. «Ne sia all'altezza,» disse il capo della polizia «e lo porti con orgoglio.» «Lo farò.» Questa volta si strinsero la mano, ma mentre lo facevano, il capo non sorrideva.

«Il coro delle voci dimenticate» aggiunse. «Scusi, comandante?» «È quello che penso quando rifletto sui casi irrisolti. È una galleria degli orrori. La nostra peggiore vergogna. Tutti quei casi. Tutte quelle voci. Ognuna di loro è come un sasso gettato nello stagno. Le increspature dell'acqua si allargano, propagate dal tempo e dalla gente. Familiari, amici, vicini. Come possiamo definirci una città quando ci sono così tante increspature, quando tante voci sono state dimenticate dal dipartimento?» Bosch ritirò la mano e non disse nulla. Non c'era risposta per la domanda del comandante. «Ho cambiato il nome dell'unità quando sono arrivato al dipartimento. Non sono cold case, casi "freddi", detective. Non si raffreddano mai. Almeno, non per qualcuno.» «Capisco.» «Allora vada laggiù e risolva quei casi. È in questo che consiste la sua arte. Per questo abbiamo bisogno di lei, e per questo lei è qui. Ho scommesso su di lei, dimostri a quella gente che noi non dimentichiamo. Dimostri che a Los Angeles i casi non si raffreddano.» «Lo farò.» Bosch lo lasciò lì, ancora in piedi, pareva perseguitato da quelle voci. Condivideva quell'angoscia e pensò che forse per la prima volta aveva avuto un punto di contatto con l'uomo al vertice. Nell'esercito si diceva che tu vai al fronte, combatti e sei ansioso di morire per gli uomini che ti ci hanno mandato. Bosch non aveva mai avuto quella sensazione quando si muoveva nell'oscurità dei tunnel in Vietnam. Si era sentito solo, sentiva di combattere per se stesso, per sopravvivere. Si era portato quell'impressione nel dipartimento e a volte aveva avuto il dubbio di combattere a dispetto degli uomini al vertice. Forse adesso le cose sarebbero state diverse. Premette il tasto dell'ascensore con più forza di quanto fosse necessario. Aveva troppa energia, era troppo eccitato, e lo capiva. Il coro delle voci dimenticate. Pareva che il comandante conoscesse il canto intonato da quelle voci. E di certo anche Bosch lo conosceva. Aveva trascorso gran parte della sua vita ad ascoltare quel canto. 2 Bosch prese l'ascensore e scese solo di un piano, fino al quinto. Anche questo era per lui un territorio inesplorato. Il quinto piano era sempre stato

riservato ai civili. Ospitava essenzialmente uffici amministrativi di basso e medio livello, la maggior parte dei quali era occupata da dipendenti che non avevano prestato giuramento: contabili, analisti e scribacchini. Civili. Prima di quel giorno non aveva mai avuto motivo di visitare il quinto piano. Uscito dall'ascensore non trovò alcuna targa a indicare la collocazione dei vari uffici. Era il genere di piano in cui tutti sanno dove andare prima di mettere piede fuori dall'ascensore. Ma Bosch non lo sapeva. I corridoi formavano la lettera "H", e Harry prese due volte la direzione sbagliata prima di trovare l'ufficio 503. Sulla porta c'era scritto solo il numero. Prima di aprirla si fermò un attimo a riflettere su quello che stava per fare, su ciò che stava per cominciare. Sapeva che era la cosa giusta. Aveva la sensazione di udire le voci che provenivano da dentro. Tutte e ottomila. Kiz Rider era seduta su una scrivania, sorseggiava una tazza di caffè fumante. La scrivania assomigliava alla postazione di una centralinista, ma Bosch sapeva dalle frequenti telefonate delle settimane precedenti che per quella squadra il centralino non era previsto. Non c'erano abbastanza soldi per un simile lusso. Rider sollevò il polso e scosse il capo mentre guardava l'orologio. «Pensavo che fossimo d'accordo di vederci alle otto» esordì. «Andrà sempre così, socio? Ti vedrò comparire tutte le mattine all'ora che ti gira?» Bosch consultò a sua volta l'orologio. Erano le otto e cinque. Guardò la donna e sorrise. Lei restituì il sorriso e disse: «Siamo finiti qua». Rider era bassa, un po' sovrappeso, i suoi capelli corti mostravano le prime striature di grigio, e la sua pelle nera rendeva il sorriso ancora più smagliante. Scivolò giù dalla scrivania e prese una seconda tazza di caffè per Harry. «Vediamo se mi ricordo bene.» Bosch verificò e annuì. «Nero, proprio come i partner che preferisco.» «Simpatico. Ti dovrò fare rapporto per questo.» Fece strada. L'ufficio sembrava vuoto. Era grande, doveva ospitare nove investigatori, quattro coppie e un ufficiale di comando. Le pareti erano tinteggiate di blu chiaro, il colore che Bosch vedeva spesso sugli schermi dei computer. Moquette grigia. Nessuna finestra. Lungo le pareti, nei punti in cui avrebbero dovuto trovarsi le finestre, c'erano delle bacheche e delle foto incorniciate con cura che ritraevano la scena del crimine di delitti risalenti a molti anni prima. Bosch era certo che gli autori di quegli scatti in

bianco e nero avessero posto la loro abilità artistica davanti alle esigenze investigative. Le foto ricercavano gli stati d'animo, le ombre, ma non mostravano molti dettagli della scena del crimine. Rider doveva essersi accorta che Bosch guardava quelle immagini. «Mi hanno detto che è stato James Ellroy, lo scrittore, a sceglierle e a farle incorniciare per l'ufficio» commentò. Lo accompagnò al di là di un tramezzo che divideva la stanza in due, entrarono in una rientranza dove erano collocate due scrivanie di metallo grigio, accostate l'una all'altra in maniera che i due detective che ci lavoravano si guardassero in faccia. Rider posò il caffè su una delle scrivanie. Sopra c'erano già delle cartellette impilate e alcuni oggetti personali, come una tazza piena di penne e una cornice girata in modo tale da nascondere alla vista la foto in essa contenuta. Un computer portatile aperto ronzava sulla scrivania. Rider era entrata nella squadra la settimana precedente, mentre Bosch sbrigava ancora le formalità di rito, vale a dire le visite mediche e la compilazione delle carte che gli avrebbero permesso di rientrare in servizio. L'altra scrivania era sgombra, vuota, aspettava lui. Harry scivolò dietro il tavolo e appoggiò il caffè Trattenne un sorriso, per quanto poté. «Bentornato, Roy» disse Rider. Questo fece prorompere il sorriso. Essere chiamato di nuovo Roy lo faceva sentire bene. Era una tradizione portata avanti da molti detective della squadra Omicidi della città. C'era stato un detective leggendario, di nome Russell Kuster, che aveva operato alla Divisione Hollywood molti anni prima. Era un grande professionista, il più grande, e molti dei detective che lavoravano per la Omicidi erano passati prima o poi sotto la sua guida. Nel 1990 era rimasto ucciso in una sparatoria mentre non era in servizio. Ma la sua abitudine di chiamare le persone Roy - qualunque fosse il loro vero nome - gli era sopravvissuta. L'origine di quella tradizione era ormai sconosciuta. Qualcuno diceva che fosse nata perché Kuster per un periodo aveva avuto un partner appassionato di Roy Acuff e aveva cominciato a usare quel soprannome con lui. Altri sostenevano che a Kuster piacesse l'idea che il poliziotto della Omicidi fosse un tipo alla Roy Rogers: con il cappello bianco, pronto a correre in aiuto, a sistemare le cose. Ormai non aveva alcuna importanza. Bosch sapeva che il semplice fatto di essere chiamato di nuovo Roy era un onore. Si sedette. La sedia era vecchia e malferma: garantito che gli avrebbe fatto venire un gran mal di schiena se fosse rimasto seduto lì troppo a lun-

go. Ma sperava che non sarebbe successo. Nel suo primo periodo alla Omicidi aveva seguito alla lettera il motto Alza il culo e bussa alle porte. Non c'era alcuna ragione per cui questa volta la situazione dovesse cambiare. «Dove sono tutti quanti?» domandò. «A fare colazione. Me l'ero dimenticato. La settimana scorsa mi hanno detto che al lunedì mattina si trovano tutti presto per fare colazione insieme. Di solito vanno al Pacific. Me ne sono ricordata solo quando sono arrivata qui e ho trovato il posto deserto, ma dovrebbero rientrare presto.» Bosch sapeva che il Pacific Dining Car era da sempre il locale preferito dai pezzi grossi del Dipartimento di Polizia di Los Angeles e dagli agenti della Divisione Rapine e Omicidi. Sapeva anche qualcos'altro. «Dodici dollari per un piatto di uova. Immagino che questo significhi che siamo finiti in una squadra in cui gli straordinari vengono pagati.» Rider confermò con un sorriso. «Proprio così. Ma comunque tu non avresti avuto nemmeno il tempo di finirle, le tue belle uova, visto che sei stato convocato dal capo, senza ingiustificato ritardo.» «L'hai saputo, eh?» «Ho ancora un orecchio su al sesto. Hai avuto indietro il distintivo?» «Sì, me l'ha dato.» «Gli ho detto io quale numero avresti voluto. Lo hai ricevuto?» «Sì, Kiz, grazie. Grazie di tutto.» «Questo me l'hai già detto, socio. Non c'è bisogno di continuare a ripeterlo.» Bosch annuì e si guardò attorno. Notò che sulla parete dietro Rider c'era la foto di due detective che confabulavano accanto a un cadavere adagiato sul letto asciutto di cemento del Los Angeles River. Sembrava uno scatto dei primi anni Cinquanta, a giudicare dai cappelli che indossavano i detective. «Allora, da dove cominciamo?» domandò. «I casi sono stati divisi in gruppi di tre anni ognuno. Questo garantisce una certa continuità. Ritengono che così si possa arrivare a conoscere bene il periodo e alcuni dei protagonisti del dipartimento di allora. È un buon modo anche per individuare i delitti seriali. In due anni si sono già imbattuti in quattro serial killer di cui nessuno sapeva nulla.» Bosch annuì. Era colpito. «Che anni ci sono capitati?» domandò.

«Ogni team ha quattro o cinque blocchi. Dato che noi siamo gli ultimi arrivati, ne abbiamo quattro.» Aprì il cassetto di mezzo della scrivania, tirò fuori un foglio e glielo porse. Bosch/Rider - Casi assegnati 1966 1972 1987 1996 1967 1973 1988 1997 1968 1974 1989 1998 Bosch studiò la lista degli anni di cui si sarebbero occupati. Era stato fuori città e in Vietnam per la maggior parte del primo blocco. «The summer of love, l'estate dell'amore» disse. «Me la sono persa. Forse è questo il mio problema.» Lo disse tanto per dire qualcosa. Notò che il secondo blocco comprendeva il 1972, l'anno in cui era entrato in servizio. Si ricordò della chiamata in una casa di campagna nel Vermont durante il secondo giorno di pattuglia. Una donna che viveva sulla costa atlantica aveva chiesto di andare a controllare la madre, che non rispondeva al telefono. Bosch la trovò annegata nella vasca da bagno, le mani e i piedi legati con dei guinzagli. Insieme a lei nella vasca c'era il suo cane, anche lui morto. Bosch si domandò se il caso dell'anziana assassinata fosse uno dei casi ancora aperti che ora era incaricato di risolvere. «Come ci si è arrivati? Voglio dire, perché ci sono toccati questi anni?» «Ce li hanno lasciati gli altri team. Abbiamo alleggerito il loro carico. In realtà, si erano già messi in moto su molti casi dei nostri anni. Venerdì ho sentito che è saltato fuori un cold hit dell'88. Dobbiamo occuparcene a partire da oggi. Immagino che si possa considerare il tuo regalo di bentornato.» «Cos'è un cold hit?» «Quando inseriamo nel computer del Dipartimento di Giustizia un esame del DNA o un indizio e salta fuori una corrispondenza.» «Qual è il nostro caso?» «Penso che abbiano trovato una corrispondenza nel DNA. Lo scopriremo questa mattina.» «Non ti hanno detto nulla la scorsa settimana? Sarei potuto entrare in servizio nel week-end, lo sai.» «Lo so, Harry, ma è un vecchio caso. Non c'è alcun bisogno di partire in

quarta nell'istante esatto in cui troviamo un pezzo di carta nella cassetta della posta. Lavorare all'Unità Casi Irrisolti è diverso.» «Sì? Come mai?» Rider sembrava esasperata, ma prima che potesse rispondere sentirono aprirsi la porta e la sala cominciò a riempirsi di voci. Rider uscì dalla nicchia seguita da Bosch. Presentò il compagno agli altri membri della squadra. Bosch conosceva bene due dei detective, Tim Marcia e Rick Jackson, avevano collaborato a diversi casi. Le altre due coppie era formate da Robert Renner e Victor Robleto, e Kevin Robinson con Jean Nord. Bosch li conosceva di nome, così come conosceva Abel Pratt, l'ufficiale di comando dell'unità. Ognuno di loro era stato un elemento di spicco della Omicidi. Lo salutarono cordialmente, senza eccessivo calore, in maniera un po' troppo formale. Bosch era consapevole che con tutta probabilità il suo inserimento nella squadra era visto con sospetto. Quell'unità era molto ambita da tutti gli uomini del dipartimento. Il fatto che avesse ottenuto il posto dopo quasi tre anni di congedo aveva sollevato parecchi interrogativi. Bosch sapeva, come gli aveva ricordato il capo della polizia, di dover ringraziare Rider. L'ultimo incarico della partner era stato nell'ufficio del comandante, come analista delle politiche del dipartimento. Aveva capitalizzato tutti i punti che si era guadagnata agli occhi del capo per ottenere che Bosch fosse reintegrato e lavorasse ai casi insoluti insieme a lei. Dopo tutte le strette di mano, Pratt invitò Bosch e Rider nel suo ufficio per un discorsetto privato di benvenuto. Si sedette alla scrivania e i due presero posto uno accanto all'altro su due sedie di fronte a lui. Nella stanzetta, grande come uno sgabuzzino, non c'era spazio per altra mobilia. Pratt era di qualche anno più giovane di Bosch, più vicino ai cinquanta che ai sessanta. Si manteneva in forma e possedeva lo spirito di corpo della decantata Divisione Rapine e Omicidi, della quale l'Unità Casi Irrisolti era soltanto una ramificazione. Pratt pareva sicuro dei propri mezzi e della capacità di comandare l'unità. Doveva esserlo per forza. La Rapine e Omicidi si occupava dei casi più difficili. Bosch sapeva che se non pensavi di essere più in gamba degli altri, più duro e più furbo della gente a cui davi la caccia, allora non potevi appartenere alla squadra. «Quello che dovrei fare sarebbe dividervi» iniziò. «Affiancarvi a qualcuno che si sia già acclimatato nell'unità, perché qui il lavoro è diverso da quello che avete fatto in passato. Ma ho ricevuto l'ordine dal sesto piano, e non lo discuterò. E comunque, ho sentito dire che tra di voi c'è una chimica

che funziona piuttosto bene. Perciò scordiamoci quello che dovrei fare e lasciate che vi dica qualcosa riguardo a come si lavora nella nostra unità. Kiz, so che hai già sentito questo discorso la settimana scorsa, ma dovrai sorbirtelo di nuovo, okay?» «Certo» disse Rider. «Prima di tutto, dimenticatevi i casi chiusi. I casi chiusi sono una stronzata. Chiudere un caso è un termine usato dai media, qualcosa che scrivono sui giornali per parlare dei cold case, dei "casi freddi". La chiusura del caso è una presa per il culo. È una bugia del cazzo. Qui noi non facciamo altro che fornire risposte. Le risposte devono bastare. Perciò non prendetevi in giro. Non prendete in giro i familiari delle vittime e non fatevi prendere in giro da loro.» Si fermò, in attesa di un commento, non ne ottenne e proseguì. Bosch notò che la foto incorniciata e appesa al muro raffigurava un uomo accasciato in una cabina telefonica tempestata di proiettili. Si trattava di quel tipo di cabina telefonica che si vedeva solo nei vecchi film, al Farmers Market o da Phillippe. «Senza alcun dubbio, il nostro ufficio è il luogo più nobile di tutto il palazzo. Una città che si dimentica le sue vittime è una città perduta. Questo è il luogo dove non si dimentica. Siamo come i giocatori che entrano al nono inning, per vincere o per perdere la partita. Siamo i closers, gli ultimi lanciatori, i lanciatori più importanti. Se non ci riusciamo noi, non ci riesce nessuno. Se sbagliamo noi, la partita è persa, perché rappresentiamo l'ultima risorsa. Sì, siamo troppo pochi. Ci sono stati ottomila casi irrisolti dagli anni Sessanta a oggi. Ma noi siamo imperterriti. Se riuscissimo a risolvere anche un solo caso al mese - dodici all'anno - sarebbe già qualcosa. Siamo quelli che fanno l'ultimo lancio, ragazzi. Se sei ossessionato dagli omicidi, questo è il tuo posto.» Bosch era colpito da tanto fervore. Riconobbe la sincerità, persino il dolore negli occhi di Pratt. Annuì. Capì all'istante che desiderava lavorare per quell'uomo, un caso raro nei molti anni di esperienza al dipartimento. «Non dimenticatevi che chiudere il caso non è la stessa cosa che essere il closer» aggiunse Pratt. «Chiaro» disse Bosch. «Ora, so che voi due avete entrambi molta esperienza nella Omicidi. Quello che qui troverete di diverso è il vostro rapporto con il caso.» «Rapporto?» domandò Bosch. «Sì, rapporto. Intendo dire che il cadavere fresco è un animale del tutto

diverso. Avete il corpo, avete l'autopsia, portate la notizia alla famiglia. Qui si tratta di vittime scomparse da molto tempo. Non c'è nessuna autopsia, la scena del crimine non esiste più. Avete a che fare con il fascicolo del delitto - se riuscite a trovarlo - e con gli archivi. Quando andate dalla famiglia - e datemi retta, non fatelo prima di essere davvero pronti - trovate della gente che ha già subito lo shock e può aver trovato o no il modo di superarlo. È qualcosa che logora. Spero che siate pronti.» «Grazie dell'avvertimento» disse Bosch. «Il lavoro sugli omicidi freschi è clinico, perché le cose si muovono veloci. Quello sui casi vecchi è emotivo. Riscoprirete il tributo che il tempo deve pagare alla violenza. Preparatevi.» Pratt trascinò un grosso raccoglitore blu dal bordo al centro della scrivania. Stava per porgerlo ai due agenti, ma si fermò. «Un'altra cosa a cui bisogna prepararsi è il dipartimento stesso. Dovete tenere conto che i dossier sono incompleti, addirittura mancanti. Dovete essere consapevoli che le prove materiali sono state distrutte o sono scomparse. Per molti dei casi dovrete cominciare da pochi elementi raffazzonati. Questa unità è stata istituita solo due anni fa. Abbiamo passato i primi otto mesi a frugare negli archivi per estrarre i casi insoluti. Abbiamo recuperato il possibile dai database, ma anche quando abbiamo avuto successo, siamo stati comunque ostacolati dalla natura frammentaria delle informazioni. È stato terribile. È stato frustrante. Nonostante non esista la prescrizione per casi di omicidio, abbiamo scoperto che i reperti, gli interi dossier, venivano di norma buttati a ogni cambio di amministrazione. Quello che sto dicendo è che scoprirete che l'ostacolo maggiore alla risoluzione di questi casi potrebbe dimostrarsi proprio il dipartimento.» «Si dice che è saltato fuori un cold hit relativo a uno dei nostri anni» intervenne Bosch. Aveva ascoltato abbastanza. Ora desiderava solo cominciare a muoversi su qualcosa. «Sì, è così» rispose Pratt. «Ci arriveremo in un secondo. Lasciami finire il mio discorsetto. Dopotutto, non mi capita troppo spesso di poterlo tenere. In estrema sintesi, quello che cerchiamo di fare qui è applicare ai vecchi casi le nuove tecnologie e le procedure moderne. Le tecnologie, in sostanza, si sono evolute su tre fronti: DNA, impronte digitali e perizie balistiche. In tutte e tre le aree lo sviluppo dell'analisi comparata è stato fenomenale negli ultimi dieci anni. Il problema del nostro dipartimento è che questi strumenti innovativi non sono mai stati utilizzati per riaprire casi del

passato. Di conseguenza, stimiamo di avere all'incirca duemila casi per i quali è disponibile la prova del DNA ma non è stata effettuata alcuna comparazione. Dal 1960 a oggi ci sono quattromila casi con impronte digitali che non sono mai state passate al computer. Fa ridere, se non fosse che è una faccenda troppo triste per riderci sopra. Lo stesso si può dire della balistica. Stiamo scoprendo che in molti dei casi le prove ci sono, ma sono state ignorate.» Bosch scosse il capo, avvertiva già la frustrazione di tutte le famiglie delle vittime i cui casi erano stati spazzati via dal tempo, dall'indifferenza, dall'incompetenza. «Scoprirete anche che le procedure sono cambiate. Oggi alla Omicidi i poliziotti sono molto più meticolosi dei loro colleghi degli anni Sessanta, persino di quelli degli anni Ottanta. Perciò, ancor prima di trovare le prove materiali, mentre rivedete il caso, arriverete a riconoscere dei particolari che a voi adesso paiono lampanti, ma che non lo sono stati per nessuno all'epoca dell'omicidio.» Pratt annuì. Il discorso era finito. «Veniamo al cold hit» concluse, spingendo il raccoglitore blu sbiadito dall'altra parte del tavolo. «Datevi da fare con questo, ragazzi. È tutto vostro. Risolvete il caso e sbattete qualcuno in prigione.» 3 Dopo aver lasciato l'ufficio di Pratt decisero che Bosch sarebbe andato a prendere il secondo giro di caffè mentre Rider avrebbe cominciato a leggere il fascicolo del caso. Sapevano dalle passate esperienze che era lei la più veloce a leggere, e non aveva senso dividere il fascicolo in due. Serviva a entrambi leggerlo in modo lineare dall'inizio alla fine, per avere davanti agli occhi le indagini secondo lo sviluppo temporale in cui si erano svolte ed erano state documentate. Bosch disse che così Rider avrebbe avuto un bel vantaggio. Aggiunse che si sarebbe bevuto una tazza di caffè in caffetteria, ne sentiva la mancanza. Del posto, non del caffè. «Allora immagino che questo mi conceda qualche minuto per andare in fondo al corridoio» disse lei. Dopo che Kiz ebbe lasciato l'ufficio per raggiungere la toilette, Bosch prese il foglio in cui erano elencati gli anni che gli erano stati assegnati e se lo infilò nella tasca interna della giacca. Lasciò l'ufficio 503 e scese al

terzo piano con l'ascensore. Attraversò il salone principale della Rapine e Omicidi e arrivò all'ufficio del capitano. Era diviso in due locali, uno era l'ufficio vero e proprio, l'altro veniva chiamato "la stanza dei delitti". Era arredata con un lungo tavolo da riunioni dove si discutevano le indagini sui casi di omicidio; su due delle pareti erano disposte file di scaffali che contenevano i codici legali e i registri degli omicidi della città. Ogni delitto commesso a Los Angeles nell'ultimo secolo era stato inserito in quei registri rilegati in pelle. Negli anni si era diffusa la pratica di aggiornarli ogni volta che un caso veniva risolto. Era il modo più semplice per il dipartimento di determinare quali casi erano ancora aperti e quali erano stati chiusi. Bosch fece scorrere un dito sui dorsi crepati dei volumi. Su tutti c'era scritto solo OMICIDI e, a seguire, l'elenco degli anni che vi erano stati registrati. Ognuno dei primi volumi comprendeva diversi anni. Ma a partire dagli anni Ottanta erano stati commessi così tanti omicidi in città che un tomo riusciva a contenere i resoconti di un anno soltanto. Notò che il 1988 era addirittura diviso in due volumi, e di colpo si fece un'idea del perché quell'anno fosse stato attribuito proprio a lui e a Rider, gli ultimi arrivati all'Unità Casi Irrisolti. Il picco di omicidi in quell'anno doveva comportare anche un picco di casi irrisolti. Raggiunto il tomo che partiva dal 1972, lo estrasse e si sedette al tavolo. Sfogliò le pagine, lambì le storie, ascoltò le voci. Ritrovò l'anziana signora annegata nella vasca da bagno. Il caso non era mai stato risolto. Andò avanti, attraversò il 1973 e il 1974, sfogliò il libro che conteneva 1966, '67 e '68. Lesse di Charles Manson e Robert Kennedy. Lesse di gente i cui nomi non aveva mai sentito nominare. Nomi che erano stati strappati loro insieme a tutto quello che quegli individui possedevano o avrebbero potuto possedere. Mentre leggeva quei cataloghi di orrori della città, Bosch avvertì una forza familiare che si impossessava di lui e ricominciava a scorrergli nelle vene. Era tornato al lavoro da un'ora appena ed era già sulle tracce di un assassino. Non importava quanto tempo prima fosse stato versato quel sangue. C'era un omicida in libertà e Bosch stava arrivando. Come il figliol prodigo, sapeva di essere tornato al proprio posto. Era stato battezzato di nuovo nelle acque dell'unica vera chiesa. E quella era la sua missione. Sapeva che avrebbe trovato la propria salvezza in coloro che da tempo erano venuti a mancare, in quelle bibbie polverose dove i morti erano incolonnati uno sotto l'altro e i fantasmi popolavano ogni pagina.

«Harry Bosch!» Sorpreso dall'intrusione, Bosch chiuse il libro con un colpo e alzò lo sguardo. Il capitano Gabe Norona era in piedi sulla soglia dell'ufficio interno. «Capitano.» «Bentornato.» Avanzò e strinse con vigore la mano di Bosch. «È bello essere di nuovo qui.» «Vedo che ti hanno già dato da fare i compiti a casa.» Bosch annuì. «Cerco di acclimatarmi.» «Tempi d'oro per i morti. Harry Bosch riprende in mano il caso.» Bosch non disse nulla. Non capiva se il tono del capitano fosse sarcastico. «È il titolo di un libro che ho letto una volta» spiegò Norona. «Oh.» «Bene, buona fortuna. Vai là fuori e sbattili dentro.» «È quello che voglio fare.» Il capitano gli strinse di nuovo la mano, scomparve nel suo ufficio e chiuse la porta. Bosch si alzò, il momento sacro era stato rovinato da quell'intrusione. Cominciò a risistemare i pesanti cataloghi sugli scaffali. Quando ebbe finito, lasciò l'ufficio per andare alla caffetteria. 4 Kiz Rider era quasi a metà del fascicolo quando Bosch rientrò con il secondo giro di caffè. Gli prese la tazza dalle mani. «Grazie, ho bisogno di qualcosa per tenermi sveglia.» «Come? Non vorrai farmi credere che questo lavoro è più noioso che passare carte nell'ufficio del comandante.» «No, non è questo. È il fatto di mettersi in pari con tutte le informazioni che ci mancano, leggere tutto. Dovremo arrivare a conoscere questo fascicolo come le nostre tasche. Dobbiamo essere pronti a ogni eventualità.» Bosch notò che la collega aveva un blocco per appunti aperto accanto al fascicolo, e la prima pagina era piena di appunti. Non riusciva a leggere cosa ci fosse scritto, ma vedeva che la maggior parte delle righe terminava con un punto di domanda.

«Comunque,» aggiunse la donna «ora uso dei muscoli diversi. Muscoli che al sesto piano non usavo mai.» «Capisco» disse lui. «Va bene se inizio anch'io adesso?» «Accomodati.» Aprì l'anello del raccoglitore e tirò fuori il fascio di documenti spesso cinque centimetri che aveva già letto. Li passò a Bosch, che si era seduto alla sua scrivania. «Hai un altro blocco grande come quello?» domandò. «Io ho solo un taccuino.» Rider sospirò in maniera esagerata. Bosch sapeva che era tutta scena e che la partner era contenta di lavorare di nuovo con lui. Aveva passato gli ultimi due anni a studiare strategie e a risolvere problemi per il nuovo comandante. Ma quello per cui era veramente tagliata era il lavoro vero del poliziotto. Fece scivolare un blocco verso di lui. «Hai bisogno anche di una penna?» «No, per quella penso di potermela cavare.» Bosch posò i documenti sul tavolo e cominciò a leggere. Era pronto a partire, e non aveva bisogno del caffè per mettersi in moto. La prima pagina del fascicolo era una foto a colori contenuta in una busta di plastica trasparente con tre fori. La foto, presa da un annuario scolastico, ritraeva una ragazza attraente ed esotica, i cui occhi a mandorla di un verde sorprendente si stagliavano contro la pelle color caffè. Aveva i capelli castani, ricci, con delle striature di biondo che parevano naturali e che avevano catturato il flash della macchina fotografica. Gli occhi erano luminosi e il sorriso naturale. Quel sorriso pareva dire che la ragazza custodiva segreti che nessun altro conosceva. Bosch non pensò che fosse bella. Non ancora. I tratti somatici parevano in conflitto l'uno con l'altro, non coordinati. Ma sapeva che la goffaggine degli adolescenti spesso si addolcisce e più tardi si trasforma in bellezza. Ma per la sedicenne Rebecca Verloren non ci sarebbe mai stato un più tardi. Il 1988 sarebbe stato il suo ultimo anno di vita. Il cold hit riguardava l'omicidio della ragazza. Becky, come la chiamavano i familiari e gli amici, era l'unica figlia di Robert e Muriel Verloren. Muriel era casalinga, Robert era lo chef e il proprietario di un famoso ristorante di Malibu, l'Island House Grill. Vivevano sulla Red Mesa Way poco oltre la Santa Susana Pass Road a Chatsworth,

nell'angolo nord occidentale dell'agglomerato urbano che si congiungeva con Los Angeles. Il giardino sul retro della loro casa si inerpicava sul pendio alberato della Oat Mountain, la montagna che si ergeva sopra Chatsworth e rappresentava il confine nord occidentale della città. Quell'estate Becky aspettava di frequentare il terzo anno alla Hillside Preparatory School, una scuola privata vicino a Porter Ranch, dove era nella lista degli studenti meritevoli e dove sua madre lavorava come volontaria alla caffetteria, portando persino il pollo al jerk e altre specialità dalla cucina del ristorante del marito per la mensa dei professori. La mattina del 6 luglio 1988, i Verloren scoprirono che la figlia non era in casa. Trovarono la porta sul retro aperta, nonostante fossero sicuri di averla chiusa a chiave la sera prima. Pensando che la ragazza potesse essere uscita a fare una passeggiata, aspettarono in apprensione per un paio d'ore, ma Becky non tornò. Quel giorno sarebbe dovuta andare al ristorante con il padre, per lavorare al turno di mezzogiorno come aiutocameriera, ed era passato da parecchio l'orario in cui sarebbero dovuti partire per Malibu. Mentre la madre chiamava le amiche, nella speranza di localizzarla, il padre andò a cercarla sulla collina dietro casa. Quando tornò senza aver trovato alcuna traccia di lei, i genitori decisero che fosse giunto il momento di chiamare la polizia. Furono inviati a casa Verloren degli agenti della Divisione Devonshire. Non trovarono segni di effrazione. Per questa ragione, e per il fatto che la ragazza era nell'età che contava la più alta percentuale di fughe, sembrava probabile che Rebecca fosse scappata di casa. Si decise così di seguire la procedura standard per le persone scomparse, a dispetto delle proteste dei genitori che non credevano possibile che la figlia avesse lasciato la casa di propria volontà. Due giorni più tardi la tesi dei genitori si dimostrò tragicamente vera. Il cadavere già in stato di decomposizione di Becky Verloren fu rinvenuto accanto al tronco abbattuto di una quercia, a una decina di metri circa da un sentiero per le passeggiate a cavallo sulla Oat Mountain. Una donna in sella al suo appaloosa aveva lasciato il sentiero incuriosita da un odore terribile, e si era imbattuta nel cadavere. La cavallerizza avrebbe potuto benissimo ignorare quel tanfo, ma aveva appena visto sui pali del telefono il cartello con la foto della ragazza scomparsa nella zona. Becky Verloren era morta a meno di quattrocento metri da casa. Era probabile che il padre fosse passato a pochi metri, addirittura a pochi passi dal corpo mentre si inerpicava sulla collina chiamando a gran voce il nome

della figlia. Ma quella mattina non c'era ancora nessun cattivo odore che potesse attirare la sua attenzione. Bosch era padre di una ragazzina. Sebbene la figlia vivesse lontana da lui, con la madre, non era mai distante dai suoi pensieri. In quel momento pensò a un padre che si arrampica sulla collina e chiama il nome della figlia, che non tornerà mai più a casa. Cercò di concentrarsi sui documenti. La vittima era stata uccisa con un colpo di pistola al petto. L'arma, una Colt semiautomatica calibro 45, era stata rinvenuta tra le foglie accanto alla caviglia sinistra della ragazza. Mentre studiava le foto della scena del crimine, Bosch scorse quella che gli parve la bruciatura provocata da uno sparo ravvicinato sulla stoffa della camicia da notte azzurra. Il foro del proiettile si trovava appena sopra il cuore, e Bosch capì dal calibro dell'arma e dalla dimensione della ferita che la morte doveva essere sopraggiunta immediata. Il cuore era stato frantumato dal proiettile che aveva attraversato il corpo. Bosch esaminò a lungo le foto del cadavere. La vittima non aveva le mani legate. Non c'erano tracce di violenza, né di colluttazione. Il viso era rivolto verso il tronco caduto. Niente lasciava pensare a una molestia sessuale o a un'aggressione di qualsiasi genere. Il fraintendimento da parte della polizia sulla scomparsa della ragazza era stato aggravato da un secondo errore, nell'analisi della scena del delitto. Gli incartamenti dimostravano che il decesso era stato considerato un probabile caso di suicidio, e come tale era stato presentato alla Omicidi dai due detective che avevano risposto alla chiamata, Ron Green e Arturo Garcia. Ai tempi del delitto, e ancora adesso, la Divisione Devonshire era la stazione di polizia più tranquilla del distretto di Los Angeles. Costituito da un ampio quartiere dormitorio con proprietà immobiliari di valore e residenti per lo più dell'alta borghesia, Devonshire era sempre stato al livello più basso nelle statistiche sul crimine in città. Tra gli uomini del dipartimento la stazione era soprannominata il Club Dev. Era un posto parecchio ambito dagli agenti e dai detective che avevano alle spalle molti anni di servizio, erano stanchi, o semplicemente avevano visto troppe azioni. Sotto la giurisdizione della Divisione Devonshire ricadeva anche la parte della città attorno alla Simi Valley, una comunità tranquilla, pressoché priva di criminalità, nella Contea di Ventura, dove centinaia di agenti del Dipartimento di Polizia di Los Angeles avevano deciso di andare a vivere. Essere asse-

gnati alla Devonshire significava viaggi brevi e il minor carico di lavoro di tutto il dipartimento. Il pedigree del Club Dev scorreva in fondo alla mente di Bosch mentre leggeva i rapporti. Sapeva che buona parte del suo lavoro consisteva nel giudicare l'operato di Green e Garcia, per determinare se fossero stati all'altezza del loro ruolo. Non li conosceva, e non aveva avuto alcuna esperienza con loro. Non aveva idea del loro livello di competenza e dedizione. Sì, c'era l'erronea interpretazione iniziale, ma stando ai rapporti i due investigatori se n'erano resi conto per tempo e avevano preso subito in mano il caso. I rapporti sembravano ben scritti, minuziosi e completi. Pareva che, ogni volta che ne avevano avuto l'opportunità, gli investigatori avessero compiuto un piccolo passo avanti. Tuttavia, Bosch sapeva che era possibile manipolare il fascicolo di un delitto per dare questa impressione. Avrebbe scoperto la verità solo scavando a fondo e conducendo la propria indagine. Sapeva che avrebbe potuto esserci una considerevole differenza tra quanto era stato registrato e quanto era stato omesso. Secondo quanto diceva il fascicolo, Green e Garcia avevano cambiato direzione alle indagini dopo che l'autopsia e l'analisi dell'arma del delitto li avevano portati a scartare l'ipotesi del suicidio. Il caso era stato riclassificato come omicidio camuffato da suicidio. Bosch arrivò alle prime rilevazioni dell'autopsia. Aveva letto un migliaio di referti autoptici e aveva assistito a centinaia di analisi. Sapeva di dover saltare tutte le misurazioni e le descrizioni della procedura e passare subito alle conclusioni riassuntive e alle foto allegate. Non fu sorpreso di leggere che la causa della morte era stata una ferita d'arma da fuoco al petto. L'ora stimata del decesso era tra la mezzanotte e le due del mattino. Il 6 luglio. Le conclusioni segnalavano che nessun testimone aveva dichiarato di aver sentito gli spari, pertanto la stima sull'ora del decesso si basava esclusivamente sulla perdita di temperatura del cadavere. Le sorprese si trovavano negli altri accertamenti. Rebecca Verloren aveva capelli lunghi e folti. Alla base del collo, sul lato destro, sotto l'attaccatura dei capelli, il medico aveva riscontrato una piccola bruciatura circolare all'incirca del diametro di un bottone da camicia. A cinque centimetri da questo segno, c'era un'altra bruciatura, molto più piccola della prima. Un tasso elevato di globuli bianchi nel sangue attorno a queste ferite indicava che entrambe erano state procurate un po' prima, non al momento della morte.

Il rapporto concludeva che le bruciature dovevano essere state lasciate da un'arma stordente: un dispositivo che emetteva una potente scarica elettrica, tale da togliere coscienza alla vittima per diversi minuti, o anche più a lungo, a seconda della carica. Di norma la scarica di un'arma stordente lasciava sulla pelle due segni piccoli e quasi impercettibili, in coincidenza con il doppio punto di contatto. Ma se i due estremi del dispositivo venivano appoggiati in maniera diseguale contro il corpo della vittima, la carica elettrica bruciava l'epidermide nella maniera visibile sul collo di Becky Verloren. Le conclusioni dell'autopsia facevano notare anche che un esame dei piedi della ragazza non aveva evidenziato tracce di terra, tagli o lividi, che sarebbero stati inevitabili se avesse camminato a piedi nudi sulla montagna al buio. Bosch tamburellò con la penna sul rapporto e rifletté su questo particolare. Sapeva che si trattava di un errore commesso da Green e Garcia. I piedi della vittima avrebbero dovuto essere esaminati sul luogo del delitto, e da questo i detective avrebbero dovuto capire subito che il suicidio era una messinscena. Invece si erano lasciati sfuggire il particolare e avevano sprecato due giorni per aspettare l'autopsia con il week-end di mezzo. Quei due giorni, più i due persi quando gli agenti dell'autopattuglia avevano sottovalutato la chiamata dei genitori e attribuito la scomparsa a una semplice fuga, avevano costituito un pessimo inizio per le indagini. Non c'erano dubbi, la partenza dai blocchi era stata decisamente lenta. Bosch cominciava a rendersi conto del pessimo servizio che il dipartimento aveva fatto a Rebecca Verloren. Il referto autoptico conteneva anche i risultati di un test per la ricerca di eventuali residui di polvere da sparo sulle mani della vittima. Erano state trovate tracce sulla mano destra di Becky, mentre non c'era nulla sulla sinistra. Nonostante Rebecca Verloren fosse destra, Bosch sapeva che quel test era la riprova che la ragazza non poteva aver sparato con la pistola che l'aveva uccisa. L'esperienza - non importava quanto limitata - e il buon senso avrebbero dovuto suggerire agli investigatori che la giovane avrebbe avuto bisogno di entrambe le mani per sorreggere la pesante pistola, puntarla contro il petto e premere il grilletto. In quel caso, il risultato del test avrebbe dovuto segnalare la presenza di polvere da sparo anche sulla mano sinistra. Nelle conclusioni del referto c'era un altro punto degno di nota. L'esame del cadavere aveva stabilito che la vittima era sessualmente attiva, e alcune

ferite sulla parete dell'utero testimoniavano di un recente raschiamento per interrompere una gravidanza. Il coroner che aveva effettuato l'autopsia aveva stimato che fosse accaduto all'incirca tra le quattro e le sei settimane prima del decesso. Bosch lesse il primo rapporto di sintesi delle indagini che era stato redatto e aggiunto al fascicolo dopo l'autopsia. Green e Garcia a quel punto classificavano il decesso come omicidio e teorizzavano che qualcuno fosse entrato nella stanza della ragazza mentre lei dormiva, l'avesse immobilizzata con un'arma stordente e l'avesse portata fuori dalla camera e dalla casa. Era stata trasportata su per la montagna fino al luogo in cui si trovava la quercia caduta, dove l'omicida, con tutta probabilità a seguito di una decisione estemporanea, aveva cercato in maniera goffa di inscenare un suicidio. Il rapporto era stato compilato lunedì 11 luglio: cinque giorni dopo che Rebecca Verloren era stata abbandonata senza vita sulla collina. Bosch passò al rapporto sull'analisi dell'arma da fuoco. L'autopsia aveva dato indicazioni più che convincenti della falsità del suicidio, e lo studio dell'arma e la perizia balistica confermavano la teoria investigativa. Sull'arma non c'erano altre impronte digitali oltre a quelle della mano destra di Becky Verloren. Il fatto che non ci fossero impronte della mano sinistra né macchie di alcun genere indicava agli investigatori che la pistola era stata pulita con cura prima di essere piazzata nella mano di Becky. L'arma era stata poi diretta verso il petto della ragazza e aveva sparato. Era probabile che la vittima fosse priva di conoscenza, dopo essere stata colpita con l'arma stordente. Il bossolo espulso dalla pistola quando era stato sparato il colpo fatale era stato rinvenuto a poco meno di due metri dal cadavere. Non c'erano impronte digitali né macchie nemmeno sul bossolo, segno che l'arma era stata caricata indossando dei guanti. La prova investigativa più importante era stata trovata proprio durante l'analisi dell'arma del delitto. A dire il vero era stata trovata dentro l'arma del delitto. La pistola era una Mark IV Serie 80, prodotta dalla Colt nel 1986, due anni prima dell'omicidio. Aveva la cresta del cane molto lunga, un particolare di rilievo visto che l'arma aveva la reputazione di lasciare un "tatuaggio" sulla mano di chi sparava se non veniva impugnata in maniera corretta al momento di fare fuoco. Questo di solito accadeva quando si stringeva l'impugnatura con due mani, in modo che la mano che premeva il grilletto era posizionata troppo in alto, troppo vicina al cane. La pistola sparava e il carrello scivolava automaticamente indietro per espellere il

bossolo; a quel punto, mentre il carrello tornava nella posizione di tiro, pizzicava la mano - di solito la parte molle tra il pollice e l'indice - e portava con sé un pezzo di pelle dentro il caricatore. Tutto questo succedeva in una frazione di secondo, e il tiratore inesperto non capiva neppure cosa l'avesse "morsicato". Era proprio quello che era capitato con la pistola che aveva ucciso Becky Verloren. Quando un esperto di armi da fuoco aveva aperto la pistola, aveva trovato un frammento di pelle e del sangue essiccato all'interno del carrello. Chi aveva pulito la pistola dall'esterno per cancellare le tracce di sangue e le impronte digitali non avrebbe potuto notarlo. Green e Garcia avevano aggiunto anche questo alla loro teoria investigativa. Nel secondo rapporto di sintesi avevano scritto che le prove evidenziavano che il killer aveva stretto la mano di Becky Verloren attorno all'arma e poi le aveva premuto la canna contro il petto. Il killer aveva usato una o entrambe le mani per tenere dritta l'arma e aveva spinto il dito della ragazza sul grilletto. La pistola aveva sparato e il carrello aveva "tatuato" l'assassino: si era portato un pezzo di pelle dentro il caricatore. Bosch prese mentalmente nota del fatto che Green e Garcia non avevano menzionato un'altra possibilità nella loro ricostruzione. E cioè che il frammento di pelle e il sangue secco si trovassero già dentro l'arma prima della notte dell'omicidio, che l'arma avesse "tatuato" qualcuno di diverso dal killer, quando era stata usata in un momento precedente a quello dell'omicidio. Incuranti di questo potenziale ribaltamento del punto di vista, gli investigatori avevano fatto recuperare il sangue e il tessuto dalla pistola e, nonostante si sapesse già dall'autopsia che Becky non aveva ferite alle mani, avevano richiesto un esame comparato del sangue della ragazza con quello rinvenuto nell'arma. Quest'ultimo era di tipo 0; il sangue di Becky Verloren AB positivo. Gli investigatori conclusero che il sangue sull'arma era quello dell'assassino. L'assassino aveva sangue del gruppo 0. Ma nel 1988 l'uso del test del DNA per le indagini era tutt'altro che diffuso e, ancora più importante, non veniva accettato come prova dalla corte in California. I database contenenti i profili del DNA dei criminali sarebbero stati creati solo dopo qualche anno. Nel 1988 i detective avevano unicamente la possibilità di comparare il gruppo sanguigno degli indiziati con quello trovato sull'arma. E nel caso dell'omicidio Verloren non c'era nessun potenziale colpevole. Lavorarono a lungo, con molto impegno, ma alla fine nessuno venne mai arrestato. E il caso si raffreddò.

«Fino ad ora» disse Bosch ad alta voce, senza rendersene conto. «Cosa?» domandò Rider. «Niente. Pensavo ad alta voce.» «Vuoi cominciare a parlarne?» «Non ancora. Prima voglio finire di leggere. Tu hai finito?» «Quasi.» «Sai chi dobbiamo ringraziare per questo, vero?» domandò Bosch. Lei lo guardò senza capire. «Mi arrendo.» «Mel Gibson.» «Di che stai parlando?» «Quand'è uscito Arma letale? All'incirca in quel periodo, no?» «Direi di sì, ma cosa c'entra? Quei film erano così poco credibili.» «È questo il punto. È stato quel film a dare inizio alla mania di tenere le pistole di traverso e con due mani, una sopra l'altra. Abbiamo sangue nella pistola perché chi ha sparato era un fan di Arma letale.» Rider scosse la testa poco convinta. «Vedrai» continuò Bosch. «Lo domanderò al tizio quando lo sbatteremo dentro.» «Sì, Harry, glielo domanderai.» «Mel Gibson ha salvato un sacco di vite. Tutti quei tizi che sparano con la pistola di traverso non possono colpire un cazzo. Dovremmo nominarlo poliziotto onorario, o qualcosa del genere.» «Okay, Harry, ora io torno a leggere, va bene? Voglio finirlo.» «Sì, okay, anch'io.» 5 Poco dopo che il LAPD, il Dipartimento di Polizia di Los Angeles, aveva istituito l'Unità Casi Irrisolti, le prove del DNA nel caso Verloren erano state inviate al Dipartimento di Giustizia della California. Il laboratorio per le analisi le aveva ricevute insieme a quelle di decine di altri casi, rinvenute dalla unità nel corso delle indagini iniziali sugli omicidi irrisolti. Il Dipartimento di Giustizia gestiva il database principale della California sul DNA. Gli arretrati dei confronti richiesti al laboratorio, che disponeva di scarse risorse e troppo poco personale, erano fermi a più di un anno prima. A causa della marea di richieste provenienti dalla nuova unità del LAPD, c'erano voluti più di diciotto mesi perché i dati del caso Verloren fossero inseriti nei computer dagli analisti del dipartimento e comparati con le mi-

gliaia di profili nel database dello stato. L'indagine produsse un unico risultato, un cold hit, nel gergo degli esperti di DNA. Bosch guardò il rapporto del Dipartimento di Giustizia, una sola pagina posata sulla scrivania di fronte a lui. Diceva che dodici su quattordici possibili indicatori facevano combaciare il DNA trovato nella pistola usata per uccidere Rebecca Verloren con quello di un uomo, ormai trentacinquenne, di nome Roland Mackey. Originario di Los Angeles, il suo ultimo indirizzo conosciuto era a Panorama City. Mentre leggeva il rapporto, Bosch sentì il sangue che cominciava a scorrere un po' DÌÙ rapidamente. Panorama City si trovava nella San Fernando Valley, a non più di quindici minuti da Chatsworth, persino in condizioni di traffico terribili. Questo aggiungeva un notevole livello di credibilità al risultato dell'analisi. Non che Bosch non si fidasse della scienza. Si fidava. Ma sapeva anche che la scienza non basta mai per convincere una giuria al di là di ogni ragionevole dubbio. Devi collegare il dato scientifico alle prove circostanziali e sostenerlo con il buon senso. E questo era il genere di collegamento che ci voleva. Bosch notò la data sulla lettera di accompagnamento del rapporto del Dipartimento di Giustizia. «Hai detto che l'abbiamo appena ricevuto?» domandò a Rider. «Sì, penso che sia arrivato venerdì. Perché?» «La data è di due venerdì fa. Dieci giorni.» Rider alzò le spalle. «Burocrazia» disse. «Immagino che sia il tempo che ci ha messo ad arrivare quaggiù da Sacramento.» «So che il caso è vecchio, ma immaginavo che si muovessero un po' più alla svelta di così.» Rider non rispose. Bosch lasciò perdere e si mise a leggere. Il DNA di Mackey si trovava nel computer del Dipartimento di Giustizia perché chiunque avesse subito una condanna per reati sessuali in California era costretto dalla legge dello stato a fornire campioni di sangue e saliva per farsi inserire nella banca dati. Il reato che aveva causato l'inserimento del DNA di Mackey nel database era al limite della normativa: due anni prima, Mackey era stato condannato per atti osceni a Los Angeles. Il rapporto del Dipartimento di Giustizia non forniva ulteriori dettagli, ma affermava che Mackey era stato dodici mesi in libertà vigilata, a riprova che si trattava di un reato minore. Bosch stava per scrivere un appunto sul taccuino quando alzò lo sguardo e vide Rider chiudere il fascicolo.

«Fatto?» «Fatto.» «E ora?» «Pensavo di andare su all'ESB e recuperare la scatola, mentre tu finisci di leggere.» Bosch non ebbe problemi a ricordare il significato di quelle parole. Si era reinserito con facilità nel mondo degli acronimi e nel gergo dei poliziotti. ESB stava per Evidence Storage Building, l'edificio dove venivano archiviate le prove, nel complesso del Piper Tech. Sarebbe andata lì a prendere le prove materiali del caso. Oggetti come l'arma del delitto, i vestiti della vittima e tutto quello che era stato accumulato nel corso delle prime indagini. Di solito veniva raccolto tutto in una scatola di cartone chiusa con il nastro adesivo e sistemata su uno scaffale. Facevano eccezione solo le prove deperibili e biologiche - come per esempio il sangue e il frammento di pelle ritrovate nella pistola che aveva ucciso la Verloren che erano conservate nei laboratori della Scientifica. «Mi sembra una buona idea» disse Bosch. «Ma prima perché non fai passare questo tizio nel DMV e nel NCIC per vedere se riusciamo a trovare un indirizzo?» «Già fatto.» Girò il computer portatile per mostrare lo schermo al collega. Bosch riconobbe la maschera di ricerca del National Crime Index Computer. Allungò una mano sulla tastiera e iniziò a far scorrere la schermata, mentre gli occhi esaminavano le informazioni. Rider aveva inserito i dati di Roland Mackey nel programma del NCIC e ne aveva ricavato la fedina penale. La condanna per atti osceni di due anni prima era solo l'ultimo di una catena di arresti che aveva avuto inizio quando aveva diciotto anni, lo stesso anno dell'omicidio di Rebecca Verloren. Qualunque misfatto avesse compiuto prima non poteva risultare perché la legge sulla tutela dei minori impediva di consultare quella parte della sua schedatura. La maggior parte dei crimini elencati erano reati contro la proprietà o legati all'uso e allo spaccio di droga: un'auto rubata, un furto con scasso, due condanne per possesso di sostanze stupefacenti, due per guida in stato di ebbrezza, ancora un furto con scasso e riciclaggio di materiale rubato. C'era anche un'accusa per sfruttamento della prostituzione. Tutto sommato era il pedigree tipico del piccolo criminale con problemi di droga. A quanto pareva Mackey non era mai finito nelle prigioni di stato per questi crimini. Gli era sempre stata offerta una seconda chance e poi,

grazie ai patteggiamenti di pena, gli era sempre stata concessa la libertà vigilata o brevi periodi di detenzione nella prigione della contea. Il periodo più lungo che aveva passato in carcere era stato di sei mesi, all'età di ventotto anni, per riciclaggio. In quell'occasione era stato detenuto al Wayside Honor Rancho. Dopo aver finito di far scorrere le informazioni sullo schermo, Bosch si appoggiò allo schienale. Quello che aveva appena letto lo inquietava. Mackey aveva quel genere di fedina che poteva essere interpretata come una strada spianata verso l'omicidio. Ma in questo caso l'omicidio era venuto prima - quando Mackey aveva solo diciotto anni - e i piccoli crimini erano arrivati dopo. Qualcosa non tornava. «Che c'è?» domandò Rider, avvertendo lo stato d'animo del partner. «Non so. Pensavo che ci sarebbe stato di più. È come al contrario. Questo tizio è passato dall'omicidio ai piccoli reati? Non mi pare che i conti tornino.» «Be', queste sono solo le cose per cui è stato incriminato. Non è detto che sia tutto quello che ha fatto.» Bosch annuì. «Reati da minore?» «Forse. Probabile. Ma non otterremo mai quelle informazioni. Con tutta probabilità sono scomparse da tempo.» Era vero. Lo stato rinunciava ad alcune prassi per proteggere la privacy dei minori. I reati minorili difficilmente seguivano i delinquenti nel sistema giudiziario degli adulti. Nonostante questo, Bosch pensava che potessero esserci dei crimini commessi prima dei diciotto anni che avrebbero spiegato meglio l'omicidio a sangue freddo di una sedicenne stordita con una scarica elettrica e portata via dalla sua casa. Bosch cominciò a provare una sensazione inquietante riguardo al cold hit su cui stavano lavorando. Cominciava a sentire che Mackey non era il bersaglio giusto. Era solo un mezzo per arrivare all'obiettivo. «Lo hai inserito nell'archivio della motorizzazione per trovare l'indirizzo?» domandò. «Harry, non essere vecchia scuola. Sei tenuto ad aggiornare la patente solo una volta ogni quattro anni. Se vuoi trovare qualcuno devi rivolgerti alla AutoTrack.» Aprì il fascicolo e porse al partner un foglio singolo. Era una stampata con la dicitura AutoTrack in testa. Rider spiegò che si trattava di una società privata che forniva servizi al Dipartimento di Polizia. Si occupava di

ricerche informatiche su tutti gli archivi pubblici - compresi quelli della DMV, ossia la motorizzazione, delle utenze pubbliche e della TV via cavo, oltre ai database privati come quelli delle agenzie di credito - per determinare l'indirizzo passato e presente di qualsiasi individuo. Bosch vide che la stampata conteneva un elenco di diversi indirizzi di Roland Mackey, che partiva da quando il ragazzo aveva diciotto anni. Negli ultimi documenti, compresa la patente di guida e il libretto di circolazione, risultava residente a Panorama City. Ma sul foglio Rider aveva segnato con un cerchio l'indirizzo dove Mackey aveva vissuto dai diciotto ai vent'anni: gli anni dal 1988 al 1990. Era un appartamento sul Topanga Canyon Boulevard a Chatsworth. Questo significava che al momento del delitto Mackey viveva molto vicino alla casa di Rebecca Verloren. Il risultato della ricerca fece sentire Bosch un po' meglio riguardo alla faccenda. La prossimità era un tassello chiave per comporre il mosaico. A parte i dubbi sul pedigree criminale di Mackey, sapere che l'uomo nel 1988 si trovava nelle immediate vicinanze e che pertanto poteva aver visto o addirittura conosciuto Rebecca Verloren rappresentava un bel segno di spunta nella colonna delle voci all'attivo. «Ti fa stare un po' meglio, Harry?» «Un po'.» «Bene. Allora vado.» «Mi trovi qui.» Dopo che Rider se ne fu andata, Bosch si immerse di nuovo nella lettura del fascicolo. Il terzo rapporto di sintesi si concentrava sul modo in cui l'assassino si era introdotto nella casa. Né le porte né le finestre mostravano segni di effrazione, e tutte le chiavi erano in mano ai membri della famiglia e a una domestica che era al di sopra di ogni sospetto. Gli investigatori teorizzarono che l'intruso potesse essersi intrufolato attraverso il garage, che era stato lasciato aperto, e che poi fosse passato in casa dalla porta di collegamento, che di solito non veniva chiusa a chiave prima che Robert tornasse a casa dal lavoro a tarda sera. Secondo il racconto di Robert Verloren, il garage era aperto quando era rientrato dal ristorante verso le ventidue e trenta del 5 luglio. La porta che collegava il garage all'appartamento non era chiusa a chiave. L'uomo era entrato in casa, aveva chiuso il garage e la porta di collegamento. La teoria degli investigatori era che a quell'ora l'assassino si trovasse già nell'appartamento. La spiegazione che i Verloren avevano dato al fatto che il garage fosse

aperto era che la figlia aveva di recente preso la patente e di tanto in tanto aveva il permesso di usare l'auto della madre. Non aveva ancora preso l'abitudine di chiudere il garage quando usciva o rientrava, ed era stata rimproverata più di una volta dai genitori per questo motivo. Nel tardo pomeriggio, il giorno del suo rapimento, Rebecca era uscita a sbrigare una commissione, doveva andare alla lavanderia. Aveva usato l'auto della madre. Gli investigatori confermarono che aveva ritirato i vestiti alle diciassette e quindici e che poi era tornata a casa. Era convinzione degli investigatori che ancora una volta si fosse dimenticata di chiudere la saracinesca del garage e la porta di collegamento. La madre disse che quella sera non controllò il garage, presumendo, erroneamente, che fosse chiuso. Due vicini, interrogati dopo l'omicidio, testimoniarono di aver visto il garage aperto. In questo modo la casa era risultata accessibile fino al ritorno di Robert Verloren. Bosch pensò a quante volte negli anni aveva visto degli errori all'apparenza insignificanti segnare in modo irreparabile il destino di qualcuno. Una commissione da niente, andare a ritirare la biancheria, aveva concesso all'omicida l'opportunità di intrufolarsi nella casa. La stessa Becky Verloren aveva, in maniera inconsapevole, provocato la propria morte. Bosch spinse la sedia all'indietro e si alzò in piedi. Aveva terminato la lettura della prima metà del fascicolo. Decise di prendere un'altra tazza di caffè prima di affrontare la seconda parte. Chiese a tutti i colleghi se qualcuno avesse bisogno di qualcosa dalla caffetteria e ricevette l'ordine per un caffè da Jean Nord. Scese a piedi, entrò in caffetteria e riempì due tazze, pagò e andò al bancone dei condimenti per prendere la panna e lo zucchero per Nord. Mentre versava uno schizzo di panna nella tazza della collega, avvertì una presenza. Si fece da parte, ma nessuno allungò la mano per prendere qualcosa. Si voltò verso la presenza e si trovò davanti il viso sorridente di Irvin S. Irving, il vicecapo. Quella tra Bosch e Irving non era mai stata una grande storia d'amore. Il vicecapo era stato in diversi momenti fiero avversario o involontario salvatore. Ma Bosch aveva saputo da Rider che adesso Irving era stato tagliato fuori. Il nuovo comandante gli aveva tolto dalle mani tutto il potere, senza troppe cerimonie, e gli aveva affidato un incarico di fatto insignificante fuori dal Parker Center. «Mi sembrava che fosse lei, detective Bosch. Le offrirei una tazza di caffè, ma vedo che ne ha già preso abbastanza. Le va comunque di sedersi un minuto con me?»

Bosch sollevò le due tazze. «Sono nel bel mezzo di una cosa, capo. E devo portare una di queste di sopra.» «Solo un minuto, detective» insistette Irving. Un tono severo si era impossessato della sua voce. «Il caffè sarà ancora caldo quando arriverà dove deve andare. Glielo prometto.» Senza aspettare una risposta, si voltò e raggiunse il tavolo vicino. Bosch lo seguì. Irving aveva ancora la testa rasata e luccicante. La mascella prominente era la sua caratteristica principale. Si sedette con la schiena dritta come un bastone. Non parlò finché Bosch non si fu accomodato a sua volta. Ritornò a un tono di voce cortese. «Volevo solo darle il benvenuto al dipartimento» disse. Sorrise da squalo. Prima di rispondere Bosch esitò, come un uomo che sta per infilarsi in una botola. «Sono contento di essere tornato, capo.» «L'Unità Casi Irrisolti. Penso che sia la collocazione adatta per un uomo con le sue capacità.» Bosch prese un sorso dalla tazza di caffè fumante. Non sapeva se Irving gli avesse appena fatto un complimento o l'avesse insultato. Desiderava andare via. «Bene, vedremo» replicò. «Spero di sì. Credo che sia meglio...» Irving spalancò le braccia, come a mostrare che non nascondeva nulla. «Tutto qui» concluse. «Può andare. Volevo solo darle il benvenuto. E ringraziarla.» Bosch ebbe un attimo di esitazione, ma poi abboccò. «Ringraziarmi per cosa?» «Per avermi ridato la speranza di tornare in questo dipartimento.» Bosch scosse la testa e sorrise, come a dire che non aveva capito. «Non ci arrivo, capo» disse. «Come potrei averlo fatto? Voglio dire, lei sta dall'altra parte della strada, nella succursale del municipio, no? Cos'è, l'ufficio delle programmazioni strategiche? Da quanto ho sentito dire, ha dovuto lasciare la pistola a casa.» Irving incrociò le braccia e si chinò verso Bosch. La buona disposizione, vera o pretesa che fosse, era svanita di colpo. Parlò con decisione, ma con calma. «Già, è lì che sto. Ma le garantisco che non sarà per molto. Specie ora che quelli come lei vengono riammessi nel dipartimento.» Si appoggiò allo schienale e all'improvviso assunse un atteggiamento ri-

lassato, come per proseguire una tranquilla chiacchierata amichevole. «Sa cos'è lei, Bosch? È uno pneumatico ricostruito. A questo nuovo capo piace montare sulla sua auto le ruote con il battistrada ricostruito. Ma sa cosa succede agli pneumatici vecchi? Le suture cedono. L'attrito, il surriscaldamento... sono troppo per loro. Sa cosa succede? Scoppiano. E allora la macchina va fuori strada.» Annuì in silenzio mentre lasciava che Bosch riflettesse sulle sue parole. «Vede, Bosch, lei è il mio biglietto d'ingresso. Si sputtanerà, se mi passa l'espressione. È scritto nella sua storia. Fa parte della sua natura. È garantito. E quando si sputtanerà, il nostro illustrissimo nuovo capo si sputtanerà per aver scelto di mettere una ruota di pessima qualità sulla nostra auto.» Sorrise. Bosch pensò che gli mancasse solo un orecchino d'oro per completare il quadro. Mastro Lindo all'opera. «E quando lui andrà giù, le mie azioni ricominceranno a salire. Io sono un uomo paziente. Sono quarant'anni che aspetto in questo dipartimento. Posso aspettare ancora.» Bosch pensava che ci fosse dell'altro, ma il discorso era finito. Irving annuì e si alzò in piedi. Si voltò rapido e uscì dalla caffetteria. Bosch avvertì la rabbia salirgli dal fondo della gola. Abbassò lo sguardo sulle due tazze di caffè e si sentì un'idiota per essere rimasto lì come un garzone indifeso mentre Irving lo schiaffeggiava con le parole. Si alzò e buttò entrambe le tazze nel cestino della spazzatura. Decise che quando sarebbe arrivato nell'ufficio 503 avrebbe detto a Jean Nord di andarsi a prendere da sola il suo maledetto caffè. 6 Con ancora addosso il disagio che gli aveva procurato il confronto con Irving, Bosch si portò alla scrivania la seconda metà del fascicolo dell'omicidio e si sedette. Pensò che il miglior modo per dimenticare le minacce che gli aveva rivolto Irving fosse immergersi di nuovo nel caso. Nel dossier rimaneva una pila spessa di rapporti sussidiari e di aggiornamenti, quelle cose che gli investigatori ammassano sempre in fondo al fascicolo, i rapporti che Bosch amava definire "gli acrobati", perché sembravano disparati, ma se venivano osservati dal lato giusto e riordinati in un'unica trama, potevano rivelarsi fondamentali per la soluzione del caso. Il primo era un referto di laboratorio in cui si affermava che i test non erano in grado di stabilire con esattezza quanto a lungo il frammento di

pelle e il sangue fossero rimasti all'interno della pistola. Il rapporto diceva che l'esame di alcune cellule selezionate evidenziava che la decomposizione non era in stato avanzato. L'esperto che aveva redatto il referto non era in grado di dire se il sangue fosse già depositato sull'arma al momento dell'omicidio, nessuno avrebbe potuto dirlo. Ma sarebbe stato disposto a testimoniare che il sangue era rimasto nel caricatore «poco prima o contestualmente al delitto». Bosch sapeva che questo era un rapporto chiave in prospettiva di un eventuale procedimento ai danni di Roland Mackey. Avrebbe permesso a Mackey di costruire la propria difesa sulla dichiarazione di essere stato in possesso della pistola prima dell'omicidio, ma non al momento del delitto. Sarebbe stata una mossa rischiosa quella di ammettere di essere stato in possesso dell'arma del delitto, ma la prova del DNA rendeva quell'opzione obbligatoria. Con la scienza incapace di individuare con esattezza quando il sangue e il tessuto si erano depositati sull'arma, Bosch vedeva un buco sempre più largo nel procedimento. La difesa avrebbe potuto approfittarne con facilità. Ancora una volta sentiva scivolare via le sicurezze che il cold hit sembrava offrire. La scienza dà e toglie allo stesso tempo. Avevano bisogno di molto di più. Il documento successivo era un rapporto dell'Unità Armi da Fuoco, alla quale era stato assegnato il compito di rintracciare il proprietario dell'arma. Il numero di serie sulla Colt era stato limato, ma il laboratorio lo aveva recuperato con l'applicazione di un acido che accentuava le asperità sul metallo nel punto in cui i numeri erano stati impressi durante la fabbricazione. Il numero riconduceva a un'arma acquistata presso il fabbricante nel 1987 da un negozio di armi di Northridge. Era stata poi rivenduta quell'anno stesso a un uomo che viveva sulla Winnetka Avenue a Chatsworth. Il proprietario aveva denunciato il furto della pistola quando la sua casa era stata svaligiata, il 2 giugno del 1988: solo un mese prima che fosse utilizzata per l'omicidio di Rebecca Verloren. Questo rapporto avrebbe aiutato il caso perché, a meno che Mackey non avesse legami con il proprietario originale dell'arma, la data del furto riduceva il periodo durante il quale poteva essere stato in possesso della pistola. Rendeva più plausibile che l'arma fosse in mano sua la notte in cui Becky Verloren era stata portata via da casa e uccisa. La denuncia del furto era contenuta nel fascicolo. La vittima si chiamava Sam Weiss. Viveva da solo e lavorava come tecnico del suono per la Warner Bros, a Burbank. Bosch analizzò il rapporto e trovò solo un'altra nota

degna di interesse. Nella sezione dedicata ai commenti degli agenti investigativi si affermava che la vittima del furto aveva comprato l'arma di recente per proteggersi in seguito ad alcune telefonate minatorie nelle quali l'interlocutore lo minacciava perché ebreo. La vittima aveva riferito che non sapeva come il suo numero, che non compariva sull'elenco telefonico, fosse finito nelle mani del molestatore e non sapeva cosa avesse causato tali minacce. Bosch lesse rapidamente il rapporto dell'Unità Armi da Fuoco, nel quale era stato individuato il modello dell'arma stordente utilizzata per il rapimento. Il rapporto diceva che la distanza di 57 millimetri tra i due punti di contatto - evidenziata dai segni di bruciatura sulla pelle della vittima - era una caratteristica inequivocabile del modello Professional 100 prodotto da una società di Downey, la SafetyCharge. Il modello era venduto al banco o per corrispondenza e all'epoca dell'omicidio erano stati distribuiti più di dodicimila pezzi del Professional 100. Bosch sapeva che senza avere il congegno in mano era impossibile collegare i segni sul corpo di Becky Verloren con una pista che conducesse al proprietario. Quello era un vicolo cieco. Andò avanti, sfogliò una serie di fotografie 12X15 scattate a casa dei Verloren dopo che era stato rinvenuto il cadavere. Bosch era consapevole che quel genere di foto serviva a pararsi il culo. Il caso era stato trattato - o maltrattato - come la normale fuga di una ragazzina. Il dipartimento aveva cominciato a occuparsene a pieno regime solo dopo che il cadavere era stato rinvenuto e che l'autopsia aveva stabilito che si trattava di omicidio. Cinque giorni dopo che era stata denunciata la scomparsa della ragazza, la polizia era tornata indietro e aveva trasformato la casa nella scena del crimine. La domanda era: cos'era andato perso in quei cinque giorni? Le foto comprendevano scatti interni ed esterni di tutte e tre le porte d'accesso all'abitazione - davanti, retro, garage - e diversi primi piani dei serramenti delle finestre. C'erano anche numerosi scatti realizzati nella camera da letto di Becky Verloren. La prima cosa che Bosch notò fu che il letto era stato rifatto. Si domandò se fosse stato il rapitore a sistemarlo, per avvalorare la tesi del suicidio; oppure la madre di Becky aveva semplicemente rifatto il letto in uno dei giorni in cui sperava ancora e aspettava che la figlia tornasse a casa. Era un letto a baldacchino con il copriletto bianco e rosa su cui erano disegnati dei gatti. Il copriletto, con le balze coordinate, ricordò a Bosch quello che aveva scelto per la cameretta della figlia. Gli sembrava adatto a

una ragazzina molto più giovane di sedici anni e si domandò se Becky Verloren lo avesse tenuto per nostalgia o come una sorta di coperta di Linus. Le balze non arrivavano a terra in maniera uniforme. Erano troppo lunghe di almeno cinque centimetri, si ammonticchiavano sul pavimento e da una parte sporgevano in fuori, dall'altra sparivano sotto il letto. C'erano foto della scrivania e del comodino. La stanza era ornata con animaletti di peluche che provenivano dagli anni dell'infanzia. Alle pareti c'erano poster di gruppi musicali che erano durati poco. C'era la locandina di un film di John Travolta vecchio di tre "resurrezioni". La stanza era molto pulita e ordinata, e ancora una volta Bosch si domandò se quello fosse lo stato in cui si trovava la mattina in cui Rebecca Verloren era scomparsa o se sua madre l'avesse rassettata mentre aspettava il ritorno della figlia. Bosch sapeva che le foto avrebbero dovuto essere il primo passaggio del processo investigativo. Non si vedeva da nessuna parte né la polvere per rilevare le impronte digitali né alcuna traccia dello scompiglio che avrebbe lasciato l'intervento della Scientifica. Nel fascicolo le foto erano seguite da una pila di appunti sugli interrogatori a cui i poliziotti avevano sottoposto numerosi studenti della Hillside Prep. Una lista all'inizio del mucchio indicava che tutti i compagni di classe di Becky Verloren erano stati ascoltati, oltre a tutti i ragazzi che frequentavano gli ultimi anni della scuola. C'erano anche i resoconti degli interrogatori a diversi insegnanti della vittima e al personale di segreteria della scuola. Nella stessa sezione si trovava il resoconto di un colloquio telefonico con un ex ragazzo di Becky Verloren, che si era trasferito alle Hawaii con la famiglia l'anno prima dell'omicidio. Allegato al resoconto c'era la ratifica dell'alibi del ragazzo, nella quale si affermava che un superiore aveva confermato che il ragazzo aveva lavorato all'autolavaggio e nel negozio di accessori di un autonoleggio a Maui nei giorni immediatamente successivi al delitto, il che rendeva improbabile che potesse essere andato a Los Angeles per uccidere la ragazza. C'era un dossier separato con i resoconti degli interrogatori ai dipendenti dell'Island House Grill, il ristorante di cui Robert Verloren era proprietario. La figlia aveva appena iniziato un lavoro estivo part-time al ristorante. Era aiutocameriera all'ora di pranzo. La sua mansione era quella di accompagnare gli ospiti al tavolo e portar loro i menu. Bosch sapeva che i ristoranti hanno sovente l'abitudine di assoldare derelitti per lavorare nelle cucine,

ma Robert Verloren aveva evitato di assumere uomini con precedenti penali, preferendo attingere alla popolazione di surfisti e altri spiriti liberi che fioccavano sulle spiagge di Malibu. Questa gente doveva aver avuto contatti limitati con Rebecca, che lavorava nel salone, ma erano stati comunque tutti interrogati e a quanto pareva scartati dagli investigatori. C'era anche una cronologia degli ultimi giorni della vittima nella quale gli investigatori tratteggiavano gli spostamenti di Rebecca Verloren nelle ore che avevano portato all'omicidio. Nel 1988 il 4 luglio cadeva di lunedì. Rebecca aveva trascorso gran parte del giorno di festa a casa, era solo andata a dormire con altre tre amiche a casa di una di loro la domenica sera. I resoconti degli interrogatori alle tre ragazze, allegati all'incartamento, erano molto estesi ma non contenevano alcuna informazione di rilievo. Il lunedì, il giorno della festa, era rimasta a casa finché non era andata con i genitori al Balboa Park per guardare uno spettacolo di fuochi d'artificio. Robert Verloren aveva di rado la sera libera e aveva insistito perché la famiglia la trascorresse insieme. Dagli interrogatori risultava che Becky fosse molto dispiaciuta perché si era persa una festa nella zona di Porter Ranch. Il martedì era ripresa la routine estiva, Rebecca si era recata al ristorante con il padre per il turno di mezzogiorno. Alle tre il padre l'aveva accompagnata a casa in auto. Era rimasto anche lui a casa per tutto il pomeriggio, quindi era tornato al ristorante per il turno serale, all'incirca alla stessa ora in cui Rebecca era uscita con l'auto della madre per andare in tintoria. Bosch non vide nella cronologia niente che destasse in lui alcun sospetto, nulla che fosse sfuggito agli investigatori di allora. Giunse quindi alla trascrizione di un interrogatorio formale con i genitori. Era stato effettuato alla Divisione Devonshire il 14 luglio, più di una settimana dopo la denuncia della scomparsa della ragazza. A quel punto gli investigatori avevano accumulato molte informazioni sul caso e avevano posto domande circostanziate. Bosch lesse con attenzione la trascrizione, non solo per le risposte, ma anche per farsi un'idea del punto di vista degli investigatori a quel punto delle indagini. Caso numero 88-641 Verloren Rebecca (data del decesso: 06.07.88) Responsabile dell'interrogatorio. A. Garcia: #993 14.07.88 - 14.15, Dipartimento Omicidi, Devonshire.

GARCIA: Grazie di essere venuti. Spero che non vi dispiaccia, ma registreremo la nostra conversazione per redigere un verbale. Come state? ROBERT VERLOREN: Come può immaginare. Siamo distrutti. Non sappiamo cosa fare. MURIEL VERLOREN: Continuiamo a pensare: cosa potevamo fare per evitare che capitasse una cosa del genere alla nostra bambina? GREEN: Ci dispiace davvero molto, signora. Ma voi non avete alcuna colpa per quello che è accaduto. Per quanto ne sappiamo, non ha niente a che vedere con qualcosa che avreste potuto fare o non fare Non biasimate voi stessi. Biasimate la persona che ha fatto questo. GARCIA: E lo prenderemo. Non dovete temere. Ora, ci sono alcune domande che dobbiamo farvi. Alcune potranno risultare dolorose ma ci servono le risposte se vogliamo arrivare a questo tizio. ROBERT VERLOREN: Continuate a dire "tizio". Ci sono sospetti? Sapete che è stato un uomo? GARCIA: Non sappiamo nulla con sicurezza, signore. È una questione statistica. Ma la collina dietro casa vostra è molto ripida. Becky e stata senza dubbio trasportata sul pendio. Non era una ragazza robusta, ma siamo certi che deve essere stato un uomo. MURIEL VERLOREN: Ma avete detto che non è stata... che non ci sono tracce di violenza sessuale. GARCIA: È vero, signora. Ma questo non preclude l'ipotesi che il movente del delitto sia di carattere sessuale. ROBERT VERLOREN: Cosa volete dire? GARCIA: Ci arriveremo, Signore. Se non vi dispiace, lasciateci porre le nostre domande, poi arriveremo alle vostre se lo desiderate. ROBERT VERLOREN: Andate avanti, prego. Mi dispiace. È solo che non riusciamo a capire cosa sia accaduto. È come se fossimo sempre sott'acqua. GARCIA: È del tutto comprensibile. Come ho detto, avete la nostra totale comprensione. E anche quella di tutto il dipartimento. Stiamo impiegando al meglio tutti i mezzi a nostra disposizione per studiare il caso con grande cura.

GREEN: Per cominciare, vorremmo fare un passo indietro a prima della scomparsa. Magari a un mese prima. Vostra figlia era mai andata via durante quel periodo? ROBERT VERLOREN: Cosa intende con "via"? GARCIA: Era stata fuori per qualche giorno? ROBERT VERLOREN: No. Aveva sedici anni. Andava a scuola. Non andava via per conto proprio. GREEN: Era andata qualche volta a dormire dalle amiche? MURIEL VERLOREN: No, non penso. ROBERT VERLOREN: Dove volete arrivare? GREEN: Si è mai sentita male nel mese prima della sua scomparsa? MURIEL VERLOREN: Sì, ha avuto l'influenza la prima settimana dopo la fine della scuola. Per questo rimandò l'inizio del lavoro da Bob. GREEN: Rimase a letto melata? MURIEL VERLOREN: Per la maggior parte del tempo. Non capisco cosa c'entri questo... GARCIA: Signora Verloren, sua figlia si fece visitare da qualche dottore in quel periodo? MURIEL VERLOREN: No, diceva di avere solo bisogno di riposo. A dire la verità, noi pensammo che semplicemente non avesse voglia di andare a lavorare al ristorante. Non aveva né la febbre né il raffreddore. Pensavamo che fosse pigra. GREEN: Allora non vi confidò di essere incinta? ROBERT VERLOREN: Senta, detective, cosa ci sta dicendo? GREEN: L'autopsia ha rivelato che Becky aveva subito un procedimento denominato dilatazione e raschiamento all'incirca un mese prima della sua morte. Un aborto. La nostra idea è che nel periodo in cui vi disse di avere l'influenza si stesse riposando e ristabilendo dall'operazione. GARCIA: Desiderate fare una pausa? GREEN: Perché non facciamo una pausa? Usciamo e ci prendiamo tutti un po' d'acqua. (Pausa) GARCIA: Okay, eccoci di nuovo qui. Spero che possiate capirci e

perdonarci. Non abbiamo fatto la domanda o tentato di scioccarvi per ferirvi. Abbiamo bisogno di seguire un metodo che ci permetta di ottenere informazioni non influenzate da percezioni preconcette. ROBERT VERLOREN: Comprendiamo quello che state facendo. Ormai fa parte della nostra vita. Di quello che ne rimane. MURIEL VERLOREN: State dicendo che nostra figlia era incinta e ha scelto di abortire? GARCIA: Sì, è così. E pensiamo che possa esistere un legame con quello che le è successo un mese dopo. Avete un'idea di dove possa essere andata per l'operazione? MURIEL VERLOREN: No, non sapevo nulla. Nessuno di noi sapeva nulla. GREEN: E come già avete detto, non è mai rimasta fuori per la notte in quel periodo? MURIEL VERLOREN: No, è rimasta a casa tutte le sere. GARCIA: Con chi poteva avere la relazione? Avete un'idea? Nelle precedenti chiacchierate avete detto che all'epoca non aveva un fidanzato. MURIEL VERLOREN: Be', è evidente che ci sbagliavamo in proposito. Però no, non abbiamo idea di chi vedesse o chi possa aver... fatto questo. GREEN: Qualcuno di voi due ha mai letto il diario che teneva vostra figlia? ROBERT VERLOREN: No, finché voi non lo avete trovato nella sua stanza non sapevamo neppure che tenesse un diario. MURIEL VERLOREN: Mi piacerebbe riaverlo. Posso? GREEN: Abbiamo bisogno di tenerlo per tutto il periodo delle indagini, ma alla fine ve lo restituiremo. GARCIA: Sul diario compare molto spesso un individuo denominato MTL. È una persona che vorremmo identificare e interrogare. MURIEL VERLOREN: Così su due piedi, non conosco nessuno con quelle iniziali. GREEN: Abbiamo consultato l'annuario scolastico. C'è un ragazzo che si chiama Michael Lewis. Ma abbiamo controllato, il suo secondo nome è Charles. Pensiamo che le iniziali fossero un codice, un acronimo. My True Love. Il mio vero amore.

MURIEL VERLOREN: Allora è evidente che ci fosse qualcuno di cui non sapevamo niente, che Becky ci teneva nascosto. ROBERT VERLOREN: Non ci posso credere. Voi due ci state dicendo che non conoscevamo affatto la nostra bambina. GARCIA: Mi dispiace, Bob. Certe volte le ferite provocate da casi come questo vanno molto a fondo. Ma è nostro dovere seguire le indagini fino a dove ci conducono. Questo è il punto a cui siamo arrivati adesso. GREEN: In poche parole, dobbiamo approfondire questo aspetto dell'indagine e scoprire chi è MTL. Il che significa che dobbiamo fare domande sugli amici e i conoscenti di vostra figlia. Temo che possa spargersi la voce della gravidanza. ROBERT VERLOREN: Ne siamo consapevoli, detective. Affronteremo anche questo. Come abbiamo detto il giorno in cui ci siamo incontrati, fate ciò che dovete. Trovate la persona che ha fatto questo. GARCIA: Grazie, signore. Lo faremo. (Fine dell'interrogatorio: 14.40) Bosch lesse la trascrizione una seconda volta, questa volta prendendo appunti sul taccuino. Passò quindi alle altre tre trascrizioni formali di interrogatori. Erano state effettuate con le tre amiche più intime di Becky Verloren: Tara Wood, Bailey Koster e Grace Tanaka. Ma nessuna delle ragazze - ragazze a quel tempo - aveva detto di essere a conoscenza della gravidanza di Becky o della relazione segreta che l'aveva provocata. Dicevano tutte e tre di non averla vista durante la settimana dopo la fine della scuola, perché lei non rispondeva alle telefonate, e quando avevano chiamato il numero della famiglia Muriel Verloren aveva detto loro che la figlia era malata. Tara Wood, che si spartiva con Becky i turni come aiutocameriera all'Island House Grill, aggiungeva che l'amica era intrattabile e riservata nelle settimane precedenti l'omicidio, e aveva sempre respinto i tentativi della Wood di scoprire cosa non andasse. L'ultima parte del fascicolo era la rassegna stampa. Lì, Garcia e Green avevano raccolto gli articoli di giornale che si erano accumulati nella prima fase delle indagini. Il crimine aveva maggior rilievo sul Daily News che sul Times. Era comprensibile, perché il News circolava principalmente nella San Fernando Valley, mentre il Times di norma trattava la Valley

come un figliastro indesiderato, relegando le notizie che provenivano da quelle zone nelle pagine interne. Non c'era alcuna copertura della scomparsa iniziale di Becky Verloren. Era evidente che i giornali avevano dato la stessa interpretazione della polizia. Ma dopo che era stato trovato il cadavere, ci furono numerosi articoli sulle indagini, sul funerale e sull'impatto che il decesso della ragazza aveva avuto sulla scuola. C'era persino un articolo molto ispirato che riguardava l'Island House Grill. Si trattava di un reportage del Times che, a quanto pare, era stato un tentativo di dare peso al caso per i lettori del Westside. Un ristorante a Malibu era un posto al quale gli abitanti del Westside potevano sentirsi legati. Entrambe le testate collegavano l'arma del delitto a un furto avvenuto un mese prima dell'omicidio, ma nessuna delle due riportava l'aspetto antisemita. Nessun articolo riferiva neppure delle tracce di sangue rinvenute sulla pistola. Bosch immaginò che il ritrovamento del sangue e della pelle fosse l'asso nella manica degli investigatori, la prova che si tenevano stretta per utilizzarla nel momento in cui avrebbero identificato un sospetto di rilievo. Alla fine, Bosch notò che i media non avevano intervistato i genitori in lutto. I Verloren a quanto pareva avevano scelto di non mettere in piazza il proprio dolore. Bosch li apprezzava per questo. Aveva l'impressione che la stampa e la televisione spingessero sempre di più le vittime di tragedie a portare in pubblico il cordoglio, davanti alla telecamera e sulle pagine dei giornali. I genitori di figli assassinati diventavano opinionisti che comparivano sull'etere come esperti quando un altro ragazzino veniva ucciso e un'altra coppia di genitori lo piangeva. Tutto questo non andava a genio a Bosch. A lui pareva che il modo migliore per onorare la memoria dei defunti fosse tenersi il loro ricordo stretto al cuore, non condividerlo con il mondo al di là dello schermo. In fondo al fascicolo c'era una tasca che conteneva una busta commerciale con l'indirizzo e il logo a forma di aquila del Times in un angolo. Bosch tirò fuori la busta, l'aprì e ne estrasse una serie di foto a colori 12X15 scattate al funerale di Rebecca Verloren, una settimana dopo l'omicidio. A quanto pareva c'era stato un accordo: le foto in cambio della possibilità di partecipare alla cerimonia. Bosch si ricordava di aver stretto intese simili in passato, quando la tempistica o il budget limitato gli impedivano di mandare un fotografo della polizia alle esequie. Allora prometteva al reporter che seguiva la storia di concedergli un'esclusiva se il fotografo

del giornale avesse accettato di scattare una serie di foto a tutti i partecipanti al servizio funebre. Non si sa mai quando il killer decide di presentarsi per godersi l'angoscia e il dolore che ha provocato. I reporter accettavano sempre il patto. Los Angeles era uno dei mercati più competitivi del mondo per i media e i reporter vivevano e morivano in base ai varchi che riuscivano ad aprirsi. Bosch studiò le foto, ma era intralciato nella ricerca dal fatto di non sapere che aspetto avesse Roland Mackey nel 1988. Le foto che Kiz Rider aveva trovato tramite il computer risalivano all'ultimo arresto. Mostravano un uomo dalla calvizie incipiente, con la barbetta e gli occhi scuri. Sarebbe stato difficile rintracciare quel viso in mezzo ai volti dei teenager lì riuniti per seppellire una di loro. Per un momento osservò i genitori di Becky Verloren in una delle immagini. Erano in piedi accanto alla tomba, appoggiati l'uno all'altra come se si sostenessero a vicenda per non cadere. Le lacrime rigavano i loro volti. Robert Verloren era nero e Muriel bianca. Bosch ora sapeva dove Becky aveva preso quella bellezza acerba. I figli di sangue misto sono spesso dotati di una grazia particolare, che travalica le difficoltà sociali che la mescolanza di razze talvolta comporta. Bosch posò le foto e rifletté un istante. Nel fascicolo non compariva da nessuna parte l'ipotesi che i problemi razziali avessero giocato un qualche ruolo nell'omicidio. Ma il fatto che l'arma del delitto provenisse dal furto in casa di un uomo che era stato minacciato per motivi religiosi pareva dare corpo alla possibilità che ci fosse quantomeno un esile legame con l'omicidio di una ragazza di sangue misto. Il fatto che questo non fosse menzionato nel fascicolo non significava nulla. Gli aspetti razziali erano sempre tenuti nascosti al Dipartimento di Polizia di Los Angeles. Mettere per iscritto certe considerazioni voleva dire renderle note a tutto il dipartimento, poiché i rapporti investigativi venivano consultati lungo tutto l'iter delle indagini. Avrebbero potuto verificarsi fughe di notizie che avrebbero trasformato il caso in qualcos'altro, in un fatto politico. Perciò l'assenza di riferimenti razziali per Bosch non rappresentava una manchevolezza delle indagini. Non per ora, almeno. Dovevano esserci più di trecento pagine di documenti e fotografie nel fascicolo, e da nessuna parte aveva scorto il nome di Roland Mackey. Possibile che non fosse rientrato neppure in via marginale nelle indagini? In tal caso, era davvero plausibile che fosse lui l'assassino? La domanda infastidiva Bosch. Cercava sempre di prestare fede al fasci-

colo di un delitto, il che significava che secondo lui le risposte si trovavano sempre all'interno di quelle copertine di plastica. Ma questa volta faceva fatica a seguire la strada indicata dal cold hit. Non che non credesse alla scienza. Non dubitava che il sangue di Mackey corrispondesse a quello trovato all'interno dell'arma del delitto. Ma credeva che ci fosse qualcosa di sbagliato. Che mancasse qualche elemento. Abbassò lo sguardo sul taccuino. Aveva preso pochi appunti: solo una lista di persone con cui desiderava parlare. - Green e Garcia - madre/padre - compagni di scuola/insegnanti - ex ragazzo - agente responsabile della libertà vigilata - Mackey - scuola? Sapeva che tutti gli appunti che aveva preso erano banali. Si rese conto di quanti pochi elementi disponessero a parte il confronto del DNA. Ancora una volta era a disagio nel dover ricostruire un caso senza nient'altro in mano. Bosch guardava i suoi appunti quando Kiz Rider entrò nell'ufficio. Era a mani vuote, non sorrideva. «Allora?» domandò Bosch. «Cattive notizie. L'arma del delitto è andata. Non so se hai letto tutto il fascicolo, ma si parla di un diario. La ragazza teneva un diario. È andato anche quello. È andato tutto.» 7 Decisero che il miglior modo per affrontare e discutere le cattive notizie fosse andare a mangiare. Tra l'altro, niente rendeva Bosch più affamato del restarsene seduto in un ufficio tutta la mattina a leggere un dossier. Andarono al Chinese Friends, un piccolo locale sulla Broadway alla fine di Chinatown, dove sapevano di poter ottenere ancora un tavolo se arrivavano presto. Era un posto in cui potevi mangiare bene e in abbondanza spendendo a malapena cinque dollari. Il problema era che si riempiva in fretta, soprattutto con il personale della stazione dei vigili del fuoco, i distintivi d'oro del Parker Center e i burocrati del municipio. Se non arrivavi per

mezzogiorno, dovevi ordinare da portare via ed eri costretto a mangiare sulle panchine della fermata dell'autobus di fronte, al sole. Lasciarono il fascicolo in auto, per non incomodare gli altri avventori, visto che i tavoli erano attaccati tra loro come i banchi alla scuola pubblica. Si portarono però gli appunti e discussero il caso servendosi di una stenografia inventata al momento, pensata per mantenere la conversazione riservata. Rider spiegò che quando aveva detto che il diario e l'arma mancavano dall'ESB intendeva che in un'ora di ricerche i due impiegati dell'archivio non avevano trovato neppure la scatola con le prove relative al loro caso. Non fu una gran sorpresa per Bosch. Pratt li aveva messi in guardia: per decenni il dipartimento aveva prestato scarsa attenzione alle prove. Le scatole di cartone con i reperti venivano registrate e riposte su degli scaffali in ordine cronologico, senza alcun tipo di separazione in base al tipo di crimine. Di conseguenza, le prove di un omicidio potevano trovarsi sullo scaffale accanto a quelle di un furto. E quando gli impiegati procedevano periodicamente a eliminare gli oggetti per cui erano scaduti i termini dell'obbligo di conservazione, a volte venivano gettate le scatole sbagliate. Tra l'altro, per anni la sicurezza dell'ESB non era rientrata tra le priorità del dipartimento. Per chiunque possedesse un distintivo della LAPD non era difficile accedere al magazzino. Perciò gli scatoloni erano soggetti a furti. Non era insolito che sparissero le armi da fuoco, o altri reperti provenienti da casi famosi come quelli della Dalia Nera di Charles Manson o del Fabbricante di bambole. Nel caso dei Verloren niente faceva pensare a un furto di prove. Si trattava con maggior probabilità di un esempio di incuria: non era facile cercare una scatola che era stata riposta diciassette anni prima in una stanza di quattromila metri quadrati piena di cartoni tutti uguali. «La troveranno» disse Bosch. «Magari potresti chiamare il tuo amico del sesto piano perché gli dia una bella strigliata. Così la troverebbero di sicuro.» «Sarebbe il caso. Il DNA non ci serve a niente senza la pistola.» «Non ti capisco.» «Harry, le prove sono concatenate. Non puoi andare in giudizio con il DNA e non avere la possibilità di mostrare alla giuria l'arma da cui proviene. Non possiamo neppure presentarci al procuratore distrettuale senza l'arma. Ci sbatterebbero fuori a calci nel sedere.» «Senti, io dico solo che al momento noi due siamo gli unici a sapere che non abbiamo la pistola. Possiamo bluffare.»

«Di cosa stai parlando?» «Non pensi che questa storia porterà noi e Mackey in una stanzetta? Voglio dire, anche se avessimo l'arma, non saremmo in grado di dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio che il tizio ci abbia lasciato il sangue mentre sparava a Becky Verloren. L'unica cosa che possiamo dimostrare è che il sangue è suo. Perciò, se vuoi la mia opinione, dobbiamo ottenere una confessione. Lo chiuderemo nella stanza, lo affronteremo con la prova del DNA e vedremo se abbocca. Tutto qui. Perciò dico che dobbiamo solo cercare di procurarci qualche oggetto di scena per l'interrogatorio. Andiamo all'arsenale, prendiamo in prestito una Colt 45 e la tiriamo fuori dallo scatolone mentre siamo nella stanza insieme a lui. Lo convinciamo che abbiamo le prove, e lui abbocca o non abbocca.» «Non mi piacciono i trucchetti.» «I trucchetti fanno parte del gioco. Non c'è niente di illegale. Lo ha persino stabilito la corte.» «Io penso che abbiamo bisogno di qualcosa di più del DNA per incastrarlo.» «Anch'io. Pensavo che...» Bosch si fermò e attese che la cameriera finisse di posare sul tavolo i piatti fumanti. Bosch aveva ordinato riso saltato con gamberi. Rider costine di maiale. Senza una parola, Harry sollevò il piatto e versò metà del contenuto in quello di Kiz. Si servì quindi della forchetta per prendere tre delle sei costine di Rider. Quasi sorrise mentre lo faceva. Erano tornati a lavorare insieme da meno di un giorno e avevano già ripreso il ritmo tranquillo della loro vecchia collaborazione. Era felice. «Ehi, come se la passa Jerry Edgar?» domandò. «Non lo so. Non gli parlo da parecchio tempo. Non abbiamo mai superato del tutto quella cosa.» Bosch annuì. Quando lavorava con Kizmin Rider alla Divisione Hollywood, nella Omicidi le squadre erano formate da tre persone. Jerry Edgar era il terzo partner. Poi Bosch era stato messo in aspettativa e Rider promossa alla sede centrale. Edgar era rimasto a Hollywood e si era sentito isolato e scavalcato. E ora che Bosch e Rider lavoravano di nuovo insieme ed erano stati assegnati alla Rapine e Omicidi, da Edgar era arrivato solo silenzio. «Cosa stavi dicendo, Harry, quando sono arrivati i piatti?» «Solo che hai ragione tu. Abbiamo bisogno di qualcosa in più. Una cosa che pensavo è che dopo l'11 settembre e il Patriot Act sarà più facile otte-

nere l'autorizzazione per delle intercettazioni.» Rider mangiò un gambero prima di rispondere. «Sì, è vero. È una delle cose che monitoravo per il capo. Le richieste sono aumentate all'incirca del trecento per cento, e sono molte di più anche quelle che vengono accettate. Sembra che si sia sparsa la voce che si tratta di uno strumento che ora si può utilizzare. Nel nostro caso come potrebbe funzionare?» «Pensavo di mettere sotto controllo il telefono di Mackey e poi di far uscire qualche articolo sui giornali. Non so, dire che abbiamo riaperto il caso, magari citare il DNA, qualcosa di nuovo. Non direi che abbiamo trovato una corrispondenza, ma che potremmo trovarla. Poi ci sediamo, lo teniamo d'occhio, lo ascoltiamo e vediamo che succede. Potremmo anche andare a fargli una visitina, vedere se questo smuove un po' le acque.» Rider rifletté mentre mangiava una costina con le mani. Sembrava a disagio per qualcosa, e non poteva essere il cibo. «Che c'è?» domandò Bosch. «Chi chiamerebbe?» «Non so. La persona con cui l'ha fatto, o per cui l'ha fatto.» Rider annuì pensierosa mentre masticava. «Non lo so, Harry. Sei tornato al lavoro da meno di un giorno, dopo tre anni passati a goderti il sole, e già leggi tra le righe delle indagini cose che io non vedo. Immagino che tu rimanga sempre il maestro.» «È solo che ti sei arrugginita a rimanere seduta dietro quella grande scrivania al sesto piano.» «Dico sul serio.» «Anch'io. O quasi. Penso di aver aspettato così a lungo questo momento che tutti i miei sensi sono all'erta.» «Dimmi solo come la vedi, Harry. Non hai bisogno di trovare delle scuse per il tuo istinto.» «A dire il vero non la vedo ancora con chiarezza, e questo è parte del problema. Il nome di Roland Mackey non compare mai nel fascicolo dell'omicidio, e questo è un altro punto dolente. Sappiamo che il nostro uomo si trovava da quelle parti, ma non abbiamo nulla che lo colleghi alla vittima.» «Cosa dici? Abbiamo l'arma con il DNA.» «Il sangue lo collega alla pistola, non alla ragazza. Hai letto il fascicolo. Non possiamo dimostrare che il DNA sia finito sulla pistola al momento dell'omicidio. Questo singolo particolare potrebbe mandare all'aria tutto il

caso. È un buco enorme, Kiz. Abbastanza grande da permettere a una giuria di infilarcisi dentro. Al processo, Mackey non dovrebbe fare altro che alzarsi in piedi e dire: "Sì, ho rubato la pistola durante un furto a Winnetka. Poi sono andato sulla collina e ho sparato qualche colpo, giocavo a fare Mel Gibson, e l'ultima cosa che mi ricordo è che quella maledetta mi ha pizzicato, mi ha strappato via un pezzo di mano. A Mel non succede mai. Allora mi sono incazzato, ho buttato quella maledetta pistola in mezzo agli sterpi e sono andato a casa a mettermi un cerotto". Il rapporto della Scientifica - il nostro maledetto rapporto - confermerebbe la sua storia, fine del processo.» Rider non sorrise durante il racconto. Harry vide che si erano capiti. «Non avrebbe bisogno di dire nient'altro, Kiz, avrebbe il ragionevole dubbio dalla sua, e noi non potremmo dimostrare nulla. Non abbiamo impronte sulla scena del delitto, non abbiamo capelli, frammenti di pelle, non abbiamo niente. E oltre a questo c'è il suo profilo. Se avessi letto quei documenti prima di avere la prova del DNA, non avresti mai considerato quel tizio un killer. Magari uno che poteva perdere la testa o scaldarsi in un momento di passione, ma non un individuo capace di una cosa del genere, pianificata, e di sicuro non a diciotto anni.» Rider scosse la testa in maniera quasi malinconica. «Qualche ora fa questo caso ci è stato consegnato come un regalo di benvenuti a bordo. Ce lo hanno servito su un piatto d'argento...» «Il DNA fa sempre saltare alle conclusioni. È questo che non va nel mondo. La gente pensa che con la tecnologia tutto diventi facile. Guardano tutti troppa TV.» «È il tuo modo per dirmi che non pensi sia stato lui?» «Ancora non so cosa penso.» «Allora gli mettiamo il sale sulla coda, gli controlliamo il telefono, lo chiudiamo in un angolo e vediamo come si comporta, se chiama qualcuno.» Bosch annuì. «È quello che pensavo» disse. «Prima dobbiamo chiarirci con Abel.» «Seguiamo la procedura. Come mi ha detto oggi il capo.» «Porco cane, il nuovo Harry Bosch.» «Ce l'hai davanti.» «Prima di richiedere le intercettazioni dobbiamo fare bene tutti i compiti. Dobbiamo controllare che Roland Mackey non conoscesse nessuno dei protagonisti. Verificato questo, andremo a parlare con Pratt.»

«Mi pare giusto. Cos'altro hai trovato leggendo?» Prima di essere lui a tirarlo fuori, voleva vedere se anche la partner aveva individuato l'aspetto razziale in sottofondo. «Solo quello che c'era scritto» rispose Rider. «C'è qualcosa che mi sono persa?» «Non lo so... niente di lampante.» «Allora cosa?» «Pensavo al fatto che la ragazza era meticcia. Nel 1988 c'era ancora gente a cui la cosa non piaceva. Poi ci aggiungi il furto della pistola: il proprietario era ebreo, e lo stavano minacciando, per questo aveva comprato la pistola.» Rider annuì meditabonda mentre finiva un boccone di riso. «È un aspetto da approfondire» commentò. «Ma per ora non mi pare sufficiente per investirci troppo.» «Non c'era niente nel fascicolo...» Mangiarono in silenzio per qualche minuto. Bosch aveva sempre pensato che il Chinese Friends facesse i gamberi più teneri e dolci che avesse mai mangiato nel riso saltato. Le costolette di maiale, sottili come i piatti di plastica su cui gliele avevano servite, erano altrettanto perfette. E Kiz aveva ragione, erano più buone mangiate con le mani. «Che mi dici di Green e Garcia?» domandò Rider alla fine. «In che senso?» «Che voto gli dai?» «Non lo so. Sufficiente, a voler essere di manica larga. Hanno commesso molti errori e rallentato le indagini. Dopo sembra che abbiano fatto il minimo indispensabile. Tu?» «Uguale. Hanno redatto un buon fascicolo, ma ci leggi sopra dappertutto la sigla CIC, "Copriti Il Culo". Come se avessero saputo che non sarebbero mai arrivati a una conclusione, ma volessero dare l'impressione di aver tentato ogni strada.» Bosch annuì e abbassò lo sguardo sul taccuino appoggiato sulla sedia vuota di fianco a lui. Osservò l'elenco delle persone da interrogare. «Dobbiamo parlare con i genitori e con Garcia e Green. Dobbiamo anche procurarci una foto di Mackey. Di quando aveva diciotto anni.» «Penso che sarebbe meglio andare dai genitori dopo aver parlato con tutti gli altri. Saranno anche i più importanti, ma meglio lasciarli per ultimi. Voglio raccogliere più informazioni possibili prima di ributtare loro addosso un fardello simile dopo diciassette anni.»

«Giusto. Forse dovremmo cominciare dagli uffici per la libertà vigilata. Il nostro uomo si è ripulito solo un anno fa. Probabile che sia stato assegnato alla stazione di Van Nuys.» «Giusto. Potremmo passare di là e poi andare a parlare con Art Garcia.» «Lo hai trovato? È ancora in giro?» «Non ho dovuto cercare molto. È il comandante del Bureau della Valley adesso.» Bosch annui. Non era sorpreso. Garcia aveva lavorato bene. Il rango di comandante del Bureau lo poneva appena al di sotto del vicecapo. Significava che era il secondo in comando sui cinque distretti di polizia della Valley, compreso il Devonshire, dove anni addietro aveva lavorato al caso Verloren. Rider proseguì. «Nell'ufficio del capo della polizia, oltre ai progetti che seguivamo regolarmente, a ognuno di noi assistenti particolari era stato affidato un rapporto privilegiato con uno dei quattro Bureau. A me era capitato quello della Valley. Perciò il comandante Garcia e io abbiamo parlato di tanto in tanto. Più spesso ho avuto a che fare con il suo staff, soprattutto con il suo vice, Vartan.» «So cosa vuoi dirmi: la mia partner ha le conoscenze giuste. Eri tu che dicevi a Vartan e Garcia come gestire la Valley.» Lei scosse il capo, fingendosi seccata. «Non rompermi le palle. Lavorare al sesto piano mi permetteva un'ampia prospettiva sul dipartimento e sul suo funzionamento.» «O malfunzionamento. A proposito, c'è una cosa che ti devo dire.» «Che cosa?» «Mi sono imbattuto in Irving quando sono sceso a prendere il caffè. Subito dopo che tu te n'eri andata.» Rider apparve subito preoccupata. «Cos'è successo? Che ti ha detto?» «Non molto. Solo che sono uno pneumatico ricostruito, che sono destinato a scoppiare e che quando succederà trascinerò con me il capo della polizia, perché è lui che ha deciso di reintegrarmi. Poi, naturalmente, quando il casino sarà finito, Mastro Lindo sarà pronto a farsi avanti.» «Cristo, Harry, un giorno di lavoro e c'è già Irving che ti morde il culo?» Bosch spalancò le braccia, quasi colpendo la spalla di un uomo seduto al tavolo accanto. «Io sono solo andato a prendere un caffè. Lui era lì. È lui che è venuto

da me, Kiz. Io mi stavo facendo gli affari miei. Te lo giuro.» Lei chinò il capo e guardò il piatto. Continuò a mangiare senza parlare. Gettò l'ultima costoletta senza finirla. «Basta, non ce la faccio più. Usciamo da qui.» «Sono pronto.» Bosch lasciò sul tavolo più soldi di quanto fosse necessario, e Rider disse che la volta successiva sarebbe toccato a lei. Usciti dal ristorante, salirono sull'auto di Bosch, un SUV nero della Mercedes, e attraversarono Chinatown fino all'entrata della 101, in direzione nord. Percorsero tutto il tragitto fino alla freeway prima che Rider parlasse di nuovo di Irving. «Harry, non prenderlo alla leggera» disse. «Sii prudente.» «Sono sempre stato prudente, Kiz, e non ho mai preso quell'uomo alla leggera.» «Io dico solo che è stato già scavalcato due volte nella scalata al posto di comando. Potrebbe essere disperato.» «Già. Sai che cosa non capisco? Perché il tuo amico non si è sbarazzato di lui quando è arrivato qui? Voglio dire, perché non ha fatto un bel repulisti? Spostare Irving dall'altra parte della strada non significa porre fine alla minaccia. Lo sanno tutti.» «Non può sbatterlo fuori. Irving ha più di quarant'anni di servizio. Ha un mucchio di appoggi che si spingono al di là del dipartimento, fino al municipio. E sa dove sono nascosti molti scheletri. Il comandante non può fare mosse contro di lui prima di essere sicuro che non ci sarebbero contraccolpi.» Seguì ancora qualche minuto di silenzio. Il traffico del primo pomeriggio in direzione della Valley non era sostenuto. Si erano sintonizzati sulla KFWB, la stazione radio di notiziari e informazioni sul traffico, e non era segnalato alcun problema sul resto del tragitto. Bosch controllò il carburante e vide che aveva ancora mezzo serbatoio pieno. Era più che sufficiente. Avevano deciso in precedenza di alternare l'uso delle rispettive auto private. Avevano richiesto e ottenuto l'assegnazione di un'auto di servizio, ma sapevano entrambi che la richiesta e l'approvazione erano la parte più semplice della trafila. Con tutta probabilità ci sarebbero voluti mesi per ottenere una vettura. Il dipartimento non aveva auto di riserva e non possedeva neppure il denaro per acquistarle. L'approvazione della richiesta era solo un pezzo di carta che gli sarebbe servito per addebitare al dipartimento il costo della benzina e il rimborso chilometrico per l'utilizzo delle loro

auto. Bosch sapeva che con il tempo avrebbe percorso così tanti chilometri con il suo SUV che alla fine le spese per il dipartimento avrebbero superato il costo dell'acquisto di una vettura nuova. «Senti,» disse «so a cosa stai pensando, anche se non lo dici. Non sei preoccupata solo per me. Hai puntato i piedi e hai convinto il comandante a riprendermi. Credimi, Kiz, sono consapevole di non essere solo io a fare affidamento su questo... su questo pneumatico ricostruito. Non devi preoccuparti. Ho capito. Non ci sarà nessuno scoppio. Nessuno subirà contraccolpi per causa mia.» «Bene, Harry. Sono lieta di sentirtelo dire.» Cercò di pensare a qualcosa da aggiungere per convincerla. Sapeva che le parole non erano altro che parole. «Sai, non so se te l'ho mai detto, ma dopo aver lasciato il dipartimento, all'inizio la mia nuova vita quasi mi piaceva. Trovarmi fuori dalla squadra, avere la possibilità di fare tutto quello che mi pareva... Il lavoro ha cominciato a mancarmi, e ho ripreso a dedicarmi alle indagini. Per conto mio. Comunque, a un certo punto ho cominciato a zoppicare.» «Zoppicare?» «Una cosa da niente. Come se uno dei tacchi fosse più basso dell'altro. Come se fossi storto.» «Be', hai controllato le scarpe?» «Non c'era bisogno di controllare le scarpe. Il problema non erano le scarpe. Il problema era la pistola.» Le lanciò un'occhiata. La donna guardava fisso davanti a sé, le sopracciglia tracciavano la "V" profonda che gli rivolgeva spesso. Bosch tornò a guardare la strada. «Ho portato la pistola così a lungo che non averla più mi sbilanciava. Ero storto.» «Harry, è uno strano racconto.» Stavano attraversando il Cahuenga Pass. Bosch guardò il pendio fuori dal finestrino, cercò la sua casa annidata in mezzo alle altre tra le pieghe della montagna. Gli parve di scorgere la veranda sul retro che sbucava in mezzo ai cespugli. «Vuoi chiamare Garcia e vedere se possiamo fare un salto da lui dopo?» domandò. «Sì, lo farò, appena arrivi al dunque del tuo racconto.» Rifletté a lungo prima di rispondere. «Il punto è che ho bisogno di una pistola. Ho bisogno del distintivo. Al-

trimenti sono sbilanciato. Ho bisogno di tutto questo. Okay?» Diede un'occhiata a Rider. Lei ricambiò lo sguardo, ma non rispose. «So che cosa mi gioco con questa opportunità. Perciò vaffanculo Irving e il suo pneumatico ricostruito. Non manderò tutto a puttane.» 8 Venti minuti dopo entrarono in uno dei posti che Bosch odiava di più in città: l'Ufficio per la libertà condizionale e i servizi sociali del Dipartimento di Correzione statale a Van Nuys. Era un edificio di mattoni a un solo piano gremito di persone in attesa di incontrare gli agenti dei servizi sociali e gli addetti alla libertà condizionale per consegnare i campioni di urina, per firmare il registro, per aspettare di essere incarcerati o per implorare un'altra chance di libertà. Era un luogo dove la disperazione, l'umiliazione e la rabbia erano palpabili nell'aria. Era un luogo dove Bosch cercava di non incrociare lo sguardo di nessuno. Bosch e Rider possedevano qualcosa che nessuno degli altri aveva: il distintivo. Questo permise loro di saltare la fila e ottenere subito udienza dall'agente cui era stato assegnato Roland Mackey dopo essere stato arrestato due anni prima per atti osceni in luogo pubblico. Thelma Kibble era relegata in un cubicolo all'interno di un open space affollato di spazi analoghi a quello. La scrivania e lo scaffale di ordinanza, che il governo forniva insieme al cubicolo, erano ricolmi di schede sui condannati che le erano stati affidati. Era una donna di media altezza, robusta. Gli occhi chiari brillavano in contrasto con la pelle marrone scuro. Bosch e Rider si presentarono come detective della Rapine e Omicidi. C'era solo una sedia davanti alla scrivania di Kibble, perciò rimasero in piedi. «Stiamo parlando di una rapina o di un omicidio?» domandò Kibble. «Omicidio» ripose Rider. «Allora perché uno di voi due non va a prendere un'altra sedia nel cubicolo laggiù? La collega è ancora a pranzo.» Bosch prese la sedia e la portò alla scrivania, poi si sedettero e dissero a Kibble che desideravano dare un'occhiata al dossier di Roland Mackey. Bosch ebbe l'impressione che Kibble avesse riconosciuto il nome, ma non il caso. «È stato condannato per atti osceni, ti è stato affidato un paio di anni fa» disse. «L'affidamento è durato dodici mesi.» «Oh, non è attuale, allora. Be', devo andare a recuperare la pratica in ar-

chivio. Non ricor... ah, sì, sì che mi ricordo. Roland Mackey, sì. Mi è quasi piaciuto lavorare con quel tizio.» «Come?» domandò Rider. Kibble sorrise. «Diciamo che per lui non è stato semplice obbedire agli ordini di una donna di colore. Aspettate, però, vado a prendere il dossier, così non ci sbagliamo sui dettagli.» Chiese conferma della grafia del cognome di Mackey, quindi lasciò il cubicolo. «Questo potrebbe aiutare» disse Bosch. «Cosa?» domandò Rider. «Se ha avuto problemi con lei, con tutta probabilità avrà problemi anche con te. Potrebbe tornarci utile.» Rider annuì. Bosch vide che la partner stava guardando un articolo di giornale attaccato alla parete del cubicolo. Era ingiallito dal tempo. Bosch si avvicinò, ma era comunque troppo distante per leggere altro che il titolo. AGENTE DEI SERVIZI SOCIALI ACCOLTA DA EROE. «Cos'è?» domandò a Rider. «Ah, ho capito» rispose lei. «Le hanno sparato qualche anno fa. Andò a casa di una ex detenuta e qualcuno le sparò. L'ex detenuta chiamò aiuto, ma poi scappò. Qualcosa del genere. Le abbiamo dato un premio alla BPO. Cristo, è dimagrita un sacco.» Qualcosa nella storia fece suonare un campanello nella testa di Bosch. Notò che c'erano due foto che accompagnavano l'articolo. Una era di Thelma Kibble in piedi di fronte all'edificio del Dipartimento di Correzione, uno stendardo che pendeva dal soffitto le dava il bentornata. Rider aveva ragione: sembrava che Kibble avesse perso quaranta chili da quella foto. Bosch all'improvviso si rammentò di aver visto quello stendardo appeso all'edificio qualche anno prima, mentre uno dei suoi casi era dibattuto in tribunale dall'altra parte della strada. Annuì. Ora ricordava. Poi qualcosa nella seconda foto catturò la sua attenzione e richiamò i suoi ricordi. Era la foto segnaletica di una donna bianca: la ex detenuta che viveva nella casa dove avevano sparato a Kibble. «Non fu lei a sparare, vero?» domandò. «No, lei è quella che chiamò i soccorsi, che la salvò. È scomparsa.» Bosch si alzò in piedi di colpo e si chinò sulla scrivania, appoggiando le

mani su una pila di documenti. Osservò la foto segnaletica. Era uno scatto in bianco e nero che si era scurito con l'invecchiare del ritaglio di giornale. Ma Bosch riconobbe comunque il volto. Ne era certo. I capelli e gli occhi erano diversi. Anche il nome sotto la foto non era lo stesso. Ma era certo di aver incontrato la donna a Las Vegas l'anno prima. «Ehi, mi stai incasinando i documenti.» Bosch si tirò subito su, mentre Kibble tornava dietro la scrivania. «Mi dispiace, stavo cercando di leggere l'articolo.» «È una vecchia notizia. È un bel po' che non penso più a quella storia. È successa molti anni e molti chili fa.» «Ero al raduno dei Poliziotti Neri quando sei stata decorata» disse Rider. «Oh, davvero?» esclamò Kibble, mentre il suo viso si apriva in un sorriso. «Quella fu una gran bella serata per me.» «Cos'è successo alla donna?» domandò Bosch. «Cassie Black? Oh, è scomparsa nel nulla. Nessuno l'ha più vista da allora.» «Ha imputazioni?» «No, è questa l'ironia della cosa. Cioè, l'abbiamo incriminata perché è fuggita, ma nient'altro. Non fu lei a spararmi. Anzi, mi salvò la vita. Non avrei mai permesso a nessuno di incriminarla. Ma non ho potuto fare niente per risparmiarle l'accusa per la violazione della libertà vigilata. È scomparsa. Per quanto ne so io, il tizio che mi ha sparato potrebbe averla presa e seppellita da qualche parte nel deserto. Anche se spero di no, mi ha reso un ottimo servizio.» All'improvviso Bosch non fu più così convinto che la donna accanto alla quale aveva vissuto per qualche giorno nel motel di un aeroporto, mentre faceva visita alla figlia a Las Vegas l'anno precedente, fosse Cassie Black. Si sedette e non disse nulla. «Allora, hai trovato i documenti?» domandò Rider. «Ce li ho qui» rispose Kibble. «Potete prenderli. Ma se volete farmi qualche domanda sul tizio, fatelo adesso. Tra cinque minuti inizio il turno di pomeriggio. Se comincio in ritardo, mi parte un effetto domino su tutta la giornata e mi tocca uscire tardi. Oggi non posso permettermelo. Ho un appuntamento.» Gongolava alla prospettiva del suo appuntamento. «Okay, va bene, cosa ti ricordi di Mackey? Hai guardato il dossier?» «Sì, ho dato un'occhiata mentre lo portavo qui. Mackey era un frignone insignificante. Un drogatello che a un certo punto si è segnalato anche per

discriminazioni razziali e religiose. Niente di che. Mi sono abbastanza divertita a tenerlo sotto. Ma è tutto qui.» Rider aveva aperto il dossier e Bosch si era chinato per guardarlo. «Perché è stato incriminato per atti osceni? Si è aperto l'impermeabile?» «A dire il vero là dentro troverete che il nostro amico era fatto di amfetamine e alcol - molto alcol - e ha deciso di liberarsi nel giardino di qualcuno. Nella casa viveva una ragazzina di tredici anni che in quel momento era in cortile a giocare a basket. Il signor Mackey ha deciso, dopo aver visto la ragazza, che siccome aveva già il pisello al vento poteva chiederle se ne voleva un po'. Vi ho già detto che il padre della ragazzina era della Divisione Metro del LAPD e che al momento dell'incidente si trovava a casa? Uscì e scagliò a terra il signor Mackey. A dire il vero, più tardi il signor Mackey lamentò che per puro caso, o forse non tanto per caso, era stato buttato proprio sulla pozzanghera che aveva appena lasciato. Era piuttosto contrariato per questo.» Kibble sorrise del proprio racconto. Bosch annuì. La versione della donna era molto più colorita del resoconto contenuto nel dossier. «E ha ammesso la propria colpa.» «Esatto. È stato assegnato ai servizi sociali ed è finito da me.» «Ci sono stati fastidi durante i dodici mesi?» «Nessuno, a parte il suo problema con me. Richiese un altro agente, ma ottenne un rifiuto e fu costretto a rimanere con me. Cercava di controllarsi, ma il problema era lì. Sotterraneo, capite? Non so dire cosa lo infastidisse di più, che fossi nera o che fossi donna.» Mentre diceva questo guardò Rider, che annuì. Il dossier conteneva dettagli sulla vita e sui reati precedenti di Mackey. C'erano fotografie scattate in occasione dei primi arresti. Sarebbe diventata la risorsa base per le loro ricerche. Conteneva troppe informazioni per poterlo consultare di fronte a Kibble. «Possiamo farne una copia?» domandò Bosch. «Ci farebbe anche piacere prendere in prestito una di queste foto di quando era ragazzo.» Gli occhi di Kibble si strinsero per un momento. «State lavorando a un vecchio caso, eh?» Rider annuì. «Di molti anni fa» rispose. «Uno di quei casi freddi?» «Noi li chiamiamo aperti o irrisolti» precisò Rider. Kibble annuì pensierosa.

«Be', non mi sorprende più niente in questo posto: ho visto gente rubare una pizza surgelata e farsi incastrare per questo due giorni prima della scadenza di quattro anni di libertà sulla parola. Ma da quanto ricordo di quel Mackey, non mi sembrava proprio che avesse l'istinto del killer. Se volete la mia opinione, no, è uno che segue gli eventi, non uno che decide.» «È una buona lettura» disse Bosch. «Non siamo sicuri che sia stato lui. Sappiamo solo che era coinvolto.» Si alzò, pronto per andare. «Per la foto, allora?» domandò. «Una fotocopia non sarebbe abbastanza definita per mostrarla in giro.» «Potete prenderla. Basta che me la restituiate. Devo conservare il dossier completo. La gente come Mackey ha la tendenza a tornare da me, capite cosa intendo?» «Sì e te la restituiremo. Posso avere anche una copia dell'articolo su di te? Lo vorrei leggere.» Kibble osservò il ritaglio appeso alla parete del cubicolo. «Non guardate la foto, quella è la vecchia me.» Dopo aver lasciato l'ufficio, Rider e Bosch attraversarono la strada e raggiunsero il Centro Civico di Van Nuys, camminarono tra i due edifici del tribunale per raggiungere la plaza nel mezzo. Si sedettero sulla panchina accanto alla biblioteca. L'appuntamento successivo era con Arturo Garcia, alla Divisione Van Nuys del LAPD, che si trovava in uno degli edifici nel centro governativo. Ma erano in anticipo e prima volevano studiare i documenti. Il fascicolo conteneva un resoconto dettagliato di tutti i reati per cui Roland Mackey era stato arrestato a partire dal diciottesimo compleanno. Includeva anche una breve biografia che negli anni i diversi agenti dei servizi sociali avevano utilizzato per definire gli aspetti della supervisione. Rider porse a Bosch i rapporti sugli arresti, mentre lei analizzava i dati biografici. Poco dopo lo interruppe nella lettura di un resoconto su un caso di furto con scasso per riferirgli alcuni dettagli che le parevano pertinenti con il caso Verloren. «Ha ottenuto un General Education Degree alla Chatsworth High nell'estate del 1988» disse. «Perciò era a Chatsworth al momento del delitto.» «Un diploma intermedio equivalente alla frequenza della scuola superiore. Vuol dire che prima aveva abbandonato la scuola. Dice che istituto frequentava?» «Qui non c'è niente. Dice che è cresciuto a Chatsworth. Famiglia scom-

binata. Pessimo studente. Viveva con il padre, che lavorava come saldatore allo stabilimento della General Motors a Van Nuys. Non mi sembra roba da Hillside Prep.» «Dobbiamo comunque controllare. I genitori desiderano sempre che i figli facciano il meglio. Se avesse frequentato la Hillside, potrebbe aver conosciuto la ragazza e poi aver mollato la scuola. Questo spiegherebbe perché non fu interrogato nel 1988.» Kiz Rider si limitò ad annuire. Stava andando avanti a leggere. «Il ragazzo non ha mai lasciato la Valley» continuò. «Tutti i suoi indirizzi sono nella Valley.» «Qual è il suo ultimo indirizzo conosciuto?» «Panorama City. Lo stesso che risulta dall'AutoTrack. Ma se si trova qui, con tutta probabilità è vecchio.» Bosch annuì. Chiunque fosse passato dal sistema di rieducazione tante volte quanto Mackey, sapeva che era il caso di cambiare casa il giorno dopo aver completato il periodo di affidamento ai servizi sociali. Meglio non rendersi reperibili. Bosch e Rider sarebbero andati all'indirizzo di Panorama City per controllare, ma Bosch sapeva che Mackey non sarebbe stato più lì. Ovunque si fosse trasferito, non aveva di certo usato il proprio nome per allacciare le utenze e non aveva comunicato il cambio di indirizzo alla motorizzazione. Volava sotto il livello dei radar. «Dice che ha fatto parte della Wayside Whities» disse Rider mentre sfogliava i rapporti. «Non mi sorprende.» La Wayside Whities era il nome di una gang che era esistita per anni all'interno del penitenziario Wayside Honor Rancho, nel nord della contea. Nelle prigioni di contea spesso si formavano gang su base razziale, più per proteggersi a vicenda che per odio. Non era insolito scoprire che gli appartenenti ai gruppi nazisti legati alla Wayside Whities in segreto erano ebrei. La protezione era protezione. Era un modo per appartenere a un gruppo e difendersi dagli assalti di altri gruppi. Una misura di sopravvivenza in carcere. L'appartenenza di Mackey alla gang era solo un tenue collegamento con le ipotesi di Bosch per cui il razzismo poteva aver giocato un ruolo nel caso di Becky Verloren. «C'è altro?» domandò. «Non mi pare.» «Particolari fisici? Tatuaggi?» Rider sfogliò i documenti ed estrasse il formulario di una prigione. «Sì, tatuaggi» confermò, leggendo. «Si è tatuato il proprio nome su un

bicipite e immagino quello di una ragazza sull'altro. RaHoWa.» Fece lo spelling del nome e per Bosch risuonarono i primi campanelli a conferma della propria teoria. «Non è un nome» spiegò. «È un codice. Significa Racial Holy War: Guerra santa della razza. Le prime due lettere di ogni parola. Il tizio era un seguace. Penso che Garcia e Green se lo siano fatto scappare, e ce l'avevano davanti agli occhi.» Sentiva montare l'adrenalina. «Guarda qui» aggiunse Rider con eccitazione. «Ha anche il numero ottantotto tatuato sulla schiena. A ricordo di quello che ha fatto nel 1988.» «Non proprio» ribatté Bosch. «È un altro codice. Ho lavorato a un caso sul potere bianco una volta, e ricordo tutti i simboli. Per quella gente l'ottantotto sta per la doppia "H", perché la "H" è l'ottava lettera dell'alfabeto. Ottantotto uguale "HH", uguale Heil Hitler. Usano anche il centonovantotto per Sieg Heil. Sono piuttosto arguti, non trovi?» «Penso comunque che l'anno 1988 debba avere qualcosa a che fare con tutto questo.» «Forse sì. Hai trovato qualcosa riguardo a un impiego?» «Si direbbe che abbia fatto l'autista di carro attrezzi. Ne stava guidando uno quando si è fermato a fare la pisciatola che gli ha procurato la condanna per atti osceni. C'è un elenco di tre diversi impieghi, sempre come autista di carro attrezzi.» «Bene. È un punto di partenza.» «Lo troveremo.» Bosch tornò a guardare il rapporto sull'arresto che stava leggendo. Riguardava un furto del 1990. Mackey era stato sorpreso da un cane poliziotto nel negozio di un drivein sulla Pacific. Vi aveva fatto irruzione dopo la chiusura e non si era accorto di aver fatto scattare l'allarme. Aveva svuotato il registratore di cassa e riempito un sacchetto con duecento barrette di cioccolato. Aveva perso tempo prima di uscire perché aveva deciso di accendere la piastra per prepararsi qualche nachos al formaggio. Era ancora nell'edificio quando un agente aveva mandato il proprio cane dentro il negozio. Il rapporto diceva che Mackey, prima di essere arrestato, era stato medicato al pronto soccorso della contea a seguito di una ferita da morso di cane al braccio sinistro e alla coscia sinistra. Il documento diceva che Mackey aveva ammesso l'effrazione e la violazione di domicilio, un addebito meno grave del furto con scasso, e che era

stato condannato a sessantasette giorni nella prigione di Van Nuys e a due anni di libertà condizionata. Il rapporto successivo riguardava la violazione della libertà condizionata per aggressione. Bosch stava per leggere il resoconto quando Rider gli strappò il fascio di fotocopie dalle mani. «È ora di andare da Garcia» disse. «Il suo assistente ha detto che se arriviamo in ritardo ce lo perdiamo.» Si alzò e Bosch la seguì. Si diressero vero la Divisione Van Nuys. Gli uffici di comando del Bureau della Valley si trovavano al terzo piano. «Nel 1990 Mackey è stato arrestato per un furto al vecchio drive-in sulla Pacific» disse Bosch mentre camminavano. «Ah.» «Era un Winnetka and Prairie. Ora lì c'è un multiplex. Si trovava a circa cinque o sei isolati dal luogo in cui un paio di anni prima era stata rubata l'arma del delitto.» «Cosa pensi?» «Due furti a cinque isolati di distanza. Penso che forse gli piaceva operare in quell'area. Penso che lui abbia rubato la pistola. O che fosse con la persona che l'ha rubata.» Rider annuì, i due salirono le scale ed entrarono nell'atrio della stazione di polizia. Presero l'ascensore e completarono la salita fino all'ufficio del Bureau di comando della Valley. Erano in orario, ma li fecero comunque aspettare. Mentre erano seduti su un divano, Bosch continuò: «Mi ricordo quel drive-in. Ci sono andato un paio di volte quando ero ragazzino. E anche quello a Van Nuys». «Noi a sud avevamo i nostri» disse Rider. «Hanno convertito anche quelli in multiplex?» «No. Ora sono soltanto dei parcheggi. Non investono molto laggiù.» «E Magic Johnson?» Bosch sapeva che l'ex star dei Laker aveva realizzato molti investimenti per la comunità, tra cui anche l'apertura di diversi cinema. «È solo un uomo.» «Un uomo è un inizio, immagino.» Una donna con le mostrine sulle maniche dell'uniforme li raggiunse. «Il comandante vi riceve subito.» 9

Il comandante Arturo Garcia era in piedi dietro la scrivania, in attesa che Bosch e Rider fossero condotti nel suo ufficio dall'assistente in uniforme. Anche Garcia era in divisa, la portava bene e con orgoglio. Aveva capelli grigi come l'acciaio e baffi a spazzola dello stesso colore. Trasudava la sicurezza che il dipartimento possedeva in passato e che stava lottando per riconquistare. «Detective, entrate» li salutò. «Sedetevi e dite a un vecchio investigatore della Omicidi come vanno le cose.» Si accomodarono sulle sedie di fronte alla scrivania. «Grazie per aver accettato di riceverci così in fretta» disse Rider. Bosch e Rider avevano deciso che sarebbe stata lei a condurre la conversazione con Garcia, vista la maggior confidenza con il comandante che le derivava dal lavoro nell'ufficio del capo della polizia. Bosch non era nemmeno sicuro di essere in grado di nascondere il proprio disprezzo per Garcia, per gli errori e i passi falsi che lui e il suo compagno avevano commesso nelle indagini sul caso Verloren. «Be', quando la Rapine e Omicidi chiama, siete voi a stabilire i tempi, giusto?» Sorrise di nuovo. «Noi in realtà lavoriamo all'Unità Casi Irrisolti» rettificò Rider. Garcia perse il sorriso, e per un momento Bosch pensò di riconoscere un lampo di dolore in fondo agli occhi dell'uomo. Rider aveva preso l'appuntamento tramite un assistente dell'ufficio del capo e non aveva rivelato a quale caso stessero lavorando. «Becky Verloren» disse il comandante. «Come fa a saperlo?» «Come faccio a saperlo? Sono stato io a chiamare il responsabile della vostra unità e a dirgli che bisognava usare il DNA per il caso.» «Il detective Pratt?» «Sì, Pratt. Non appena l'unità è stata aperta ed è diventata operativa, l'ho chiamato e gli ho detto di controllare Becky Verloren, 1988. Cosa avete? Avete una corrispondenza, vero?» Rider annuì. «Abbiamo un'ottima corrispondenza.» «Di chi si tratta? Ho aspettato diciassette anni. Qualcuno del ristorante, vero?» Questo fece riflettere Bosch. Nel fascicolo del delitto c'erano diversi interrogatori a persone che lavoravano al ristorante di Robert Verloren, ma

niente che andasse oltre la routine. Niente che indicasse sospetti o una traccia da seguire. Non c'era nulla nei rapporti investigativi che indirizzasse il caso verso il ristorante. Sentire ora che uno degli investigatori dell'epoca aveva il sospetto che l'omicida arrivasse da quella direzione, pareva in conflitto con i rapporti che avevano letto per tutta la mattina. «A dire il vero, no» rispose Rider. «Il DNA corrisponde a quello di un uomo di nome Roland Mackey. Aveva diciotto anni all'epoca dell'omicidio. Viveva a Chatsworth in quel periodo. Non pensiamo che lavorasse al ristorante.» Garcia corrugò la fronte come se fosse sorpreso, o forse contrariato. «Questo nome le dice niente?» domandò Rider. «Non compare mai sul fascicolo.» Garcia scosse la testa. «Non riesco a inquadrarlo, ma è passato parecchio tempo. Chi è?» «Non sappiamo ancora chi sia. Lo stiamo cercando. Abbiamo appena cominciato.» «Sono sicuro che mi sarei ricordato il nome. C'era il suo sangue sulla pistola, giusto?» «È quello che abbiamo. L'uomo ha una storia di piccoli reati. Furti con scasso, ricettazione, droga. Pensiamo che possa essere lui l'autore del furto in cui è stata sottratta la pistola.» «Assolutamente» disse Garcia, come se mostrare entusiasmo per quell'idea la potesse rendere più reale. «Possiamo collegarlo all'arma al di là di ogni ragionevole dubbio» affermò Rider. «Ma stiamo cercando il collegamento con la ragazza. Pensavamo che magari lei ricordasse qualcosa.» «Avete già parlato con il padre e la madre?» «Non ancora. Lei è la nostra prima fermata.» «Quella povera famiglia. È stata la fine per loro.» «È rimasto in contatto con i genitori?» «All'inizio sì. Fintanto che ho avuto in mano il caso. Ma quando sono stato nominato tenente e sono tornato alle auto di pattuglia, ho dovuto lasciar perdere. Ho perso contatto con loro. Avevo parlato soprattutto con Muriel, la madre. Il padre... gli stava capitando qualcosa. Le cose non andavano bene. Lasciò la casa. Divorziarono e tutto il resto. Perse il ristorante. L'ultima volta che ho avuto sue notizie, viveva per strada. Di tanto in tanto si presentava a casa e chiedeva a Muriel dei soldi.» «Cosa le ha fatto pensare che si trattasse di qualcuno del ristorante

quando siamo venuti qui?» Garcia scosse il capo, come se fosse frustrato dal tentativo di afferrare un ricordo che non riusciva a raggiungere. «Non lo so» disse. «Non riesco a ricordarlo. Era più che altro una sensazione. C'era qualcosa che non andava nel caso. Qualcosa di sospetto.» «In che senso?» «Be', avete letto il fascicolo, ne sono sicuro. Non era stata violentata, l'avevano trasportata in cima alla collina dove avevano inscenato un suicidio. Era una cosa mal fatta. Si trattava di una vera e propria esecuzione. Perciò non parlavamo di un intrusione casuale. Qualcuno che la ragazza conosceva bene, voleva la sua morte.» «Pensa che possa esserci un legame con la gravidanza?» domandò Rider. Garcia annuì. «Pensavamo che ci fosse un collegamento, ma non riuscimmo mai a definirlo.» «MTL: non siete più riusciti a decifrare la sigla.» Garcia la guardò, il volto confuso. «M-T-L: le iniziali che Rebecca usava nel suo diario. Le avete menzionate nell'interrogatorio formale con i genitori. My true love, il mio vero amore. Ricorda?» «Ah, sì, le iniziali. Erano una specie di codice. Non avemmo mai alcuna certezza. Non scoprimmo mai a chi si riferissero. State cercando il diario?» Bosch annuì, Rider parlò. «Stiamo cercando tutto. Il diario, la pistola, l'intera scatola delle prove si è persa da qualche parte all'ESB.» Garcia scosse il capo, come se avesse trascorso tutta la vita a combattere con le frustrazioni che gli provocava il dipartimento. «Questo non mi sorprende. È la norma, giusto?» «Giusto.» «Vi dirò una cosa, però. Se troveranno lo scatolone, non ci sarà dentro alcun diario.» «Perché?» «Perché l'ho restituito.» «Ai genitori?» «Alla madre. Come ho detto, sono diventato tenente e stavo per essere trasferito, diretto al Bureau Sud. Ron Green era già andato in pensione. Stavo passando il caso, e sapevo che sarebbe stata la fine delle indagini. Nessuno avrebbe prestato più attenzione alla faccenda. Perciò dissi a

Muriel che sarei partito e le diedi il diario... Quella povera donna. Sembrava che per lei il tempo si fosse fermato. Era ibernata. Non riusciva ad andare avanti, non riusciva a tornare indietro. Ricordo che andai a trovarla prima di partire. Era passato più o meno un anno dall'omicidio. Mi fece vedere la camera di Becky. Era intatta. Era esattamente come la notte in cui avevano portata via la ragazza.» Rider annuì triste. Garcia non disse nient'altro. Alla fine Bosch si schiarì la voce, si chinò in avanti e parlò, incalzando Garcia ancora una volta con la stessa domanda. «Quando siamo arrivati e le abbiamo riferito di avere una corrispondenza per il DNA, lei ha immaginato che si trattasse di qualcuno del ristorante. Perché?» Bosch guardò Rider, per vedere se fosse infastidita dall'intrusione. Non sembrava lo fosse. «Non so perché» rispose Garcia. «Come ho detto, ho sempre pensato che dovesse arrivare da quella parte, avevo la sensazione che mi fosse sfuggito qualcosa lì.» «Si riferisce al padre?» Garcia annuì. «Il padre era losco. Non so se si usa ancora questa espressione. Ma allora la parola era losco.» «In che senso?» domandò Rider. «In che senso il padre era losco?» Prima che Garcia potesse rispondere alla domanda, uno degli assistenti in uniforme entrò nell'ufficio. «Comandante, sono tutti nella sala conferenze, pronti a cominciare.» «Va bene, sergente. Arrivo tra un momento.» Dopo che il sergente se ne fu andato, Garcia guardò Rider, come se si fosse dimenticato la domanda. «Non c'è niente nel fascicolo del delitto che adombri qualche sospetto sul padre» disse Rider. «Perché pensa che fosse losco?» «Oh, non lo so. È una specie di sensazione viscerale. Non si comportò mai come ti aspetteresti che si comporti un padre, capite? Era troppo tranquillo. Non perdeva mai le staffe, non urlava. Voglio dire, qualcuno gli aveva portato via la sua bambina. Non prese mai da parte né me né Ron per dire "Voglio essere io a sparare a quel tizio quando lo prendete". Io me lo sarei aspettato.» Per quanto ne sapeva Bosch, tutti quanti erano ancora sospetti, anche adesso che il cold hit collegava Mackey con l'arma del delitto. E tra questi

senza dubbio c'era anche Robert Verloren. Ma scartò immediatamente la sensazione viscerale di Garcia basata sulla reazione emotiva del padre di Becky. Sapeva, dopo aver lavorato a centinaia di omicidi, che non c'era modo di giudicare tali reazioni o di costruire dei sospetti basandosi su di esse. Bosch aveva visto tutte le possibili trasformazioni, e nessuna di queste significava alcunché. Tra tutti i parenti delle vittime che aveva incontrato nel corso delle sue indagini, uno di quelli che urlava e si disperava di più alla fine si era rivelato l'assassino. Nel liquidare l'istinto e i sospetti di Garcia, Bosch liquidava Garcia stesso. Lui e Green avevano commesso degli errori iniziali, ma avevano recuperato conducendo un'indagine investigativa minuziosa. Il fascicolo ne era la prova. Ma ora Bosch immaginava che qualsiasi cosa fosse stata fatta per bene con tutta probabilità era stata gestita da Green. Sapeva che avrebbe dovuto sospettarlo da subito quando aveva sentito che Garcia aveva lasciato la Omicidi per un ruolo manageriale. «Per quanti anni ha lavorato alla Omicidi?» domandò Bosch. «Tre anni.» «Tutti alla Divisione Devonshire?» «Esatto.» Bosch eseguì un rapido calcolo. A Devonshire i casi non erano mai molti. Immaginò che Garcia avesse lavorato al massimo a una ventina di delitti. Non aveva abbastanza esperienza per far bene. Decise di passare oltre. «E il suo ex compagno?» domandò. «Aveva la stessa sensazione riguardo a Robert Verloren?» «Voleva concedere a quell'uomo un po' di tempo in più.» «Siete ancora in contatto?» «Con chi, con il padre?» «No, con Green.» «No, è andato in pensione parecchio tempo fa.» «Lo so, ma siete ancora in contatto?» Garcia scosse il capo. «No, è morto. Si era ritirato a Humboldt County. Avrebbe dovuto lasciare la sua pistola quaggiù. Tutto quel tempo, e niente da fare.» «Si è ucciso?» Garcia annuì. Bosch abbassò lo sguardo. Non era la morte di Ron Green a turbarlo, non conosceva Green. Era il fatto che in questo modo avevano perso ogni legame con il caso. Sapeva che Garcia non sarebbe stato di grande aiuto.

«Che ne pensa della questione razziale?» domandò Bosch, ancora una volta prevaricando Rider. «Cosa dovrei pensare?» domandò Garcia. «In questo caso? Non la vedo.» «Coppia mista, figlia meticcia, la pistola proveniva da una rapina commessa a casa di una vittima che era stata minacciata per motivi religiosi.» «È una forzatura. C'entra qualcosa con il personaggio di questo Mackey?» «Potrebbe esserci qualcosa.» «Be', noi non avevamo il lusso di un indiziato ufficiale su cui lavorare. Non c'era niente che facesse pensare alla questione razziale in quello che avevamo allora.» Garcia lo disse con vigore, e Bosch capì di aver toccato un nervo scoperto. Il comandante non gradiva essere giudicato con il senno di poi, era una cosa che non piaceva a nessun detective, neppure a quelli senza esperienza. «So che è lunedì mattina e che deve organizzare il lavoro dei suoi ragazzi» intervenne Rider in fretta. «È solo una pista che stiamo esplorando.» Garcia parve placato. «Capisco» disse. «Non lasciate nulla d'intentato.» Si alzò. «Be', detective, mi dispiace mettervi fretta. Mi piacerebbe poter parlare di questo per tutto il giorno. Un tempo mettevo la gente in prigione, ora mi toccano solo riunioni su budget e tagli del personale.» "È quello che ti meriti" pensò Bosch. Lanciò un'occhiata a Rider, si chiedeva se si rendesse conto che erano scampati a un destino simile lavorando insieme all'Unità Casi Irrisolti. «Fatemi un favore» aggiunse Garcia. «Quando acchiappate quel Mackey, fatemelo sapere. Magari potrei venire a dargli un'occhiata da dietro il vetro. Lo stavo aspettando da un bel po'.» «Nessun problema, signore» disse Rider, distogliendo lo sguardo da quello di Bosch. «Lo faremo. Se le venisse in mente qualsiasi cosa che possa aiutarci nel caso, mi chiami. I miei numeri sono tutti qui.» Si alzò e appoggiò un biglietto da visita sul tavolo. «Lo farò.» Garcia stava per girare attorno alla scrivania per raggiungere la sala riunioni. «C'è una cosa che avremmo bisogno che lei facesse» disse Bosch. Garcia si fermò e lo guardò.

«Di cosa si tratta, detective? Devo andare alla riunione.» «Potremmo cercare di far uscire allo scoperto l'uccellino con qualche articolo di giornale. Non sarebbe male se venisse da lei: un ex agente della Omicidi, ora comandante, ossessionato da un vecchio caso, chiama quelli dell'Unità Casi Irrisolti e li convince a far passare il DNA negli archivi. E così salta fuori un cold hit.» Garcia fece un cenno di assenso. Bosch era sicuro che l'idea avrebbe solleticato l'ego di quell'uomo. «Sì, potrebbe funzionare. Fate come preferite. Chiamatemi per organizzare tutto. Il Daily News? Ho dei contatti con loro. È il giornale della Valley.» Bosch annuì. «Sì, è quello che pensavamo anche noi» disse. «Bene. Fatemi sapere. Devo andare.» Lasciò rapidamente l'ufficio. Rider e Bosch si guardarono, quindi lo seguirono. Fuori in corridoio, in attesa che arrivasse l'ascensore, Rider domandò a Bosch cosa avesse in mente quando aveva chiesto a Garcia di essere lui a parlare con i giornali. «Sarà perfetto per la stampa, perché non ha idea di quello che dice.» «Ed è proprio quello che non vogliamo. Noi dobbiamo essere cauti.» «Non preoccuparti. Funzionerà.» L'ascensore si aprì e i due detective entrarono. Non c'era nessun altro. Non appena le porte si chiusero, Rider lo aggredì. «Harry, chiariamo subito una cosa. O siamo partner o non lo siamo. Avresti dovuto avvisarmi che intendevi incalzarlo. Avremmo dovuto parlarne prima.» Bosch annuì. «Hai ragione. Siamo partner. Non succederà più.» «Bene.» Le porte dell'ascensore si aprirono e Rider uscì, lasciando indietro Bosch. 10 La Hillside Preparatory School aveva sede in un edificio di architettura ispanica, annidato contro le alture di Porter Ranch. Il campus si distingueva per i magnifici prati verdi e le maestose montagne che si ergevano alle sue spalle. I monti parevano quasi abbracciare e proteggere la scuola. Bosch rifletté che sembrava proprio un luogo in cui qualsiasi genitore a-

vrebbe voluto mandare i propri figli. Pensò a sua figlia, cui mancava solo un anno per cominciare le elementari. Avrebbe voluto che anche lei frequentasse una scuola come quella, per come si presentava dall'esterno, quantomeno. Lui e Rider seguirono le indicazioni che li condussero agli uffici dell'amministrazione. All'ingresso Bosch mostrò il distintivo e spiegò che volevano controllare se uno studente di nome Roland Mackey avesse mai frequentato la Hillside. La segretaria scomparve nell'ufficio alle sue spalle, dal quale presto emerse un uomo. Le sue caratteristiche salienti erano la pancia, grande come un pallone da basket, e gli occhiali spessi ombreggiati da folte sopracciglia. L'attaccatura dei capelli seguiva la linea perfetta di un parrucchino. «Sono Gordon Stoddard, il preside della Hillside. La signora Atkins mi ha detto che siete detective. L'ho mandata a controllare quel nominativo per voi. A me non dice nulla, e io sono qui da quasi venticinque anni. Sapete quando ha frequentato con precisione? Il dato potrebbe aiutarla nelle ricerche.» Bosch era sorpreso. Stoddard sembrava sui quarantacinque anni. Doveva essere arrivato alla Hillside appena finiti gli studi e lì era rimasto. Bosch non sapeva se la ragione fosse che in quel posto i docenti erano pagati molto bene o se Stoddard avesse una particolare dedizione per la scuola, ma da quello che si diceva degli insegnanti, privati o pubblici, non doveva essere una questione di stipendio. «Stiamo parlando all'incirca degli anni Ottanta, se è stato qui. È passato parecchio tempo perché lei possa ricordarlo.» «Sì, ma io ho una memoria straordinaria per gli studenti che sono passati da qui. Li ricordo quasi tutti. Non sono preside da venticinque anni. Prima ero professore. Insegnavo scienze, e ho diretto il dipartimento di scienze.» «Ricorda Rebecca Verloren?» domandò Rider. Stoddard sbiancò. «Sì, ovvio che la ricordo. Ero il suo insegnante di scienze. È per questo che siete qui? Avete arrestato questo ragazzo, Mackey? Cioè, immagino che sia un uomo ormai. È stato lui?» «Questo non lo sappiamo, signore» rispose Bosch in fretta. «Stavamo riesaminando il caso, il suo nome è saltato fuori e abbiamo bisogno di controllare. Tutto qui.» «Avete visto la targa?» domandò Stoddard. «Scusi?»

«Fuori, sulla parete del corridoio principale. C'è una targa dedicata a Rebecca. Gli studenti della sua classe raccolsero i fondi e la commissionarono. È abbastanza graziosa, ma, naturalmente, è anche piuttosto triste. La gente da queste parti si ricorda di Rebecca Verloren.» «Ci è sfuggita. Le daremo un'occhiata mentre usciamo.» «Un sacco di gente la ricorda ancora. Questa scuola potrà anche non pagare bene, e la maggior parte dei docenti deve fare due lavori per arrivare a fine mese, ma gli insegnanti sono molto leali. Molti dei professori di Rebecca sono ancora qui. Ne abbiamo una, la signora Sable, che era studentessa con lei e che è tornata qui a insegnare. In effetti, Bailey era una delle sue migliori amiche, credo.» Bosch lanciò un'occhiata a Rider, che sollevò un sopracciglio. Avevano un piano per avvicinare le amiche di Becky Verloren, ma ora si presentava l'occasione su un piatto d'argento. Bosch aveva riconosciuto il nome Bailey. Una delle tre amiche con cui Becky Verloren aveva trascorso la notte due giorni prima della sua scomparsa si chiamava Bailey Koster. Bosch sapeva che interrogare una testimone del caso era un'occasione importante. Se non fossero andati subito dalla professoressa Sable, la donna avrebbe appreso di Roland Mackey da Stoddard. Bosch non voleva che accadesse. Voleva essere lui a controllare il flusso di informazioni sul caso con gli attori coinvolti. «C'è oggi?» domandò Bosch. «Possiamo parlare con lei?» Stoddard alzò lo sguardo verso l'orologio sulla parete accanto alla portineria. «Be', ora è in classe, ma la scuola chiude tra circa venti minuti. Se non vi dispiace aspettare, sono certo che potrete parlare con lei.» «Non è un problema.» «Bene, le manderò un messaggio in classe e le chiederò di raggiungerci qui dopo la lezione.» La signora Atkins, la segretaria, comparve dietro Stoddard. «A dire il vero, se non le dispiace,» disse Rider «preferiremmo andare noi a parlare in classe. Non vogliamo metterla a disagio.» Bosch annuì. La collega era sulla sua stessa lunghezza d'onda. Non volevano che messaggi di qualsiasi genere potessero raggiungere la professoressa Sable. Non volevano che pensasse a Becky Verloren prima che loro potessero osservarla e ascoltarla. «In un modo o nell'altro» fece Stoddard. «Come preferite.» Si accorse della signora Atkins dietro di sé e le chiese di riferire su quan-

to aveva scoperto. «Non risulta nessuno studente a nome Roland Mackey» comunicò. «Avete trovato qualcuno con quel cognome?» domandò Rider. «Sì, un Mackey, primo nome Gregory, ha frequentato per due anni nel 1996 e 1997.» C'era una remota possibilità che si trattasse di un fratello minore o di un cugino. Sarebbe stato opportuno controllare. «Può verificare se c'è un indirizzo attuale o un numero di telefono?» domandò Rider. La signora Atkins diede un'occhiata a Stoddard in cerca di approvazione, l'uomo annuì. La donna scomparve per andare a recuperare le informazioni. Bosch controllò l'orologio alla parete: avevano quasi venti minuti di attesa. «Signor Stoddard, possiamo consultare gli annuari della fine degli anni Ottanta mentre aspettiamo di vedere la signora Sable?» domandò. «Sì, certo, vi accompagno in biblioteca e ve li prendo.» Lungo il percorso per la biblioteca, Stoddard li condusse fino alla targa che i compagni di classe di Rebecca Verloren avevano fatto appendere alla parete del corridoio principale. Era una semplice dedica con il nome, le date di nascita e morte e la giovanile promessa TI RICORDEREMO SEMPRE. «Era una ragazzina dolce» commentò Stoddard. «Sempre impegnata. Come la sua famiglia. Che tragedia.» Stoddard si servì della manica della camicia per rimuovere la polvere dalla foto laminata di Becky Verloren. La biblioteca era dietro l'angolo. C'erano pochi studenti che leggevano ai tavoli o girovagavano intorno agli scaffali, la giornata stava per finire. Stoddard, con un sussurro, disse loro di sedersi, poi scomparve tra le file di libri. Tornò meno di un minuto dopo con tre annuari che appoggiò sul tavolo. Bosch vide che ognuno dei libri portava sulla copertina il titolo Veritas e l'anno. Stoddard aveva portato gli annuari del 1986, 1987, 1988. «Questi sono gli ultimi tre anni» sussurrò Stoddard. «Ricordo che frequentava la scuola fin dalle elementari, perciò se desiderate degli annuari precedenti ditemelo. Sono sullo scaffale.» Bosch scosse il capo. «Va bene così. Per ora ci basteranno questi. Passeremo in ufficio prima di andare via. Dobbiamo farci dare quell'informazione dalla signora Atkins.»

«Okay, allora vi lascio alla lettura.» «Ah, può dirci dove si trova l'aula della signora Sable?» Stoddard diede loro il numero della stanza e spiegò come raggiungerla dalla biblioteca. Quindi si scusò e disse che sarebbe rientrato nel suo ufficio. Prima di andarsene sussurrò qualche parola ad alcuni ragazzi seduti a un tavolo vicino alla porta. I ragazzi spostarono sotto il tavolo gli zaini che avevano buttato per terra, in modo che non intralciassero il passaggio. Qualcosa nel modo casuale con cui avevano gettato a terra gli zaini ricordò a Bosch la maniera in cui lo facevano i giovani in Vietnam: se ne liberavano appena si fermavano, incuranti di dove fossero, desiderosi solo di togliersi quel peso dalle spalle. Dopo che Stoddard se ne fu andato, i ragazzi fecero delle smorfie in direzione della porta da cui era uscito. Rider prese l'annuario del 1988, Bosch quello del 1986. Non si aspettava di trovare niente di rilevante ora che la signora Atkins aveva escluso la possibilità che Roland Mackey avesse frequentato la Hillside prima di lasciare la scuola. Era già rassegnato all'idea che il collegamento tra Mackey e Becky Verloren - se mai fosse esistito - si sarebbe trovato da qualche altra parte. Fece un paio di conti e sfogliò le pagine finché non trovò le foto della classe di Becky. Riconobbe subito la ragazzina. Aveva la coda e l'apparecchio per i denti. Sorrideva, ma sembrava sul punto di entrare nel periodo di goffaggine preadolescenziale. Dubitava che all'epoca fosse soddisfatta del proprio aspetto nella foto dell'annuario. Controllò le fotografie di gruppo che mostravano i diversi circoli e le diverse associazioni, e fu in grado di ricostruire le sue attività extracurriculari. Giocava a calcio, e compariva nelle foto dei circoli di scienze e di arte. Faceva parte del consiglio di istituto. In tutte le foto era sempre in ultima fila o in posizione laterale. Bosch si domandò se quello fosse il posto in cui la relegava il fotografo o nel quale si sentiva maggiormente a suo agio. Rider si dedicava al 1988. Sfogliò tutte le pagine. A un certo punto, quando raggiunse la sezione dei docenti, sollevò il libro verso Bosch. Indicò una foto di Gordon Stoddard da giovane, l'uomo aveva i capelli più lunghi e non portava gli occhiali. Era più snello e sembrava anche più robusto. «Guardalo» disse. «Nessuno dovrebbe mai invecchiare.» «E tutti quanti dovrebbero avere l'opportunità di farlo.» Bosch si spostò all'annuario del 1987 e notò che le foto di Becky Ver-

loren raffiguravano una ragazzina sul punto di sbocciare. Il sorriso era più pieno, più sicuro. L'apparecchio c'era ancora, ma non si notava molto. Nelle foto di gruppo si era spostata nelle prime file e verso il centro. Nelle immagini del consiglio d'istituto non era una qualunque, ma ostentava, a braccia conserte, la sicurezza di chi ha incarichi di comando. La postura e lo sguardo diretto verso la macchina fotografica convinsero Bosch che la ragazza stava trovando il proprio posto. Solo che qualcuno l'aveva fermata prima. Bosch sfogliò ancora qualche pagina e poi chiuse il libro. Aspettava che suonasse la campanella per poter andare a interrogare Bailey Koster Sable. «Niente?» domandò Rider. «Niente di rilevante» rispose lui. «È bello rivederla com'era allora. Al suo posto. Nel suo habitat.» «Sì. Guarda questa.» Erano seduti uno davanti all'altra. Rider voltò l'annuario del 1988 sul tavolo, perché lui potesse guardarlo. Era finalmente arrivata alle foto del secondo anno di superiori. La metà in alto a destra della pagina mostrava un ragazzo e quattro ragazze in posa davanti a un muro che Bosch riconobbe come l'entrata del parcheggio per gli studenti. Una delle ragazze era Becky Verloren. La didascalia sopra la foto diceva: LEADER STUDENTESCHI. Sotto la foto comparivano i nomi degli studenti e la loro posizione. Becky Verloren figurava come rappresentante degli studenti nel consiglio di istituto. Bailey Koster era rappresentante di classe. Rider cercò di voltare di nuovo il libro a proprio favore, ma Bosch la trattenne un momento per esaminare la foto. Dalla posizione e dal taglio dei capelli si capiva che Becky Verloren si era lasciata alle spalle la timidezza precedente. Non avrebbe più descritto la studentessa in quella foto come una ragazzina. Era sul punto di diventare una giovane donna attraente e sicura di sé. Lasciò il libro e Rider lo riprese. «Sarebbe diventata una rubacuori» disse. «Magari lo era già. Magari ha infranto il cuore del tipo sbagliato.» «C'è altro?» «Dai un'occhiata.» Voltò ancora una volta il libro aperto. Nelle due pagine c'erano diversi scatti della gita in Francia del Club dell'Arte, l'estate precedente. C'erano foto all'incirca di venti studenti, ragazzi e ragazze, e di diversi genitori e insegnanti di fronte a Notre Dame, nel cortile del Louvre e su un barcone turistico sulla Senna. Rider indicò Rebecca Verloren in una delle foto.

«È andata in Francia» osservò Bosch. «E allora?» «Potrebbe avere incontrato qualcuno laggiù. Potrebbe esserci un legame internazionale con la nostra storia. Forse dovremmo andare a Parigi a controllare.» Cercava di soffocare un sorriso. «Sì» disse Bosch. «Prepara tu la richiesta e mandala su al sesto piano.» «Cristo, Harry. Mi sa che il tuo senso dell'umorismo è rimasto in congedo.» La campanella suonò, ponendo fine alla discussione, oltre che alle lezioni per quel giorno. Bosch e Rider si alzarono, abbandonando gli annuari sul tavolo, e lasciarono la biblioteca. Seguirono le indicazioni di Stoddard e raggiunsero la classe di Bailey Sable, schivando gli studenti che si affrettavano a uscire. Le ragazze indossavano gonne a scacchi e camicette bianche, i ragazzi pantaloni cachi e polo bianche. Si affacciarono alla porta aperta della stanza B-6 e videro una donna seduta alla cattedra in fondo all'aula. Non alzò gli occhi dai compiti che stava correggendo. Bailey Sable non somigliava quasi per niente alla rappresentante di classe della foto sull'annuario. I capelli erano più scuri e più corti, il corpo più largo e appesantito. Come Stoddard, portava gli occhiali. Bosch sapeva che aveva appena trentadue o trentatré anni, ma sembrava più vecchia. C'era ancora una studentessa in classe. Era una graziosa biondina che infilava i libri nello zaino. Quando finì, chiuse la borsa e si diresse verso la porta. «Ci vediamo domani, signora Sable.» «Arrivederci, Kaitlyn.» La studentessa rivolse a Bosch e a Rider un'occhiata curiosa. I detective entrarono nella stanza e Bosch chiuse la porta. Questo indusse Bailey Sable ad alzare lo sguardo dai fogli. «Posso aiutarvi?» domandò. Bosch prese il comando. «Potrebbe, forse» disse. «Il signor Stoddard ha detto che potevamo raggiungerla in aula.» Si avvicinò alla cattedra. La professoressa lo guardò preoccupata. «Siete genitori?» «No, siamo detective, signora Sable. Mi chiamo Harry Bosch, e questa è Kizmin Rider. Volevamo porle alcune domande riguardo a Becky Verloren.»

Reagì come se l'avessero colpita con un pugno allo stomaco. Tutti quegli anni, eppure era ancora così vicino alla superficie. «Oh mio Dio, oh mio Dio» esclamò. «Ci dispiace coglierla così di sorpresa» si scusò Bosch. «È successo qualcosa? Avete trovato chi...» Non terminò la frase. «Be', ci stiamo lavorando di nuovo» spiegò Bosch. «E lei potrebbe aiutarci.» «Come?» Bosch infilò una mano in tasca e tirò fuori la foto segnaletica di Roland Mackey. Era un ritratto dell'uomo a diciotto anni, quando era stato fermato per furto d'auto. Bosch l'appoggiò sulla pila di compiti. La donna abbassò lo sguardo. «Riconosce la persona nella foto?» domandò Bosch. «È stata scattata diciassette anni fa» aggiunse Rider. «All'incirca all'epoca della morte di Becky.» La professoressa osservò lo sguardo sfrontato che Mackey rivolgeva alla macchina fotografica della polizia. Non disse nulla per un lungo istante. Bosch guardò Rider e annuì, un segnale per invitarla a intervenire. «Assomiglia a qualcuno che lei, Becky o una delle vostre amiche può aver incontrato allora?» domandò Rider. «Ha frequentato la scuola qui?» chiese la professoressa Sable. «No, crediamo di no. Ma sappiamo che viveva da queste parti.» «È lui l'assassino?» «Non lo sappiamo. Stiamo solo cercando di capire se c'è un collegamento tra lui e Becky.» «Come si chiama?» Rider guardò Bosch, che annuì ancora una volta. «Si chiama Roland Mackey. Le suona familiare?» «Non direi. È difficile per me ricordare quel periodo. Ricordare le facce degli estranei, intendo.» «Quindi è di sicuro una persona che non conosceva?» «Di sicuro.» «Pensa che Becky potesse conoscerlo senza che lei ne fosse informata?» Rifletté a lungo prima di rispondere. «Be', è possibile. Sapete, è saltato fuori che era incinta. Io non ne ero a conoscenza, perciò immagino che potessi non sapere nulla nemmeno del ragazzo. Era lui il padre?»

«Non lo sappiamo.» Aveva fatto progredire l'interrogatorio di sua spontanea volontà, anticipando le domande che Bosch e Rider intendevano porle. «Signora Sable, sono passati molti anni» disse Bosch. «Se all'epoca avesse deciso di coprire in qualche modo una sua amica, avremmo capito, ma se c'è altro di cui è a conoscenza, ora può dircelo. Con tutta probabilità questa è l'ultima volta che qualcuno proverà a risolvere il caso.» «Vuole dire riguardo alla gravidanza? Non ne sapevo niente, davvero. Mi dispiace. Fui sconcertata quanto tutti gli altri quando la polizia cominciò a fare domande in proposito.» «Se Becky si fosse confidata con qualcuno, l'avrebbe fatto con lei?» Ancora una volta non rispose subito. Rifletté un istante. «Non lo so. Eravamo molto legate, ma lo era anche con le altre ragazze. In quattro avevamo frequentato insieme tutte le classi dalla prima elementare. Alle elementari ci chiamavamo il Club delle Gattine, perché avevamo tutte e quattro dei gatti. In momenti diversi, in diversi anni, ognuna di noi legava di più con l'una o con l'altra del gruppo. Cambiava sempre. Ma come gruppo, rimanemmo sempre unite.» Bosch annuì. «L'estate in cui Becky venne a mancare, chi direbbe che fosse la più vicina a lei?» «Probabilmente Tara. È quella che l'ha presa peggio.» Bosch guardò Rider, cercando di ricordare i nomi delle ragazze con cui Becky aveva passato la notte due giorni prima della sua morte. «Tara Wood?» domandò Rider. «Esatto. Quell'estate si frequentarono molto, perché il papà di Becky aveva un ristorante a Malibu e lavoravano tutte e due lì. Si dividevano un turno. In quel periodo non parlavano d'altro.» «E cosa dicevano?» domandò Rider. «Be', ecco, tipo quali star erano andate a mangiare là. Gente come Sean Penn e Charlie Sheen. A volte parlavano dei ragazzi che lavoravano con loro, e di quali erano carini. Niente di interessante per me, visto che io non li conoscevo.» «C'era qualche ragazzo di cui parlavano in particolare?» Ci pensò su, poi rispose: «Non proprio. Non che io ricordi. Amavano parlare di loro perché erano diversi. Erano surfisti e aspiranti attori. Tara e Becky erano ragazze della Valley. Era come una rivoluzione culturale per loro».

«Becky si vedeva con qualcuno del ristorante?» domandò Bosch. «Non che io sappia. Ma come ho detto, ignoravo la gravidanza, perciò è evidente che ci fosse qualcuno nella sua vita di cui io non ero a conoscenza. Era un segreto.» «Era gelosa di loro perché lavoravano lì?» chiese Rider. «Per niente. Io non dovevo lavorare ed ero contenta di questo.» Rider aveva qualcosa in mente, perciò Bosch la lasciò continuare. «Cosa facevate voi ragazze per divertirvi quando eravate insieme?» «Non saprei, le solite cose» disse la professoressa Sable. «Andavamo a fare shopping e al cinema, cose di questo genere.» «Chi aveva l'automobile?» «Ce l'aveva Tara, e anch'io. Tara aveva una decappottabile. Avevamo l'abitudine di salire...» Si interruppe di colpo quando le sovvenne un ricordo. «Cosa?» domandò Rider. «Mi sono ricordata che andavamo spesso al Limekiln Canyon dopo la scuola. Tara aveva un frigorifero nel bagagliaio e suo padre non si accorgeva mai se prendevamo qualcuna delle sue birre. Una volta fummo fermate da un'auto della polizia. Nascondemmo le birre sotto le gonne della divisa della scuola. Il trucco funzionò alla perfezione, i poliziotti non notarono nulla.» Sorrise al ricordo. «Naturalmente, ora che insegno qui sto all'erta per questo genere di cose. Ci sono ancora le stesse uniformi...» «E cosa può dirmi del periodo precedente, prima che cominciasse a lavorare al ristorante?» intervenne Bosch, riportando la conversazione su Rebecca Verloren. «Fu malata una settimana quando finì la scuola. In quel periodo andò mai a trovarla o parlò mai con lei?» «Penso di sì. In seguito mi dissero che in quei giorni era probabile che stesse a casa per riprendersi dall'aborto. Perciò non era veramente malata. Si stava solo rimettendo. Ma io non ne sapevo nulla, io credevo che fosse ammalata, tutto qui. Non ricordo con precisione se parlammo o meno quella settimana.» «All'epoca i detective le fecero tutte queste domande?» «Sì, sono sicura che lo abbiano fatto.» «Dove sarebbe andata una ragazza della Hillside Prep se fosse rimasta incinta?» domandò Rider. «Allora, intendo.» «Intende dire una clinica o un medico?»

«Sì.» Il collo di Bailey Sable divenne rosso. Era in imbarazzo per la domanda. Scosse il capo. «Non lo so. La notizia mi sconvolse quanto quella... dell'omicidio. Fece pensare a tutte noi che non conoscessimo veramente la nostra amica. Ero davvero triste perché mi resi conto che non si fidava di me abbastanza da confidarmi queste cose. Sapete, ci ripenso ancora quando ricordo ciò che accadde in quel periodo.» «Aveva qualche ragazzo di cui lei era a conoscenza?» domandò Bosch. «No. Cioè, in quel periodo no. Aveva avuto un ragazzo, ma si era trasferito alle Hawaii con la famiglia. Era accaduto l'estate prima. Poi per tutto l'anno scolastico io pensavo che fosse sola. Non andava alle feste o alle partite con nessuno. Ma immagino che mi sbagliassi.» «Per la gravidanza» disse Rider. «Be', sì, è piuttosto evidente, no?» «Chi era il padre?» domandò Bosch, nella speranza che la domanda diretta potesse suscitare una risposta con un dettaglio utile su cui indagare. Ma la professoressa Sable si strinse nelle spalle. «Non ne avevo idea, e non penso di aver mai smesso di domandarmelo.» Bosch annuì. Non aveva ottenuto nulla. «La rottura con il ragazzo che si trasferì alle Hawaii, come la prese?» domandò. «Be', pensavo che le avesse spezzato il cuore. La prese davvero male. Erano come Romeo e Giulietta.» «In che senso?» «Erano stati separati dai genitori.» «Intende dire che non volevano che stessero insieme?» «No, il padre di lui accettò un lavoro, o qualcosa del genere, alle Hawaii. La famiglia dovette trasferirsi, e questo costrinse i due ragazzi a lasciarsi.» Bosch annuì di nuovo. Non sapeva se qualcuna delle informazioni che stava ottenendo fosse utile, ma sapeva che era importante estendere il più possibile la rete. «Sa dove si trova adesso Tara Wood?» La professoressa Sable scosse il capo. «Organizziamo una rimpatriata ogni dieci anni, ma all'ultima lei non è venuta. Ho perso il contatto. Parlo ancora con Grace Tanaka di tanto in tanto. Ma vive nella Bay Area, perciò non la vedo molto.» «Può darci il suo numero?»

«Certo, ce l'ho qui.» Allungò una mano, aprì il cassetto della cattedra e tirò fuori la borsetta. Mentre estraeva l'agenda, Bosch prese la foto di Mackey dalla cattedra e se la infilò in tasca. La professoressa lesse un numero e Rider lo appuntò su un piccolo taccuino. «Cinque dieci» disse Rider. «Cos'è, Oakland?» «Vive ad Hayward. Vorrebbe abitare a San Francisco, ma costa troppo per quello che fa.» «E sarebbe?» «Scolpisce il metallo.» «Si chiama ancora Tanaka?» «Sì. Non si è mai sposata. È...» «Cosa?» «È saltato fuori che era gay.» «Saltato fuori?» «Be', intendo dire che noi non lo sapevamo. Non ce lo disse mai. Si trasferì laggiù, otto anni fa andai a trovarla e lo scoprii.» «Era palese?» «Palese.» «Lei è venuta all'incontro decennale degli ex alunni?» «Sì, c'era. Ci siamo divertite, ma fu anche un po' triste, perché tutti parlavano di Becky e del caso che non era mai stato risolto. Penso che forse è per questo che Tara non è venuta. Non voleva che le ricordassero quello che era successo a Becky.» «Be', forse la situazione sarà cambiata per il ventennale» osservò Bosch, ma subito si rammaricò di quel commento cinico. «Mi scusi, è stata un'uscita infelice.» «Be', spero che possiate cambiare davvero le cose. Io penso a lei di continuo. Mi domando sempre chi sia stato e perché i colpevoli non siano mai stati trovati. Tutti i giorni, quando arrivo a scuola, guardo la sua foto sulla targa in corridoio. Mi fa uno strano effetto. Aiutai a raccogliere i fondi per la targa quando ero rappresentante di classe.» «I colpevoli?» domandò Bosch. «Cosa?» «Ha detto i colpevoli non sono mai stati trovati. Perché ha parlato al plurale?» «Non lo so. Un uomo, una donna, più persone, che importa?» Bosch annuì.

«Signora Sable, grazie per il suo tempo» concluse. «Vuole farci la cortesia di non parlare di questo incontro con nessuno? Non vogliamo che la gente sia preparata al nostro arrivo, capisce cosa intendo?» «Come avete fatto con me?» «Esatto. E se le dovesse venire in mente qualcos'altro, qualsiasi cosa di cui desidera parlare, la mia partner le darà un biglietto con il nostro numero.» «Bene.» Sembrava persa in una reminiscenza lontana. I detective la salutarono e la lasciarono con la pila di compiti da correggere. Bosch pensò che con tutta probabilità stesse rammentando il tempo in cui quattro giovani amiche guardavano al futuro che si apriva davanti a loro come un mare di possibilità. Prima di lasciare la scuola si fermarono in segreteria per controllare se ci fosse un indirizzo recente di Tara Wood. Gordon Stoddard e la signora Atkins verificarono, ma non c'era. Nessun recapito neppure di quel Gregory Mackey. Bosch domandò in prestito l'annuario del 1988 per fare alcune fotocopie delle foto e Stoddard acconsentì. «Sto uscendo anch'io» disse. «Vi accompagno.» Chiacchierarono lungo il percorso per tornare alla biblioteca e Stoddard diede loro l'annuario, che era stato già risistemato sugli scaffali. Sulla strada verso il parcheggio, Stoddard si fermò ancora un momento con loro davanti alla targa commemorativa. Bosch passò le dita sopra le lettere in rilievo del nome di Becky Verloren. Notò che le estremità erano consunte: per anni gli studenti avevano fatto la stessa cosa. 11 Rider si dedicò ai documenti e alle telefonate mentre Bosch guidava verso Panorama City, che si trovava sul lato orientale della 405, appena oltre il confine territoriale della Divisione Devonshire. Quella di Panorama City era una circoscrizione ritagliata nella parte nord di Van Nuys molti anni prima, quando i residenti avevano deciso di prendere le distanze dalla connotazione negativa attribuita, appunto, a Van Nuys. Non era stato cambiato nulla, salvo il nome e qualche insegna stradale. Eppure era bastato a dare a Panorama City l'immagine di un luogo pulito, bello, senza criminalità. Ma erano passati molti anni, e alcuni abitanti avevano presentato delle petizioni per rinominare il proprio quartiere

e prendere a loro volta le distanze dalla connotazione negativa ora associata a Panorama City. Bosch pensò che quella fosse una delle maniere con cui Los Angeles continuava a reinventare se stessa. Come uno scrittore o un attore che insiste a cambiare il nome d'arte per buttarsi alle spalle il passato e ricominciare da zero, anche se con la stessa penna o lo stesso volto. Come previsto, Roland Mackey non guidava più il carro attrezzi per la stessa società dove era impiegato nell'ultimo periodo di libertà vigilata. Ma - e anche questo era prevedibile - l'ex detenuto non era stato particolarmente arguto nel cancellare le tracce. Il dossier dei servizi sociali conteneva tutta la storia lavorativa della sua vita, che per buona parte era trascorsa in libertà vigilata o con l'obbligo di firma. Aveva guidato carri attrezzi per altri due periodi durante i quali era stato sotto sorveglianza. Fingendosi una conoscente, Rider chiamò tutte le ditte dove aveva lavorato Mackey e individuò il suo attuale impiego: Tampa Towing. Chiamò la stazione di servizio e domandò se Mackey quel giorno fosse in servizio. Dopo un momento, chiuse il telefono e guardò Bosch. «Tampa Towing. Arriva alle quattro.» Bosch consultò l'orologio. Mackey si sarebbe presentato al lavoro entro dieci minuti. «Andiamo a dare un'occhiata. Verificheremo dopo il suo indirizzo. Tra Tampa Avenue e...?» «Roscoe Boulevard. Dev'essere di fronte all'ospedale.» «L'ospedale è tra Roscoe e Reseda Boulevard. Mi domando perché non l'abbiano chiamato Roscoe Towing.» «Divertente. Allora, cosa facciamo dopo che abbiamo dato un'occhiata?» «Be', andiamo da lui e gli domandiamo se ha ucciso Becky Verloren diciassette anni fa, lui ci dice sì e lo portiamo in centro.» «Dai, Bosch.» «Non lo so. Tu cosa vuoi fare?» «Controlliamo il suo indirizzo come hai detto e poi penso che saremo pronti per i genitori. Credo che sia necessario parlare con loro di questo tizio prima di fare qualunque mossa, soprattutto prima di uscire sui giornali. Dico che dobbiamo andare a casa e incontrare la madre. Siamo già in zona.» «Vuoi dire se vive ancora nella stessa casa» disse Bosch. «Hai effettuato un controllo sull'AutoTrack anche per lei?» «Non ce n'è bisogno. Non si è spostata. Hai sentito cosa ha detto Garcia. Il fantasma della sua bambina infesta la casa. Dubito che la lascerà mai.»

Bosch immaginò che la partner avesse ragione, ma non rispose. Guidò verso est su Devonshire Boulevard in direzione Tampa Avenue, da dove scese fino a Roscoe Boulevard. Arrivarono all'incrocio pochi minuti prima delle quattro. Tampa Towing era una stazione di servizio della Chevron con due ponti sollevatori. Bosch si fermò nel parcheggio di una piccola piazzetta commerciale dall'altra parte della strada e spense il motore. Non fu sorpreso quando, passate le quattro, non si vide traccia di Roland Mackey. Non dava l'idea di essere una persona particolarmente dedita al lavoro. Alle quattro e un quarto Rider disse: «Che ne pensi? Credi che la mia telefonata possa aver...». «Eccolo lì.» Una Camaro di trent'anni con i quattro parafanghi verniciati di grigio, entrò nell'area di servizio e parcheggiò accanto alla pompa dell'aria. Bosch aveva dato appena un'occhiata al guidatore, ma gli era bastata per riconoscerlo. Allungò una mano nel cassettino del cruscotto e prese il binocolo che aveva comprato sul catalogo di una linea aerea durante un volo per Las Vegas. Si stravaccò sul sedile e guardò da dietro le lenti. Mackey uscì dalla Camaro e camminò verso il garage aperto della stazione di servizio. Indossava un'uniforme con i pantaloni blu e la camicia azzurra. Sul taschino sinistro c'era una toppa ovale con la scritta Ro. Dalla tasca posteriore dei pantaloni sbucavano dei guanti da lavoro. Su un ponte idraulico nel garage c'era una vecchia Ford Taurus e un uomo ci lavorava sotto con la chiave inglese. Quando Mackey entrò, l'uomo allungò una mano e gli diede un cinque con noncuranza. Mackey si fermò ad ascoltare il tizio che gli diceva qualcosa. «Penso che gli stia riferendo della telefonata» osservò Bosch. «Mackey non sembra preoccuparsene troppo. Ha tirato fuori dalla tasca un cellulare. È probabile che stia chiamando la persona che pensa lo abbia cercato.» Leggendo le labbra di Mackey, Bosch disse: «Ciao, mi hai chiamato?». Mackey chiuse rapidamente la conversazione. «Scommetto di no» aggiunse Bosch. Mackey ripose il telefono nella tasca. «Ha provato con una persona sola» notò Rider. «Non deve avere una gran vita sociale.» «Il nome sulla targhetta del taschino è Ro» disse Bosch. «Forse il suo amico gli ha detto che qualcuno ha cercato Roland e lui potrebbe aver ri-

dotto le opzioni all'unica persona che lo chiama così. Magari il caro vecchio papà.» «Allora, cosa fa?» «Non lo vedo. È andato in fondo.» «Mi sa che è meglio se usciamo da qui prima che cominci a guardarsi attorno.» «Dai, pensi che possa bastare una telefonata per convincerlo che qualcuno gli sta addosso dopo diciassette anni?» «No, non per Becky. Mi domando in cos'altro sia coinvolto adesso. Potremmo imbatterci in qualcos'altro senza saperlo.» Bosch posò il binocolo. La partner aveva ragione. Avviò il motore. «Va bene, abbiamo dato la nostra occhiata» disse. «Usciamo da qui. Andiamo a trovare Muriel Verloren.» «E Panorama City?» «Panorama City può aspettare. Sappiamo tutti e due che non vive più a quell'indirizzo. Controllare sarebbe solo una formalità.» Iniziò a uscire dal parcheggio in retromarcia. «Pensi che prima dovremmo chiamare Muriel?» domandò Rider. «No. Andiamo e bussiamo alla porta.» «Questo lo sappiamo fare bene.» 12 Dopo dieci minuti giunsero di fronte alla casa dei Verloren. Il quartiere dove era vissuta Becky Verloren sembrava ancora gradevole e sicuro. La Red Mesa Way era ampia, con marciapiedi da ambo i lati, e non le mancava certo l'ombra degli alberi. Le case erano per la maggior parte dei ranch che si distendevano nel mezzo di terreni molto vasti. Negli anni Sessanta era stata proprio l'ampiezza delle proprietà a spingere molte persone a trasferirsi nell'angolo nord-occidentale della città. Quarant'anni dopo, gli alberi erano cresciuti e il quartiere cominciava a dare un senso di coesione. La casa dei Verloren era una delle poche su due piani. Era sempre la classica dimora in stile ranch, ma il tetto aggettava sul garage a due posti. Bosch sapeva dal fascicolo del delitto che la camera da letto di Becky si trovava al piano superiore, sul retro, sopra il garage. La porta del garage era chiusa. Non c'erano segni evidenti che facessero pensare che qualcuno fosse in casa. Quando Bosch suonò il campanello, udì dall'interno l'eco del trillo, una singola nota che gli apparve molto di-

stante e solitaria. Una donna con indosso un abito blu informe, che aiutava a nascondere il corpo altrettanto informe, aprì la porta. Portava ai piedi dei sandali bassi. I capelli erano tinti di un rosso che tendeva troppo all'arancione. Sembrava un lavoro fatto in casa e riuscito male, ma era evidente che la donna non se ne curava. Appena aveva dischiuso l'uscio, un gatto grigio era sgattaiolato nel giardino. «Smoke, non farti investire» urlò come prima cosa. Poi disse: «Posso aiutarvi?». «La signora Verloren?» domandò Rider. «Sì, che succede?» «Siamo della polizia. Vorremmo parlare con lei di sua figlia.» Appena il detective aveva pronunciato la parola «polizia», e ancora prima che dicesse «figlia», Muriel Verloren si era portata entrambe le mani alla bocca e aveva reagito come se avesse appreso in quel momento che la ragazza era morta. «Oh mio Dio! Oh mio Dio! Ditemi che l'avete preso. Ditemi che avete preso il bastardo che mi ha portato via mia figlia.» Kiz allungò una mano verso la spalla della donna, per consolarla. «Non è così semplice, signora» spiegò. «Possiamo entrare e parlare un momento?» La donna indietreggiò e li fece entrare. Pareva che stesse sussurrando qualcosa e Bosch pensò che si trattasse di una preghiera. Una volta dentro, la donna chiuse la porta, dopo aver indirizzato un altro avvertimento al gatto fuggitivo. A giudicare dall'odore della casa, il gatto non aveva molto spesso occasione di uscire. Il salotto in cui la donna li fece accomodare era ordinato, ma i mobili erano vecchi e consunti. Era impregnato dal puzzo di urina di gatto. Bosch si rammaricò subito di non aver invitato Muriel Verloren al Parker Center per interrogarla, ma sapeva che sarebbe stato un errore. Avevano bisogno di vedere il luogo del delitto. Si sedettero fianco a fianco sul divano e Muriel si affrettò verso una sedia dall'altra parte del tavolo di vetro di fronte a loro. Bosch notò impronte di zampe sul vetro. «Che succede?» domandò in tono disperato. «Ci sono novità?» «Be', immagino che la prima novità sia che ci stiamo occupando nuovamente del caso. Io sono il detective Rider, e questo è il detective Bosch. Lavoriamo per l'Unità Casi Irrisolti al Parker Center.»

Mentre guidavano verso la casa, avevano stabilito di essere parchi nelle informazioni che avrebbero fornito ai Verloren. Finché non avessero conosciuto la situazione della famiglia sarebbe stato molto meglio prendere piuttosto che dare. «C'è qualcosa di nuovo?» domandò Muriel con impazienza. «Be', abbiamo appena cominciato» rispose Rider. «Per ora stiamo ripercorrendo gran parte del terreno già battuto. Cerchiamo di metterci in pari. Desideravamo solo passare a dirle che ci occupiamo di nuovo del caso.» Parve un po' delusa. A quanto pareva aveva creduto che se la polizia si era presentata dopo tanti anni, dovevano esserci novità. Bosch avvertì un senso di colpa per aver scelto di omettere il fatto che avevano la pista, solida come una roccia, del DNA, ma al momento era convinto che fosse la cosa migliore. «Ci sono un paio di elementi» disse, parlando per la prima volta. «Innanzitutto, studiando i documenti del caso ci siamo imbattuti in questa fotografia.» Tirò fuori dalla tasca la foto di Roland Mackey a diciotto anni e la posò sul tavolino da caffè di fronte a Muriel. La donna si chinò subito in avanti per guardarla. «Non sappiamo che collegamento ci sia» proseguì. «Pensavamo che forse lei avrebbe potuto riconoscere quest'uomo.» La donna continuò a guardare senza rispondere. «È una foto del 1988» precisò Bosch, con l'intenzione di sollecitarla. «Chi è?» domandò Muriel alla fine. «Non lo sappiamo. Il suo nome è Roland Mackey. Ha qualche precedente penale per piccoli crimini commessi dopo la morte di sua figlia. Non sappiamo perché la sua foto si trovasse nel fascicolo. Lei lo riconosce?» «Avete domandato ad Art o a Ron?» Bosch stava per domandare chi fossero Art e Ron, quando capì. «A dire il vero, il detective Green è andato in pensione ed è scomparso parecchio tempo fa. Il detective Garcia ora è il comandante Garcia. Gli abbiamo parlato, ma non è stato in grado di aiutarci riguardo a Mackey. E lei? Poteva essere un conoscente di sua figlia? Lo riconosce?» «Può essere. C'è qualcosa in lui che mi sembra di riconoscere.» Bosch annuì. «Ha idea di dove potrebbe averlo visto?» «No, non ricordo. Perché non me lo dite? Magari riuscireste a rinfrescarmi la memoria.»

Bosch rivolse una rapida occhiata a Rider. Non era una richiesta inaspettata, ma la situazione si complicava sempre quando i genitori delle vittime erano talmente ansiosi di fornire aiuto da domandare con semplicità cosa la polizia volesse sentirsi dire. Muriel Verloren aspettava da diciassette anni che l'assassino di sua figlia fosse portato davanti ai giudici. Era chiaro che avrebbe scelto con cura le risposte per evitare di ostacolare la possibilità che ciò accadesse. A quel punto poteva non importare che si trattasse di una falsa soluzione. Gli anni passati erano stati crudeli con lei e con la memoria di sua figlia. Qualcuno doveva pagare. «Non possiamo dirlo perché non lo sappiamo, signora Verloren» disse Bosch. «Ci pensi e ci faccia sapere se se lo ricorda.» Annuì con mestizia, come se pensasse che fosse ancora un'altra opportunità mancata. «Signora Verloren, cosa fa per vivere?» domandò Rider. Questo parve riportare la donna di nuovo di fronte a loro, strappandola ai ricordi e alle illusioni. «Vendo cose» disse, pragmatica. «On line.» Attesero ulteriori spiegazioni, che non vennero. «Davvero?» domandò Rider. «Che cosa vende?» «Qualunque cosa riesca a trovare. Vado alle svendite. Trovo delle cose. Libri, giocattoli, vestiti. La gente compra di tutto. Ed è disposta a pagare per tutto. Questa mattina ho venduto due portatovaglioli per cinquanta dollari. Erano molto vecchi.» «Vorremmo domandare a suo marito della foto» disse allora Bosch. «Sa dove lo potremmo trovare?» Scosse il capo. «Da qualche parte laggiù, nel paese dei balocchi. Non ho più sue notizie da tanto, tanto tempo.» Ci fu un cupo momento di silenzio. La maggior parte delle missioni per i senzatetto di Los Angeles era ammassata al confine del Toy District, un quartiere con diversi isolati di fabbriche di giocattoli, magazzini all'ingrosso e qualche dettagliante. Spesso i senzatetto dormivano negli androni davanti ai negozi. Quello che Muriel Verloren stava dicendo era che il marito si era perso insieme a quei relitti umani alla deriva nel mondo. Era precipitato dalle stelle dei divi del cinema che rifocillava nel suo ristorante fino alla strada dei senzatetto. Ma c'era una contraddizione. Aveva ancora una casa. Aveva scelto di non viverci per quello che era successo. Eppure, sua moglie non

se ne sarebbe mai andata. «Quando avete divorziato?» domandò Rider. «Non abbiamo mai divorziato. Credo di aver sempre pensato che Robert un giorno si sarebbe svegliato e avrebbe capito che non importa quanto scappi lontano, non puoi fuggire da una cosa come quella che è successa a noi. Pensavo che se ne sarebbe reso conto e che sarebbe tornato a casa. Non è ancora successo.» «Secondo lei, all'epoca sapevate tutto degli amici di vostra figlia?» domandò Bosch. Muriel rifletté su questa domanda per un lungo istante. «Fino alla mattina in cui scomparve, lo credevo. Ma poi abbiamo saputo delle cose. Aveva dei segreti. Penso che questo sia uno dei particolari che mi turba di più. Non il fatto che avesse dei segreti con noi, ma che pensasse che fosse necessario. Credo che forse, se si fosse rivolta a noi, le cose sarebbero andate in maniera diversa.» «Si riferisce alla gravidanza?» Muriel annuì. «Cosa le fa pensare che abbia avuto un ruolo in ciò che le è accaduto?» «Istinto materno. Non ho prove. Penso solo che sia incominciato tutto da lì.» Bosch annuì. Ma non poteva biasimare la figlia per il suo segreto. Quando aveva quell'età, Bosch era cresciuto da solo, senza dei veri genitori. Non aveva idea di come sarebbe stato il suo rapporto con una madre e un padre. «Abbiamo parlato con il comandante Garcia» disse Rider. «Ci ha detto che molti anni fa le ha restituito il diario di sua figlia. Lo conserva ancora?» Muriel parve allarmata. «Ne leggo alcune parti ogni sera. Non me lo porterete via, eh? È la mia bibbia!» «Abbiamo bisogno di prenderlo in prestito per fotocopiarlo. Il comandante Garcia avrebbe dovuto farne una copia allora, ma non lo fece.» «Non lo voglio perdere.» «Non succederà, signora Verloren. Glielo prometto. Lo fotocopieremo e lo riporteremo subito.» «Lo volete adesso? È accanto al mio letto.» «Sì, se potesse prenderlo.» Muriel Verloren li lasciò e scomparve in fondo a un corridoio che con-

duceva verso l'ala sinistra della casa. Bosch guardò Kiz e sollevò le sopracciglia come a voler domandare alla partner cosa ne pensasse. Lei alzò le spalle, a significare che ne avrebbero discusso più tardi. «Una volta mia figlia voleva prendere un altro gatto» sussurrò Bosch. «La mia ex disse di no, che uno era sufficiente. Ora capisco perché.» Rider aveva un sorriso inopportuno quando Muriel tornò dentro con un librettino con la copertina a fiori e la scritta Il mio diario stampata in rilievo, in lettere dorate. L'oro si stava consumando. Il diario era stato maneggiato molto. Lo porse a Rider, che lo accettò con una sorta di timore reverenziale. «Se non le dispiace, signora Verloren, gradiremmo guardarci un po' in giro» disse Bosch. «Per collegare in qualche modo quello che abbiamo visto e letto nel fascicolo con le effettive caratteristiche della casa.» «Che fascicolo?» «Oh, mi scusi. È gergo da poliziotti. Tutti i documenti investigativi di ogni caso sono raggruppati in un grande raccoglitore. Noi lo chiamiamo fascicolo.» «Un fascicolo del delitto?» «Sì, esatto. Va bene se guardiamo in giro? Gradirei dare un'occhiata alla porta sul retro e all'esterno.» Sollevò un braccio per indicare da che parte dovevano andare. Bosch e Rider si alzarono. «È tutto cambiato» disse Muriel. «In passato non c'erano case lassù. Si usciva dalla nostra porta e si poteva camminare su per la montagna. Ma l'hanno terrazzata. Ora ci sono delle case. Milioni di dollari. Hanno costruito un enorme edificio nel punto in cui è stata trovata la mia bambina. Lo odio.» Non c'era nulla da dire. Bosch si limitò ad annuire e la seguì in fondo a un breve corridoio e poi in cucina. C'era una porta a vetri che conduceva al giardino sul retro. Muriel aprì la porta e li accompagnò fuori. Il giardino era un ripido declivio che portava a un boschetto di eucalipti. Attraverso gli alberi, Bosch riconobbe la sagoma di una grande casa con il tetto e le tegole alla spagnola. «Prima lassù era tutto aperto» disse Muriel. «C'erano solo alberi. Ora ci sono delle case. Hanno messo un cancello. Non mi permettono di passeggiare come facevo. Pensano che sia una barbona o qualcosa del genere, perché a volte salivo fino al punto in cui è stata ritrovata Becky e facevo un picnic.»

Bosch annuì e per un momento rifletté sull'immagine di una madre che fa un picnic nel luogo in cui è stata assassinata la figlia. Cercò di sbarazzarsi di quel pensiero e si mise a esaminare il terreno. L'autopsia diceva che Becky Verloren pesava quarantacinque chili. Per quanto fosse leggera, sarebbe stato davvero impegnativo portarla su per quel declivio. Si interrogò sulla possibilità che ci fosse più di un killer. Pensò a Bailey Sable, che aveva parlato di loro. Guardò Muriel Verloren, che era immobile e in silenzio, gli occhi chiusi. Aveva reclinato il capo, in modo che il sole del tardo pomeriggio le scaldasse il viso. Bosch si domandò se non fosse anche quello un modo per sentirsi in comunione con la figlia perduta. Come se avesse percepito di essere guardata, la donna parlò, tenendo gli occhi chiusi. «Amo questo posto. Non lo lascerò mai.» «Possiamo guardare la stanza da letto di sua figlia?» domandò Bosch. La donna aprì gli occhi. «Pulitevi i piedi quando tornate dentro.» Li riaccompagnò in casa attraverso la cucina e il corridoio. Le scale che conducevano al piano superiore si trovavano accanto a quelle per scendere in garage. La porta era aperta e Bosch intravide un minivan ammaccato e circondato da pile di scatole e di oggetti che Muriel Verloren doveva aver raccolto nei suoi giri. Notò anche quanto la porta fosse vicina alle scale. Non sapeva se questo significasse qualcosa, ma si rammentò del rapporto nel fascicolo del delitto in cui si ipotizzava che il killer si fosse nascosto da qualche parte in casa e avesse atteso che la famiglia andasse a dormire. Il garage era il luogo più probabile. Le scale erano anguste, perché su ambo i lati c'erano scatole colme di oggetti da vendere. Muriel fece cenno a Bosch di precederla, e quando lui le passò accanto sussurrò: «Lei ha figli?». Bosch annuì, sapeva che la sua risposta le avrebbe fatto male. «Una figlia.» La donna annuì a sua volta. «Non la perda mai di vista.» Bosch non le disse che la figlia viveva con la madre, lontana dal suo sguardo. Si limitò ad annuire e si incamminò sulle scale. Al secondo piano c'era un pianerottolo con due camere da letto e un bagno. La stanza di Becky Verloren era sul retro, le finestre si affacciavano sulla collina. La porta era chiusa e Muriel l'aprì. Quando entrarono, fu come infilarsi

in una piega del tempo. La stanza era immutata rispetto alla foto di diciassette anni prima che Bosch aveva studiato sul fascicolo. Il resto dell'appartamento si era riempito di cianfrusaglie e dei detriti di una vita distrutta, ma la stanza in cui Becky Verloren aveva dormito, parlato al telefono, scritto il diario segreto, era identica al passato. Ormai era stata preservata più a lungo di quanto non ci avesse vissuto la ragazza. Bosch si inoltrò nella camera e si guardò attorno in silenzio. Neppure il gatto osava violarla. C'era un profumo di fresco e di pulito. «È esattamente com'era la mattina in cui è scomparsa» disse Muriel. «Ho solo rifatto il letto.» Bosch guardò il copriletto con i gattini. Le balze arrivavano a terra perfettamente dritte. «Lei e suo marito dormivate nell'altra ala della casa, giusto?» domandò Bosch. «Sì, Rebecca aveva quell'età in cui si desidera la propria privacy. Ci sono due camere da letto di sotto. La prima cameretta di Becky era di sotto con noi, ma a quattordici anni si trasferì quassù.» Bosch annuì e si guardò attorno prima di domandare altro. «Viene qui spesso, signora Verloren?» chiese Rider. «Ogni giorno. A volte quando non riesco a dormire - il che succede di frequente - salgo qui e mi sdraio. Non mi infilo sotto le coperte, però. Voglio che rimanga il suo letto.» Bosch si rese conto che stava di nuovo annuendo, come se quello che aveva detto la donna per lui fosse sensato. Fece un passo verso la toletta. C'erano delle foto infilate nella cornice dello specchio. In una, Bosch riconobbe la giovane Bailey Sable. C'era anche una foto di Becky da sola davanti alla Torre Eiffel. Indossava un basco nero. Non si vedeva nessun altro dei compagni del Club dell'Arte. Sullo specchio c'era anche la foto di un ragazzo insieme a Becky. Sembrava che fossero in gita a Disneyland, o forse lo scatto era stato preso sul molo di Santa Monica. «Questo chi è?» domandò. Muriel si avvicinò e guardò. «Il ragazzo? È Danny Kotchof. Il suo primo ragazzo.» Bosch annuì. Il ragazzo che si era trasferito alle Hawaii. «Quando se ne andò, le spezzò il cuore» aggiunse Muriel. «Quando accadde, di preciso?» «L'estate prima, a giugno. Tra il primo e il secondo anno delle superiori.

Lui aveva un anno in più di lei.» «Perché la famiglia si trasferì? Lo sa?» «Il papà di Danny lavorava per una società di autonoleggio e venne trasferito per aprire un nuovo franchising a Maui. Era una sorta di promozione.» Bosch rivolse un'occhiata alla partner per vedere se aveva colto l'importanza dell'informazione che Muriel gli aveva appena fornito. Kiz scosse la testa. Non aveva capito. Ma Bosch voleva seguire quella traccia. «Danny aveva frequentato la Hillside Prep?» domandò. «Sì, si erano conosciuti lì.» Bosch abbassò lo sguardo sulla toletta e notò un souvenir di Parigi, una delle solite palle di vetro da quattro soldi, con la Torre Eiffel e la neve. Un po' dell'acqua era evaporata e aveva lasciato una bolla in cima alla palla, così la punta della torre sbucava nella sacca d'aria. «Danny faceva parte del Club dell'Arte?» domandò. «Andò anche lui alla gita a Parigi?» «No, si era trasferito prima» disse Muriel. «Era partito a giugno, mentre il club andò a Parigi l'ultima settimana di agosto.» «Lo vide o lo sentì ancora?» domandò. «Oh, sì, si scrivevano e si telefonavano. All'inizio si chiamavano una volta per uno, ma era troppo costoso. Allora cominciò a telefonare solo Danny. Tutte le sere, prima di andare a letto. Durò quasi fino alla... alla sua scomparsa.» Bosch allungò una mano e prese la foto dal bordo dello specchio. Esaminò Danny Kotchof più da vicino. «Cos'accadde quando sua figlia fu portata via? Come lo scoprì Danny? Come reagì?» «Be'... chiamammo e lo dicemmo al padre, perché si sedesse con Danny e gli desse la cattiva notizia. Ci dissero che non la prese bene. Chi avrebbe potuto?» «Glielo comunicò il padre. Lei e suo marito avete mai più parlato di persona con Danny?» «No, ma il ragazzo mi scrisse una lunga lettera su Becky e su quanto fosse importante per lui. Era molto triste e molto dolce. Ogni parola.» «Sono sicuro che lo fosse. Venne al funerale?» «No, no, non venne. I suoi genitori pensarono che sarebbe stato meglio per lui rimanere sulle isole. Il trauma, sa? Ci telefonò il signor Kotchof e ci disse che non sarebbe venuto.»

Bosch annuì. Si voltò e si infilò la foto in tasca. Muriel non se ne accorse. «E dopo cosa accadde?» domandò. «Dopo la lettera, intendo. Vi contattò mai? Vi telefonò per parlare con voi?» «No, penso di non aver mai più avuto sue notizie dopo la lettera.» «Ce l'ha ancora, quella lettera?» «Certo. Conservo tutto. Ho un cassetto pieno di lettere su Rebecca che ci hanno inviato i suoi amici. Le volevano bene in tanti.» «Abbiamo bisogno di prendere in prestito quelle lettere, signora Verloren» disse Bosch. «Tra qualche tempo potrebbe anche essere necessario guardare nei cassetti.» «Perché?» «Perché non si sa mai» disse Bosch. «Perché non vogliamo lasciare niente di intentato» aggiunse Rider. «Siamo consapevoli di quanto tutto ciò sia devastante per lei, ma la prego, si ricordi che sappiamo quello che facciamo. Vogliamo trovare la persona che ha portato via sua figlia. È passato molto tempo, ma non significa che il colpevole debba farla franca.» Muriel Verloren annuì. Senza pensarci, aveva preso dal letto un piccolo cuscino e lo stringeva al petto con entrambe le mani. Aveva un quadratino blu con un cuore di feltro rosso cucito al centro, poteva benissimo averlo fatto Becky molti anni prima. Con quel cuscino stretto al petto, Muriel Verloren sembrava un bersaglio. 13 Mentre Bosch guidava, Kiz leggeva la lettera che Danny Kotchof aveva inviato ai Verloren dopo l'omicidio di Becky. Era composta da un'unica pagina, per lo più colma dei ricordi affettuosi della ragazza perduta. «Posso dirvi solo che mi dispiace che sia dovuto succedere. Mi mancherà per sempre. Con amore, Danny. È tutto.» «Che francobollo c'è?» Girò la busta e guardò. «Maui, 29 luglio 1988.» «Si è preso il suo tempo per scrivere.» «Forse era difficile per lui. Perché ti sei fissato sul ragazzo, Harry?» «Non mi sono fissato. È solo che Garcia e Green si sono basati su una telefonata per scagionarlo. Ricordi cosa c'era scritto sul fascicolo? Diceva

che il supervisore del ragazzo aveva confermato che il giorno della scomparsa di Becky e quello successivo Danny aveva lavato macchine in un autonoleggio. Non avrebbe avuto il tempo di volare a Los Angeles, di uccidere Becky e di tornare.» «Sì, e allora?» «Be', adesso abbiamo scoperto da Muriel che il suo vecchio gestiva un autonoleggio. Non c'era niente in proposito nel fascicolo del delitto. Garcia e Green lo sapevano? Quanto scommettiamo che papà gestiva il posto dove il figlio lavava le auto? Quanto vuoi scommettere che il supervisore che ha fornito l'alibi al figlio era un dipendente del padre?» «Ragazzi, io scherzavo quando parlavo di andare a Parigi. A quanto pare tu stai ponendo le basi per un viaggio a Maui.» «Non mi piacciono i lavori malfatti. Lasciano troppi fili slegati. Dobbiamo parlare con Danny Kotchof e scagionarlo di persona. Se è ancora possibile, dopo tanti anni.» «AutoTrack, baby.» «Potrà aiutarci a rintracciarlo. Non a scagionarlo.» «Anche se dovessimo distruggere il suo alibi, cosa diresti, che questo ragazzino di sedici anni è sgattaiolato qui dalle Hawaii, ha fatto fuori la sua ex ragazza ed è tornato a casa senza che nessuno lo vedesse?» «Forse il piano non era questo. E comunque aveva diciassette anni, Muriel ha detto che era di un anno più grande di lei.» «Oh, diciassette» disse Rider con sarcasmo, come se questo facesse la differenza. «Quando avevo diciotto anni, io ho trascorso la prima licenza dal Vietnam alle Hawaii. Non avevamo il permesso di raggiungere altri stati da lì. Appena arrivato mi cambiai d'abito, comprai una valigia da civile e attraversai il posto di blocco della Polizia Militare per prendere un aereo per Los Angeles. Penso che un diciassettenne potrebbe aver fatto lo stesso.» «Va bene, Harry.» «Senti, dico solo che è stato un lavoro trasandato. Secondo il fascicolo del delitto, Green e Garcia scagionarono il ragazzo con una telefonata. Non si parla di controlli con le linee aeree, e ora è troppo tardi. Mi infastidisce.» «Capisco. Ma ricordati, c'è un triangolo da chiudere. Possiamo collegare Danny a Becky con facilità, e la pistola collega Becky a Mackey. Ma cosa collega Danny a Mackey?» Bosch annuì. Era un buon argomento. Ma non gli dava una sensazione migliore riguardo a Danny Kotchof.

«Un'altra cosa è quello che ha scritto nella lettera» disse. «Dice che gli dispiace che sia dovuto succedere. Dovuto succedere, cosa significa?» «È un modo di dire, Harry. Non puoi costruirci sopra un caso.» «Non sto parlando di costruire un caso. Mi domando solo perché abbia scelto di esprimersi in quel modo.» «Se è ancora vivo, lo troveremo e glielo potrai domandare di persona.» Erano passati sotto la 405 ed erano arrivati a Panorama City. Bosch lasciò cadere la discussione su Danny Kotchof e Rider affrontò l'argomento Muriel Verloren. «È congelata» disse Rider. «Già.» «Fa pietà. Non c'era alcuna ragione perché portassero sua figlia sulla collina. Avrebbero potuto tranquillamente ammazzarli tutti quanti. Lo hanno fatto comunque.» Bosch pensò che fosse un modo duro di guardare la faccenda. Ma non disse nulla. «Portassero?» domandò invece. «Cosa?» «Hai detto che non c'era alcuna ragione perché portassero sua figlia sulla collina. Hai parlato come Bailey Sable.» «Non lo so. Guardando quella collina, mi è sembrato che sarebbe stato difficile per una persona sola. È ripida.» «Già, ho pensato la stessa cosa. Due persone.» «La tua idea di spaventare Mackey funzionerebbe ancora meglio. Se fosse stato lì, potrebbe portarci al complice, che sia Kotchof o qualcun altro.» Bosch svoltò verso sud sul Van Nuys Boulevard e si fermò davanti a un vecchio complesso di appartamenti che occupava metà isolato. Si chiamava Le Suites del Belvedere. Alla sinistra della porta a vetri dell'atrio c'era un cartello con scritto UFFICIO LOCAZIONI. Diceva anche che era possibile affittare unità immobiliari per periodi di un mese o anche di una settimana. Bosch mise l'auto in folle. «A parte Kotchof, cosa hai pensato, Harry?» «Ho pensato che voglio rintracciare le altre due amiche e parlarci un po'. Magari tu puoi prenderti la lesbica. Ma il padre è la mia priorità, se riusciamo a trovarlo.» «Va bene, tu prendi il padre e io prendo la lesbica. Forse mi toccherà andare a San Francisco.» «È ad Hayward. E se hai bisogno di aiuto, conosco un ispettore lì che

potrà rintracciarla e far risparmiare alla polizia di Los Angeles il costo del viaggio.» «Non sei per niente divertente, Harry. Non mi dispiacerebbe spassarmela un po' con le sorelle del nord.» «Il capo sapeva di te?» «In principio no. Quando l'ha scoperto, se n'è fregato.» Bosch annuì. Il capo gli piaceva per questo. «Cos'altro?» domandò Rider. «Sam Weiss.» «Chi è?» «La vittima del furto. Il proprietario della pistola con cui è stata uccisa la ragazza.» «Perché?» «Ai tempi non avevano Roland Mackey. Potrebbe essere utile fargli sentire il nome.» «Proviamo.» «Dopo, penso che saremo pronti a fare la mossa con Mackey. Vediamo come reagisce.» «Allora sbrighiamo questa e andiamo a parlare con Pratt.» Aprirono lo sportello in contemporanea e scesero dall'auto. Mentre girava attorno al SUV, Bosch avvertì lo sguardo della partner che lo studiava. «Che c'è?» domandò. «C'è qualcos'altro.» «In che senso?» «Parlo di te. Quando ti viene quella piccola increspatura sul sopracciglio sinistro, vuol dire che succede qualcosa.» «La mia ex moglie mi diceva sempre che sarei stato un pessimo giocatore di poker. Troppi segni.» «Be', allora?» «Non lo so ancora. Qualcosa su quella stanza.» «La camera della ragazza? Dici che è folle che l'abbia tenuta così com'era?» «No, questo per me è normale. Penso di capirlo. Si tratta di qualcos'altro. Qualcosa che non torna. Qualcosa di diverso. Ci rimugino e ti faccio sapere quando ci sono arrivato.» «Va bene Harry, è quello che fai meglio.» Attraversarono le porte a vetri delle Suite del Belvedere. Dopo dieci minuti, ebbero la conferma di quello che già sapevano; Mackey si era trasfe-

rito appena terminato il periodo di libertà vigilata. Come previsto, non aveva lasciato alcun indirizzo a cui inoltrare la corrispondenza. 14 Abel Pratt era seduto alla scrivania e mangiava un pastone di yogurt e corn flakes da un vasetto di plastica. Mentre mangiava, masticava e succhiava rumorosamente e Bosch cominciava a innervosirsi. Erano seduti con lui da venti minuti per aggiornarlo sui progressi della giornata. «Merda, ho ancora fame» disse, dopo l'ultima cucchiaiata. «Cos'è, la dieta di South Beach?» domandò Rider. «No, l'ho inventata io. In realtà avrei bisogno della dieta del South Bureau.» «Davvero? E che cos'è la dieta del South Bureau?» Bosch avvertiva la tensione di Kiz Rider. Il South Bureau comprendeva la maggior parte della comunità nera della città. Il dubbio era che Pratt se ne fosse appena uscito con una battuta razzista. Nel dipartimento, Bosch aveva spesso assistito all'esasperazione dell'etica del noi contro di loro, al punto che i poliziotti bianchi facevano commenti razzisti di fronte ai colleghi neri o latini solo perché credevano che tra i commilitoni il blu della divisa fosse più forte del colore della pelle. Rider stava per scoprire se Pratt fosse uno di quei poliziotti. «Abbassa l'antenna» disse Pratt. «Dico solo che ho lavorato al South per dieci anni e non ho mai dovuto preoccuparmi del peso. Non fai che correre, laggiù. Poi sono passato alla Rapine e Omicidi e ho preso sette chili in due anni. È triste.» Rider si rilassò e Bosch fece altrettanto. «Alza il culo e vai in giro a bussare alle porte» disse Bosch. «Questa era la regola della Hollywood.» «Buona regola» disse Pratt. «Solo che è difficile quando ti danno il comando. Devo starmene seduto qui e sentire voi che mi raccontate delle porte a cui avete bussato.» «Ma tu ti prendi i bigliettoni» disse Kiz Rider. «Oh, sì.» Era una battuta, perché come supervisore Pratt non aveva gli straordinari pagati, mentre gli uomini della sua squadra sì, pertanto era possibile che alcuni dei suoi detective guadagnassero più di lui, nonostante Pratt fosse il

boss dell'unità. Pratt girò la sedia e aprì un frigorifero a terra accanto alla scrivania. Tirò fuori un altro vasetto di yogurt. «Vaffanculo» disse, mentre si raddrizzava e apriva il vasetto. Questa volta non aggiunse i corn flakes, così quando cominciò a infilarsi in bocca la porcheria bianca, Bosch dovette sopportare solo il risucchio. «Va bene, torniamo a noi» disse Pratt, con la bocca piena. «Mi state dicendo che alla fine della giornata potete collegare l'arma con questo Mackey. Ha sparato con l'arma del delitto. Ma non potete collegarlo con la vittima, e pertanto con il colpo fatale.» «Questo, e altre cose» disse Kiz Rider. «Perciò, se io fossi l'avvocato della difesa,» proseguì Pratt «direi a Mackey di ammettere il furto, perché il reato sarebbe prescritto da tempo. Gli suggerirei di raccontare che l'arma l'ha pizzicato mentre la provava, e perciò se ne è sbarazzato molto tempo prima dell'omicidio. Gli farei dire: "No, signore, non ho ucciso quella ragazzina, e voi non avete nessuna prova contraria. Non potete neppure dimostrare che le ho messo gli occhi addosso".» Rider e Bosch annuirono. «Perciò non avete niente.» Annuirono di nuovo. «Non male per un'intera giornata di lavoro. Cosa volete fare adesso?» «Vogliamo mettergli il telefono sotto controllo» disse Bosch. «Due, forse tre linee. Il cellulare e il telefono alla stazione di servizio. E l'apparecchio di casa, quando troveremo la casa e se ha il telefono. Facciamo uscire qualche articolo sui giornali, diciamo che stiamo lavorando di nuovo al caso, e ci assicuriamo che lui li legga. Poi sentiamo se ne parla con qualcuno.» «E cosa vi fa pensare che possa parlare con qualcuno di un omicidio che potrebbe aver commesso, o non aver commesso, diciassette anni fa?» «Come abbiamo detto, finora non possiamo collegare il tizio con la ragazza in nessun modo. Perciò pensiamo che ci sia qualcuno che possa fare da ponte. Mackey potrebbe aver commesso l'omicidio per conto di un altro o aver procurato l'arma al vero assassino.» «C'è una terza possibilità» aggiunse Rider. «Che abbia aiutato l'omicida. La ragazza è stata portata su per una collina ripida. O la persona che l'ha fatto era molto forte, o è stata aiutata.» Prima di rispondere, Pratt prese due grandi cucchiaiate di yogurt e cor-

rugò la fronte, con lo sguardo rivolto al vasetto. «Va bene, che mi dite dei giornali? Sarete in grado di montare un caso?» «Pensiamo di sì» disse Rider. «Abbiamo intenzione di usare il comandante Garcia del Bureau della Valley. Ha lavorato al caso originario. È tormentato dal compagno che se ne è andato, una cosa del genere. Dice di avere un contatto al Daily News.» «Okay, mi sembra un buon piano. Scrivete la richiesta di mandato e datemela. Il capitano la deve approvare e inviarla all'ufficio del procuratore distrettuale, prima che possa passare al giudice. Ci vorrà un po' di tempo. Quando avremo l'okay del giudice, potremo ottenere che le altre squadre smettano di fare quello che stanno facendo e che si mettano ad ascoltare il tizio, mentre voi lo sorvegliate.» Bosch e Rider si alzarono nello stesso momento. Bosch sentì una piccola scarica di adrenalina nel sangue. «Non c'è alcuna possibilità che questo Mackey stia combinando qualcosa al momento, vero?» domandò Pratt. «Cosa intendi?» chiese Bosch. «È solo che se potessimo dimostrare che sta commettendo qualche crimine adesso, con tutta probabilità potremmo velocizzare la pratica.» Bosch ci rifletté. «Ora non abbiamo nulla» disse. «Ma ci possiamo lavorare.» «Bene. Sarebbe d'aiuto.» 15 Era sempre Kiz Rider a preparare le domande scritte. Si trovava a proprio agio con i computer e con il linguaggio giuridico. Bosch l'aveva vista mettere a frutto queste capacità in diverse precedenti indagini. Perciò la decisione era sottintesa. Lei avrebbe redatto tutte le richieste di autorizzazione per far tracciare le telefonate effettuate o ricevute da Roland Mackey al cellulare, al telefono dell'ufficio della stazione di servizio dove lavorava, al telefono di casa e a qualsiasi altro telefono utilizzasse. Sarebbe stato un lavoro massacrante; avrebbe dovuto ricostruire il caso contro Mackey, assicurarsi che la catena di passaggi logici, la catena di causa ed effetto, non avesse gangli deboli. Il rapporto doveva in primo luogo convincere Pratt, poi il capitano Norona, poi il procuratore distrettuale preposto a garantire che le forze dell'ordine non violassero i diritti civili e, da ultimo un giudice che aveva

le stesse responsabilità, ma che, se avesse commesso un errore, avrebbe dovuto risponderne di fronte all'elettorato. Avevano un solo colpo in canna, e dovevano fare centro. Anzi, Kiz Rider doveva fare centro. Ma, innanzitutto, dovevano superare il primo ostacolo e procurarsi i numeri di telefono di Mackey senza che l'uomo avesse il sospetto che le indagini si stavano stringendo attorno a lui. Iniziarono con la Tampa Towing, che aveva mezza pagina sulle pagine gialle, con due numeri attivi ventiquattro ore su ventiquattro. Con una telefonata al servizio informazioni abbonati, stabilirono che Mackey non aveva un telefono fisso, o quanto meno non lo aveva intestato a proprio nome. Ciò significava o che non aveva alcun apparecchio telefonico o che il telefono della casa dove viveva era registrato a nome di qualcun altro. In tal caso sarebbero intervenuti dopo aver individuato la residenza di Mackey. L'ultima cosa, la più difficile, era procurarsi il numero di cellulare di Mackey. L'elenco abbonati non forniva i numeri dei cellulari. Controllare tutti i gestori avrebbe richiesto giorni, se non settimane, perché molti di essi pretendevano un'ordinanza del giudice prima di fornire il numero di un cliente privato. Così, gli investigatori utilizzavano sempre degli stratagemmi per procurarsi quello di cui avevano bisogno. Di solito lasciavano dei messaggi innocui sul posto di lavoro, in modo da rintracciare il cellulare quando la persona richiamava. Il trucco standard consisteva nel chiedere di richiamare per ottenere un premio, promettendo un televisore o un lettore DVD alle prime cento persone che rispondevano alla telefonata. Comunque, questo significava utilizzare una linea che non apparteneva alla polizia e poteva portare a lunghi periodi di attesa senza garanzie di successo, c'era sempre il rischio che il bersaglio avesse schermato il proprio numero. Rider e Bosch sentivano di non avere il lusso del tempo. Avevano messo in giro il nome di Mackey. Dovevano muoversi rapidi verso la meta. «Non preoccuparti» disse Bosch a Rider. «Ho un piano.» «Allora me ne rimango seduta a guardare il maestro all'opera.» Siccome sapevano che Mackey era al lavoro alla stazione di servizio, Bosch si limitò a chiamare lì e a dire che aveva bisogno di un carro attrezzi. La persona che aveva risposto lo invitò a rimanere in linea, poi una voce, che doveva essere quella di Roland Mackey, disse: «Ha bisogno di un carro attrezzi?». «O un carro attrezzi o un traino. Non riesco a far partire l'auto.» «Dove?»

«Nel parcheggio di Albertson, a Topanga, vicino al Devonshire.» «Noi siamo sulla Tampa. Può chiamare qualcuno più vicino.» «Lo so, ma io abito vicino a voi. Appena fuori dalla Roscoe, dietro l'ospedale.» «Va bene, allora. Che macchina ha?» Bosch pensò all'auto su cui avevano visto Mackey poco prima. Decise di servirsene per fargli abbassare le difese. «Una Camaro del 72.» «Restaurata?» «Ci sto lavorando.» «Ci metterò una quindicina di minuti ad arrivare lì.» «Benissimo. Come si chiama?» «Ro.» «Ro? Come Roscoe?» «Come Roland, amico. Mi metto in moto.» Riattaccò. Bosch e Rider aspettarono cinque minuti, durante i quali Bosch spiegò alla collega il resto del piano e che ruolo avrebbe dovuto giocare lei. Il suo obiettivo era ottenere due cose: il numero di cellulare di Mackey e il gestore, in modo da inviare subito alla società giusta la richiesta di autorizzazione per mettere il telefono sotto controllo. Seguendo le istruzioni di Bosch, Kiz chiamò la stazione di servizio e si mise a descrivere con cura i cigolii che emettevano i freni della sua auto. Mentre era nel mezzo della conversazione, Bosch chiamò l'altro numero indicato sulle pagine gialle. Com'era da aspettarsi, Kiz fu messa in attesa. Qualcuno rispose alla chiamata di Bosch e lui disse: «Ha un numero a cui posso rintracciare Ro? Sta venendo qui a darmi una trainata, ma sono riuscito a mettere in moto». Il collega di Mackey, esasperato, disse: «Provi sul cellulare». Diede il numero a Bosch, che mostrò il pollice a Rider, seduta dall'altra parte della scrivania. La detective terminò la telefonata senza interrompere la messinscena, e riagganciò. «Uno segnato, uno da segnare» disse Bosch. «Hai segnato il più facile» disse Kiz. Con il numero di Mackey in mano, Kiz alzò il ricevitore, mentre Bosch ascoltava da una derivazione. Impresse alla voce un tono burocratico e disinteressato e quando Mackey rispose - presumibilmente mentre girava per il parcheggio in cerca di una Camaro del 72 - annunciò di essere della AT&T e di avere delle straordinarie proposte per risparmiare sul piano ta-

riffario delle chiamate interurbane. «Stronzate» disse Mackey, interrompendola nel mezzo della spiegazione. «Scusi, signore?» rispose Rider. «Ho detto stronzate. È un trucco per convincermi a cambiare.» «Non capisco, signore. Io ho il suo numero nell'elenco degli abbonati della AT&T. C'è un errore?» «Sì, c'è un cazzo di errore. Io sono con la Sprint, mi piace e non faccio mai telefonate interurbane. Perciò vaffanculo. Mi senti?» Riattaccò e Rider cominciò a ridere. «Abbiamo a che fare con un tizio incazzato» disse. «Be', ha appena attraversato Chatsworth a vuoto» disse Bosch. «Sarei arrabbiato anch'io.» «È con la Sprint» disse. «Sono pronta a buttarmi sulle carte. Ma forse dovresti chiamarlo, per non insospettirlo, dato che il tizio alla stazione di servizio ti ha dato il suo cellulare.» Bosch annuì e compose il numero di Mackey. Fu grato di trovare la segreteria; con tutta probabilità Mackey era al telefono e stava dicendo al collega che non riusciva a trovare l'auto che avrebbe dovuto trainare. Bosch lasciò un messaggio in cui diceva che gli dispiaceva, ma era riuscito a mettere in moto e stava cercando di tornare a casa. Chiuse il telefono e guardò Rider. Parlarono ancora un po' del piano d'azione e decisero che lei avrebbe lavorato soltanto alle domande quella sera e tutto il giorno seguente, e poi avrebbe curato la pratica fino all'approvazione finale. Si sarebbero presentati entrambi in camera di giudizio, per dare maggior forza alla richiesta, ma fino ad allora, Bosch avrebbe continuato a lavorare sul campo, rintracciando i nomi che rimanevano sulla lista delle persone da interrogare e mettendo in moto la storia da far uscire sui giornali. Il tempismo sarebbe stato un elemento fondamentale. Non volevano che i giornali pubblicassero la storia prima che i telefoni di Mackey fossero messi sotto controllo. Dovevano giocare d'astuzia. «Vado a casa, Harry» disse Rider. «Posso lavorarci sul portatile.» «Fai un buon lavoro.» «Tu che farai?» «Ci sono un po' di cose che voglio sbrigare stasera. Magari andare al Toy District.» «Da solo?»

«Sono solo dei senzatetto.» «Già, e l'ottanta per cento di loro sono senzatetto perché erano psicopatici, sociopatici e tutto il resto. Devi stare attento. Forse dovresti chiamare la Divisione Centrale e vedere se possono mandarti una macchina. Magari potrebbero prestarti uno dei loro sottomarini stasera.» Il sottomarino era un'auto con un solo agente, usata per lo più per le ricognizioni del comandante. Ma Bosch non pensava di aver bisogno di uno chaperon. Disse a Rider che sarebbe stato bene e che se ne sarebbe potuta andare dopo avergli mostrato come si usava il sito dell'AutoTrack. «Be', Harry, per prima cosa devi avere un computer. Io l'ho fatto dal mio portatile.» La raggiunse dietro la scrivania e la osservò entrare nel sito dell'AutoTrack, inserire la password e arrivare alla schermata per la ricerca nominale. «Da chi vuoi cominciare?» domandò. «Che ne dici di Robert Verloren?» Scrisse il nome e impostò i parametri per la ricerca. «È molto veloce?» domandò Bosch. «Molto.» Dopo pochi minuti il programma aveva individuato una lista di indirizzi del padre di Rebecca Verloren. Ma si fermava alla casa di Chatsworth. Negli ultimi dieci anni Robert Verloren non aveva rinnovato la patente, non aveva acquistato proprietà, non si era iscritto alle liste elettorali, non aveva fatto richiesta di carta di credito, né si era intestato alcuna utenza. Era una pagina bianca. Era scomparso, quantomeno dalla rete elettronica. «Deve vivere ancora in strada» disse Rider. «Se è ancora vivo.» Kiz Rider inserì i nomi di Tara Wood e Daniel Kotchof, e l'AutoTrack estrasse un elenco di omonimi per entrambi, ma utilizzando i dati approssimativi sull'età e concentrando la ricerca sulla California e sulle Hawaii, riuscirono a ottenere due liste di indirizzi che dovevano appartenere alla Tara Wood e al Daniel Kotchof che cercavano. Se la Wood non era andata alla riunione scolastica, non era perché si fosse trasferita lontano. Si era solo spostata dalla Valley alle colline sopra Santa Monica. Al contempo, risultò che Daniel Kotchof era tornato dalle Hawaii molti anni prima, aveva vissuto a Venice per qualche anno, poi era tornato a Maui, dove al momento risultava residente. L'ultimo nome che Bosch chiese a Rider di passare nel computer era

quello di Sam Weiss, la vittima del furto della pistola poi utilizzata per uccidere Rebecca Verloren. Sebbene ci fossero centinaia di omonimi, non fu difficile rintracciare il Sam Weiss giusto. Non aveva mai lasciato la casa nella quale aveva avuto luogo la rapina. Aveva persino lo stesso numero di telefono. Aveva messo radici. Rider stampò tutti i risultati per Bosch e gli diede anche il numero di Grace Tanaka, che avevano avuto poco prima da Bailey Sable. Raccolse i documenti di cui avrebbe avuto bisogno per lavorare a casa. «Se hai bisogno di me, fai uno squillo» disse, mentre infilava il portatile nella borsa imbottita. Dopo che Rider se ne fu andata, Bosch consultò l'orologio sopra la porta dell'ufficio di Pratt e vide che erano le sei passate. Decise che sarebbe rimasto ancora un'oretta a lavorare su quei nomi prima di dirigersi al Toy District per tentare di trovare Robert Verloren. Sapeva di star solo procrastinando la ricerca tra quei relitti umani, una ricerca che di certo l'avrebbe depresso. Gettò di nuovo un'occhiata all'orologio e si ripromise di non passare più di un'ora a lavorare al telefono. Decise di cominciare dalle telefonate urbane, ma dovette rinunciare subito. Né Tara Wood né Sam Weiss risposero, e in entrambi i casi la chiamata venne inoltrata alla segreteria telefonica. Lasciò un messaggio alla Wood in cui si qualificava, dava il numero di cellulare e spiegava che la telefonata riguardava Becky Verloren. Sperava che menzionare il nome dell'amica potesse bastare a intrigarla e spingerla a richiamare subito. A Weiss lasciò solo il nome e il numero di telefono; non voleva anticipare l'oggetto della telefonata, che avrebbe potuto risvegliare il senso di colpa nell'uomo che aveva indirettamente fornito l'arma per l'assassinio di una ragazzina di sedici anni. Quindi compose il numero di Grace Tanaka ad Hayward. La donna rispose dopo sei squilli. Inizialmente parve infastidita dalla telefonata, come se avesse interrotto qualcosa di importante, ma i suoi modi scontrosi si addolcirono non appena Bosch le disse di aver chiamato per parlare di Rebecca Verloren. «Oh, mio Dio, sta succedendo qualcosa?» domandò. «Il dipartimento ha deciso di riaprire il caso» disse Bosch. «È saltato fuori un nome. Si tratta di un individuo che potrebbe essere stato coinvolto nel caso nel 1988, stiamo cercando di capire se in qualche modo avesse a che fare con Becky o con i suoi amici.» «Come si chiama?» domandò in fretta.

«Roland Mackey. Aveva un paio d'anni più di Becky. Non ha frequentato la Hillside, ma viveva a Chatsworth. Il nome le dice niente?» «No, non ricordo. Che legame c'è? Era il padre?» «Il padre?» «La polizia disse che era incinta. Cioè, che era rimasta incinta...» «Non sappiamo se fosse quello il legame con la ragazza. Perciò non riconosce il nome?» «No.» «Usa "Ro" come diminutivo.» «Neanche.» «E dice che non sapeva nulla della gravidanza, giusto?» «Non lo sapevo. Nessuna di noi ne era a conoscenza. Almeno, nessuna di noi amiche.» Bosch annuì, sebbene sapesse che lei non lo poteva vedere. Non disse nulla, sperando che il silenzio la mettesse a disagio e la spingesse ad aggiungere qualcosa di rilevante. «Uhm, ha una foto di quest'uomo?» domandò infine la donna. Non era quello che Bosch sperava. «Sì» disse. «Dovrò trovare un modo per portargliela e fargliela vedere, magari potrebbe risvegliarle qualche ricordo.» «Può fare una scansione e mandarmela per e-mail?» Bosch aveva un'idea di quello che gli stava chiedendo e, benché lui non sapesse da dove cominciare, immaginava che Kiz Rider avrebbe potuto farlo. «Penso di sì. È la mia collega che usa il computer, ma al momento non c'è.» «Le do il mio indirizzo mail, così potrà mandarmi la foto appena rientra.» Bosch trascrisse l'indirizzo sul suo taccuino. Disse alla donna che avrebbe ricevuto la mail la mattina seguente. «C'è altro, detective?» Bosch sapeva che avrebbe potuto terminare la conversazione e chiedere a Rider di provare a legare con Grace Tanaka dopo averle mandato la foto. Ma decise di non perdere l'occasione per iniziare a smuovere emozioni e ricordi. Magari qualcosa si sarebbe sciolto. «Ho ancora qualche domanda. Come descriverebbe il suo rapporto con Becky durante quell'estate?» «Cosa intende? Eravamo amiche. Ci conoscevamo fin dal primo anno di

scuola.» «Capisco. Ed era lei la più vicina a Becky nel vostro gruppo?» «No, credo che all'epoca fosse Tara.» Un'altra conferma che nell'ultimo periodo Tara Wood era la più legata a Becky. «Perciò non si confidò con lei quando scoprì di essere incinta.» «No, gliel'ho già detto, non lo seppi fino a dopo la sua morte.» «E lei? Lei si confidava con Becky?» «Certo.» «Su tutto?» «Dove vuole arrivare?» «Sapeva della sua omosessualità?» «Questo cosa c'entra?» «Sto cercando di ricostruire un quadro del vostro gruppo. Il Club delle Gattine. Penso che tutte e quattro...» «No» sbottò. «Non lo sapeva. Nessuna di loro ne era a conoscenza. Con tutta probabilità allora non lo sapevo neppure io. Va bene, detective? Le basta?» «Mi dispiace, signora Tanaka. Sto cercando di tracciare un quadro il più dettagliato possibile. Apprezzo la sua onestà. Un'ultima domanda. Se Becky avesse avuto bisogno di farsi accompagnare a casa da qualcuno dopo l'intervento, a chi si sarebbe rivolta?» Ci fu un lungo silenzio prima che Grace Tanaka rispondesse. «Non lo so. Avrei sperato che chiamasse me. Che fossi quel genere di amica. Ma è evidente che preferiva qualcun'altra.» «Tara Wood?» «Dovrà domandarlo a lei. Buonanotte, detective Bosch.» Riagganciò. Bosch aprì l'annuario per studiare la sua foto. Era una piccola asiatica. La foto - di tanti anni prima - non coincideva con il contegno scontroso della voce che aveva appena sentito al telefono. Bosch lasciò un appunto per Rider con l'indirizzo e-mail e le istruzioni di passare allo scanner la foto di Mackey e inviarla a Tanaka. Scrisse anche qualche riga per mettere in guardia Kiz sulle resistenze della donna quando aveva affrontato l'argomento dell'omosessualità. Fece scivolare il biglietto sulla scrivania della collega, in modo che fosse la prima cosa su cui avrebbe posato gli occhi la mattina seguente. Gli rimaneva una sola telefonata, quella a Daniel Kotchof, che, stando all'AutoTrack, viveva a Maui, dove l'orologio era due ore indietro.

Compose il numero, rispose una donna. Disse di essere la moglie di Daniel Kotchof, il marito - spiegò - era al lavoro al Four Seasons Hotel, dov'era impiegato come responsabile dell'ospitalità. Bosch chiamò il numero che la donna gli aveva dato e si fece passare Daniel Kotchof. L'uomo disse di aver pochissimo tempo a disposizione, ma lasciò Bosch in attesa per cinque minuti buoni mentre cercava un punto più riservato dell'hotel da cui parlare. Quando finalmente tornò in linea, la telefonata si rivelò del tutto improduttiva. Come Grace Tanaka, non riconobbe il nome di Roland Mackey. Parve anche considerare la conversazione come una seccatura, un'intrusione. Spiegò che era sposato, che aveva tre figli e che ormai pensava di rado a Becky Verloren. Ricordò a Bosch che lui e la sua famiglia si erano trasferiti un anno prima della morte della ragazza. «Ma sono stato portato a credere che, dopo che si trasferì alle Hawaii, avesse continuato a telefonarle piuttosto spesso» disse Bosch. «Non so chi le abbia detto questo» rispose Kotchof. «Voglio dire, parlavamo. Soprattutto all'inizio. Ero costretto a chiamarla io perché i suoi genitori dicevano che spendeva troppo a telefonarmi. Io pensavo che fosse una balla. Volevano solo che sparissi dal quadro, tutto qui. Perciò ero costretto a chiamare io, ma mi domandavo che senso avesse. Io ero alle Hawaii e lei a Los Angeles. Era finita, amico. E abbastanza presto mi trovai una ragazza qui - che poi è la mia attuale moglie - e smisi di chiamare Beck. Questo fino a dopo, sa, quando seppi quello che accadde e il detective mi telefonò.» «Lo sapeva già prima che il detective la chiamasse?» «Sì, me l'avevano detto. La signora Verloren aveva avvisato mio padre, fu lui a darmi la notizia. Ricevetti anche qualche telefonata da alcuni amici. Sapevano che avrei voluto essere informato. Era strano, sa, quella ragazza che conoscevo fatta fuori in quel modo.» «Già.» Bosch pensò a cos'altro avrebbe potuto chiedergli. La storia di Kotchof per alcuni aspetti differiva da quella di Muriel Verloren. In qualche modo avrebbe dovuto far quadrare i conti. E l'alibi di Kotchof continuava a infastidirlo. «Ehi, senta, detective, io devo andare» disse Kotchof. «Sono al lavoro. C'è altro?» «Soltanto qualche domanda ancora. Si ricorda quanto tempo prima della morte di Rebecca aveva smesso di telefonarle?» «Uhm, non lo so. Direi intorno alla fine della prima estate. Una cosa del

genere. Era un bel po', quasi un anno.» Bosch decise di cercare di scuotere Kotchof e vedere cosa ne sarebbe uscito. Era una tecnica che avrebbe preferito tentare di persona, ma non disponeva né del tempo né del denaro per un viaggio alle Hawaii. «Perciò la vostra relazione era assolutamente conclusa al momento della sua morte?» «Sì, assolutamente.» Bosch pensò che la possibilità di recuperare i tabulati telefonici di allora sarebbe stata remota. «Quando la chiamava ancora, era sempre alla stessa ora, una specie di appuntamento?» «Qualcosa del genere. Qui eravamo due ore indietro, perciò non potevo chiamare troppo tardi. Di solito telefonavo subito dopo cena, poco prima che lei andasse a letto. Ma, come ho detto, la cosa non durò molto a lungo.» «Okay. Ora le devo fare una domanda piuttosto personale. Ha mai fatto sesso con Rebecca Verloren?» Ci fu una pausa. «Questo cosa c'entra?» «Non glielo posso spiegare, Dan. Ma fa parte delle indagini e potrebbe avere rilevanza per il caso. Le dispiace rispondere?» «No.» Bosch attese, ma Kotchof non disse nient'altro. «È la sua risposta?» domandò alla fine. «Voi due non avete mai fatto sesso?» «No, mai. Lei diceva di non sentirsi pronta, e io non feci pressioni. Senta, ora devo andare.» «Okay, Dan, solo un paio di domande ancora. Sono certo che le farebbe piacere che prendessimo il tizio che ha fatto questo, no?» «Sì, certo, è solo che sono al lavoro.» «Sì, me l'ha detto. Mi lasci fare ancora qualche domanda. Quand'è stata l'ultima volta che ha visto Rebecca?» «Non ricordo la data esatta, ma penso fosse il giorno in cui partimmo. Quando ci dicemmo addio. Quella mattina.» «Perciò non tornò mai dalle Hawaii dopo che la sua famiglia si trasferì?» «No, non nei primi tempi. Voglio dire, da allora qualche volta sono tornato. Ho vissuto a Venice per un paio di anni dopo la fine della scuola, ma poi sono ritornato qui.»

«Ma mai nel periodo tra il trasferimento della sua famiglia e l'omicidio di Rebecca. È questo che sta dicendo?» «Sì, giusto.» «Perciò se una testimone con cui ho parlato mi avesse detto di averla vista in città nel week-end del 4 luglio, poco prima che Rebecca scomparisse, si sarebbe sbagliata?» «Sì, si sarebbe sbagliata. Senta, cos'è questo? Gliel'ho detto, non sono mai tornato. Avevo una nuova ragazza. Voglio dire, non andai neppure al funerale. Chi le ha detto di avermi visto? È stata Grace? A lei non sono mai piaciuto, quella lesbica. Cercava sempre di mettermi nei guai con Becky.» «Non posso dirle chi è stato, Dan. E farei lo stesso se lei volesse dirmi qualcosa di confidenziale.» «Chiunque sia stata, è una bugiarda di merda» disse Kotchof, con voce tremante. «È una maledetta bugia! Controlli il file, amico! Io avevo un alibi. Lavoravo il giorno in cui venne portata via, e anche il giorno successivo. Come avrei potuto arrivare laggiù e tornare indietro? Chiunque le abbia detto una cosa del genere è solo un contaballe del cazzo!» «Il suo alibi è una balla, Dan. Il suo vecchio avrebbe potuto costringere il supervisore a confermarlo. Niente di più facile.» Ci fu un momento di silenzio prima che arrivasse la risposta. «Non so di cosa stia parlando. Mio padre non costrinse nessuno a fare niente, e questo è un maledetto dato di fatto. Dovevamo timbrare il cartellino, il mio capo lo disse ai poliziotti, tutto qui. Ora lei se ne salta fuori diciassette anni dopo con questa merda? Mi sta prendendo per il culo?» «Okay, Dan, non se la prenda. A volte la gente commette degli errori. Soprattutto quando si torna indietro di tanti anni.» «Mi manca solo questo, di essere trascinato in una faccenda del genere. Amico, ho una famiglia qui.» «Le ho detto di non prendersela. Non la sto trascinando in nessuna faccenda. È solo una telefonata. Solo una chiacchierata, okay? Ora, c'è qualcos'altro che può o vuole dirmi per aiutarmi?» «No. Le ho detto tutto quello che so, cioè niente. E devo andare. Questa volta dico sul serio.» «Perciò fu turbato quando Rebecca le disse di essere incinta, senza dubbio di qualcun altro?» Non ci fu alcuna risposta, così Bosch cercò di stringere un po' la morsa. «Soprattutto visto che quando stavate insieme non avevate rapporti.»

Bosch realizzò di essersi spinto troppo oltre, e iniziò a tamburellare con le dita. Kotchof capì che Bosch recitava sia il ruolo del poliziotto buono sia quello del poliziotto cattivo. Quando rispose, la voce era calma e modulata. «Non me lo disse mai» rispose. «Non lo seppi se non quando, dopo, si diffuse la notizia.» «Davvero? E chi glielo disse?» «Non ricordo. Uno dei miei amici, immagino.» «Ah sì? Perché Rebecca teneva un diario, dove lei è molto presente, amico. E la ragazza dice di averglielo detto, e che lei non fu per niente contento di saperlo.» Ora Kotchof rise e Bosch capì di aver sputtanato tutto. «Detective, lei è pieno di merda. Dice un sacco di balle, amico. Voglio dire, guardo anch'io Law and Order, sa?» «E guarda anche CSI?» «Sì, e allora?» «Be', abbiamo il DNA dell'assassino. Se riusciremo a trovare a chi appartiene, avremo un arresto. Il DNA è una prova definitiva.» «Bene, allora controllate il mio, così per me tutta questa storia finirà.» Bosch sapeva che ormai era lui a inseguire, perciò doveva concludere la telefonata. «Va bene, allora, Dan, la terremo informata. Nel frattempo, grazie per l'aiuto. Un'ultima domanda. Cos'è un responsabile dell'ospitalità?» «Si riferisce al mio lavoro qui all'hotel? Mi occupo delle feste, dei convegni, dei matrimoni, cose del genere. Mi assicuro che tutto fili liscio quando arrivano i grandi gruppi.» «Va bene, allora, la lascio al suo lavoro. Le auguro buona giornata.» Bosch riattaccò e rimase seduto alla scrivania a ripensare alla telefonata. Era imbarazzato, si era fatto prendere la mano e si era lasciato fregare da Kotchof. Sapeva che le sue tecniche di interrogatorio erano rimaste a riposo per tre anni, ma questo non attenuava la scottatura. Doveva migliorare, e farlo in fretta. A parte questo, la telefonata aveva fatto emergere diverse questioni da considerare. La reazione rabbiosa all'accusa di essere stato visto a Los Angeles prima dell'omicidio non significava granché. Dopotutto, Bosch si era inventato la testimonianza, e la rivolta di Kotchof appariva più che giustificata. Ma il punto degno di nota era che la rabbia si era indirizzata verso Grace Tanaka. Sarebbe valsa la pena di indagare sui rapporti tra loro due,

magari con l'aiuto di Kiz Rider. Rifletté anche sull'affermazione di Kotchof di non essere al corrente della gravidanza di Rebecca Verloren. Bosch d'istinto gli credeva. Dopotutto, questo non lo eliminava dalla lista dei sospetti, ma quantomeno lo relegava nelle retrovie. Avrebbe discusso tutte le risposte di Kotchof con Rider e avrebbe visto se lei la pensava allo stesso modo. L'informazione più interessante che aveva ricavato dalla telefonata era la discrepanza tra i ricordi di Kotchof e quelli di Muriel Verloren, la madre della vittima. Muriel Verloren aveva detto che Kotchof aveva continuato a chiamare la figlia con precisione religiosa, fino al momento della morte. Kotchof sosteneva di non aver fatto nulla del genere. Bosch non trovava alcuna ragione per cui l'uomo dovesse mentire in proposito. Se non aveva mentito, allora i ricordi di Muriel Verloren erano sbagliati. Oppure era stata la figlia a mentire su chi la chiamava tutte le sere prima di andare a letto. Dato che la ragazza teneva nascosta una relazione e la gravidanza che ne era derivata, era plausibile che tutti i giorni arrivasse una telefonata, ma non da Kotchof. Era qualcun altro a chiamare, qualcuno a cui Bosch cominciò a pensare come a Mr. X. Dopo aver cercato il numero di Muriel Verloren sul fascicolo del delitto, Bosch le telefonò. Si scusò per il disturbo e disse di avere qualche altra domanda. Muriel rispose che la telefonata non la disturbava affatto. «Che domande vuole farmi?» «Ho visto il telefono sul comodino accanto al letto di sua figlia. Era una linea indipendente o una derivazione del numero di casa?» «Aveva il suo numero. Una linea privata.» «Perciò quando Daniel Kotchof la chiamava alla sera, era solo lei a rispondere al telefono, dico bene?» «Sì, nella sua stanza. Non c'erano altre derivazioni.» «Perciò lei sapeva che Danny la chiamava solo perché lo diceva sua figlia.» «No, a volte sentivo squillare il telefono.» «Quello che intendo, signora Verloren, è che lei non ha mai risposto a quelle telefonate e parlato con Daniel Kotchof, giusto?» «Giusto. Era la sua linea personale.» «Perciò quando quel telefono squillava e sua figlia parlava con qualcuno, l'unico modo che aveva di sapere chi fosse era che glielo dicesse Becky. È corretto?» «Uh, sì, direi di sì. Sta dicendo che non era Danny a chiamare tutte le se-

re?» «Non ne sono ancora sicuro. Ma ho parlato con Danny alle Hawaii e lui mi ha detto di aver smesso di chiamare Becky molto prima che venisse portata via. Aveva una nuova ragazza alle Hawaii.» L'informazione fu accolta con una lunga pausa. Alla fine Bosch riempì il vuoto. «Ha un'idea di chi potesse essere la persona con cui parlava, signora Verloren?» Dopo un altro silenzio, Muriel Verloren offrì una risposta con voce debole. «Magari una delle sue amiche.» «È possibile» disse Bosch. «Le viene in mente qualcun altro?» «Non mi piace tutto questo» disse in fretta. «È come se stessi riscoprendo di nuovo tutto quanto.» «Mi dispiace, signora Verloren. Cercherò di non ferirla con questo genere di informazioni, a meno che non sia necessario. Lei e suo marito siete mai giunti a qualche conclusione riguardo alla gravidanza?» «Cosa intende? Lo scoprimmo solo dopo.» «Questo l'ho capito. Intendo se pensate che fosse il frutto di una relazione segreta o l'errore di un giorno, sa, con qualcuno con cui non aveva una vera e propria relazione.» «Intende una storia di una notte? È questo che sta insinuando su mia figlia?» «No, signora, non sto insinuando nulla su sua figlia. Non voglio turbarla, ma desidero scoprire chi è stato a uccidere Rebecca. E ho bisogno di sapere tutto quello che c'è da sapere.» «Non potremo mai spiegarlo, detective» rispose con freddezza. «Lei ci ha lasciati e noi abbiamo deciso di non torturarci per cercare la verità. Abbiamo rimesso tutto nelle mani della polizia e abbiamo tentato di ricordare la figlia che conoscevamo e amavamo. Mi ha detto di avere una figlia, detective, spero che possa comprendere.» «Penso di sì. Grazie per le sue risposte. Ancora una domanda - e non intendo in nessun modo obbligarla - ma sarebbe disposta a parlare con un giornalista di sua figlia e del caso?» «Perché dovrei? Non l'ho mai fatto. Non credo che sarebbe giusto mettere in piazza la nostra storia.» «L'ammiro per questo. Ma questa volta voglio che lei lo faccia perché potrebbe aiutarci ad attirare la preda.»

«Vuol dire che potrebbe far uscire allo scoperto il colpevole?» «Esatto.» «Allora lo farò subito.» «Grazie, signora Verloren. Le farò sapere.» 16 Abel Pratt uscì dall'ufficio con indosso la giacca. Notò Bosch seduto alla scrivania nel suo bugigattolo, mentre batteva a macchina con due dita un rapporto sulla conversazione telefonica con Muriel Verloren. Sul tavolo c'erano i resoconti delle telefonate con Grace Tanaka e Daniel Kotchof. «Dov'è Kiz?» domandò Pratt. «A casa, a lavorare sulla richiesta di autorizzazione per le intercettazioni. Riesce a pensare meglio là.» «Quando arrivo a casa io, non posso più pensare. Posso solo difendermi. Ho due gemelli.» «Buona fortuna.» «Già, ne ho bisogno. Ora vado. Ci vediamo domani, Harry.» «Okay.» Ma Pratt non si allontanava. Bosch alzò lo sguardo dalla macchina da scrivere. Pensò che, forse, c'era qualcosa che non andava. Forse era la macchina da scrivere. «L'ho trovata su una scrivania in fondo» disse Bosch. «Mi sembrava che non la stesse usando nessuno.» «Non la usa nessuno. Ormai quasi tutti usano i computer. Sei proprio uno della vecchia scuola, Harry.» «Immagino di sì. Di solito è Kiz a redigere i rapporti, ma ho un po' di tempo da ammazzare.» «Lavori fino a tardi?» «Devo andare al Nickel.» «Fifth Street? Cosa cerchi da quelle parti?» «Il padre della nostra vittima.» Pratt scosse il capo tristemente. «Un altro di quelli. Ne abbiamo visti tanti finire così.» Bosch annuì. «Effetti collaterali» disse. «Già, effetti collaterali» convenne Pratt. Bosch pensò di proporgli di uscire insieme, di fare quattro chiacchiere

per potersi conoscere un po' meglio, ma il suo cellulare cominciò a squillare. Lo estrasse dalla cintura e vide il nome di Sam Weiss sul display. «Meglio che risponda.» «Va bene, Harry. Sii prudente laggiù.» «Grazie, capo.»; Aprì il telefono. «Detective Bosch» disse. «Detective?» Bosch ricordò allora di non aver lasciato alcuna informazione nel messaggio a Weiss. «Signor Weiss, il mio nome è Harry Bosch. Sono un detective della LAPD. Vorrei rivolgerle qualche domanda riguardo a un'indagine che sto svolgendo.» «Ho tutto il tempo che desidera, detective. Riguarda la mia pistola?» La domanda colse Bosch alla sprovvista. «Cosa glielo fa pensare, signore?» «Be', so che è stata usata in un delitto che non è mai stato risolto. Ed è l'unica cosa su cui penso che la polizia possa volermi interrogare.» «Be', sì, signore, riguarda la pistola. Posso parlare con lei?» «Se significa che sta cercando di scoprire chi ha ucciso quella ragazza, allora mi può chiedere tutto quello che vuole.» «Grazie. La prima cosa che vorrei sapere è quando e come ha saputo o le è stato detto che l'arma che le era stata rubata era servita per un omicidio.» «Era sui giornali - parlavano dell'omicidio - e io feci due più due. Chiamai il detective assegnato alle indagini sul furto nel mio appartamento, chiesi e ottenni le risposte che avrei preferito non avere.» «Perché dice così, signor Weiss?» «Perché ho dovuto convivere con il senso di colpa.» «Ma lei non ha fatto nulla di sbagliato, signore.» «Questo lo so, ma non serve a farmi sentire meglio. Comprai la pistola perché avevo dei problemi con un gruppo di teppisti. Desideravo proteggermi. Poi l'arma che avevo acquistato divenne lo strumento della morte di quella ragazzina. Non pensi che non abbia riflettuto su come avrei potuto cambiare volto a questa storia. Voglio dire, cosa sarebbe successo se non fossi stato così ostinato? Se avessi deciso di fare i bagagli e di trasferirmi, invece che comprare quella maledetta cosa? Capisce cosa intendo?» «Capisco.» «Ora, detto questo, cos'altro vuole sapere, detective?»

«Ho alcune domande. Chiamare lei è stato come sparare nel buio. Ho pensato che sarebbe stato più facile che cercare da solo di orientarmi in mezzo a rapporti e racconti vecchi di diciassette anni. Ho il primo rapporto sul furto e l'investigatore indicato è John McClellan. Lo ricorda?» «Certo che lo ricordo.» «Ha mai risolto il caso?» «Per quanto ne so io, no. All'inizio John pensava che potesse essere collegato con i teppisti che mi minacciavano.» «Ed era così?» «John mi disse di no. Ma io non ne fui mai del tutto convinto. I ladri mi rivoltarono la casa. Non sembrava che stessero semplicemente cercando qualcosa da rubare. Volevano distruggere tutto, le mie cose. Entrai nell'appartamento e, amico, la rabbia era palpabile.» «Perché dice ladri? La polizia ritenne che si fosse trattato di più di una persona?» «John si era fatto l'idea che dovessero essere minimo due o tre. Io ero stato fuori solo un'ora, ero andato al negozio. Un uomo solo non avrebbe potuto causare tutti quei danni in così poco tempo.» «Il rapporto dice che vennero sottratti la pistola, una collezione di monete e un po' di contante. Più tardi risultò che mancava qualcos'altro?» «No, nient'altro. Era abbastanza. Almeno le monete mi furono restituite, erano la cosa di maggior valore. La collezione di mio padre, di quando era ragazzino.» «Come fece a riottenerle?» «Grazie a John McClellan. Me le riportò un paio di settimane più tardi.» «Le disse dove le aveva recuperate?» «Parlò di un monte dei pegni a West Hollywood. E poi, certo, sappiamo che fine fece la pistola. Ma quella non mi fu mai restituita. Io comunque non l'avrei presa.» «Capisco, signore. Il detective McClellan le disse mai chi pensava che avesse svaligiato casa sua? Aveva qualche teoria?» «Pensava che si trattasse di qualche altro gruppo di teppisti. Non gli Otto di Chatsworth.» Sentir nominare gli Otto di Chatsworth risvegliò qualcosa in Bosch, ma non riuscì a capire cosa. «Signor Weiss, faccia conto che io non sappia nulla. Chi erano gli Otto di Chatsworth?» «Era una gang della Valley. Erano tutti ragazzetti bianchi. Skinhead. Nel

1988 commisero diversi crimini da queste parti. Crimini d'odio, così li definivano i giornali. All'epoca era il termine in voga per definire i crimini con motivazioni razziali o religiose.» «E lei era il bersaglio di questa gang?» «Sì, cominciai a ricevere delle telefonate. La tipica roba da "ammazza l'ebreo."» «Ma poi la polizia le disse che non erano stati gli Otto a svaligiare casa sua.» «Esatto.» «Strano, no? Non videro alcun collegamento?» «È quello che pensai anch'io allora, ma era lui il detective, non io.» «Perché gli Otto la scelsero come bersaglio, signor Weiss? So che è ebreo, ma cosa li indusse a scegliere proprio lei?» «Semplice. Uno di quei piccoli stronzi viveva nel mio quartiere. Billy Burkhart, stava a quattro isolati da casa mia. Io avevo messo una menorah alla finestra durante Hanukah e così cominciò tutto.» «Che ne è stato di Burkhart?» «Andò in galera. Non per quello che fece a me, ma a degli altri. Presero lui e i suoi compagni per qualche altro crimine. Avevano dato fuoco a una croce a pochi isolati da qui. Nel giardino di una famiglia di neri. E fecero dell'altro, cattiverie, atti vandalici. Tentarono anche di dar fuoco a una sinagoga.» «Ma non svaligiarono casa sua.» «Esatto. È quello che mi disse la polizia. Vede, non c'erano scritte o segni che facessero pensare a motivazioni religiose. L'appartamento era stato semplicemente rivoltato. Perciò non classificarono il furto come un crimine d'odio.» Bosch esitò, si chiedeva se ci fosse altro da domandare. Decise di non saperne abbastanza per poter porre domande argute. «Va bene, signor Weiss, la ringrazio per il tempo che mi ha concesso. E mi dispiace aver ridestato brutti ricordi.» «Non si preoccupi di questo, detective. Mi creda, non erano sopiti.» Bosch chiuse il telefono. Cercò di pensare a chi potesse telefonare per avere chiarimenti su quella vicenda. Non conosceva John McClellan e le probabilità che si trovasse ancora alla Divisione Devonshire diciassette anni dopo erano esigue. Poi gli venne un'idea: Jerry Edgar. Il suo vecchio compagno alla Divisione Hollywood in precedenza era stato assegnato alla Devonshire. Doveva essere assegnato lì nel 1988.

Bosch chiamò la Omicidi a Hollywood, ma trovò la segreteria telefonica. Erano usciti tutti presto. Compose il numero dell'ufficio investigativo centrale e chiese se Edgar fosse da quelle parti. Bosch sapeva che i detective dovevano firmare prima di uscire. L'usciere che rispose al telefono disse che Edgar aveva firmato e per quel giorno non era più in servizio. La terza telefonata fu al cellulare di Edgar. Il vecchio collega rispose subito. «Ehi, voi della Hollywood ve ne andate a casa presto» disse Bosch. «Chi cavolo...? Harry, sei tu?» «Sono io. Come te la passi, Jerry?» «Mi chiedevo quando avrei avuto tue notizie. Hai ripreso oggi?» «Il più vecchio pivello del mondo. E ho già per le mani una gatta da pelare. Kiz e io stiamo lavorando a un caso insoluto.» Edgar non replicò e Bosch si rese conto che menzionare Rider era stato un errore. Il fossato tra loro non solo esisteva ancora, ma a quanto pare si era congelato. «Comunque, ho bisogno del tuo cervellone. Per una storia che risale ai tempi del Club Dev.» «Quando?» «1988. Gli Otto di Chatsworth. Te li ricordi?» Ci fu un silenzio durante il quale Edgar rifletté per un momento. «Sì, ricordo gli Otto. Erano un branco di buzzurri che pensavano che rasarsi la testa e tatuarsi facesse di loro degli uomini. Fecero un sacco di merdate, poi li beccarono. Non durarono molto.» «Ricordi un tizio di nome Roland Mackey? Doveva avere sui diciotto anni all'epoca.» Dopo una pausa Edgar disse di non ricordare il nome. «Chi lavorava agli Otto?» domandò Bosch. «Non il Club Dev, amico. Tutto quello che li riguardava finiva dritto nella tana del coniglio.» «PDU?» «L'hai detto.» PDU, la Public Disorder Unity, l'Unità Ordine Pubblico. Una squadra che lavorava nell'ombra, raccoglieva dati e informazioni di intelligence sulle organizzazioni criminali, ma seguiva direttamente pochi casi. Nel 1988 la PDU era sotto l'egida dell'allora comandante Irvin Irving. L'unità non esisteva più. Quando Irving era salito al livello di vicecapo, aveva smantellato la PDU, cosa che molti nel dipartimento considerarono una

mossa per insabbiare le attività dell'unità e prenderne le distanze. «Questo non mi facilita il compito» disse Bosch. «Mi dispiace. A cosa lavori?» «All'omicidio di una ragazza sulla Oat Mountain.» «Quella che era stata portata via da casa?» «Sì.» «Me la ricordo. Non ci lavoravo in prima persona, ma ne avevamo parlato alla Omicidi. Sì, me la ricordo. Dici che c'entravano gli Otto?» «No. Solo che è saltato fuori un nome che potrebbe avere un legame con gli Otto. Otto significa quello che penso?» «Sì, amico, otto sta per "H". Ottantotto per "HH". E "HH" per Heil...» «...Hitler. Sì, l'ho pensato anch'io.» Allora Bosch realizzò che Kiz Rider aveva visto giusto quando aveva pensato che l'anno dell'omicidio fosse significativo. Sia l'omicidio sia tutti gli altri crimini commessi dagli Otto erano stati perpetrati nel 1988. Tutto rientrava in una confluenza di particolari solo all'apparenza insignificanti. E ora anche Irvin Irving e la PDU erano finiti nello stesso calderone. La corrispondenza fra un insoluto e il DNA di uno sfigato autista di carro attrezzi cominciava a germogliare e a trasformarsi in qualcosa di più grande. «Jerry, ricordi un tizio della Devonshire e che si chiamava John McClellan?» «John McClellan? No, non me lo ricordo. A cosa lavorava?» «Si occupava di un caso di furto collegato all'omicidio.» «No, sono sicuro che non fosse nella squadra Furti. Io lavoravo ai furti prima di passare alla Omicidi. Non c'era nessun John McClellan. Chi è?» «Come ti ho detto, solo un nome in un rapporto. Lo scoprirò.» Per Bosch questo significava che McClellan apparteneva alla PDU e che le indagini del furto a casa di Sam Weiss erano state inglobate in quelle sugli Otto di Chatsworth. Non gli importava discutere tutto questo con Edgar. «Jerry, perciò eri nuovo al tavolo degli omicidi in quel periodo?» «Esatto.» «Conoscevi bene Green e Garcia?» «No. Io ero appena arrivato e loro non rimasero alla Omicidi ancora per molto. Green andò in pensione e un anno dopo Garcia divenne sergente.» «Da quello che hai potuto vedere, che opinione ti sei fatto di loro?» «In che senso?» «Come uomini della Omicidi.»

«Be', Harry, ero un novellino allora. Voglio dire, che ne sapevo? Stavo ancora imparando. Ma la voce su di loro era che Green fosse il motore. Garcia era solo la governante. La gente diceva che Garcia non sarebbe stato capace di trovare la merda nei propri baffi con uno specchio e un pettine.» Bosch non rispose. Etichettandolo come una governante, Edgar intendeva dire che Garcia viveva alle spalle del suo compagno. Green era il vero poliziotto della Omicidi, e Garcia era quello che gli copriva le spalle, teneva in ordine i libri e aggiornava i dati. Molte partnership si riducevano a questo genere di relazione. Un segugio di prima categoria e il suo assistente. «Immagino che non ne abbia poi avuto bisogno» disse Edgar. «Bisogno di cosa?» «Di trovare la merda nei propri baffi. Ha fatto strada, è diventato sergente e si è tirato fuori. Sai che al momento è secondo in comando nella Valley?» «Sì, lo so. In effetti, se dovessi incontrarlo, faresti meglio a non menzionare quella storia dei baffi.» «Già, meglio lasciar perdere.» Bosch rifletté su ciò che questo poteva aver comportato nell'indagine Verloren. Una piccola crepa si stava allargando sotto la superficie. «È tutto, Harry?» «Ho sentito dire che Green si è mangiato la pistola un anno dopo essersene andato in pensione.» «Sì, me l'hanno detto. Ricordo che non ne fui sorpreso. Aveva sempre l'aspetto di chi si porta dietro un carico pesante. Andrai a ficcare il naso nella PDU, Harry? Lo sai che era la squadra di Irving, vero?» «Sì, Jerry, lo so. Dubito che mi ci immischierò.» «Sii prudente se decidi di farlo, amico mio.» Bosch voleva cambiare argomento prima di riagganciare. Edgar era sempre stato un pettegolo. Harry non voleva che il suo ex compagno si lasciasse scappare che Bosch si voleva mettere tra i piedi di Irving ora che aveva recuperato il distintivo. «Allora, come vanno le cose alla Hollywood?» domandò. «Siamo appena tornati nei vecchi uffici dopo il terremoto. Ti sei perso l'intera faccenda. Siamo stati sbattuti in archivio per più di un anno.» «Com'è?» «Ora sembra l'ufficio di un'assicurazione. Tra una scrivania e l'altra ci

sono le pareti insonorizzate. Tutto in grigio governativo. Grazioso, ma non è lo stesso.» «Già. So cosa vuoi dire.» «Poi hanno dato ai capoccia il doppio dello spazio: scrivanie con i cassetti su due lati. Noialtri abbiamo quelle con una cassettiera sola.» Bosch sorrise. Piccoli affronti come quelli venivano ingigantiti al dipartimento, e gli amministratori che prendevano simili decisioni non imparavano mai dai propri errori. Come quando buona parte degli Affari Interni era stata trasferita dal Parker Center al vecchio Bradbury Building e si era sparsa la voce che il capitano laggiù avesse il camino in ufficio. «Allora, cosa farai, Jerry?» «Le stesse vecchie cose, le stesse vecchie cose, ecco cosa farò. Alzerò il culo e butterò giù le porte.» «Ci sentiamo, amico.» «Guardati le spalle, Harry.» «Sempre.» Dopo aver riagganciato, Bosch rimase seduto immobile alla scrivania per qualche momento, mentre ripensava alla conversazione e alla nuova luce che gettava sul caso. Se ci fosse stato un legame tra le indagini e la PDU, allora si sarebbe aperta una partita del tutto nuova. Abbassò lo sguardo sul fascicolo del delitto, ancora aperto sul rapporto del furto, e fissò la firma scarabocchiata di John McClellan. Alzò il telefono e compose il numero del Dipartimento Operativo al Parker Center. Chiese di parlare con l'agente di servizio per sapere a quale dipartimento fosse stato assegnato un detective di nome John McClellan. Lesse il numero di distintivo sul rapporto del furto. Quando venne messo in attesa, si aspettò di sentirsi dire che McClellan era in pensione da tempo. Erano passati diciassette anni. Ma quando l'agente di servizio tornò in linea riferì che l'agente di nome John McClellan era ora un sergente ed era stato assegnato all'Ufficio dei Piani Strategici. Le sinapsi si attivarono nel cervello di Bosch. Diciassette anni prima McClellan lavorava per Irving alla PDU. Ora l'assegnazione e il grado erano diversi, ma lavorava ancora per lui. E Irving aveva incontrato Bosch per caso alla caffetteria del Parker Center proprio nel giorno in cui era stato riaperto un caso legato alla PDU. «Porca miseria» sussurrò Bosch mentre riagganciava. Come una corazzata che avvia le manovre per la virata, il caso stava lentamente e inesorabilmente prendendo un'altra direzione. Bosch avvertiva

qualcosa che gli si andava formando in fondo al petto. Pensò alla coincidenza di Irving che aveva incrociato i suoi passi. Sempre che di coincidenza si trattasse. Bosch si domandò se il vicecapo sapesse già, in quel momento, a quale caso avrebbero applicato il cold hit, e dove li avrebbe condotti. Il dipartimento seppelliva segreti tutti i giorni. Era un dato di fatto. Ma chi avrebbe detto, diciassette anni prima, che un test chimico effettuato in un laboratorio di Sacramento avrebbe conficcato una pala nella terra sdrucciolevole e avrebbe riportato in superficie il passato, riportato alla luce quel segreto? 17 Mentre guidava verso casa, Bosch rifletté sulle molte diverse ramificazioni dell'indagine che si stavano avvolgendo come tentacoli attorno al cadavere di Rebecca Verloren. Sapeva che doveva tenere lo sguardo fisso sull'obiettivo. Quello che aveva scoperto era la chiave risolutiva. Le dinamiche politiche del dipartimento, la possibile corruzione, le coperture, facevano pensare a un high jingo, uno di quei casi che suscitavano l'interesse di chi stava ai piani alti. Tutto questo poteva essere pericoloso e fuorviante, distrarlo dalla meta. Doveva evitarlo e allo stesso tempo guardarsene con attenzione. Alla fine riuscì a mettere da parte i pensieri dell'ombra di Irving sulle indagini e a concentrarsi sul caso. La riflessione, in qualche modo, lo portò alla camera da letto di Rebecca, a come la madre l'avesse lasciata immutata nel tempo. Si domandò se fosse stata la perdita della figlia a indurre un tale comportamento, o le circostanze della perdita. È diverso se non hai più un figlio per cause naturali, per un incidente o in conseguenza di un divorzio? Bosch vedeva di rado la figlia. Questo gli pesava. Sapeva che, lontana o vicina che fosse, la bambina lo lasciava del tutto vulnerabile, che rischiava di finire come la madre che preservava la camera da letto della figlia come un museo, o il padre che da tempo si era perso per il mondo. Qualcosa riguardo alla stanza lo turbava, al di là di queste domande. Non riusciva ad afferrare di cosa si trattasse, ma sapeva che c'era una nota stonata, che lo tormentava. Guardò dalla sopraelevata verso Hollywood, alla sua sinistra. C'era ancora un po' di luce in cielo, ma cominciava a calare la sera. Le tenebre avevano atteso abbastanza. Le luci che provenivano dall'incrocio tra la Hollywood e la Vine si intersecavano all'orizzonte. Gli

sembravano belle. Si sentiva a casa. Quando giunse nel suo appartamento in cima alla collina, controllò la cassetta della posta e la segreteria telefonica, quindi si tolse l'abito che aveva acquistato per il rientro in servizio. Lo appese con cura nell'armadio, pensando che lo avrebbe potuto usare almeno ancora una volta prima di portarlo in tintoria. Si infilò i blue-jeans, le scarpe da tennis e un pullover nero. Mise una giacca sportiva, logora sulla spalla destra, a causa del vizio di passare sempre troppo vicino agli angoli. Trasferì la pistola, il distintivo e il portafogli. Tornò in auto e si diresse in centro, verso il Toy District. Decise di fermarsi a Japantown, nel parcheggio del museo, per non doversi preoccupare che qualcuno si infilasse nell'auto o compisse atti vandalici. Da lì camminò fino alla Fifth Street, e a mano a mano che procedeva incontrava una massa sempre più densa di derelitti. La maggior parte dei ricoveri per i senzatetto della città e delle missioni che davano loro da mangiare era allineata in un tratto di cinque isolati sulla Fifth Street, a sud della Los Angeles Street. I marciapiedi davanti alle missioni e ai miseri alberghetti erano punteggiati da scatoloni di cartone e carrelli della spesa ricolmi dei miseri, luridi averi di quella gente perduta. Era come se una sorta di bomba avesse causato una frantumazione sociale, e le schegge di disadattati e disperati fossero state scagliate ovunque. Lungo tutta la strada c'erano uomini e donne urlanti, le cui grida incomprensibili erano come lugubri nonsensi nella notte. Pareva una città con le proprie regole e le proprie ragioni, una città lacerata, con una ferita tanto profonda che le bende che le missioni vi applicavano non potevano fermare l'emorragia. Mentre camminava, Bosch notò che nessuno, neppure una volta, gli si avvicinò per chiedergli soldi o sigarette. Non gli sfuggì l'ironia del caso: a quanto pareva, il quartiere della città con la più alta concentrazione di senzatetto era l'unico posto dove un cittadino era al sicuro dall'accattonaggio. La Los Angeles Mission e l'Esercito della Salvezza avevano qui i loro principali centri d'accoglienza. Bosch decise di partire da loro. Aveva con sé una foto di Robert Verloren, presa dalla patente vecchia di dodici anni, e uno scatto ancora più datato, risalente al funerale della figlia. Le mostrò alle persone che operavano nei centri di assistenza e nelle cucine, dove si preparava cibo gratis per centinaia di persone ogni giorno. Non ottenne molte risposte, finché un tizio che lavorava in cucina riconobbe Verloren come un "cliente" che qualche anno prima andava a mangiare lì con una certa regolarità. «È un po' ormai che non lo vedo più» disse l'uomo.

Dopo aver trascorso un'ora in ciascuno dei centri, Bosch si dedicò alle strade, entrò nelle missioni più piccole e negli alberghetti per mostrare le foto. Qualcuno riconobbe Verloren, ma nessuno lo aveva visto di recente. Niente di utile per rintracciare l'uomo, che era scomparso dagli schermi dei radar dell'umanità ormai da parecchi anni. Ci lavorò ancora fino alle dieci e trenta, poi decise di tornare il giorno dopo per finire di perlustrare le strade. Mentre camminava verso Japantown, fu sopraffatto dalla depressione, per via dell'universo nel quale si era appena immerso e delle esigue speranze di riuscire a trovare Robert Verloren. Camminava a testa bassa, le mani in tasca, perciò non scorse i due uomini prima che loro vedessero lui. Sbucarono dal vicolo tra due negozi di giocattoli proprio mentre Bosch passava. Uno gli bloccò la strada. L'altro si mise dietro. Bosch si fermò. «Ehi, missionario» disse l'uomo di fronte a lui. Nel tenue bagliore di un lampione a mezzo isolato da loro Bosch scorse il riflesso di una lama lungo il fianco dell'uomo. Si voltò appena per controllare il tizio alle sue spalle. Era più piccolo. Bosch non ne era sicuro, ma sembrava che stringesse nella mano solo un blocco di cemento. Un pezzo di marciapiede rotto. Entrambi erano vestiti a strati, una vista consueta in questa zona della città. Uno era nero e l'altro bianco. «Le cucine sono tutte chiuse e noi abbiamo ancora fame» disse quello con il coltello. «Hai qualche bigliettone per noi? Sai, qualcosa che potremmo prendere in prestito.» Bosch scosse la testa. «No, non ho niente.» «Non hai niente? Ne sei sicuro, amico? Hai l'aspetto di uno che ha in tasca un portafogli bello pieno, sai? Non prenderci in giro.» Una rabbia nera crebbe dentro Bosch. In un istante di straordinaria lucidità seppe cosa avrebbe dovuto fare e cosa avrebbe fatto. Avrebbe estratto la pistola e avrebbe ficcato una pallottola in corpo a ciascuno di quei due individui. Sapeva che se la sarebbe cavata con una semplice indagine interna. Il riflesso della lama rappresentava la via d'uscita, e Bosch ne era consapevole. Nessuno dei due aveva idea di chi fosse la persona in cui si erano imbattuti. Era come quando, molti anni addietro, si trovava in quei tunnel. Tutto si riduceva a uno spazio infinitamente esiguo. Non c'era altra scelta che uccidere o essere uccisi. C'era qualcosa di puro in tutto ciò, assoluto, niente zone grigie, niente spazio per qualsiasi altra considerazione. Poi, di colpo, l'istante mutò. Bosch vide che il tipo con il coltello lo fissava con attenzione, aveva letto qualcosa nei suoi occhi, un predatore che

prendeva le misure dell'altro. L'uomo col coltello parve divenire più piccolo, in maniera quasi impercettibile. Indietreggiò, ma senza farlo fisicamente. Bosch era a conoscenza dell'esistenza di persone di cui si credeva che sapessero leggere nel pensiero della gente. La verità era che sapevano leggere la mente. La loro abilità consisteva nel saper riconoscere la miriade di muscoli degli occhi, della bocca, delle sopracciglia. Da questo decifravano le intenzioni. Bosch era abbastanza abile. La sua ex moglie si guadagnava da vivere giocando a poker, perché era ancora più brava di lui. L'uomo con il coltello era altrettanto dotato. E questa volta la sua abilità gli aveva salvato la vita. «Non importa» disse. Fece un passo indietro verso il vicolo tra i magazzini. «Buonanotte, missionario» disse, mentre scompariva nell'oscurità. Bosch si voltò completamente e guardò l'altro tizio, anche questo scivolò nel suo nascondiglio, per aspettare la vittima successiva. Bosch guardò la strada, da una parte e dall'altra. Ora pareva deserta. Si voltò e si diresse verso l'automobile. Mentre camminava estrasse il cellulare e chiamò l'ufficio pattuglie della Divisione Centrale. Riferì all'agente di guardia dei due uomini che aveva incontrato e chiese di inviare una pattuglia. «Questo genere di cose capitano di continuo in quell'inferno» disse l'agente. «Cosa vuole che faccia?» «Voglio che mandi un'auto ad arrestarli. Ci penseranno due volte prima di fare del male a qualcuno.» «Be', perché non li ha arrestati lei?» «Perché sto lavorando a un caso, agente, e non posso perdere tempo a fare il vostro lavoro o a sbrigare le vostre carte.» «Senti, amico, non venirmi a dire come devo fare il mio lavoro. Voi in borghese siete tutti uguali. Pensate...» «Senta, agente, domattina controllerò l'elenco dei crimini. Se leggerò che a qualcuno è successo qualcosa quaggiù, e che si sospetta di un bianco e un nero che hanno agito in coppia, allora lei avrà più gente in borghese attorno che ai grandi magazzini. Glielo garantisco.» Bosch chiuse il telefono, cassando un'ultima protesta dell'agente di guardia. Accelerò il passo, raggiunse l'auto e tornò sulla freeway 101. Quindi si diresse di nuovo verso la Valley.

18 Trovare un posto sicuro da cui osservare la Tampa Towing era difficile. I negozi ai due angoli opposti della piazza erano chiusi e i parcheggi vuoti. Bosch non sarebbe passato inosservato se si fosse fermato in uno dei due. La stazione di servizio concorrente, dall'altra parte, era ancora aperta, e pertanto inutilizzabile per la sorveglianza. Dopo aver considerato la situazione, Bosch parcheggiò sulla Roscoe, a un isolato di distanza, e tornò all'incrocio a piedi. Prese in prestito l'idea dagli aspiranti rapinatori di poco più di un'ora prima e trovò una rientranza buia, lungo la facciata di uno dei due grandi magazzini, da cui poteva vedere la stazione di servizio. Sapeva che il problema, con questa tattica, sarebbe poi stato quello di riuscire a raggiungere l'auto in fretta in modo da non perdersi Mackey alla fine del turno. La pubblicità che aveva letto sull'elenco telefonico diceva che la Tampa Towing offriva un servizio ventiquattro ore su ventiquattro, ma era quasi mezzanotte, e Bosch avrebbe scommesso che Mackey, che era entrato in servizio alle quattro del pomeriggio, avrebbe staccato presto. Sarebbe stato rimpiazzato da qualcuno che avrebbe fatto il turno di notte, oppure sarebbe stato tenuto a rimanere reperibile per tutta la notte al cellulare. Era in momenti come quello che a Bosch veniva voglia di ricominciare a fumare. Sembrava che le sigarette potessero servire a far correre il tempo più veloce e a smussare gli angoli dell'ansia che gli appostamenti gli procuravano sempre. Ma erano ormai più di quattro anni, e non voleva vanificare tutti gli sforzi. Scoprire, due anni prima, di essere padre, gli era servito a superare le occasionali debolezze. Pensava che, se non fosse stato per sua figlia, con tutta probabilità avrebbe ricominciato a fumare. Aveva imparato a controllare la dipendenza. Non avrebbe avuto alcun senso soccombere ora. Tirò fuori il cellulare, angolò il display in modo che dalla stazione di servizio non si potesse scorgere la luce, e compose il numero di casa di Kiz Rider. Lei non rispose. Provò al cellulare, ma il risultato fu lo stesso. Pensò che dovesse aver tolto le suonerie per concentrarsi meglio sulla domanda di autorizzazione. Aveva fatto lo stesso altre volte in passato. Sapeva che avrebbe lasciato il cercapersone acceso in caso di emergenza, ma ritenne che le notizie che aveva raccolto con le telefonate di quella sera non rappresentassero delle emergenze. Decise di aspettare di vederla il mattino seguente per riferirle i suoi progressi.

Infilò il telefono in tasca e portò il binocolo davanti agli occhi. Dietro le vetrine dell'ufficio della stazione di servizio vedeva Mackey seduto a una scrivania grigia, malandata. C'era un altro uomo che indossava un'uniforme blu, simile alla sua. Doveva essere stata una notte tranquilla. I due uomini avevano entrambi i piedi sul tavolo e fissavano un punto in alto, sulla parete sopra la vetrina. Bosch non vedeva quello che i due uomini guardavano, ma dalla luce che cambiava nella stanza si capiva che doveva trattarsi di un televisore. Il telefono di Bosch squillò, lo estrasse dalla tasca e rispose senza abbassare il binocolo. Non controllò il display, dava per scontato che fosse Kiz Rider che aveva trovato la chiamata non risposta. «Ehi.» «Detective Bosch?» Non era Kiz. Bosch abbassò il binocolo. «Sì, sono Bosch. Come posso aiutarla?» «Sono Tara Wood. Ho trovato il suo messaggio.» «Oh, sì, grazie per aver richiamato.» «A quanto pare questo è il suo numero di cellulare. Mi dispiace di aver chiamato così tardi. Sono appena rientrata. Pensavo di lasciarle un messaggio sulla segreteria dell'ufficio.» «Nessun problema. Sto ancora lavorando.» Bosch seguì la stessa procedura che aveva utilizzato per gli altri interrogatori. Mentre menzionava il nome di Roland Mackey, controllò con il binocolo che l'uomo fosse ancora lì. Era alla scrivania, guardava la TV. Come le altre amiche di Rebecca Verloren, Tara Wood non riconobbe il nome dell'autista di carro attrezzi. Bosch aggiunse una nuova domanda, chiese se si rammentasse degli Otto di Chatsworth, ma i ricordi della donna erano vaghi anche riguardo a questo. Alla fine le domandò se il giorno seguente avrebbe potuto rivolgerle qualche altro quesito e mostrarle una foto di Mackey. Lei acconsentì, ma disse che l'avrebbe dovuta raggiungere agli studi della CBS, dove lavorava come pubblicitaria. Bosch sapeva che la CBS era vicino al Farmers Market, uno dei suoi posti preferiti in città. Decise che avrebbe potuto andare al mercato, magari mangiare una scodella di gombo per pranzo, e poi raggiungere Tara Wood per mostrarle le foto di Mackey e chiederle della gravidanza di Rebecca Verloren. Prese appuntamento per l'una, e lei acconsentì di incontrarlo nel suo ufficio. «È un caso così vecchio» disse la Wood. «Lei è della squadra Cold Case?»

«Noi la chiamiamo l'Unità Casi Irrisolti.» «Sa, facciamo un telefilm che si chiama Cold Case. È alla domenica sera. È uno dei programmi a cui lavoro io. Pensavo... magari potrebbe venire a visitare il set e conoscere la sua controparte televisiva. Sono sicura che adorerebbero incontrarla.» Bosch si rese conto che la donna stava ragionando da un punto di vista pubblicitario. Guardò attraverso il binocolo Mackey che fissava la televisione e per un momento pensò di sfruttare l'interesse della donna al fine della messinscena che avevano deciso di mettere in piedi. Ma scartò rapidamente l'idea, sarebbe stato molto più semplice avviare la sceneggiata con un servizio sui giornali. «Sì, magari, ma penso che dovremo aspettare un po'. Al momento lavoriamo sodo al caso, e ho bisogno di parlare con lei domani.» «Nessun problema. Spero davvero che lei possa trovare la persona che sta cercando. Da quando sono stata assegnata a questo programma, ho pensato spesso a Rebecca. Sa, a chiedermi se potesse succedere ancora qualcosa. Poi, dal nulla, è arrivata la sua telefonata. È strano, ma in senso positivo. Ci vediamo domani, detective.» Bosch disse buonanotte e riagganciò. Qualche minuto dopo, a mezzanotte, la luce della stazione di servizio si spense. Bosch sapeva che essere disponibili ventiquattro ore su ventiquattro non si traduceva necessariamente nel rimanere aperti ventiquattro ore al giorno. Con ogni probabilità, Mackey o un altro autista sarebbero stati reperibili per tutta la notte. Bosch sgattaiolò fuori dal suo nascondiglio e si affrettò lungo la Roscoe fino al SUV. L'aveva appena raggiunto quando udì il rombo profondo del motore della Camaro di Mackey che prendeva vita. Mise in moto a sua volta, si scostò dal marciapiede e si diresse di nuovo verso l'incrocio. Mentre frenava per fermarsi al semaforo rosso, scorse la Camaro con i parafanghi dipinti di grigio che attraversava l'incrocio, diretta a sud verso Tampa. Bosch attese qualche istante, controllò che non ci fossero macchine in arrivo e bruciò il semaforo rosso per seguire Mackey. L'uomo fece la prima sosta in un bar che si chiamava Side Pocket. Si trovava sulla Sepulveda a Van Nuys, vicino ai binari della ferrovia. Era un locale piccolo con l'insegna al neon blu e le sbarre alle finestre dipinte di nero. Bosch aveva un'idea di come sarebbe stato l'interno del locale e del genere di avventori che vi avrebbe trovato. Prima di lasciare l'auto, si tolse la giacca sportiva, vi avvolse la pistola, le manette e le munizioni di scorta

e la posò sul tappetino davanti al posto del passeggero. Uscì dalla macchina, chiuse la portiera e si diresse verso il bar, tirandosi fuori la camicia dai jeans mentre camminava. L'interno del locale era esattamente come se l'aspettava. Un paio di tavoli da biliardo, un bancone e una fila di tavolini di legno graffiati. Nonostante nei luoghi pubblici non fosse più consentito fumare, il fumo blu delle sigarette era denso e aleggiava come un fantasma sotto le lampade di ogni tavolo. Nessuno si lamentava. La maggior parte degli uomini prendeva la medicina in piedi. Molti avevano catene ai portafogli e tatuaggi sugli avambracci. Nonostante i ritocchi al suo look, Bosch sapeva di saltare agli occhi: era evidente che non apparteneva a quel luogo. Scorse un angolo in ombra dove il bancone faceva una curva, proprio sotto il televisore appeso alla parete. Scivolò fin lì e si chinò sul bancone, nella speranza che questo potesse aiutarlo a nascondere il proprio aspetto. La cameriera, una donna malridotta con una giacca di pelle nera sopra una maglietta, ignorò Bosch per un po', ma per lui andava bene così. Non era lì per bere. Guardò Mackey che posava delle monete da un quarto su uno dei tavoli, in attesa del proprio turno per giocare. Nemmeno lui aveva ancora ordinato da bere. Mackey passò dieci minuti a scorrere l'assortimento di stecche infilate nella rastrelliera alla parete, finché non trovò quella che gli dava una buona sensazione. Rimase ancora in attesa e chiacchierò con un altro uomo in piedi attorno al tavolo. Non sembrava niente di più che una chiacchierata casuale, come se si conoscessero solo per aver giocato a biliardo assieme in altre occasioni. Mentre aspettava e guardava, coccolando il drink di birra e whisky che finalmente la cameriera gli aveva portato, Bosch cominciò a pensare che la gente lo stesse osservando, ma poi realizzò che gli avventori fissavano il televisore sistemato a meno di trenta centimetri sopra la sua testa. Alla fine arrivò il turno di Mackey, che si rivelò un buon giocatore. Prese rapidamente il controllo del tavolo e sconfisse sette sfidanti, raccogliendo denaro o birre da ciascuno di loro. Mezzora più tardi parve stanco della mancanza di competizione e perse entusiasmo. L'ottavo sfidante lo batté, dopo che Mackey aveva mancato un colpo facile all'ottava palla. Mackey prese bene la sconfitta e gettò sul panno verde una banconota da cinque dollari prima di allontanarsi. Secondo i conti di Bosch, doveva essere sopra di venticinque dollari e tre birre.

Mackey si portò il suo Rolling Rock in un posto libero al bancone, e questo per Bosch fu il segnale per uscire di scena. Posò un biglietto da dieci sotto il bicchiere vuoto e si voltò, senza mai rivolgere il viso a Mackey. Lasciò il bar e raggiunse l'auto. La prima cosa che fece fu risistemare la pistola al fianco destro, con l'impugnatura in avanti. Avviò il motore, si immise sulla Sepulveda e guidò per un isolato verso sud. Fece inversione e si fermò accanto al marciapiede davanti a un idrante. Era un buon punto di osservazione sull'ingresso del Side Pocket ed era nella posizione giusta per seguire l'auto di Mackey sulla Sepulveda, in direzione nord, verso Panorama City. Mackey poteva aver cambiato casa dopo l'ultimo periodo di libertà vigilata, ma Bosch si aspettava che non si fosse trasferito troppo lontano. Questa volta l'attesa non fu molto lunga. A quanto pareva, Mackey aveva bevuto solo le birre gratis. Lasciò il bar dieci minuti dopo Bosch, salì sulla Camaro e imboccò la Sepulveda verso sud. Bosch aveva sbagliato. Mackey si stava allontanando da Panorama City e dalla parte nord della Valley. Questo significava che, per seguirlo, Bosch avrebbe dovuto fare un'inversione a "U", su una Sepulveda completamente deserta. La mossa sarebbe stata fin troppo evidente nello specchietto retrovisore di Mackey. Perciò attese che l'auto divenisse piccola nello specchietto sinistro. Quando vide lampeggiare la freccia della Camaro, premette l'acceleratore e svoltò di centottanta gradi. Per poco non perse il controllo dello sterzo, ma riuscì a raddrizzare l'auto e sfrecciò sulla Sepulveda. Svoltò a destra sulla Victory e raggiunse la Camaro in prossimità del cartello della sopraelevata 405. Mackey rimase fuori dalla freeway e proseguì a ovest sulla Victory. Mentre Bosch eseguiva una varietà di manovre per evitare di essere scoperto, Mackey percorse tutta la strada fino alle Woodland Hills. Sulla Mariano Street, una strada ampia vicino alla freeway 101, svoltò finalmente in un lungo vialetto e parcheggiò accanto a una piccola casa. Bosch lo seguì e parcheggiò un po' più giù, scese dall'auto e tornò indietro a piedi. Sentì la porta che si chiudeva e vide la luce della veranda che si spegneva. Bosch si guardò attorno e vide che era un quartiere di lotti a stendardo. Quando il quartiere aveva preso forma, alcuni decenni prima, le proprietà erano state suddivise in grandi lotti perché avrebbero dovuto servire da allevamenti di cavalli o piccole aziende agricole. Poi la città era cresciuta fin laggiù e i cavalli e le coltivazioni erano scomparse. I lotti erano stati fra-

zionati, una proprietà dava sulla strada, mentre uno stretto vialetto la costeggiava e raggiungeva l'altra proprietà sul retro, tutti i lotti erano a forma di stendardo. Questo rendeva difficile l'osservazione. Bosch scivolò lungo il vialetto, osservando le due case sul davanti e quella di Mackey sul retro. L'uomo aveva parcheggiato la Camaro accanto a un malridotto pick-up Ford 150. Significava che poteva avere un coinquilino. Quando fu più vicino, Bosch si fermò per prendere il numero di targa del pick-up. Notò un vecchio adesivo sull'automezzo che diceva L'ULTIMO AMERICANO CHE LASCIA LOS ANGELES PER FAVORE PORTI VIA LA BANDIERA. Era solo la pennellata finale sul quadro che lentamente si andava delineando. Facendo meno rumore possibile, Bosch camminò lungo un sentiero di pietra che costeggiava la casa. L'edificio era costruito su un basamento che arrivava alle ginocchia, pertanto le finestre si trovavano troppo in alto perché si potesse guardare dentro. Giunto sul retro della casa udì delle voci, e realizzò che si trattava della televisione quando ne riconobbe il bagliore blu tremolante. Iniziò ad attraversare il giardino posteriore, quando all'improvviso il suo telefono cominciò a squillare. Lo afferrò rapidamente e bloccò il suono. Allo stesso tempo si mosse in fretta lungo il sentiero e raggiunse il vialetto d'accesso. Corse verso la strada. Ascoltò se ci fossero rumori alle sue spalle, ma non udì niente. Quando arrivò alla strada, guardò la casa, ma non vide nulla che potesse fargli pensare che il trillo del telefono fosse stato udito all'interno dell'appartamento, sopra il rumore della televisione. Bosch sapeva di aver rischiato grosso. Era senza fiato. Tornò all'automobile, cercò di ricomporsi e di riprendersi dal mancato disastro. Aveva condotto male l'interrogatorio a Daniel Kotchof, e ora riconosceva in quell'errore un ulteriore segno della ruggine che aveva addosso. Si era dimenticato di togliere la suoneria al telefono prima di sgattaiolare dietro la casa. Era un errore che avrebbe potuto mandare a monte tutto quanto e costringerlo a uno scontro con l'obiettivo delle indagini. Tre anni prima, quando era ancora in servizio, non sarebbe mai accaduto. Cominciò a pensare a quello che aveva detto Irving, che era uno pneumatico ricostruito, che le cuciture si sarebbero strappate e che sarebbe scoppiato. Dentro l'auto, controllò la lista delle chiamate e riconobbe il numero di Kiz Rider. Le telefonò. «Harry, ho visto che mi avevi chiamato. Avevo il telefono spento. Che

succede?» «Non molto. Volevo solo sapere come vanno le cose.» «Be', vanno. Ho impostato il tutto e ho anche quasi terminato di scrivere la domanda. Domattina finisco, poi comincerò a inoltrarla attraverso i canali giusti.» «Bene.» «Ora me ne vado a letto. E tu? Hai trovato Robert Verloren?» «Non ancora. Ma ho un indirizzo per te. Ho seguito Mackey dopo che ha smontato. Ha una casetta accanto alla freeway sulle Woodland Hills. Potrebbe esserci una linea telefonica da aggiungere all'elenco di quelle da mettere sotto controllo.» «Bene. Dammi l'indirizzo. Dovrebbe essere facile verificarlo. Ma non sono sicura di essere contenta che tu ti metta a seguire i sospetti da solo. Non è una buona idea, Harry.» «Dovevamo trovare l'indirizzo.» Non le avrebbe raccontato dell'errore commesso. Le diede le coordinate e attese che le trascrivesse. «Ho dell'altro» disse. «Ho fatto qualche telefonata.» «Ti sei dato da fare, per essere il tuo primo giorno di lavoro. Cos'hai trovato?» Riferì delle telefonate effettuate e ricevute dopo che lei aveva lasciato l'ufficio. Rider non fece domande e, quando lui ebbe finito, rimase in silenzio. «Ti ho procurato un appuntamento» disse Bosch. «Cosa ne pensi, Kiz?» «Penso che si stia componendo un quadro, Harry.» «Già, pensavo la stessa cosa anch'io. Per giunta, l'anno 1988. Mi sa che avevi ragione tu. Forse questi stronzi cercavano di dimostrare una tesi nell'88. Il problema è che è finito tutto al PDU. Chissà dove sono ora i documenti. Con tutta probabilità, Irving ha gettato ogni cosa nell'inceneritore della ESB.» «Non tutto. Quando è arrivato il nuovo capo, ha preteso una risistemazione generale. Ha voluto sapere dov'erano seppelliti i cadaveri. Comunque, io non ero coinvolta nella faccenda, ma so che un sacco di documenti della PDU sono stati conservati dopo che l'unità è stata smantellata. Irving ne ha inseriti parecchi negli Archivi Speciali.» «Archivi Speciali? Cosa diavolo sono?» «Significa semplicemente "accesso limitato". C'è bisogno dell'approvazione del comando. Si trova tutto nelle cantine del Parker Center. Più che

altro, si tratta di indagini interne. Roba politica. Roba pericolosa. Questo affare di Chatsworth non mi sembra possa appartenere alla categoria, a meno che non fosse collegato a qualcos'altro.» «Tipo?» «Tipo a qualcuno nel dipartimento o nel municipio.» Il municipio, cioè qualche pezzo grosso della politica cittadina. «Puoi entrarci e vedere se esistono ancora documenti sul nostro caso? Che mi dici del tuo amico al sesto? Magari potrebbe...» «Ci posso provare.» «Allora provaci.» «Sarà fatto. E tu che mi dici? Pensavo che saresti uscito a cercare Robert Verloren stasera, e ora scopro che stavi seguendo il nostro sospetto.» «Sono andato laggiù. Non l'ho trovato.» Procedette ad aggiornarla sul suo giretto nel Toy District, tralasciando l'incontro con i rapinatori. Quell'incidente e il fiasco del telefono dietro casa di Mackey non erano cose che teneva a condividere con lei. «Ci tornerò domattina» disse per concludere. «Okay, Harry. Mi sembra un buon piano. Potrei aver messo insieme tutte le richieste di autorizzazione prima del tuo rientro. E controllerò i file della PDU.» Bosch esitò, ma poi decise di non nascondere alla compagna nessuna delle sue preoccupazioni. Guardò la strada buia oltre il parabrezza. Sentiva il sibilo delle auto che passavano sulla freeway. «Kiz, stai attenta.» «Cosa vuoi dire, Harry?» «Sai cosa significa quando un caso è high jingo?» «Sì, vuol dire che ci sono le impronte delle dita dello staff di comando nella torta.» «Giusto.» «E allora?» «Allora stai attenta. Questa storia ha il marchio di Irving dappertutto. Non è così palese, ma c'è.» «Pensi che il vostro incontro al caffè non sia stata una coincidenza?» «Io non credo alle coincidenze. Non a quelle così.» Ci fu un momento di silenzio prima che Rider rispondesse. «Va bene, Harry, mi guarderò alle spalle. Ma non ci tireremo indietro, giusto? Andremo dove ci porta questa storia, e non molleremo la presa. O tutti contano qualcosa o nessuno conta nulla, ricordi?»

«Giusto. Me ne ricordo. Ci vediamo domani.» «Buonanotte, Harry.» Riagganciò e Bosch rimase seduto nell'auto a lungo prima di girare la chiavetta dell'accensione. 19 Bosch avviò il motore, eseguì lentamente un'inversione a "U" sulla Mariano e passò accanto al vialetto che conduceva alla casa di Mackey. Pareva tutto tranquillo laggiù. Non vide luci dietro la finestre. Prese la freeway in direzione est, attraverso la Valley, e poi scese verso Cahuenga Pass. Lungo la strada chiamò la centrale e fece passare al computer la targa del Ford pick-up accanto al quale aveva parcheggiato Mackey. Risultò registrato a nome di William Burkhart, un trentasettenne con alle spalle un elenco di precedenti che risalivano alla fine degli anni Ottanta, ma pulito negli ultimi quindici anni. L'agente fornì a Bosch i codici degli arresti in California, perché era con quelli che venivano registrati sul computer i reati. Bosch riconobbe subito l'aggressione aggravata e il riciclaggio di refurtiva. Ma c'era un reato del 1988 con un codice che non conosceva. «C'è qualcuno lì con un libro dei codici che possa dirmi di cosa si tratta?» domandò, nella speranza che le cose fossero abbastanza tranquille da permettere all'agente di controllare di persona. Sapeva che all'archivio centrale avevano sempre delle copie dei codici, perché spesso gli agenti chiamavano per farsi dare la giusta citazione quando erano sul campo. «Attenda in linea.» Aspettò. Nel frattempo uscì sulla Barham e prese la Woodrow Wilson, risalendo le colline verso casa sua. «Detective?» «Sono ancora qui.» «Si tratta di un crimine d'odio.» «Okay. Grazie per averlo cercato.» «Nessun problema.» Bosch si fermò sotto la tettoia e arrestò il motore. Il coinquilino di Mackey, o il suo padrone di casa, era stato accusato di un crimine d'odio nel 1988, lo stesso anno dell'omicidio di Rebecca Verloren. Era molto probabile che William Burkhart fosse lo stesso Billy Burkhart che Sam Weiss

aveva identificato, il suo vicino, uno dei teppisti che lo minacciavano. Bosch non capiva ancora come tutto questo si incastrasse, ma sapeva che faceva parte dello stesso quadro. Ora si rammaricava di non aver portato a casa i documenti del Dipartimento di Correzione su Mackey. Era troppo stanco per tornare in centro. Decise di lasciar perdere per quella notte; li avrebbe letti da capo a fondo una volta tornato in ufficio il giorno seguente. Si sarebbe anche procurato il dossier sull'arresto di William Burkhart per il crimine d'odio. La casa era silenziosa quando vi entrò. Prese il telefono e una birra e uscì sulla veranda per dare un'occhiata alla città. Lungo il tragitto, accese il lettore CD. C'era già un disco nello stereo, e presto Bosch udì la voce di Boz Scaggs negli altoparlanti esterni. Cantava For all we know. La canzone gareggiava con i suoni attutiti della freeway in fondo alla valle. Bosch guardò fuori e vide che non c'erano fari che tagliavano l'oscurità dagli studi della Universal. Era troppo tardi. Eppure, la vista era affascinante, come solo di notte poteva esserlo. La città luccicava là fuori come un milione di sogni, non tutti piacevoli. Bosch pensò di richiamare Kiz Rider e di raccontarle di William Burkhart, ma decise di aspettare il mattino dopo. Guardò la città in lontananza e si sentì soddisfatto delle mosse e dei risultati della giornata, anche se avvertiva un malumore di fondo. Gli high jingo fanno questo effetto. L'uomo con il coltello non aveva sbagliato di molto quando lo aveva chiamato missionario. Aveva quasi ragione. Bosch sapeva di avere una missione nella vita e ora, dopo tre anni, era di nuovo in ballo. Ma non poteva convincersi che fosse tutto positivo. Sentiva che c'era qualcosa là fuori, oltre il luccichio, oltre i sogni, qualcosa che non poteva scorgere. Che lo aspettava. Accese il telefono e ascoltò il suono ininterrotto. Significava che non c'erano messaggi. Chiamò comunque il numero della segreteria e riascoltò un messaggio che aveva salvato la settimana precedente. Era la voce sottile della figlia, glielo aveva lasciato la sera in cui lei e sua madre erano partite per un viaggio lontano, lontano da lui. «Ciao, papino» diceva. «Buonanotte, papino.» Era tutto quello che aveva detto, ma era abbastanza. Bosch salvò il messaggio per la prossima volta in cui ne avrebbe avuto bisogno, poi buttò giù il ricevitore. PARTE SECONDA

IL GIOCO DEL POTERE 20 Alle sette e cinquanta del mattino, il giorno seguente, Bosch era tornato sulla Nickel. Stava guardando la fila per il cibo al Metro Shelter e teneva d'occhio la schiena di Robert Verloren nella cucina dietro i tavoli fumanti. Bosch era stato fortunato. Era quasi come se alla mattina presto ci fosse un cambio di turno fra i senzatetto. Le persone che si aggiravano per le strade con l'oscurità ora dormivano per dimenticare i fallimenti notturni. Erano state rimpiazzate dal primo turno di senzatetto, quelli abbastanza furbi da nascondersi di notte. L'intenzione di Bosch era quella di ricominciare dai grandi centri e di partire da lì. Ma non appena era arrivato nella zona dei senzatetto, dopo aver parcheggiato di nuovo a Japantown, aveva cominciato a mostrare le foto di Verloren ai più lucidi tra gli abitanti della strada e quasi subito aveva ricevuto risposte positive. La gente del giorno riconosceva Verloren. Alcuni dicevano di aver visto il tizio della foto in giro, ma che ora era molto più vecchio. Alla fine Bosch si imbatté in un uomo che disse in tono pratico: «Sì, questo è Chef», e indirizzò Bosch verso il Metro Shelter. Il Metro era uno dei ricoveri-satellite più piccoli, che si ammassavano attorno a quelli dell'Esercito della Salvezza e della Los Angeles Mission, e aveva lo scopo di gestire l'afflusso straordinario di senzatetto, in special modo nei mesi invernali, quando il clima più mite di Los Angeles spingeva i poveracci a migrare a miriadi dalle zone fredde del nord del paese. Questi centri più piccoli non avevano i mezzi per fornire tre pasti al giorno e si specializzavano in un unico servizio. Il Metro Shelter offriva la colazione tutte le mattine a partire dalle sette. Quando Bosch arrivò, la fila di uomini e donne malfermi e arruffati si estendeva fino a fuori dalla porta, e alle lunghe file di tavoli da pic-nic all'interno non c'era più un buco libero. Per strada si diceva che il Metro servisse la miglior colazione della Nickel. Bosch si era fatto strada fino all'ingresso mostrando il distintivo, e aveva subito individuato Verloren in cucina, dietro i tavoloni di servizio. Non sembrava che svolgesse un qualche lavoro in particolare, pareva piuttosto che sovrintendesse alla preparazione. Aveva tutta l'aria del responsabile. Era ben vestito, con una casacca da cucina bianca a doppio petto e dei pantaloni scuri, un grembiule immacolato che scendeva fin sotto le ginocchia e un alto cappello da cuoco.

La colazione era composta da uova strapazzate con pepe verde e rosso, frittelline di patate, farina di avena e salsiccia. Aveva un buon aspetto e un buon profumo. Bosch era uscito di casa senza mangiare perché aveva fretta di entrare in azione. Alla destra della fila c'era la zona caffè, con due ampi distributori self service. Addossate alle pareti, rastrelliere con tazze di porcellana spessa, ingiallite con il tempo. Bosch prese una tazza e la riempì con il caffè nero, lo sorseggiò mentre aspettava. Quando Verloren si avvicinò al tavolo, servendosi del grembiule per reggere il peso di una seconda padella di uova roventi, Bosch fece la sua mossa. «Ehi, Chef» lo chiamò, sopra il tintinnare dei cucchiai e le voci. Verloren alzò lo sguardo, e Bosch notò che aveva subito stabilito che lui non era un "cliente". Come la sera precedente, Bosch era vestito in maniera informale, ma pensò che Verloren doveva aver persino intuito che era un poliziotto. Si allontanò dal tavolo e si avvicinò. Ma non del tutto. Pareva esserci una riga invisibile sul pavimento, la linea di demarcazione tra la cucina e lo spazio per la mensa. Verloren non la varcò. Rimase in piedi, servendosi del grembiule per reggere la padella quasi vuota che aveva rimpiazzato l'altra. «Posso aiutarla?» domandò. «Sì, ha un minuto? Mi piacerebbe parlare con lei.» «No, non ho un minuto. Sono nel mezzo della colazione.» «Si tratta di sua figlia.» Bosch lesse una leggera esitazione negli occhi di Verloren. Si abbassarono per un secondo, quindi si sollevarono di nuovo. «È della polizia?» Bosch annuì. «Possiamo aspettare quest'ondata? Stiamo mettendo fuori gli ultimi vassoi.» «Nessun problema.» «Vuole mangiare? Sembra affamato.» «Uh...» Bosch si guardò attorno, osservò i tavoli affollati della sala. Non sapeva dove avrebbe potuto sedersi. Era a conoscenza del fatto che in quelle mense si rispettava lo stesso protocollo implicito delle prigioni. Se si aggiungeva l'elevato tasso di malattie mentali nella popolazione dei senzatetto, sarebbe stato facile passare il segno solo scegliendo il posto sbagliato dove sedersi. «Venga con me» disse Verloren. «Abbiamo un tavolo sul retro.»

Bosch si voltò verso l'uomo, ma il cuoco era già diretto alle cucine. Bosch lo seguì, attraversarono la zona dei fornelli e raggiunsero una stanza sul retro dove c'era un tavolo di metallo con un posacenere pieno. «Si accomodi.» Verloren prese il posacenere e lo tenne dietro la schiena. Non sembrava che volesse nasconderlo, pareva piuttosto un cameriere o un maitre desideroso di far accomodare il cliente a un tavolo perfetto. Bosch lo ringraziò e si sedette. «Torno subito.» Dopo meno di un minuto, Verloren tornò con un piatto con il menu completo della casa. Quando l'uomo appoggiò le posate, Bosch notò che gli tremavano le mani. «Grazie, ma mi stavo chiedendo se ce ne sarà abbastanza. Intendo, per le persone che arrivano.» «Oggi non manderemo via nessuno. Nessuno di quelli che arrivano in orario. Com'è il suo caffè?» «Buono, grazie. Sa, non è che non volessi sedermi là fuori con loro. È solo che non sapevo dove mettermi.» «Capisco. Non c'è bisogno che me lo spieghi. Mi lasci portare fuori questi vassoi, poi potremo parlare. C'è stato un arresto?» Bosch lo guardò. Negli occhi di Verloren c'era uno sguardo speranzoso, quasi implorante. «Non ancora» disse Bosch. «Ma siamo vicini a qualcosa.» «Torno il prima possibile. Mangi. Io le chiamo uova strapazzate alla Malibu.» Bosch abbassò lo sguardo sul piatto. Verloren tornò in cucina. Le uova erano buone. Come tutta la colazione. Mancava il pane tostato, ma sarebbe stato chiedere troppo. La sala dove si trovava era in mezzo tra la cucina e uno stanzone enorme occupato da due uomini che caricavano una lavastoviglie industriale. Era rumorosa, e il frastuono rimbalzava sulle pareti e riecheggiava sulle piastrelle grigie. C'erano due porte che conducevano al vicolo sul retro. Una era aperta, e l'aria fredda che lasciava entrare compensava il vapore della lavastoviglie e il caldo che proveniva dalla cucina. Dopo che Bosch ebbe svuotato il piatto e finito il caffè, si alzò e uscì nel vicolo per fare una telefonata lontano da tutto quel rumore. Vide subito che era un vero e proprio accampamento. Lungo i muri delle missioni e delle fabbriche di giocattoli c'era una schiera ininterrotta di capanne co-

struite con il cartone o con la tela. C'era silenzio. Dovevano essere i ripari abborracciati del popolo della notte. Non è che non ci fosse posto per loro nei dormitori delle missioni; il fatto era che quei letti venivano concessi se si rispettavano determinate regole, e la gente nel vicolo non era disposta a sottomettersi ad alcuna norma. Chiamò Kiz Rider al cellulare e lei rispose subito. Era già nella stanza 503 e aveva finito di consegnare le richieste per mettere sotto controllo il telefono. Bosch parlò sottovoce. «Ho trovato il padre.» «Ottimo lavoro, Harry. Sei ancora quello di una volta. Cosa ti ha detto? Ha riconosciuto Mackey?» «Non gli ho ancora parlato.» Le spiegò la situazione e le chiese se ci fossero novità da parte sua. «La richiesta di intercettazione è sulla scrivania del capitano. Abel la spingerà di persona se non riceveremo risposta entro le dieci, poi comincerà a risalire tutta la catena.» «A che ora hai cominciato?» «Presto. Volevo fare il prima possibile.» «Sei riuscita a leggere il diario della ragazza ieri sera?» «Sì, me lo sono portata a letto. Non è di grande aiuto. Sono le solite cose da liceale. Amori irrequieti, cotte di una settimana, cose del genere. Compare MTL, ma non ci sono indizi sulla sua identità. Potrebbe persino essere una figura di fantasia, a giudicare da come descrive quanto è speciale. Penso che Garcia abbia fatto bene a restituirlo alla madre. Non ci aiuterà in alcun modo.» «Quando parla di MTL dice lui?» «Uhm, Harry, domanda intelligente. Non ci ho fatto caso. Ce l'ho qui, ora controllo. Sai qualcosa che io non so?» «No, cerco solo di non trascurare nulla. E Danny Kotchof? C'è?» «All'inizio compare il suo nome. Poi non ne parla più e viene sostituito dal misterioso MTL.» «Mr. X...» «Senti, tra poco ho un appuntamento al sesto piano. Vedo se riesco ad avere accesso a quei vecchi file di cui abbiamo parlato ieri.» Bosch notò che non aveva menzionato esplicitamente la PDU. Si chiese se lì attorno ci fosse qualcuno, Pratt o altri, e lei fosse prudente per timore di essere ascoltata. «C'è qualcuno lì, Kiz?»

«Esatto.» «Prendi tutte le precauzioni, va bene?» «Certo.» «Bene. Buona fortuna. A proposito, hai trovato un telefono all'indirizzo sulla Mariano?» «Sì» disse. «C'è un telefono, ed è a nome di William Burkhart. Deve essere il suo coinquilino. Questo tizio ha soltanto qualche anno più di Mackey, e ha dei precedenti per crimini d'odio. Niente di recente, ma le imputazioni risalgono al 1988.» «E indovina un po',» disse Bosch «era anche vicino di casa di Sam Weiss. Devo essermi dimenticato di dirtelo ieri sera, quando ci siamo parlati.» «Stanno saltando fuori troppe informazioni.» «Già. Sai, mi chiedevo una cosa. Come mai il cellulare di Mackey non risulta su AutoTrack?» «In questo sono più avanti io. Ho controllato il numero, non è suo. È registrato a nome di Belinda Messier, che vive a Melba, sempre sulle Woodland Hills. Non ha precedenti, a parte qualche traffico. Forse è la sua ragazza.» «Forse.» «Appena ho un po' di tempo cerco di rintracciarla. Sento che c'è qualcosa, Harry. I pezzi cominciano a combaciare. Tutta quella roba dell'88. Ho provato a estrarre il file dei crimini d'odio, ma...» «Ordine Pubblico?» «Esattamente. Ed è per questo che vado al sesto.» «Okay, c'è altro?» «Per prima cosa ho sentito quelli della ESB. Non hanno ancora trovato la scatola con le prove. Non abbiamo ancora l'arma. Comincio a chiedermi se sia andata persa o sia stata sottratta.» «Già» disse Bosch, che nutriva lo stesso dubbio. Se il caso si estendeva all'interno del dipartimento, le prove potevano essere state smarrite di proposito, e per sempre. «Va bene» disse Bosch. «Prima che vada a interrogare il padre, torniamo un momento al diario. C'è qualcosa riguardo alla gravidanza?» «No, non ne parla. In tutte le pagine c'è la data, ha smesso di scrivere alla fine di aprile. Forse proprio quando ha scoperto di essere incinta. Penso che abbia smesso per timore che i genitori lo leggessero di nascosto.» «Nomina qualche locale in particolare? Sai, posti dove passava le sera-

te.» «Scrive di un sacco di film» disse Rider. «Non dice con chi ci andava, solo che film vedeva e come le sembravano. A cosa pensi? Al luogo in cui potrebbe essersi trasformata in un bersaglio?» Dovevano sapere dove potevano essersi incrociate le strade di Mackey e Rebecca Verloren. Era un buco nelle indagini, a prescindere dalle motivazioni. Dove Mackey aveva incontrato Rebecca e aveva puntato gli occhi su di lei? «In un cinema» disse Bosch. «È lì che potrebbero essersi incrociati.» «Esatto. E dato che tutti i cinema della Valley, se non sbaglio, sono in un centro commerciale, la zona del possibile incontro risulta ancora più ampia.» «È un dato su cui riflettere.» Bosch disse che sarebbe tornato in ufficio dopo aver parlato con Robert Verloren. Riattaccarono. Bosch tornò nella sala dove aveva mangiato e il rumore dalla stanza delle lavastoviglie gli parve ancora più forte. Il servizio era quasi terminato e le lavapiatti erano cariche. Bosch si sedette al tavolo e notò che qualcuno aveva portato via il piatto vuoto. Cercò di riflettere sulla conversazione con Rider. Sapeva che un centro commerciale offriva ampie possibilità di incontro, era un luogo in cui sarebbe stato facile che un individuo come Mackey incrociasse la propria strada con quella di una ragazza come Rebecca Verloren. Si domandò se il delitto potesse essere stato provocato da un incontro casuale. Era possibile che Mackey avesse visto una ragazza il cui volto, gli occhi, i capelli denunciavano chiaramente il suo sangue misto e si fosse acceso al punto da seguirla a casa, per poi tornare da solo o con dei complici per rapirla e ucciderla? Sembrava un'ipotesi remota, ma molte teorie cominciavano con ipotesi remote. Rifletté sulle prime indagini e sulla possibilità che fossero state corrotte dall'interno del dipartimento. Non c'era niente sul fascicolo del delitto che facesse riferimento a un crimine di matrice razziale. Ma nel 1988 il dipartimento avrebbe tradito se stesso tralasciando quella linea di indagine. Nel 1988 il dipartimento e il municipio avevano una zona d'ombra. Un'epidemia di odio razziale si stava insinuando sotto la superficie, ma il dipartimento e la municipalità chiudevano un occhio. Qualche anno dopo, la pellicola che occultava il fermento si lacerò e la città venne devastata da tre giorni di sommosse, le peggiori del paese nell'ultimo quarto di secolo. Bosch doveva prendere in considerazione la possibilità che le indagini sull'omicidio di Rebecca Verloren fossero state insabbiate per trattenere il

malessere sotto la superficie. «È pronto?» Bosch alzò lo sguardo e vide Robert Verloren in piedi accanto a lui. Aveva il viso sudato per lo sforzo. Ora teneva il cappello da cuoco in mano, e un leggero tremore continuava a scuotere il braccio. «Sì certo. Si vuole sedere?» Verloren prese posto di fronte a Bosch. «È sempre così?» domandò. «Così affollato?» «Tutte le mattine. Oggi abbiamo servito centosessantadue piatti. Molte persone contano su di noi. No, aspetti, centosessantatré. Mi ero dimenticato di lei. Com'era?» «Maledettamente buona. Grazie, avevo bisogno di carburante.» «È la mia specialità.» «Un po' diverso rispetto a cucinare per Johnny Carson e il jet-set di Malibu, eh?» «Sì, ma non ne sento la mancanza. Per niente. È stata soltanto una fermata lungo la strada per trovare il luogo a cui appartengo. Ma ora sono qui, grazie al Signore Gesù, ed è qui che voglio stare.» Bosch annuì. Intenzionalmente o meno, Verloren stava comunicando a Bosch che questa nuova vita era stata raggiunta grazie all'intervento della fede. Bosch aveva sempre pensato che quelli che ne parlavano di più in realtà fossero i meno convinti. «Come ha fatto a trovarmi?» domandò Verloren. «La mia collega e io abbiamo parlato con sua moglie ieri, e ci ha detto che l'ultima volta che aveva avuto sue notizie, lei era qui. Ho iniziato a cercare ieri sera.» «Non mi aggirerei per queste strade di notte, se fossi in lei.» C'era un leggero accento caraibico nella sua voce. Ma era ormai impercettibile, perduto nei recessi del tempo. «Pensavo di trovarla in fila per prendere da mangiare, non tra quelli che servono i pasti.» «Be', non molto tempo fa ero in fila. Ho dovuto stare di là per poter arrivare dove sono adesso.» Bosch annuì di nuovo. Aveva già sentito prima quel mantra "un giorno alla volta".» «Da quanti anni ha smesso di bere?» Verloren sorrise.

«Questa volta? Poco più di tre anni.» «Senta, io non voglio costringerla a rivivere il trauma di diciassette anni fa, ma abbiamo riaperto il caso.» «Per me va bene, detective. Io riapro il caso tutte le sere quando chiudo gli occhi e tutte le mattine quando rivolgo le mie preghiere a Gesù.» Bosch annuì di nuovo. «Vuole che ne parliamo qui o preferisce fare due passi fino alla centrale di Parker Center dove possiamo metterci in una stanza tranquilla?» «Qui va bene. Sono a mio agio qui.» «Okay. Allora mi lasci ricapitolare quello che sta accadendo. Io lavoro per l'Unità Casi Irrisolti. Al momento stiamo esaminando il caso di sua figlia perché abbiamo delle informazioni nuove.» «Che informazioni?» Bosch decise di tentare un approccio diverso con lui. Mentre con la madre aveva scelto di tenere nascosti alcuni aspetti, al padre decise di dire tutto. «Abbiamo una corrispondenza tra il sangue trovato sull'arma del delitto e un individuo che quasi sicuramente viveva a Chatsworth al momento dell'omicidio. È stato effettuato il test del DNA. Sa di cosa si tratta?» Verloren annuì. «So cos'è. Come per O J.» «È una prova consistente. Non significa che questo individuo abbia ucciso Rebecca, ma significa che è vicino al crimine, e questo avvicina anche noi.» «Chi è?» «Ci arrivo tra un minuto. Ma prima, signor Verloren, vorrei rivolgerle alcune domande su di lei e sul caso.» «Perché su di me?» Bosch avvertì la tensione che cresceva. La pelle attorno agli occhi di Verloren si fece più tirata. Il detective si rese conto che avrebbe dovuto essere più cauto con quell'uomo, aveva frainteso la sua posizione in cucina come un segno di buona salute e aveva dimenticato gli ammonimenti di Kiz Rider sulla popolazione dei senzatetto. «Be',» disse «vorrei avere qualche informazione su quello che le è accaduto da quando Rebecca è stata portata via.» «Cosa c'entra?» «Magari niente, ma lo voglio sapere.» «Quello che mi è accaduto è che sono inciampato e sono precipitato in

un buco nero. Ci ho impiegato molto tempo per vedere la luce e riuscire a tirarmi fuori. Lei ha figli?» «Una bambina.» «Allora capirà cosa intendo. Se perdesse sua figlia come io ho perso la mia, non ci sarebbe bisogno di aggiungere altro. Diventi come una bottiglia vuota gettata fuori dal finestrino. L'auto continua a correre, ma tu sei al margine della strada, in frantumi.» Bosch annuì. Lo sapeva. Si sentiva vulnerabile, sapeva che quello che sarebbe potuto accadere in una città distante avrebbe potuto significare per lui la vita o la morte, avrebbe potuto precipitarlo nello stesso buco nero in cui era finito Verloren. «Dopo la morte di sua figlia, perse il ristorante?» «Esatto. Fu la cosa migliore che potesse capitarmi. Avevo bisogno che succedesse per poter scoprire chi ero veramente. E per trovare la mia strada qui.» Bosch sapeva che simili barriere emotive erano fragili. Seguendo la logica di Verloren, si sarebbe potuto affermare che la morte di sua figlia era la miglior cosa che potesse essergli capitata, perché gli aveva causato la perdita del ristorante e, di conseguenza, tutte le favolose scoperte personali che aveva poi realizzato. Erano stronzate, e lo sapevano entrambi; solo che uno dei due non poteva ammetterlo. «Signor Verloren, parli con me» disse Bosch. «Lasci stare le frasi che ha imparato ai corsi di auto-aiuto. Mi racconti come è inciampato. Mi dica come è caduto nel buco nero.» «L'ho appena fatto.» «Non tutti quelli che perdono un figlio precipitano così a fondo. Lei non è l'unica persona a cui sia successa una cosa del genere, signor Verloren. Alcuni finiscono in televisione, altri corrono per il Congresso. A lei cos'è capitato? In cosa è diverso dagli altri? E non mi dica che è perché lei amava di più sua figlia. Tutti noi amiamo i nostri figli.» Verloren rimase in silenzio per un momento. Premette le labbra una contro l'altra mentre si ricomponeva. Bosch era sicuro di averlo fatto arrabbiare, ma andava bene così. Aveva bisogno di smuovere la situazione. «Va bene» disse alla fine Verloren. «Va bene.» Ma non aggiunse altro. Bosch vedeva come i muscoli della mascella ne tradivano la tensione. Il dolore degli ultimi diciassette anni si era insediato sul suo viso. Bosch poteva leggerlo come un menu. Primo, secondo, dessert. Frustrazione, rabbia, lutto inconsolabile.

«Cosa va bene, signor Verloren?» Verloren annuì. Rimosse l'ultima barriera. «Potrei biasimare la sua gente, ma devo biasimare me stesso. Ho abbandonato mia figlia alla morte, detective. E allora l'unico luogo in cui trovai rifugio per quel tradimento fu la bottiglia. La bottiglia aprì il buco nero. Capisce?» Bosch annuì. «Ci sto provando. Mi dica cosa intende quando dice biasimare la sua gente. Si riferisce ai poliziotti? Si riferisce ai bianchi?» «Mi riferisco a tutto quanto.» Verloren si girò sulla sedia e appoggiò la schiena alla parete accanto al tavolo, gli occhi rivolti verso la porta che dava sul vicolo. Non guardava Bosch. Bosch voleva incrociare il suo sguardo, ma preferì non interferire finché Verloren continuava a parlare. «Allora cominciamo dai poliziotti» disse. «Perché biasima i poliziotti? Cosa hanno fatto i poliziotti?» «Lei si aspetta che io le parli di quello che ha fatto la sua gente?» Bosch rifletté con cautela prima di rispondere. Avvertiva che quello era il punto chiave dell'interrogatorio e sentiva che l'uomo aveva qualcosa di importante da comunicare. «Partiamo dal fatto che lei amava sua figlia, giusto?» disse Bosch. «Certo.» «Be', signor Verloren, quello che è accaduto non sarebbe dovuto accadere. Io non ci posso fare niente, ma posso cercare di parlare per conto di Becky. Per questo sono qui. Io non farò quello che hanno fatto i poliziotti diciassette anni fa. Molti di loro sono morti, ormai. Se lei ama ancora sua figlia, se venera la sua memoria, allora mi deve raccontare tutto. Mi aiuterà a parlare per suo conto. È l'unica occasione per rimediare a quello che fece allora.» Verloren iniziò ad annuire a metà dell'appello di Bosch. Bosch sapeva di averlo in pugno, si sarebbe aperto. Era una questione di redenzione. Non importava quanti anni fossero trascorsi. La redenzione era sempre il fulcro di ogni rinascita. Una singola lacrima scivolò lungo la guancia sinistra di Verloren, quasi impercettibile sulla pelle scura. Un uomo con un grembiule bianco inzaccherato entrò nella sala con una cartelletta tra le mani, ma Bosch lo scacciò con un rapido gesto. Il detective attese e infine Verloren parlò. «Ho scelto me stesso invece che lei, e alla fine mi sono perso comunque» disse.

«Cos'è successo?» Verloren si coprì la bocca con la mano, come se cercasse di impedire al segreto di uscire. Alla fine la abbassò e iniziò il racconto. «Un giorno lessi su un giornale che mia figlia era stata uccisa con una pistola che proveniva da un furto in un appartamento. Green e Garcia non me l'avevano detto. Perciò chiesi conto di questo al detective Green, e lui mi disse che l'uomo a cui avevano rubato la pistola l'aveva comprata perché era spaventato. Era ebreo e aveva subito delle minacce. Pensai...» Si fermò, e Bosch dovette imbeccarlo. «Pensò che forse Rebecca fosse stata presa di mira perché era di sangue misto? Perché suo padre era nero?» Verloren annuì. «Lo pensai, sì. Perché di tanto in tanto c'erano stati dei commenti. Non tutti vedevano la bellezza in lei. Non come la vedevamo noi. Io avrei voluto vivere nel Westside, ma Muriel, era di lassù. Là si sentiva a casa.» «Cosa le disse Green?» «Mi disse che no, non poteva essere. Avevano indagato e non c'era alcuna possibilità. Non era... non mi sembrava giusto. Stavano ignorando questo aspetto. Continuavo a chiamare e a domandare. Diventavo insistente. Alla fine andai da un cliente del ristorante che era membro della commissione della polizia. Gli raccontai tutta la faccenda e lui mi disse che avrebbe effettuato un controllo per me.» Verloren annuì, più a se stesso che a Bosch. Cercava di convincersi della giustezza delle proprie azioni di padre in cerca di giustizia per la figlia. «E poi cosa accadde?» insistette Bosch. «Poi ricevetti la visita di due poliziotti.» «Non Green e Garcia?» «No, non loro. Degli altri. Vennero al ristorante.» «Come si chiamavano?» Verloren scosse il capo. «Non mi diedero mai i loro nomi. Si limitarono a mostrarmi i distintivi. Penso che fossero detective. Mi dissero che mi sbagliavo riguardo a quello per cui tormentavo Green. Mi dissero di smetterla, perché stavo solo confondendo le acque. Dissero proprio così, "confondendo le acque". Come se la cosa riguardasse me, non mia figlia.» Scosse il capo con forza, la rabbia era ancora acuta dopo tutti quegli anni. Bosch gli pose una domanda scontata, scontata perché sapeva molto bene come lavorava il Dipartimento di Polizia di Los Angeles a quei tem-

pi. «La minacciarono?» Verloren sbuffò. «Sì, mi minacciarono» disse con calma. «Mi dissero che sapevano che mia figlia aveva interrotto una gravidanza, ma che non riuscivano a trovare la clinica dove era andata ad abortire. Perciò non c'era modo di identificare il padre. Non c'era modo di dimostrare chi fosse o non fosse. Dissero che non avrebbero dovuto fare altro che porre qualche domanda ai clienti su lei e me, e le voci avrebbero cominciato a diffondersi. Dissero che sarebbero bastate poche domande al posto giusto e al momento giusto, e la gente avrebbe creduto che il padre fossi io.» Bosch non lo interruppe. Sentiva la rabbia che gli serrava la gola. «Dissero che sarebbe stato difficile per me continuare a lavorare se tutti avessero pensato che... che avevo fatto una cosa del genere a mia figlia...» Ora altre lacrime solcarono il viso scuro. Non tentò di frenarle. «E così feci quello che volevano. Mi tirai indietro e lasciai perdere. La smisi di confondere le acque. Mi dissi che non importava; che comunque Becky non sarebbe tornata in vita. Perciò non chiamai mai più il detective Green... e il caso non fu mai risolto. Dopo qualche tempo, cominciai a bere per dimenticare quello che avevo perso e quello che avevo fatto, avevo messo me stesso, il mio orgoglio, la mia reputazione e il mio lavoro davanti a mia figlia. E molto presto, prima di rendermene conto, giunsi a quel buco nero di cui le parlavo prima. Ci caddi dentro, e sto ancora cercando di uscirne.» Dopo un momento si voltò e guardò Bosch. «Cosa gliene pare del mio racconto, detective?» «Mi dispiace, signor Verloren. Mi dispiace che sia successo. Tutto questo.» «Era la storia che voleva sentire, detective?» «Io volevo solo conoscere la verità. Che lei ci creda o meno, mi aiuterà. Mi aiuterà a parlare per Rebecca. Saprebbe descrivere i due uomini che vennero da lei?» Verloren scosse il capo. «È passato molto tempo. Con tutta probabilità li riconoscerei se me li trovassi davanti. Ricordo solo che erano tutti e due bianchi. Uno dei due sembrava Mastro Lindo, perché era pelato e stava con le braccia incrociate come il tizio del detersivo.» Bosch annuì e sentì la rabbia tendergli i muscoli delle spalle. Sapeva chi

era Mastro Lindo. «Quanto sa sua moglie di questa vicenda?» domandò con voce calma. Verloren scosse il capo. «Muriel non ne sapeva nulla. Glielo tenni segreto. Ero io a dover portare il peso.» Verloren si asciugò le guance, pareva aver trovato sollievo dopo essere riuscito finalmente a raccontare quella storia. Bosch prese dalla tasca dei pantaloni la foto di Roland Mackey. La posò sul tavolo di fronte a Verloren. «Riconosce questo ragazzo?» Verloren lo fissò a lungo prima di scuotere il capo. «Dovrei? Chi è?» «Si chiama Roland Mackey. Aveva un paio di anni più di sua figlia nel 1988. Non andava a scuola alla Hillside, ma viveva a Chatsworth.» Bosch attese, ma non ne cavò nulla. Verloren fissava la foto sul tavolo. «È una foto segnaletica. Cos'ha fatto?» «Ha rubato un'automobile. Ma è stato condannato anche per dei legami con gli estremisti di Potere bianco. Ha fatto la spola dentro e fuori dalla galera. Il nome significa qualcosa per lei?» «No. Dovrebbe?» «Non lo so. Chiedo solo. Ricorda se sua figlia menzionò mai questo nome, o magari qualcuno che si chiamava Ro?» Verloren scosse il capo. «Stiamo cercando di capire se si siano mai incrociati in qualche modo. La Valley è molto grande. Potrebbero aver...» «In che scuola è andato?» «Alla Chatsworth High, ma non la finì. Prese il diploma intermedio.» «Rebecca andò alla Chatsworth High per i corsi per la patente nell'estate prima di essere portata via.» «Vuole dire nel 1987?» Verloren annuì. «Controllerò.» Ma Bosch non pensava che fosse una buona pista. Mackey aveva lasciato la scuola prima dell'estate del 1987, e solo nel 1988 c'era tornato per il diploma intermedio. Comunque, valeva la pena dare un'occhiata. «E i cinema? Le piaceva andare al cinema o nei centri commerciali?» Verloren alzò le spalle. «Aveva sedici anni. Certo che le piaceva andare al cinema. Quasi tutte le

sue amiche avevano la macchina. Appena compiuti i sedici e presa la patente, erano sempre in giro. Mia moglie le chiamava le tre "M": Movies, Malls e Madonna, film, centri commerciali e Madonna.» «Quali centri commerciali? Quali cinema?» «Andavano al Northridge Mall perché era vicino. Ma gli piaceva anche andare al drive-in di Winnetka. Così potevano rimanere in macchina e chiacchierare anche durante il film. Una delle ragazze aveva una decappottabile, gli piaceva andare con quella.» Bosch si focalizzò sul drive-in. Se n'era dimenticato quando prima aveva parlato dei cinema con Rider. Ma una volta Mackey era stato arrestato mentre svaligiava lo stesso drive-in di Winnetka. Era un possibile punto di intersezione. «Rebecca e le sue amiche andavano spesso al drive-in?» «Penso che le piacesse andarci al venerdì sera, quando uscivano i film nuovi.» «Incontravano dei ragazzi?» «Immagino di sì. Vede, col senno di poi è tutto diverso. Non c'era niente di sbagliato o di innaturale nel fatto che nostra figlia andasse al cinema con le amiche e lì incontrasse dei ragazzi. Fu solo in seguito, dopo che si era verificato il peggior scenario possibile, che la gente cominciò a chiedere: "Perché non sapevate con chi era vostra figlia?". Noi pensavamo che andasse tutto bene. La mandavamo alla scuola migliore che avevamo trovato. Le sue amiche erano di buona famiglia. Non potevamo sorvegliarla tutti i minuti. Il venerdì sera - al diavolo, tutte le sere - io lavoravo fino a tardi al ristorante.» «Capisco. Non la giudico come genitore, signor Verloren. Non ci vedo niente di sbagliato nel vostro comportamento, okay? Sto solo gettando una rete. Raccolgo più informazioni possibili, non si sa mai quale di queste si rivelerà importante.» «Già, ma quella rete si è impigliata e strappata sulle rocce molti anni fa.» «Forse no.» «Lei pensa che sia stato Mackey?» «È coinvolto in qualche modo, è l'unica cosa di cui siamo sicuri. Presto sapremo di più. Glielo prometto.» Verloren si voltò e guardò Bosch dritto negli occhi per la prima volta. «Quando arriverà a quel punto parlerà per conto di mia figlia, vero, detective?» Bosch annuì lentamente. Pensava di sapere quello che gli stava chieden-

do Verloren. «Sì, signore, lo farò.» 21 Kiz Rider era seduta alla scrivania con le braccia conserte, come se avesse aspettato Bosch per tutta la mattina. Aveva un'espressione tetra, e Bosch capì che era successo qualcosa. «Hai trovato i file della PDU?» domandò. «Ho potuto guardarli. Non sono stata autorizzata a prenderli.» «Roba buona?» domandò. «Dipende da che punto di vista.» «Be', ho qualcosa anch'io.» Si guardò attorno. La porta dell'ufficio di Abel Pratt era aperta e Bosch vide che il detective era dentro, chinato sul piccolo frigorifero che teneva accanto alla scrivania, abbastanza vicino da sentire. Non che Bosch non si fidasse di lui, anzi, ma non voleva metterlo nella posizione di ascoltare qualcosa per cui non era pronto. Come aveva fatto Rider quando poco prima avevano parlato al telefono. Tornò a guardare la collega. «Ti va di fare due passi?» «Sì.» Si diressero fuori. Quando passò davanti alla porta dell'ufficiale in comando, Bosch sbirciò dentro. Ora Pratt era al telefono. Bosch attirò la sua attenzione e gli mimò il gesto di bere una tazza di caffè, come per invitarlo. Pratt scosse il capo per rifiutare l'offerta e sollevò un vasetto di yogurt, come a dire che aveva già ciò che gli serviva. Bosch vide dei pezzettini verdi nella poltiglia. Cercò di pensare a un frutto verde e gli venne in mente soltanto il kiwi. Si allontanò rimuginando sul fatto che l'unica maniera per rendere lo yogurt ancora più cattivo era aggiungerci il kiwi. Presero l'ascensore, scesero nell'atrio e camminarono verso la fontana commemorativa. «Dove vuoi andare?» domandò Kiz. «Dipende da quanto c'è da parlare.» «Molto, direi.» «L'ultima volta che ho lavorato al Parker Center ero un fumatore. Quando avevo bisogno di camminare e pensare andavo alla Union Station e compravo le sigarette dal tabaccaio che c'è lì. Mi piaceva quel posto. Ci

sono delle sedie molto comode nel salone principale. O perlomeno, un tempo c'erano.» «Per me va bene.» Si avviarono in quella direzione, presero la Los Angeles Street verso nord. Il primo edificio che oltrepassarono era quello che ospitava gli uffici federali, e Bosch notò che le barriere in cemento armato erette nel 2001 per difendere il palazzo da eventuali attacchi con auto bomba erano ancora al loro posto. La minaccia non sembrava preoccupare la gente in fila davanti all'edificio. Aspettavano di entrare nell'ufficio immigrazione, stringendo in mano i documenti per presentare domanda di cittadinanza. Attendevano sotto i mosaici della facciata, che rappresentavano uomini e donne vestiti come angeli, lo sguardo rivolto al cielo, in attesa del paradiso. «Perché non cominci, Harry?» lo esortò Rider. «Dimmi di Robert Verloren.» Bosch camminò ancora un po' prima di parlare. «Mi è piaciuto il tipo» disse. «Si sta trascinando fuori dal baratro. Prepara cento e più colazioni ogni mattina, laggiù. Ne ho avuto un piatto, ed era proprio roba buona.» «E scommetto che i prezzi sono molto più economici che al Pacific Dining Car. Cosa ha tirato fuori per farti arrabbiare così?» «Di cosa parli?» «Tu capisci me, io capisco te. So che ti ha detto qualcosa che ti ha messo in moto.» Bosch annuì. Non sembrava davvero che fossero passati tre anni dall'ultima volta che avevano lavorato insieme. «Irving. O quantomeno io penso che abbia tirato fuori Irving.» «Dimmi.» Bosch le riferì quanto Verloren le aveva raccontato meno di un'ora prima. Concluse con la descrizione, per quanto limitata, dei due uomini con il distintivo che erano andati a minacciarlo al suo ristorante per convincerlo a non insistere sulla questione razziale. «Pare anche a me che possa essere Irving» disse Rider. «E uno dei suoi tirapiedi. Magari McClellan.» «Forse. Perciò pensi che Verloren avesse ragione? Ha vissuto parecchio per la strada.» «Penso di sì. Sostiene di non bere da tre anni. Ma sai com'è, quando ti arrovelli su qualcosa per diciassette anni, capita che le impressioni diventino fatti. Eppure tutto quello che mi ha detto sembra combaciare con l'in-

telaiatura di questa storia. Penso che abbiano manipolato il caso, Kiz. Stava andando in una direzione e loro lo hanno spinto dall'altra parte. Magari sapevano cosa sarebbe successo, che la città si sarebbe infiammata. Rodney King non era la benzina, era solo la scintilla. La marea stava montando, e forse chi aveva il potere ha scelto per il bene pubblico di nascondere la verità. Hanno sacrificato la giustizia e Rebecca Verloren.» Stavano passando sopra la freeway 101, sulla sopraelevata di Los Angeles Street. Otto corsie trafficate fumavano sotto di loro. Il sole era limpido, si rifletteva sui parabrezza, sugli edifici, sul cemento. Bosch infilò i RayBan. Il traffico era rumoroso e Rider dovette alzare la voce. «Non è da te, Harry.» «Cosa?» «Cercare una giustificazione per le cose sbagliate che hanno fatto. Tu cerchi sempre gli aspetti sinistri.» «Mi stai dicendo che hai trovato gli aspetti sinistri in quei file della PDU?» Annuì accigliata. «E così ti hanno lasciato guardare tranquillamente i documenti?» «Per prima cosa, questa mattina sono andata a incontrare il mio uomo. Gli ho portato una tazza di caffè di Starbucks, odia quella merda della caffetteria. In questo modo sono riuscita a entrare. Poi gli ho detto cosa avevamo e cosa intendevamo fare, e alla fine si è fidato di me. Perciò mi ha lasciato dare un'occhiata in giro nell'Archivio Speciale.» «L'Unità Ordine Pubblico è nata ed è scomparsa prima che lui arrivasse. Ne sapeva qualcosa?» «Sono sicura che, dopo aver ottenuto il lavoro, ne è stato informato. Forse addirittura prima di accettare il lavoro.» «Gli hai parlato in modo specifico di Mackey e degli Otto di Chatsworth?» «No, non sono entrata in dettagli. Gli ho detto solo che il caso in cui ci siamo imbattuti era connesso con una vecchia indagine della PDU e che avevo bisogno di entrare all'Archivio Speciale per cercare un documento. Ha mandato il tenente Hohman con me. Siamo entrati, abbiamo trovato il file e io l'ho scorso, mentre Hohman era seduto davanti a me dall'altra parte del tavolo. Sai una cosa, Bosch? Ci sono un sacco di documenti nell'Archivio Speciale.» «Dove sono seppelliti tutti i cadaveri...»

Bosch avrebbe voluto aggiungere qualcosa, ma non sapeva che parole usare. Rider lo guardò e capì. «Cosa, Harry?» In principio non disse nulla, ma lei attese. «Kiz, hai detto che l'uomo del sesto piano si fida di te. Tu ti fidi di lui?» Lo fissò negli occhi quando rispose. «Come mi fido di te, Harry. Okay?» Bosch la guardò. «A me basta.» Kiz Rider fece per voltare verso l'Arcadia, ma Bosch indicò il vecchio pueblo, il luogo dove la Città degli Angeli era stata fondata. Voleva prendere la via più lunga. «Non vengo da queste parti da parecchio tempo. Diamo un'occhiata.» Attraversarono i cortili circolari dove i padres benedicevano gli animali in occasione della Pasqua, quindi passarono accanto all'Istituto Culturale Messicano. Seguirono le bancarelle di churro e di souvenir da quattro soldi. Da altoparlanti invisibili proveniva una musica di mariachi registrata, ma in contrappunto si udiva il suono di una chitarra dal vivo. Trovarono il musicista seduto su una panchina di fronte all'Avila Adobe. Si fermarono e ascoltarono il vecchio che suonava una ballata messicana che Bosch pensava di aver già sentito, ma che non riusciva a identificare. Bosch studiò l'edificio con le mura di fango dietro il musicista e si chiese se don Francisco Avila avesse un'idea di quello che stava per mettere in moto quando aveva avanzato la propria pretesa su quel luogo nel 1818. Da quel punto sarebbe cresciuta una città alta e immensa. Una città grande come molte altre, e altrettanto malvagia. Una città che era una meta, una città di invenzioni e rinascite. Un luogo in cui i sogni sembravano facili da raggiungere come le insegne che li reclamizzavano sulle colline, ma dove la realtà era sempre qualcosa di diverso. La strada che conduceva a quelle insegne era sbarrata da un cancello chiuso. Era una città piena di possidenti e nullatenenti, stelle del cinema e figuranti, piloti e pilotati, prede e predatori, crapuloni e affamati, con poco spazio a separarli. Una città che, nonostante tutto questo, spingeva ancora la gente a mettersi in fila ogni giorno dietro i suoi cancelli per entrare e per rimanere. Bosch estrasse un rotolo di banconote dalla tasca e lasciò cadere un biglietto da cinque nel cesto del musicista.

Attraversò poi, insieme a Rider, la vecchia Cucamonga Winery, le cui cantine erano state convertite in gallerie d'arte, e uscirono sulla Alameda. Attraversarono la strada e raggiunsero la stazione ferroviaria, la torre dell'orologio si ergeva di fronte a loro. Sul marciapiede antistante la stazione oltrepassarono una meridiana con un'iscrizione sul piedistallo di granito. LA VISTA PER VEDERE LA FEDE PER CREDERE IL CORAGGIO PER AGIRE La Union Station era stata progettata per rispecchiare la città che serviva e il suo funzionamento. Era un melting pot di diversi stili architettonici: il coloniale ispanico, il missionario, il modernista, l'art déco, il sudoccidentale e il moresco spiccavano tra gli altri. Ma a differenza del resto della città, dove il calderone spesso feriva lo sguardo, gli stili della stazione ferroviaria si mescolavano con dolcezza in un qualcosa di unico, bello. Bosch la amava per questo. Attraverso le porte di vetro giunsero nell'atrio cavernoso, dove un passaggio ad arco alto tre piani conduceva nell'immensa sala d'attesa sul retro. Non appena Bosch vi entrò, si ricordò che non aveva l'abitudine di passeggiare in quel luogo solo per le sigarette, ma anche per rigenerarsi un po'. Andare alla Union Station era come recarsi in visita in chiesa, in una cattedrale dove si incontravano le armoniose ricerche architettoniche, la funzionalità e l'orgoglio civico. Le voci dei viaggiatori si innalzavano negli alti spazi vuoti della sala d'aspetto centrale e si tramutavano in un languido coro di sussurri. «Amo questo posto» disse Rider. «Hai mai visto Blade Runner?» Bosch annuì. L'aveva visto. «Questa era la stazione di polizia, giusto?» domandò. «Già.» «E tu hai mai visto L'assoluzione?» chiese. «No, era bello?» «Sì, dovresti vederlo. Un altro punto di vista sulla Dalia Nera e la cospirazione del Dipartimento di Polizia di Los Angeles.» Gemette. «Grazie, ma non penso che sia quello di cui ho bisogno in questo momento.»

Presero due tazze di caffè all'Union Bagel, poi entrarono nella sala d'attesa, dove c'erano file di sedili di pelle marrone allineate come lussuose panchine. Bosch alzò lo sguardo, come era sempre spinto a fare. Anche Rider guardò in su. Si sedettero sui morbidi sedili imbottiti e posarono le tazze sugli ampi braccioli di legno. «Sei pronto a parlarne adesso?» domandò Rider. «Se sei pronta tu» rispose. «Cosa c'era nel file che hai visto nell'Archivio Speciale? Cosa c'era di tanto sinistro?» «Intanto per cominciare, c'era Mackey.» «Come sospetto del caso Verloren?» «No, il file non aveva niente a che vedere con i Verloren. Il nome Verloren non è neppure comparso sullo schermo per tutto il tempo in cui ho scorso i documenti. Riguardava un'indagine che era stata avviata e insabbiata ancora prima che Rebecca Verloren rimanesse incinta, e tanto meno strappata dal suo letto nel cuore della notte.» «Va bene, allora cosa ha a che fare con noi?» «Forse niente, o forse tutto. Conosci il tizio con cui vive Mackey, William Burkhart?» «Sì.» «C'è anche lui. Solo che all'epoca era meglio conosciuto come Billy Blitzkrieg. Era il suo pseudonimo nella gang, gli Otto.» «Okay.» «Nel marzo del 1988 Billy Blitzkrieg finì dentro per un anno per aver compiuto atti vandalici in una sinagoga nella zona nord di Hollywood. Danneggiamenti, graffiti, feci e tutto il resto.» «Il crimine d'odio. Fu l'unico a essere beccato?» Rider annuì. «Lo incastrarono grazie a una bomboletta spray trovata in un canale di scolo a circa un isolato dalla sinagoga. Così si costituì. Decise di confessare per evitare una condanna esemplare.» Bosch annuì. Non voleva dire nulla che potesse interrompere il flusso del discorso. «Nei rapporti e sulla stampa Burkhart - o Blitzkrieg, o come diavolo ti pare - venne dipinto come il leader degli Otto. Dichiarò che annunciavano il 1988 come l'anno della sollevazione razziale ed etnica per onorare il loro amato Adolf Hitler. Conosci quella merda. RaHoWa, revenge of the white,

la vendetta dei bianchi, spazzatura simile. Giravano con le maglie dei Minnesota Vikings: a quanto pare i vichinghi erano una razza pura. Indossavano tutti quanti il numero ottantotto.» «Comincio a scorgere il quadro.» «Comunque, avevano parecchio su Burkhart. Avevano la storia della sinagoga, e i federali erano ansiosi di fargli sulla testina appuntita una bella danza dei diritti civili. Moltissimi crimini erano cominciati proprio con l'inizio dell'anno, quando avevano brindato all'88 incendiando una croce nel giardino di una famiglia nera a Chatsworth. Dopo di quella altre croci erano state bruciate, e poi c'erano state telefonate minatorie e bombe intimidatorie. L'irruzione nella sinagoga. Distrussero persino un asilo nido ebraico a Encino. Tutto questo all'inizio di gennaio. Cominciarono anche ad aggirarsi per i centri di raccolta dei lavoranti, caricavano in macchina i messicani e li portavano nel deserto, dove li aggredivano e li abbandonavano. Per usare la loro terminologia, stavano fomentando il disaccordo, cosa che, secondo loro, avrebbe portato alla separazione delle razze.» «Già, conosco l'adagio.» «Okay, be', come ho detto, erano pronti a fare di Burkhart il capro espiatorio per tutta la faccenda. Se lo avessero portato davanti a una corte, sarebbe finito per minimo dieci anni in una prigione federale.» «Perciò non c'erano alternative. Accettò lo scambio.» Rider annuì. «Si prese un anno a Wayside e cinque anni di libertà vigilata, per il resto la fece franca. E gli Otto la fecero franca con lui. Si sciolsero, e così cessarono le minacce. Tutta questa storia si concluse per la fine di marzo, molto prima dell'omicidio Verloren.» Mentre rifletteva sul racconto, Bosch osservò una donna che trascinava una ragazzina per la mano verso i binari delle linee metropolitane. La donna trasportava anche una pesante valigia ed era concentrata sul cancello davanti a sé. La bambina si faceva tirare con il viso rivolto verso l'alto e gli occhi sul soffitto. Sorrideva a qualcosa. Bosch alzò lo sguardo e vide un palloncino contro uno dei quadrati del soffitto a volta. Il dramma di un bambino provocava il sorriso segreto di un'altra. Il palloncino era arancione e bianco, a forma di pesce, e Bosch sapeva, grazie a sua figlia, che si trattava di un personaggio dei cartoni animati di nome Nemo. Gli comparve davanti agli occhi l'immagine della figlia, ma la ricacciò subito via per potersi concentrare. Guardò Kiz Rider. «Dov'era Mackey in tutta questa faccenda?» domandò.

«Era il più piccolo della nidiata» rispose Rider. «Uno dei servi. Era la recluta perfetta. Aveva lasciato la scuola e non aveva né una vita né alcuna prospettiva. Era in libertà vigilata per un furto con scasso, e la fedina penale era zeppa di furti d'auto, rapine, traffico di droga. Era proprio il tipo che cercavano. Un perdente che potevano trasformare in un guerriero bianco. Ma una volta che lo tirarono dentro scoprirono che era - per citare Burkhart - più scemo di un negro con l'anello al naso. A quanto pare era così stupido che dovettero escluderlo dalle scorribande con le bombolette spray perché non era neppure capace di compitare il loro vocabolario elementare razzista. All'interno del gruppo cominciarono a chiamarlo Wej, Jew, ebreo, al contrario. Perché una volta sul muro di una sinagoga l'aveva scritto così.» «Dislessico.» «Direi.» Bosch scosse il capo. «Con gli indizi che abbiamo, io questo tizio non ce lo vedo proprio nell'omicidio Verloren.» «Sono d'accordo. Penso che abbia avuto un ruolo, ma non quello di protagonista. Non ha niente in mezzo alle orecchie.» Bosch decise di lasciar perdere Mackey e di tornare all'inizio del resoconto. «Se avevano scoperto tutte queste cose sulla gang, com'è che solo Burkhart finì dentro?» «Ci sto arrivando.» «È a questo punto che entrano in scena i pezzi grossi, l'high jingo?» «Indovinato. Vedi, Burkhart era un leader degli Otto, ma non il leader.» «Ah.» «Il leader era stato identificato con un tizio di nome Richard Ross. Era più vecchio degli altri. Un vero credente. Aveva ventun anni ed era un vero manipolatore. Era lui che aveva reclutato Burkhart e la maggior parte degli altri, e faceva andare avanti la banda.» «Questo Richard Ross, era Richard Ross Junior?» «Esatto. Il figlio diletto del buon capitano Ross.» Il capitano Richard Ross era stato per molto tempo a capo della Divisione Affari Interni nel periodo iniziale della carriera di Bosch al dipartimento. Ora era in pensione. Per Bosch la vicenda tornava alla perfezione. «Perciò tennero Junior fuori da questa storia e risparmiarono a Senior e

al dipartimento l'imbarazzo» disse. «Gettarono tutto sulle spalle di Burkhart, il secondo in comando di Ross. Il nostro venne messo dentro a Wayside e il gruppo fu smembrato. La faccenda venne ridotta a una scappatella giovanile.» «Indovinato.» «E fammi indovinare ancora: tutte le soffiate arrivarono da Richard Ross Junior.» «Sei bravo. Faceva parte dell'accordo. Richard Junior avrebbe tradito i compagni, la PDU non aveva bisogno di altro per spaccare il gruppo senza clamore. Junior così sarebbe stato tenuto completamente fuori.» «Tutto in un solo giorno di lavoro per Irving.» «E sai qual è la cosa divertente? Penso che Irving sia un nome ebreo.» Bosch scosse il capo. «Che lo sia o meno, non è molto divertente» disse. «Sì, lo so.» «Non se Irving ci ha visto uno spiraglio.» «A leggere tra le righe del rapporto, direi che li ha visti tutti, gli spiragli.» «Questo accordo gli diede il controllo degli Affari Interni. Voglio dire un reale controllo su chi veniva indagato e su come venivano condotte le indagini. Aveva Ross in pugno. Questo spiega molto bene quello che succedeva allora.» «Era prima che arrivassi io.» «Perciò si presero cura degli Otto, e Irving ottenne una bella ricompensa, poté mettere il guinzaglio a Richard Ross Senior e alla sua squadra» pensò Bosch a voce alta. «Ma poi Rebecca Verloren finì uccisa da una pistola appartenuta a un tizio che gli Otto minacciavano, una pistola che con tutta probabilità era stata rubata da uno dei piccoli bastardi che avevano lasciato a piede libero. Tutto il loro accordo sarebbe crollato se l'omicidio fosse ricaduto sugli Otto e quindi su di loro.» «Giusto. Perciò si fecero avanti e si intromisero nelle indagini. Le manovrarono, e nessuno andò mai a fondo.» «Figli di puttana» sussurrò Bosch. «Povero Harry. Devi avere addosso ancora un bel po' di ruggine dal tuo congedo. Hai pensato che avessero manipolato il caso per salvare la città da una rivolta. Non c'era niente di così eroico.» «No, stavano solo cercando di salvarsi il culo e la posizione che l'accordo con Ross aveva dato a Irving.» «Queste sono tutte supposizioni» lo frenò Rider.

«Già, stiamo leggendo tra queste cazzo di righe.» Bosch sentì il desiderio di una sigaretta, più intenso di quanto lo avesse mai provato nell'ultimo anno. Guardò le edicole e vide tutti i pacchetti in ordine negli scaffali dietro il bancone. Distolse lo sguardo. Levò gli occhi verso il palloncino intrappolato contro il soffitto. Pensò di sapere come doveva sentirsi Nemo appiccicato lassù. «Quando è andato in pensione Ross?» chiese. «Nel '91. Tirò avanti fino ai venticinque anni di servizio poi andò in pensione. Ho controllato, si è trasferito nell'Idaho. Ho passato al computer anche il nome di Junior, si era spostato lassù prima del padre. Con tutta probabilità in una di quelle enclave recintate per bianchi dove doveva sentirsi a casa.» «E con altrettanta probabilità era lassù a ridere come un maiale quando questo posto è saltato per aria dopo la storia di Rodney King nel '92.» «Probabile, ma non per molto. È rimasto ucciso in un incidente nel '93, guidava ubriaco di ritorno da un comizio antigovernativo fuori città. Quello che si semina si raccoglie, immagino.» Bosch sentì come un colpo sordo allo stomaco. Cominciava a piacergli Richard Ross Junior come autore dell'omicidio Verloren. Avrebbe potuto servirsi di Mackey per procurarsi l'arma e magari per farsi aiutare a trasportare la vittima su per la collina. Ma ora era morto. Le loro indagini potevano condurli a un vicolo cieco come quello? Sarebbero dovuti tornare dai genitori di Rebecca Verloren e dir loro che la figlia, scomparsa da diciassette anni, era stata uccisa da un ragazzo anche lui morto da tempo? Che razza di giustizia era quella? «So cosa pensi» disse Rider. «Avrebbe potuto essere il nostro uomo. Ma non credo. Secondo il computer, ha ottenuto la patente di guida dell'Idaho nel maggio del 1988. È presumibile che fosse già lì quando Rebecca Verloren venne uccisa.» «Già.» Bosch non era convinto da un semplice controllo al computer. Ripassò tutte le informazioni al setaccio, per vedere se saltava fuori qualcos'altro. «Okay, mandiamo indietro il nastro per un momento, vediamo se ho tutto chiaro. Nel 1988 abbiamo un gruppo di ragazzoni della Valley che si fanno chiamare gli Otto, vanno in giro con le casacche da football e cercano di far scoppiare una guerra santa razziale. Il dipartimento butta un occhio e scopre abbastanza presto che il cervello del gruppo è il figlio del capitano Ross degli Affari Interni. Il comandante Irving intuisce da che parte

tira il vento e pensa: "Uhm, credo di potermene servire a mio vantaggio". Perciò lascia perdere Richard Junior e decide di sacrificare William-BillyBlitz Burkhart al Dio della giustizia. Gli Otto vengono smantellati, un punto per i bravi ragazzi. E Richard Junior se la svigna, un punto per Irving, perché ora ha Richard Senior in pugno. E vissero tutti felici e contenti. Ho sbagliato qualcosa?» «A dire il vero è Billy Blitzkrieg.» «Blitzkrieg, allora. Perciò tutta questa vicenda era cotta e mangiata per l'inizio della primavera?» «Per la fine di marzo. E all'inizio di maggio Richard Ross Junior si era già trasferito nell'Idaho.» «Okay, perciò, allora, a giugno qualcuno fa irruzione a casa di Sam Weiss e gli ruba la pistola. Poi a luglio - il giorno dopo l'anniversario della nascita della nostra nazione - una ragazza di sangue misto viene prelevata dalla propria casa e uccisa. Non violentata, ma uccisa: un particolare importante da non dimenticare. L'omicidio viene orchestrato in modo da apparire un suicidio. Ma è malfatto, evidentemente da qualcuno inesperto. Garcia e Green prendono il caso, alla fine capiscono di cosa si tratta e conducono un'indagine che non li porta da nessuna parte perché, in modo consapevole o inconsapevole, vengono spinti nella direzione sbagliata. Ora, diciassette anni dopo, l'arma del delitto è legata in maniera incontrovertibile a qualcuno che appena qualche mese prima dell'omicidio se la faceva con gli Otto. Dove ho sbagliato?» «Penso che sia tutto giusto.» «Perciò la domanda è: è possibile che gli Otto non si fossero sciolti? Che avessero continuato ad agire, solo che ora camuffavano la loro firma? E che avessero alzato la posta fino all'omicidio?» Rider scosse lentamente il capo. «Tutto è possibile. Ma non ha molto senso. Gli Otto erano un proclama, un proclama pubblico. Bruciavano croci e profanavano le sinagoghe. Ma non è più un proclama se compi un omicidio e cerchi di farlo passare per un suicidio.» Bosch annuì. Rider aveva ragione. Il ragionamento non filava liscio. «Diciamo allora che sapevano di avere la polizia alle calcagna» disse. «Magari alcuni di loro continuarono a operare, ma come una sorta di movimento sotterraneo.» «Come ho detto, tutto è possibile.» «Okay, allora abbiamo Ross Junior nell'Idaho e Burkhart a Wayside. I

due leader. Chi rimaneva a parte Mackey?» «Ci sono altri cinque nomi nel file, ma non mi dicono niente.» «Per ora questa è la nostra lista di sospetti. Dobbiamo passarli al computer e vedere da dove arrivano. Aspetta un minuto. Burkhart era ancora a Wayside? Hai detto che si era beccato un anno, giusto? Questo significa che potrebbe essere uscito cinque o sei mesi dopo, a meno che non avesse combinato qualche casino. Quando è entrato con precisione?» Kiz Rider scosse il capo. «No, doveva essere alla fine di marzo o all'inizio di aprile quando è arrivato a Wayside. Non può aver...» «Non importa quando è entrato a Wayside. Conta quando l'hanno beccato. Quando è stata la faccenda della sinagoga?» «Era gennaio. All'inizio di gennaio. C'è la data esatta sul file.» «Va bene, inizio di gennaio. Hai detto che alcune impronte su una bomboletta potevano portare a Burkhart. Quanto ci sarebbe voluto nel 1988, quando queste cose si facevano ancora a mano? Una settimana per un caso caldo come quello? Se hanno beccato Burkhart alla fine di gennaio e non ha chiesto di uscire su cauzione...» Allargò le braccia e lasciò che la Rider finisse la frase. «Febbraio, marzo, aprile, maggio, giugno» disse in tono eccitato. «Cinque mesi. Potrebbe benissimo essere uscito per l'inizio di luglio!» Bosch annuì. Il sistema penitenziario della contea ospitava detenuti in attesa di giudizio o che scontavano la pena per un anno o meno. Da decenni il sistema era sovraffollato, sottoposto a interventi del tribunale che fissavano il tetto massimo della popolazione consentita. Questo aveva reso normali le scarcerazioni anticipate di detenuti in base a dei coefficienti legati al tempo e alla popolazione carceraria, coefficienti che a volte arrivavano fino a tre giorni di sconto per ogni giorno di pena sostenuta. «Mi sembra la strada giusta, Harry.» «Forse troppo giusta. Dobbiamo verificarla.» «Appena torniamo mi metto al computer e cerco di scoprire quando ha lasciato Wayside. Cambia qualcosa per le intercettazioni?» Bosch rifletté un momento sull'ipotesi di rallentare le cose. «Penso che dobbiamo andare avanti con le intercettazioni. Se le date a Wayside coincidono, allora sorveglieremo Mackey e Burkhart. Dobbiamo comunque innervosire Mackey, perché è il più debole. Lo facciamo quando è al lavoro, lontano da Burkhart. Se abbiamo ragione, lo chiamerà.» Si alzò.

«Ma dobbiamo comunque controllare gli altri nomi, gli altri membri degli Otto» aggiunse. Kiz Rider levò lo sguardo su di lui. «Pensi che funzionerà?» Bosch alzò le spalle. «Deve.» Si guardò attorno nell'enorme stazione. Controllò i visi e gli occhi, cercando qualcuno che distogliesse subito lo sguardo. Quasi si aspettava di scorgere Irving in mezzo alla folla di passeggeri. Mastro Lindo in azione. Era quella l'immagine che aveva Bosch quando Irving compariva sulla scena di un crimine. Kiz Rider si alzò. Gettarono le tazze vuote in un cestino dei rifiuti e si avviarono verso l'ingresso anteriore della stazione. Quando vi giunsero, Bosch si guardò alle spalle, ancora in cerca di un segugio. Sapeva che ora avrebbero dovuto considerare l'ipotesi di essere pedinati. Il luogo che solo venti minuti prima gli era sembrato accogliente e invitante, ora gli pareva sospetto e ostile. Le voci non erano più dei graziosi sussurri. Avevano assunto una nota tagliente. Suonavano rabbiose. Quando uscirono notarono che il sole si era spostato dietro le nuvole. Non avrebbe più avuto bisogno degli occhiali scuri. «Mi dispiace, Harry» disse Rider. «Cosa?» «Avevo pensato che il tuo ritorno sarebbe stato diverso. Ora siamo qui, il tuo primo caso, e cosa abbiamo? Un caso che puzza di marcio lontano un miglio.» Bosch annuì mentre attraversavano il marciapiede. Vide la meridiana e le parole scolpite sul granito. Gli occhi si fermarono sull'ultima riga. CORAGGIO PER AGIRE «Io non sono preoccupato» disse. «Ma loro dovrebbero esserlo.» 22 «Partiamo» rispose il comandante Garcia quando Bosch gli domandò se fosse pronto. Bosch annuì e andò alla porta per far accomodare le due donne del Daily News.

«Salve, io sono McKenzie Ward» disse quella che stava davanti. Era lei la reporter. L'altra portava la borsa della macchina fotografica e il cavalletto. «Sono Emmy Ward» disse la fotografa. «Sorelle?» domandò Garcia, sebbene la risposta fosse palese, visto come le due donne, sulla ventina, si assomigliavano: entrambe bionde e attraenti, con grandi sorrisi. «Io sono la maggiore,» disse McKenzie «ma non di molto.» Si strinsero la mano. «Com'è che due sorelle sono finite insieme allo stesso giornale?» domandò Garcia. «Io ci lavoravo da qualche anno, poi Emmy ha fatto domanda. Non è questa gran cosa. Abbiamo lavorato insieme parecchie volte. È un caso, dipende da chi riceve il compito di fare le foto. Oggi lavoriamo insieme. Domani magari no.» «Le dispiace se prima scattiamo qualche foto?» domandò Emmy. «Ho un altro incarico tra poco.» «Certo» rispose Garcia, come sempre accomodante. «Dove vuole che mi metta?» Emmy Ward allestì uno scatto con Garcia seduto al tavolo delle riunioni e il fascicolo del delitto aperto davanti. Bosch se l'era portato per dare sostanza al racconto. Mentre la sessione fotografica procedeva, Bosch e McKenzie Ward rimasero in piedi in un angolo a chiacchierare senza impegno. Poco prima avevano parlato a lungo al telefono. La donna aveva accettato la proposta. Se avesse fatto uscire la storia sul giornale il giorno dopo, avrebbe avuto in cambio l'esclusiva quando l'assassino fosse stato preso. Non era stato facile. In principio Garcia aveva gestito in modo goffo il primo approccio, poi aveva passato a Bosch la trattativa. Bosch era abbastanza saggio da sapere che nessun reporter avrebbe permesso al Dipartimento di Polizia di dettare legge su quando pubblicare un articolo e soprattutto su come scriverlo. Perciò si era concentrato sul quando e non sul come. Era partito dal presupposto che McKenzie avrebbe potuto scrivere un articolo che sarebbe servito al loro scopo. Aveva bisogno che uscisse sul giornale il prima possibile. Kiz Rider aveva preso appuntamento con il giudice quel pomeriggio. Se la richiesta di mettere i telefoni sotto controllo fosse stata accettata, la mattina dopo sarebbe iniziato il ballo. «Ha parlato con Muriel Verloren?» domandò la reporter. «Sì, è in casa tutto il pomeriggio, ed è pronta a rispondere alle sue do-

mande.» «Ho fatto qualche ricerca e ho letto tutti gli articoli che uscirono allora avevo otto anni - si parla molto del padre e del suo ristorante. Ci sarà anche lui?» «Non penso. Se ne è andato. E comunque è più una storia da madre. È lei che ha conservato la stanza da letto della figlia così com'era per diciassette anni. Ha detto che se lo desidera può fare delle foto.» «Davvero?» «Davvero.» Bosch la osservò sorvegliare la preparazione del set per la prossima foto di Garcia. Sapeva cosa stava pensando. La madre nella stanza congelata nel tempo sarebbe stata molto più interessante di un vecchio poliziotto alla scrivania con una cartelletta. Si rivolse a Bosch, mentre frugava nella borsetta. «Devo fare una telefonata per vedere se posso tenermi Emmy.» «Faccia pure.» Lasciò l'ufficio, con tutta probabilità perché non voleva che Garcia la sentisse dire al redattore che aveva bisogno di Emmy perché aveva l'occasione di fotografare la madre, un soggetto migliore. Dopo tre minuti tornò e annuì in direzione di Bosch, il quale pensò che quel gesto significasse che Emmy sarebbe rimasta con loro. «Allora siamo d'accordo per domani?» domandò, per fugare ancora una volta ogni dubbio. «L'abbiamo inserito nella finestra. Il mio redattore lo voleva tenere per domenica, dedicare alla storia un bell'articolo lungo, ma io gli ho detto che domani saremmo stati più competitivi. Ogni volta che possiamo battere il Times lo facciamo.» «Già, ma cosa dirà quando verrà a sapere che il Times non coprirà la storia? Penserà che l'abbia ingannato.» «No, penserà che quelli del Times hanno soppresso l'articolo perché li abbiamo battuti sul tempo. Succede di continuo.» Bosch annuì pensieroso, poi domandò: «Cosa significa che lo avete inserito nella finestra?». «Ogni giorno apriamo con un servizio speciale e una foto in prima pagina. Lo chiamiamo "finestra" perché è al centro della pagina. È una sorta di spot.» «Bene.» Bosch era eccitato per il ruolo che la storia avrebbe avuto.

«Se mi fregate non me lo dimenticherò» disse McKenzie con calma. C'era un tono di minaccia nella sua voce, il reporter senza scrupoli veniva a galla. Bosch alzò i palmi verso l'altro, come a mostrare che non aveva niente da nascondere. «Non succederà. Lei ha l'esclusiva. Appena prenderemo qualcuno, la chiamerò. Lei e nessun altro.» «Grazie. Ora ripassiamo un momento le regole, posso citarla per nome, ma lei non vuole comparire in nessuna delle foto, giusto?» «Giusto. Potrei dover fare qualche lavoro sotto copertura. Non voglio che la mia faccia finisca sui giornali.» «Capito. Cosa deve fare in incognito?» «Non si sa mai. Voglio soltanto avere le mani libere. Comunque, il comandante va meglio per le foto. Conosce il caso da più tempo di me.» «Be', penso di aver avuto tutto quello che mi serviva dai ritagli e dalle nostre precedenti telefonate, ma mi piacerebbe comunque sedermi con voi due per qualche minuto.» «Come desidera.» «Fatto» disse Emmy qualche istante dopo. Cominciò a riporre l'attrezzatura. «Penso che ci sia stato un cambio di programma; resti con me.» «Oh» disse Emmy, anche se non pareva che gliene importasse molto. «Perché non vai fuori mentre noi facciamo l'intervista?» disse McKenzie. «Voglio scrivere l'articolo il più presto possibile.» La reporter e Bosch si sedettero al tavolo con Garcia mentre la fotografa usciva per andare a controllare il nuovo incarico. McKenzie iniziò domandando a Garcia cosa lo avesse colpito del caso dopo tanto tempo e cosa lo avesse indotto a insistere perché l'Unità Casi Irrisolti se ne occupasse. Mentre Garcia dava una risposta sconclusionata, Bosch sentì crescere il disprezzo per quell'uomo. Lui sapeva una cosa di cui la reporter era all'oscuro, sapeva che Garcia, consapevolmente o meno, aveva lasciato che diciassette anni prima le indagini venissero insabbiate. Pareva che Garcia non sapesse che il suo lavoro era stato manipolato, ma in qualche modo per Bosch questo era il peccato minore. Comunque, forse non era corrotto o incapace di resistere alle pressioni che arrivavano dall'alto, ma quantomeno dimostrava di essere un incompetente. Dopo qualche altra domanda a Garcia, la reporter rivolse la propria attenzione a Bosch e gli domandò cosa ci fosse di nuovo nel caso rispetto a diciassette anni prima.

«La cosa più importante è che abbiamo il DNA dell'uomo che ha sparato» disse lui. «Un frammento di pelle e del sangue trovati nell'arma del delitto erano stati conservati dalla scientifica. Speriamo che le analisi ci permettano di farli combaciare con qualche sospetto il cui DNA è già conservato nei nostri archivi, o di poterlo usare per eliminare o confermare alcuni indiziati. È un'operazione che il comandante Garcia non avrebbe potuto fare nel 1988. Speriamo che questo possa cambiare la situazione.» Bosch poi spiegò come avessero fatto a estrarre dall'arma un campione di DNA dalla mano della persona che aveva sparato. La reporter parve molto interessata ai particolari e prese appunti dettagliati. Bosch era compiaciuto. Voleva che sui giornali si parlasse in particolare della pistola e del DNA. Voleva che Mackey leggesse l'articolo e capisse che il suo DNA era sotto osservazione. Che era stato analizzato e comparato. Di sicuro sapeva che un campione del suo DNA si trovava già nel database del Dipartimento di Giustizia. La speranza era che questo lo mandasse nel panico. Magari avrebbe tentato di scappare, magari avrebbe commesso un errore e avrebbe discusso il delitto al telefono con qualcuno. Un solo sbaglio sarebbe stato più che sufficiente. «Quanto tempo ci vorrà per ottenere i risultati dal Dipartimento di Giustizia?» domandò McKenzie. Bosch esitò. Cercava di non mentire in maniera spudorata. «Ma, è difficile dirlo» rispose. «Il dipartimento applica un ordine di priorità alle richieste di comparazione, e c'è sempre una controprova. Dovremmo avere qualcosa da un giorno all'altro.» Bosch era contento della propria risposta, ma poi la reporter gettò un'altra granata nella sua trincea. «Che mi dice del problema razziale?» disse. «Ho letto tutti gli articoli e mi sembra che non sia stato preso in considerazione il fatto che la ragazza fosse di sangue misto. Pensa che questo possa aver giocato un ruolo nel movente dell'omicidio?» Bosch lanciò un'occhiata a Garcia, sperando che il comandante rispondesse per primo. «Il caso venne studiato con attenzione anche da quel punto di vista» disse Garcia. «Non trovammo niente che potesse convalidare l'ipotesi. Con tutta probabilità è per questo che non ha riscontrato nulla sui giornali.» La reporter rivolse l'attenzione a Bosch, voleva anche il punto di vista attuale sulla questione. «Abbiamo esaminato a fondo il fascicolo del delitto e non c'è niente che

lasci pensare a un movente di tipo razziale» disse Bosch. «Come è ovvio stiamo rivoltando il caso dalla testa ai piedi, e stiamo analizzando tutti gli aspetti che potrebbero aver giocato un ruolo nelle motivazioni dietro al crimine.» La guardò e si preparò alla reazione della reporter; temeva che potesse non accettare la risposta e insistere. Pensò di lasciare che la tesi razziale aleggiasse nell'articolo. Avrebbe potuto aumentare le chance che ci fosse una reazione di Mackey. Ma l'uomo avrebbe anche capito quanto erano vicini a lui. Decise di lasciare la risposta così com'era. Invece di insistere, la reporter chiuse il quaderno degli appunti. «Penso di avere quello che mi occorre, per adesso» disse. «Andrò a parlare con la signora Verloren, poi dovrò affrettarmi a scrivere l'articolo perché esca domani. C'è un numero a cui posso raggiungerla, detective Bosch? Rapidamente, se ce ne fosse bisogno.» Bosch sapeva di essere nelle mani della donna. Le diede con riluttanza il numero di cellulare, sapeva che questo significava che in futuro avrebbe avuto una linea diretta con lui e se ne sarebbe servita ogni volta che ne avesse avuto bisogno. Era l'ultimo pagamento per l'accordo che avevano stipulato. Si alzarono e Bosch notò che Emmy Ward era entrata in silenzio nell'ufficio ed era rimasta seduta in un angolo durante l'intervista. Bosch e Garcia ringraziarono le due donne e salutarono. Bosch rimase nell'ufficio con Garcia. «Penso che sia andata bene» disse il comandante, dopo che la porta si fu richiusa. «Spero di sì» disse Bosch. «Mi è costato un numero di cellulare. Ce l'avevo da tre anni. Ora dovrò cambiarlo e avvisare tutti quanti. Sarà una bella rottura di coglioni.» Garcia ignorò la lamentela. «Come fa a essere sicuro che Mackey leggerà l'articolo?» «Non ne siamo sicuri. A dire il vero, crediamo che sia dislessico. Potrebbe non leggere per niente.» A Garcia cadde la mascella. «E allora cosa faremo?» «Be', abbiamo un piano per assicurarci che venga a conoscenza dell'articolo. Non si preoccupi di questo. Siamo coperti. C'è un altro nome che è saltato fuori ieri. Un tizio legato a Mackey allora e adesso. Si chiama William Burkhart. Ai tempi in cui lavorava al caso si faceva chiamare Billy

Blitzkrieg. Le dice niente?» Garcia fece del suo meglio per sembrare concentrato a ricordare, come quando si era messo in posa davanti alla macchina fotografica. Scosse il capo. «Non mi viene in mente niente» disse. «Già, di sicuro se ne sarebbe ricordato.» Garcia rimase in piedi, ma si chinò sulla scrivania a guardare l'agenda. «Vediamo. Cosa ho adesso?» «Ha me, comandante» disse Bosch. Garcia lo guardò. «Come?» «Ho bisogno di qualche minuto per chiarire un po' di particolari che sono emersi.» «Quali? Vuol dire questo nuovo tizio, Blitzkrieg?» «Sì, e quello di cui ha parlato la reporter e su cui abbiamo mentito. La pista razziale.» Bosch osservò il viso di Garcia assumere uno sguardo impietrito, severo. «Non ho mentito alla giornalista, e non ho mentito a lei ieri. Non abbiamo trovato nulla. Non abbiamo riscontrato nessuna pista razziale.» «Abbiamo?» «Il mio partner e io.» «Ne è sicuro?» Il telefono sulla scrivania trillò. Garcia afferrò il ricevitore e disse: «Non voglio telefonate, non voglio intrusioni», prima di sbatterlo sulla base. «Detective, le voglio ricordare con chi sta parlando» disse Garcia in tono piatto. «Cosa cazzo vuol dire "Ne è sicuro"? Cosa sta insinuando?» «Con tutto il dovuto rispetto al suo grado, signore, la pista razziale è stata esclusa nel 1988. Le credo quando dice che lei non ne era al corrente, altrimenti non avrebbe chiamato Pratt all'Unità Casi Irrisolti per ricordargli che c'era la possibilità di usare il test del DNA. Ma se lei non sapeva cosa stava accadendo, di certo il suo partner ne era a conoscenza. Le ha mai parlato delle pressioni che ricevette dal comando?» «Ron Green era il miglior detective con cui abbia mai lavorato. Non le permetterò di infangare la sua reputazione.» Erano in piedi uno di fronte all'altro, separati dalla scrivania, gli occhi fissi, in segno di sfida. «Non è un problema di reputazione, è un problema di verità. Ieri mi ha detto che si è ficcato in bocca la pistola qualche anno dopo il caso. Perché?

Ha lasciato un biglietto?» «Il fardello, detective. Non riusciva più a sopportarlo. Era tormentato da quelli che gli erano sfuggiti.» «E da quelli che aveva fatto fuggire lui?» Garcia puntò un dito contro Bosch. «Come cazzo si permette? È sul ghiaccio sottile, Bosch. Posso fare una telefonata al sesto piano e farla mettere su una strada prima del tramonto. La conosco. È appena rientrato dal congedo, basterebbe una telefonata per farla sospendere. Mi ha capito?» «Certo, la capisco.» Bosch si sedette su una delle sedie di fronte alla scrivania, nella speranza di riuscire ad alleggerire la tensione nella stanza. Garcia esitò, poi si sedette anche lui. «Trovo quello che mi ha appena detto molto offensivo» disse, la voce trasudava rabbia. «Mi dispiace, comandante. Stavo cercando di scoprire quanto sapesse.» «Non capisco.» «Il caso venne senza dubbio insabbiato dai piani alti. Non voglio fare nomi a questo punto delle indagini. Alcuni di loro sono ancora in servizio. Ma penso che questa vicenda sia connessa alla questione razziale, il legame con Mackey, e ora quello con Burkhart ne sono la riprova. Allora voi non avevate né Mackey né Burkhart, ma avevate la pistola. Dovevo scoprire se lei facesse parte della cospirazione. Dalla sua reazione direi che non era coinvolto.» «Ma mi sta dicendo che il mio partner lo era, e che me lo ha tenuto nascosto.» Bosch annuì. «Impossibile» protestò Garcia. «Ron e io eravamo molto vicini.» «Tutti i partner si sentono vicini, comandante. Ma da quello che ho capito, lei si occupava del fascicolo e Green portava avanti il caso. Se avesse incontrato resistenze all'interno del dipartimento, potrebbe aver scelto di non coinvolgerla. Penso che sia andata così. Forse la stava proteggendo, o forse si vergognava di essersi dimostrato vulnerabile alle pressioni.» Garcia abbassò lo sguardo e fissò la scrivania. Bosch era sicuro che fosse immerso in un ricordo. Qualcosa sul suo viso crollò e lo tradì. «Forse allora avevo capito che c'era qualcosa che non andava» disse con calma. «Verso la metà delle indagini.» «Come?»

«A un certo punto decidemmo di dividerci i genitori. Ron si occupò del padre e io della madre. Sa, per stabilire una relazione. Ron aveva problemi con il padre. All'inizio era stato passivo, poi all'improvviso cominciò a stargli addosso, a pretendere dei risultati. Ma c'era qualcos'altro, e avevo l'impressione che Ron me lo tenesse nascosto.» «Glielo domandò?» «Sì, glielo domandai. Mi disse solo che il padre era una persona difficile da trattare. Disse che era paranoico, che pensava che la figlia fosse stata uccisa per motivi razziali. E poi pronunciò una frase che ricordo ancora: "Là non ci possiamo andare". Disse solo questo, ma mi colpì, perché non mi sembrava il Ron Green che conoscevo. Il Ron Green che conoscevo sarebbe andato ovunque. Non c'erano strade proibite per lui. Mai fino a quel caso.» Garcia fissò gli occhi in quelli di Bosch, e Bosch annuì: era il suo modo di ringraziarlo per essersi aperto. «Pensa che abbia a che fare con quello che è accaduto in seguito?» domandò. «Si riferisce al suicidio?» «Sì.» «Forse. Non lo so. Tutto è possibile. Dopo quel caso prendemmo due direzioni diverse. Il problema tra partner è che quando il lavoro finisce non c'è più molto di cui parlare.» «Vero» disse Bosch. «Ero a una riunione dello staff di comando al Settantasettesimo; ero stato trasferito là dopo essere diventato tenente. Quel giorno scoprii che era morto. Era arrivata una nota allo staff. Penso che fosse la riprova di quanto ci eravamo allontanati. Avevo scoperto che si era ucciso una settimana dopo che l'aveva fatto.» Bosch si limitò ad annuire. Non c'era niente che potesse dire in proposito. «Adesso ho una riunione con i miei collaboratori, detective» disse Garcia. «Dobbiamo salutarci.» «Sì, signore. Ma sa, se riuscirono a fare pressione su Green in quel modo, vuol dire che avevano in mano qualcosa da usare contro di lui. Ricorda niente in proposito? C'era qualche tizio degli Affari Interni che gli stava addosso?» Garcia scosse il capo. Non era un diniego. Era un altro il significato di quel gesto.

«Sa, questo dipartimento ha sempre avuto più poliziotti impegnati a indagare gli altri poliziotti che a cercare gli assassini. Ho sempre pensato che se dovessi raggiungere la vetta, cambierei le cose.» «Mi sta dicendo che c'era un'indagine?» «Sto dicendo che era raro che nel dipartimento non ci fosse qualcosa sul tuo conto. C'era un file su Ron, certo. Era stato accusato di aver aggredito un sospetto. Stronzate. Il ragazzo aveva sbattuto la testa mentre Ron lo spingeva nell'auto, dovettero dargli qualche punto. Sai che roba. Saltò fuori che il ragazzo era ammanicato e gli Affari Interni non avrebbero lasciato correre.» «Perciò potrebbero essersene serviti per manipolare il caso?» «Potrebbero, dipende da quanto è disposto a credere alla cospirazione.» "Quando si parla del Dipartimento di Polizia di Los Angeles, è facile credere a un'ipotesi del genere" pensò Bosch, ma non lo disse. «Okay, signore, penso di essermi fatto un quadro della situazione» annunciò invece. «Ora me ne vado.» Bosch si alzò. «Capisco che avesse bisogno di sapere» disse Garcia. «Solo non approvo i suoi metodi.» «Mi dispiace, signore.» «No, non le dispiace, detective Bosch. Non le dispiace affatto.» Bosch non disse nulla. Andò alla porta e la aprì. Guardò Garcia e cercò di pensare a qualcosa da dire. Non trovò nulla. Si voltò e se ne andò, chiudendosi la porta alle spalle. 23 Kiz Rider era ancora seduta nella sala d'attesa davanti alla camera di consiglio del giudice Anne Demchak quando arrivò Bosch. Era rimasto intrappolato nel traffico di metà pomeriggio, tra le auto che tornavano in centro da Van Nuys, e temeva di essersi perso l'audizione con il magistrato. Rider leggeva una rivista, ma il primo pensiero di Bosch fu che, a quel punto delle indagini, lui non sarebbe più stato capace di sfogliare oziosamente un settimanale. A quel punto l'attenzione era interamente focalizzata sul caso. In una strana maniera, lui associava le indagini al surf, che tra l'altro non praticava dall'estate del 1964, quando era scappato dalla famiglia a cui era stato affidato e aveva vissuto per un po' sulla spiaggia. Erano passati molti anni da allora, ma ricordava ancora tutto. L'obiettivo

era infilarsi nel tunnel, il punto in cui l'onda si richiudeva completamente su di te, dove non c'era nient'altro che acqua. Ora Bosch era in quel tunnel. Non c'era nient'altro che il caso. «Da quanto tempo sei qui?» domandò. Rider consultò l'orologio. «Una quarantina di minuti.» «È lì dentro da tutto questo tempo?» «Già.» «Sei preoccupata?» «No. Sono già stata da lei altre volte. Una volta in un caso della Hollywood, dopo che tu te n'eri andato. È soltanto molto pignola. Legge tutte le pagine. Ci vuole un po', ma è una di quelle buone.» «L'articolo esce domani. Abbiamo bisogno che firmi oggi.» «Lo so, Harry. Rilassati. Siediti.» Bosch rimase in piedi. I giudici lavoravano a rotazione sulle autorizzazioni. Finire con la Demchak era stato un colpo di fortuna. «Non ho mai avuto a che fare con lei prima» disse. «Era un pubblico ministero?» «No. Stava dall'altra parte. Avvocato d'ufficio.» Bosch grugnì. La sua esperienza era che i difensori dei criminali che diventavano giudici si portavano dietro almeno l'ombra della loro alleanza con gli imputati. «Siamo nei guai» disse. «No, non lo siamo. Andrà tutto bene. Per favore, siediti. Mi innervosisci.» «Judy Champagne è ancora in attività? Magari potremmo chiederle di metterci una buona parola.» Judy Champagne era un ex pubblico ministero sposato con un ex poliziotto. Di loro si diceva che lui li pescava e lei li cucinava. Da quando era diventata giudice, era la preferita di Bosch per le richieste di mandato. Non perché pendesse dalla parte dei poliziotti, ma perché era equa. Ed era questa la cosa più importante per Bosch. «Non possiamo andarcene in giro a cercare consensi dentro il palazzo di giustizia. Lo sai, Harry. Ora, per favore, ti puoi sedere? Ho qualcosa da mostrarti.» Bosch si sedette su una sedia accanto alla collega. «Cosa?» «Ho il documento sulla libertà vigilata di Burkhart.» Estrasse una cartelletta dalla borsa, la aprì e la fece scivolare davanti a

Bosch sul tavolino da caffè. Picchiettò con il dito su una frase stampata sul decreto di scarcerazione. «Rilasciato da Wayside il 1° luglio 1988. Si è presentato all'ufficio per la libertà vigilata di Van Nuys il 5 luglio.» Bosch si raddrizzò sulla sedia e guardò Rider. «Allora è in gioco.» «Assolutamente. Lo hanno messo dentro per atti vandalici in una sinagoga il 26 gennaio, ed è uscito da Wayside cinque mesi dopo. È in gioco eccome, Harry.» Bosch sentì una scarica di adrenalina, il mosaico si componeva. «Okay, bene. Hai modificato la richiesta di intercettazioni per includere anche i suoi telefoni?» «L'ho fatto, ma senza troppo clamore. Mackey è ancora il collegamento diretto, a causa della pistola.» Bosch annuì e guardò il banco vuoto su cui di solito sedeva l'assistente del giudice. La targa con il nome diceva: Kathy Chrzanowski, e Bosch si domandò come si pronunciasse quel nome e dove fosse la donna. Decise di non pensare a cosa stava succedendo dentro la camera di consiglio. «Vuoi sentire le ultime novità dal comandante Garcia?» chiese. Kiz Rider stava infilando il documento nella borsa. «Certo.» Bosch passò i successivi dieci minuti a riferire i particolari dell'incontro nell'ufficio di Garcia, dell'intervista e della rivelazione finale del comandante. «Pensi che ti abbia detto tutto?» domandò la Rider. «Ti riferisci a quanto sapeva di ciò che era successo ai tempi? No, ma mi ha detto tutto quello che poteva.» «Io penso che dovesse far parte dell'accordo. Non posso immaginare che un partner stringa un accordo e riesca a lasciare l'altro all'oscuro. Impossibile in un caso del genere.» «Allora se era coinvolto, perché ha chiamato Pratt e gli ha detto di passare il DNA al Dipartimento di Giustizia? Non poteva continuare a fare finta di niente come aveva fatto per diciassette anni?» «Non è detto. Il senso di colpa lavora in maniera strana, Harry. Forse sono anni che Garcia è tormentato da questa storia e ha deciso di chiamare Pratt per sentirsi meglio. In più, diciamo che allora avesse stretto un accordo con Irving. Potrebbe essersi sentito al sicuro ora che Irving è stato mes-

so da parte dal nuovo capo.» Bosch pensò alla reazione di Garcia quando gli aveva detto che Green forse era tormentato da quelli che aveva lasciato scappare. Forse Garcia si era scaldato così perché era lui quello tormentato. «Non lo so» disse Bosch. «Può darsi...» Il cellulare di Bosch trillò. Mentre lo tirava fuori dalla tasca, Rider disse: «Sarà meglio che tu lo spenga prima che entriamo. Questa è una delle cose che il giudice Demchak non gradisce in camera di consiglio. Ho sentito di un procuratore generale a cui ha confiscato il cellulare». Bosch annuì, aprì il telefono e rispose. «Detective Bosch?» «Sì.» «Sono Tara Wood. Pensavo che avessimo un appuntamento.» Prima che la donna completasse la frase, Bosch si rese conto di essersi dimenticato l'appuntamento alla CBS e la scodella di gumbo che aveva in programma di mangiare per pranzo. Non aveva neppure avuto il tempo per pranzare. «Tara, mi dispiace davvero molto. Si è verificato un inconveniente, abbiamo dovuto occuparcene subito. Avrei dovuto chiamarla, ma mi è passato di mente. Dobbiamo prendere un altro appuntamento, se vorrà ancora parlare con me dopo quello che ho combinato.» «Uhm, certo, nessun problema. Avevo un paio di sceneggiatori del programma in mezzo ai piedi che ci tenevano a parlare con lei.» «Quale programma?» «Casi Irrisolti. Ricorda, gliene ho parlato...» «Oh, giusto, il programma. Be', mi dispiace.» Ora Bosch non si sentiva più tanto in colpa. Aveva cercato di approfittare del loro incontro per ottenere dei vantaggi pubblicitari. Si domandò se quella donna provasse ancora il minimo sentimento per Rebecca Verloren. Come se gli avesse letto nel pensiero, Tara gli chiese del caso. «È successo qualcosa che riguarda il caso? È per questo che non è venuto?» «Più o meno. Stiamo facendo dei progressi, ma non c'è niente che posso dirle così... anzi, forse una cosa ci sarebbe. Ha ripensato al nome che le ho fatto l'altra sera? Roland Mackey? Le dice niente?» «No, ancora niente.» «Ne ho un altro. Che mi dice di William Burkhart. O forse Bill Burkhart?»

Ci fu un lungo silenzio, durante il quale Wood cercò nella memoria. «No, mi dispiace. Non penso di conoscerlo.» «E il nome Billy Blitzkrieg?» «Billy Blitzkrieg? Sta scherzando, vero?» «No, perché, lo riconosce?» «No, per niente. Sembra il nome di un cantante heavy metal o qualcosa del genere.» «Non è un cantante. Ma è sicura che nessuno di questi nomi le dice niente?» «Mi dispiace, detective.» Bosch alzò lo sguardo e vide una donna che li chiamava con un cenno da dietro la porta aperta della camera di consiglio. Rider gli lanciò un'occhiata e si passò un dito lungo la gola. «Senta, Tara, ora devo andare. Mi farò sentire appena posso per fissare l'incontro. Mi scusi di nuovo, la chiamerò presto. Grazie.» Chiuse il telefono prima che la donna potesse rispondere e lo spense. Seguì Rider attraverso la porta tenuta aperta da una donna che Bosch suppose fosse Kathy Chrzanowski. In fondo alla sala le tende scure erano abbassate sulle vetrate che andavano da terra al soffitto. La stanza era illuminata soltanto da una lampada da tavolo. Alla scrivania Bosch scorse una donna che doveva avere quasi settant'anni. Pareva piccola dietro il grande tavolo di legno. Aveva un viso gentile, che diede a Bosch la speranza di uscire dall'ufficio con l'approvazione per le intercettazioni telefoniche. «Detective, entrate e sedetevi» disse. «Mi dispiace di avervi fatto aspettare tanto.» «Nessun problema, Vostro Onore» rispose Rider. «Apprezziamo che abbia esaminato con attenzione i documenti.» Bosch e Kiz si sedettero su due sedie davanti alla scrivania. Il giudice non indossava la toga. Bosch la vide appesa a un attaccapanni nell'angolo. Accanto all'attaccapanni c'era appesa una foto di Demchak con un noto membro liberale della corte suprema. Bosch avvertì una stretta allo stomaco. Poi vide sulla scrivania due fotografie incorniciate. Una rappresentava un uomo anziano e un ragazzino con in mano le mazze da golf. Il marito e il nipote forse. Nell'altra fotografia c'era una bambina di nove o dieci anni in altalena. Ma i colori erano sbiaditi. Era una vecchia foto. Forse si trattava della figlia. Bosch si mise in testa che il collegamento con i figli avrebbe potuto fare la differenza.

«Sembra che abbiate una certa fretta» disse il giudice. «C'è una ragione per questo?» Bosch guardò Rider, che si chinò in avanti per rispondere. Era lei la protagonista. Lui era una semplice comparsa, si era presentato solo per dimostrare al giudice che per loro la questione era molto importante. I poliziotti dovevano sostenersi a vicenda in certe occasioni. «Sì, Vostro Onore, ci sono un paio di motivi» iniziò Rider. «Il principale è che crediamo che domani sul Daily News uscirà un articolo. Potrebbe indurre il nostro principale sospettato, Roland Mackey, a contattare qualche altro indiziato - uno dei quali è nominato nella domanda - e a parlare del delitto. Come ha visto nella richiesta di autorizzazione, crediamo che ci sia più di una persona coinvolta nell'omicidio, ma abbiamo un collegamento diretto solo con Mackey. Se saremo in grado di ascoltare le telefonate di Mackey quando uscirà l'articolo sui giornali, potremmo individuare le altre persone coinvolte.» Il giudice annuì, senza guardarli. Teneva gli occhi sul modulo dell'autorizzazione. Aveva un aspetto serio, e Bosch cominciò ad avvertire una pessima sensazione. Dopo qualche minuto di silenzio, la donna disse: «E l'altra ragione della vostra fretta?». «Oh, sì» disse Rider, che evidentemente se n'era dimenticata. «L'altra ragione è che crediamo che Roland Mackey possa essere coinvolto in nuove attività criminose. Al momento non sappiamo con precisione quali, ma siamo sicuri che più in fretta cominceremo ad ascoltare le sue conversazioni, prima lo accerteremo e saremo in grado di impedire che qualcun altro sia trasformato in vittima. Come ha visto sulla domanda, sappiamo che in passato è stato coinvolto quantomeno in un omicidio. Siamo convinti che non ci sia tempo da perdere.» Bosch si compiacque della risposta di Rider. Era preparata con cura e avrebbe messo molta pressione sul giudice perché firmasse l'autorizzazione. Dopo tutto, la sua era una carica elettiva. Doveva considerare le conseguenze di un'eventuale ricusazione. Se Mackey stava per commettere un delitto che poteva essere fermato se la polizia avesse ascoltato le sue telefonate, il giudice sarebbe stato ritenuto responsabile dall'elettorato, a cui non sarebbe interessato niente della motivazione che l'aveva spinta a salvaguardare i diritti civili di un criminale. «Capisco» rispose Demchak con freddezza. «Cosa vi fa pensare che possa essere coinvolto in attività illecite, se non siete in grado di citare neppure uno specifico crimine?»

«Diverse considerazioni, giudice. Roland Mackey ha terminato dodici mesi fa un periodo di libertà vigilata a seguito di un reato di natura sessuale, e si è subito trasferito a un nuovo indirizzo, ma il suo nome non compare in nessun atto o contratto di affitto. Non ha lasciato alcun recapito né all'ex proprietario né all'ufficio postale. Divide la casa con un ex detenuto con il quale in passato aveva condiviso attività criminali. Si tratta di William Burkhart, anche lui nominato nella domanda. E, come ha potuto riscontrare dai documenti, si serve di un telefono che non ha registrato a proprio nome. È evidente che sta volando sotto il livello dei radar, Vostro Onore. Si direbbe proprio che abbia preso tutte le precauzioni per celare il proprio coinvolgimento in attività illegali.» «O forse vuole solo evitare le intrusioni del governo» disse il giudice. «La vostra linea è molto esile, detective. Avete altro? Mi serve di più.» Rider lanciò un'occhiata a Bosch, con gli occhi spalancati. La sicurezza che aveva ostentato in sala d'aspetto l'aveva abbandonata. Bosch sapeva che la partner aveva messo tutto nella domanda e nei commenti esposti davanti al giudice. Cosa rimaneva? Bosch si schiarì la voce e si chinò in avanti per parlare a sua volta. «L'attività criminale cui prese parte insieme all'uomo con cui ora vive consisteva in reati determinati dall'odio razziale, giudice. Questi individui hanno ferito e minacciato molte persone. Molte persone.» Si appoggiò allo schienale, sperando di aver alzato il livello della pressione, almeno di un po'. «A quanto tempo fa risalgono tali crimini?» domandò il giudice. «Furono perseguiti alla fine degli anni '80» disse Bosch. «Ma chi sa per quanto sono andati avanti. È evidente che il legame tra questi due uomini non è mai stato interrotto.» Il giudice non disse nulla per un altro minuto. Sembrava che leggesse e rileggesse le conclusioni riassuntive della domanda di Rider. Su un lato della scrivania si accese una piccola luce rossa. Bosch intuì che l'udienza che doveva avere in programma stava per cominciare. Tutti gli avvocati e le parti in causa erano presenti. Alla fine, il giudice Demchak scosse il capo. «Non penso che ci siano gli elementi, detective. Sapete che ha usato la pistola, ma non che l'ha usata per il delitto. Potrebbe aver maneggiato l'arma giorni o settimane prima dell'omicidio.» Fece un gesto in direzione delle carte sparse davanti a lei sulla scrivania, come se volesse sbarazzarsene.

«Il fatto che abbia svaligiato un drive-in dove sia lui sia la vittima andavano abitualmente è quantomeno inconsistente. Mi mettete in imbarazzo, mi chiedete di firmare qualcosa che non esiste.» «Esiste» disse Bosch. «Sappiamo che esiste.» Kiz Rider gli posò una mano sul braccio, un ammonimento perché non si lasciasse andare. «Io non lo vedo, detective» disse Demchak. «Mi state chiedendo di garantirvi. Non avete abbastanza ragioni plausibili, e mi state chiedendo di trascurare quello che manca. Non posso farlo. Non così come stanno le cose.» «Vostro Onore» disse Rider. «Se non otterremo una sua firma, perderemo l'opportunità di sfruttare la stampa.» Il giudice le sorrise. «Questo non ha niente a che vedere con me e con il mio ruolo, detective. Lo sa. Io non sono un braccio del Dipartimento di Polizia. Sono indipendente e devo considerare i fatti come mi si presentano.» «La vittima era di sangue misto» disse Bosch. «È provato che questo tizio sia un razzista. Rubò la pistola, e questa venne usata per uccidere una ragazza di sangue misto. Il collegamento sta qui.» «Non è un collegamento supportato da prove, detective. Si fonda sulla deduzione.» Bosch fissò il giudice per un momento, la donna non abbassò lo sguardo. «Lei ha dei figli, giudice?» domandò. Subito le guance del giudice presero colore. «Cosa c'entra questo?» «Vostro Onore» intervenne Kiz Rider. «Torneremo con le prove.» «No» disse Bosch. «No, non torneremo. Ne abbiamo bisogno adesso, giudice. Questo tizio è rimasto libero per diciassette anni. E se Rebecca Verloren fosse stata sua figlia? Avrebbe potuto distogliere gli occhi? Rebecca Verloren era figlia unica.» Lo sguardo del giudice Demchak si incupì. Quando parlò lo fece con calma rabbiosa. «Io non distolgo gli occhi, detective. Si dà il caso che io sia l'unica in questa stanza a vedere le cose come stanno. E potrei aggiungere che se continuerà a insultare e a mettere in discussione la corte, la farò incriminare per oltraggio. Posso far arrivare un ufficiale giudiziario in cinque secondi. Forse potrebbe approfittare di questo tempo per riflettere sulle lacune della vostra presentazione.»

Bosch proseguì imperterrito. «La madre vive ancora nella stessa casa» disse. «La camera da letto da cui è stata portata via la ragazza è rimasta esattamente com'era il giorno in cui venne uccisa. Lo stesso copriletto, gli stessi cuscini... tutto uguale. La stanza - e la madre - sono congelate nel tempo.» «Questi fatti non sono pertinenti.» «Il padre divenne alcolizzato. Perdette il ristorante di cui era proprietario, poi la moglie e la casa. Sono stato da lui sulla Fifth Street questa mattina. È lì che vive adesso. So che neppure questo è pertinente, ma pensavo che potesse interessarle. Immagino che i fatti in nostro possesso non siano sufficienti per lei, ma abbiamo un sacco di discrepanze, Vostro Onore.» Il giudice gli puntò gli occhi addosso, e Bosch capì di avere due sole alternative, o finire in prigione o andarsene con l'autorizzazione firmata. Dopo un momento riconobbe un lampo di dolore negli occhi della donna. Chiunque passi qualche tempo nella trincea del sistema giuridico - da qualsiasi parte si trovi - finisce per avere quello sguardo dopo un po'. «Molto bene, detective» disse alla fine. Abbassò gli occhi e scarabocchiò una firma ai piedi dell'ultima pagina, e cominciò a riempire gli spazi che indicavano la durata delle intercettazioni. «Ma non sono ancora del tutto convinta» disse in tono severo. «Perciò vi concedo settantadue ore.» «Vostro Onore...» disse Bosch. Ma Kiz posò di nuovo la mano sul braccio di Bosch, cercando di impedirgli di trasformare un sì in un no. Poi fu lei a parlare. «Vostro Onore, settantadue ore sono un periodo davvero molto limitato. Noi speravamo di avere come minimo una settimana.» «Avete detto che l'articolo sul giornale uscirà domani» replicò il giudice. «Sì, giudice, deve uscire domani, ma...» «Allora scoprirete qualcosa molto in fretta. Se sentite il bisogno di prolungare, venite da me venerdì e cercate di convincermi. Settantadue ore, e voglio un resoconto quotidiano sul mio tavolo tutte le mattine. Se non lo ricevo, vi incrimino entrambi. Non ho intenzione di permettervi di andare a pesca. Se quello che trovo sui vostri rapporti non va nella direzione che pensate, vi scarico subito. È tutto chiaro?» «Sì, Vostro Onore» dissero Bosch e Rider all'unisono. «Bene. Adesso ho un'udienza preliminare in aula. Vi prego di andarvene, devo rimettermi al lavoro.» Rider raccolse i documenti e i due detective ringraziarono. Mentre si di-

rigevano verso la porta, il giudice Demchak li fermò. «Detective Bosch?» Bosch si voltò e la guardò. «Sì, giudice?» «Ha visto la foto, vero?» disse. «Di mia figlia. E ha dedotto che fosse figlia unica.» Bosch la scrutò per un momento, poi annuì. «Ne ho una sola anche io» disse. «So cosa vuol dire.» Lo fissò dritto negli occhi prima di parlare. «Potete andare adesso» disse. Bosch annuì e seguì Kiz Rider oltre la porta. 24 Non si parlarono finché non lasciarono il palazzo di giustizia. Era come se volessero uscire da lì prima di mettere alla prova la fortuna, come se anche una sola parola su quello che era accaduto potesse riecheggiare nelle stanze dell'edificio e indurre il giudice a cambiare idea e a richiamarli. Ora che avevano la firma sui moduli di autorizzazione, volevano solo andarsene. Una volta sul marciapiede, di fronte alla struttura monolitica del tribunale Bosch guardò Rider e sorrise. «Me la sono vista brutta» disse. La donna ricambiò il sorriso e annuì. «Discrepanze, eh? Ti sei spinto sull'orlo del burrone. Pensavo già di dover venire a pagare la cauzione per farti uscire.» Si incamminarono verso il Parker Center. Bosch tirò fuori il telefono e lo accese. «Sì, me la sono vista proprio brutta» disse. «Ma abbiamo ottenuto quello che volevamo. Diciamo ad Abel di organizzare l'incontro con gli altri?» «Sì, ci penso io. Preferisco arrivare e dirglielo di persona.» Bosch controllò il telefono e vide che c'era un messaggio. Non riconobbe il numero ma il prefisso era 818, quello della Valley. Ascoltò il messaggio e sentì una voce che non avrebbe voluto sentire. «Detective Bosch, sono McKenzie Ward del News. Ho bisogno di parlare con lei di Roland Mackey il prima possibile. Dobbiamo sentirci, altrimenti rischio di dover bloccare l'articolo. Mi chiami.» «Merda» disse Bosch, e cancellò il messaggio.

«Cosa?» domandò Rider. «È la reporter. Avevo detto a Muriel Verloren di non menzionare Mackey con lei. Ma a quanto pare se l'è lasciato sfuggire. A meno che la giornalista non abbia parlato con qualcun altro.» «Merda.» «È quello che ho detto.» Camminarono ancora un po' senza parlare. Bosch pensava a un modo per gestire la giornalista. Dovevano tenere Mackey fuori dalla storia, altrimenti se la sarebbe svignata senza telefonare a nessuno. «Cosa farai?» domandò alla fine Rider. «Non lo so. Cercherò di dissuaderla. Mentirò se sarà necessario. Non può mettere il nome nell'articolo.» «Ma deve farlo uscire, Harry. Abbiamo soltanto settantadue ore.» «Lo so. Lasciami riflettere.» Aprì il telefono e chiamò Muriel Verloren. La donna rispose e lui le domandò com'era andata l'intervista. Disse che era andata bene, e che era contenta che fosse finita. «Hanno scattato qualche foto?» «Sì, volevano delle foto della camera da letto. Non mi sentivo a mio agio ad aprirla per loro. Ma l'ho fatto.» «Capisco. Grazie. Si ricordi, l'articolo ci aiuterà. Ci avviciniamo, Muriel, e il pezzo sul giornale accelererà le cose. Apprezziamo molto quello che ha fatto.» «Se potrà essere di aiuto, allora sono lieta di averlo fatto.» «Bene. Lasci che le faccia una domanda. Ha menzionato il nome di Roland Mackey alla giornalista?» «No, lei mi ha detto di non farlo, e io non l'ho fatto.» «Ne è sicura?» «Sono più che sicura. Mi ha domandato cosa mi avevate detto, ma io non ho rivelato nulla. Perché?» «Nessun motivo. Volevo solo essere certo, tutto qui. Grazie, Muriel. La chiamo appena ho qualche novità.» Chiuse il telefono. Non pensava che Muriel Verloren potesse mentirgli. La giornalista doveva avere un'altra fonte. «Cosa ti ha detto?» domandò Rider. «Non è stata lei.» «E allora chi?» «Bella domanda.»

Il telefono cominciò a vibrare mentre lo teneva ancora in mano. Guardò il display e riconobbe il numero. «È lei, la giornalista. La devo prendere.» Rispose. «Detective Bosch, sono McKenzie Ward. Sono in un vicolo cieco, dobbiamo parlare.» «Giusto. Ho appena ricevuto il suo messaggio. Avevo il telefono spento perché ero in tribunale.» «Perché non mi ha detto di Roland Mackey?» «Di cosa parla?» «Roland Mackey. Mi hanno detto che avete già un indiziato di nome Roland Mackey.» «Chi gliel'ha detto?» «Questo non importa. Quello che importa è che lei mi ha tenuto nascosta un'informazione chiave. Roland Mackey è il vostro primo indiziato? Mi lasci indovinare, sta facendo il doppio gioco e l'ha dato al Times.» Bosch rifletté in fretta. La giornalista sembrava sotto pressione, irrequieta. Una giornalista arrabbiata poteva diventare un problema. Doveva calmare le acque e allo stesso tempo tenere Mackey fuori dalla storia. L'unico punto a suo favore era che la donna non aveva parlato del DNA e del collegamento tra Mackey e la pistola. Questo indusse Bosch a pensare che la sua fonte fosse al di fuori del dipartimento. Qualcuno con informazioni limitate. «Prima di tutto, io non ho parlato con il Times. Se l'articolo uscirà domani, lei avrà l'esclusiva. Secondo, è importante sapere dove ha ottenuto quel nome, perché l'informazione è errata. Sto cercando di aiutarla, McKenzie. Commetterebbe un grosso errore se inserisse il nome nell'articolo. Rischierebbe persino di essere denunciata.» «Allora chi è?» «Mi dia la sua fonte.» «Lo sa, non posso farlo.» «Perché?» Bosch rimase in silenzio a riflettere. Mentre la giornalista sciorinava una risposta standard riguardo al codice deontologico e alla protezione delle fonti, Bosch considerava i nomi delle persone fuori dal dipartimento a cui aveva parlato di Mackey. C'erano tre amiche di Rebecca Verloren: Tara Wood, Bailey Sable e Grace Tanaka, oltre a Robert Verloren, Danny Kotchof, Thelma Kibble, l'agente della libertà vigilata e Gordon Stoddard, il

preside della scuola e la signora Atkins, la segretaria che aveva cercato il nome di Mackey negli archivi. C'era anche il giudice Demchak, ma Bosch liquidò l'ipotesi come del tutto improbabile. Ward aveva lasciato il messaggio mentre i due detective erano con il giudice. L'idea che il giudice avesse preso il telefono e chiamato la giornalista mentre era da sola in camera di consiglio a studiare la domanda di autorizzazione pareva fuori questione. Non sapeva ancora neanche dell'articolo, figuriamoci della giornalista che avrebbe dovuto scriverlo. Bosch immaginò che, dato il poco tempo trascorso, la giornalista fosse semplicemente tornata nel suo ufficio e avesse fatto qualche telefonata per rimpolpare la storia. Aveva ottenuto il nome di Roland Mackey da qualcuno che aveva chiamato. Bosch dubitava che potesse aver individuato o addirittura contattato Robert Verloren nelle poche ore che erano seguite all'intervista. Eliminò anche Grace Tanaka e Danny Kotchof, perché non erano della zona. Senza il nome di Mackey non c'erano legami con l'agente Kibble. Questo lasciava solo Tara Wood e la scuola; o Stoddard, o la professoressa Sable o la segretaria. La risposta più ovvia era la scuola, il collegamento più facile per la reporter. Ora si sentiva meglio e pensò di poter contenere la minaccia. «Detective, è ancora lì?» «Sì, mi scusi, cercavo di schivare un po' di traffico.» «Allora qual è la sua risposta? Chi è Roland Mackey?» «Non è nessuno. È una questione aperta. O quantomeno lo era. Adesso l'abbiamo chiusa.» «Si spieghi.» «Senta, noi abbiamo ereditato il caso, giusto? Be', negli anni il fascicolo del delitto è stato archiviato, spostato, trasferito. Le cose si sono confuse. Perciò parte del nostro lavoro è consistito nel fare un po' di pulizia. Abbiamo messo ordine. Abbiamo trovato una foto di questo Roland nel fascicolo e non sapevamo chi fosse e che legame avesse con il caso. Quando siamo usciti a fare qualche domanda in giro, per conoscere i protagonisti della vicenda, abbiamo mostrato la foto ad alcune persone per capire chi fosse e cosa c'entrasse. Mai, McKenzie, abbiamo detto a qualcuno che fosse il nostro principale indiziato. Questa è la verità. Perciò o lei sta esagerando o chi le ha parlato di questo tizio ha esagerato.» Ci fu un silenzio, e Bosch immaginò che la donna stesse ripassando nella memoria l'intervista alla persona che le aveva dato il nome di Mackey.

«Allora chi è?» domandò alla fine. «Solo un tizio con dei precedenti penali che viveva all'epoca dei fatti a Chatsworth. Frequentava il vecchio drive-in di Winnetka e, a quanto pare, anche Rebecca e le sue amiche ci andavano spesso. Ma è risultato che nel 1988 Mackey era pulito. Per scoprirlo abbiamo dovuto mostrare la foto a un po' di persone.» Era un misto di verità e falsificazione della realtà. Ancora una volta la giornalista rimase in silenzio mentre rifletteva sulla risposta. «Chi gliene ha parlato? Gordon Stoddard o Bailey Sable?» domandò Bosch. «Abbiamo portato la foto a scuola per controllare se avesse studiato lì, ma è emerso che non frequentava la Hillside. Così abbiamo deciso di lasciare perdere.» «Ne è sicuro?» «Senta, faccia come le pare, ma se mette il nome di questo tizio sul giornale solo perché noi abbiamo mostrato in giro la sua foto, rischia di ricevere presto una telefonata da lui e dal suo avvocato. Noi facciamo domande su un sacco di gente, McKenzie. È il nostro lavoro.» Ancora silenzio. Bosch pensò che il silenzio voleva dire che era riuscito a disinnescare la bomba. «Siamo andate a scuola per consultare l'annuario e fotocopiare qualche foto» disse alla fine Ward. «Abbiamo scoperto che l'unico annuario che avevano del 1988 lo avevate preso voi.» Era il suo modo di confermare che Bosch aveva indovinato, ma senza rivelare la fonte. «Mi dispiace» disse. «È sulla mia scrivania. Non so se ci sarà il tempo, ma può mandare qualcuno a prenderlo, se lo desidera.» «No, è troppo tardi. Abbiamo scattato una foto alla targa sulla parete del corridoio. Funzionerà. E comunque, ho trovato una foto della vittima nei nostri archivi. La useremo.» «Ho visto la targa. È graziosa.» «Ne vanno fieri.» «Allora è tutto a posto, McKenzie?» «Sì, va bene. È solo che mi sono un po' scaldata quando ho pensato che mi nascondesse qualcosa.» «Non ho niente di grosso da riferire. Per ora.» «Va bene, allora sarà meglio che torni al lavoro per terminare l'articolo.» «Uscirà come detto nella finestra di domani?»

«Se riesco a finirlo in tempo. Mi chiami domani e mi dica cosa ne pensa.» «Lo farò.» Bosch chiuse il telefono e guardò Kiz. «Penso di aver risolto» disse. «Ragazzi, Harry, ti sei proprio dato da fare oggi. Sei un imbonitore professionista. Penso che riusciresti a convincere una zebra a darti le strisce se fosse necessario.» Bosch sorrise. Alzò lo sguardo sulla succursale degli uffici del municipio sulla Spring Street. Bandito dal Parker Center, Irvin Irving ora operava da lì. Bosch si chiese se Mastro Lindo li stesse guardando in quel momento da dietro una delle finestre a specchio dell'Ufficio di Programmazione Strategica. Gli venne un'idea. «Kiz?» «Cosa?» «Conosci McClellan?» «No, per niente.» «Ma sai che aspetto ha?» «Certo. L'ho visto alle riunioni dello staff di comando. Irving ha smesso di andarci quando è stato trasferito alla succursale. La maggior parte delle volte mandava McClellan come suo rappresentante.» «Allora saresti in grado di riconoscerlo?» «Certo. Ma cosa hai in mente, Harry?» «Forse dovremmo andare a parlargli, spaventarlo un po' e usarlo per inviare un messaggio a Irving.» «Adesso, dici?» «Perché no? Siamo qui.» Fece un gesto in direzione della succursale. «Non abbiamo tempo, Harry. E comunque, perché ingaggiare una battaglia che potresti evitare? Cerchiamo di non avere a che fare con Irving finché non sarà indispensabile.» «Va bene, Kiz. Ma avremo a che fare con lui. So che succederà.» Ancora una volta non parlarono, concentrati sul caso, finché raggiunsero la "casa di vetro" ed entrarono. 25 Abel Pratt convocò tutti i membri dell'Unità Casi Irrisolti, oltre a quattro

altri detective della Omicidi prestati alla unità per la sorveglianza. La riunione venne tenuta da Bosch e Rider, che impiegarono mezz'ora a riferire a voce tutti i dettagli del caso. Su una bacheca alle loro spalle avevano attaccato degli ingrandimenti delle foto più recenti di Roland Mackey e William Burkhart. Gli altri detective rivolsero loro qualche domanda. Alla fine Bosch e Kiz Rider ripassarono la palla a Pratt. «Va bene, avremo bisogno di tutti per questo caso» disse. «Lavoreremo su base sei. Due coppie nella camera del suono, due coppie su Mackey, due coppie su Burkhart. Voglio le squadre della Casi Irrisolti su Mackey e nella camera del suono. I quattro in prestito dalla Rapine e Omicidi lavoreranno su Burkhart. Kiz e Harry hanno la precedenza, e hanno scelto il secondo turno su Mackey. Gli altri possono decidere tra loro come dividersi i turni rimanenti. Iniziamo domattina alle sei, all'incirca all'ora in cui i giornali cominceranno a circolare.» Il piano si traduceva in sei coppie di detective che coprivano turni rispettivamente di dodici ore. Il turno cambiava alle sei del mattino e alle sei del pomeriggio. Visto che era il loro caso, a Bosch e a Rider spettava la prima scelta e avevano optato per il turno su Mackey dalle sei del pomeriggio in poi. Questo comportava lavorare per tutta la notte, ma Bosch aveva la sensazione che se Mackey avesse compiuto una mossa o chiamato qualcuno, lo avrebbe fatto di sera. E lui voleva essere lì quando sarebbe accaduto. Si sarebbero alternati con una delle altre squadre. Le due coppie rimanenti della Casi Irrisolti avrebbero lavorato a turno nella Città dell'Industria, dove una ditta privata, che si chiamava ListenTech, disponeva di un centro per l'ascolto delle intercettazioni di cui si servivano tutte le forze dell'ordine della contea di Los Angeles. Stare seduti su un furgoncino accanto al palo del telefono da cui passava la linea che stavi ascoltando era una cosa che apparteneva al passato. La ListenTech forniva una sala tranquilla, con l'aria condizionata, dove c'erano delle consolle elettroniche impostate per monitorare e registrare conversazioni telefoniche inviate o ricevute da qualsiasi numero della contea, compresi i cellulari. C'era persino un bar con caffè fresco e distributori di snack. Se necessario, si poteva ordinare anche la pizza. La ListenTech poteva coprire fino a novanta intercettazioni in contemporanea. Rider aveva detto a Bosch che la società si era ingigantita nel 2001, quando le forze dell'ordine avevano cominciato ad approfittare della maggiore facilità con cui si ottenevano i permessi. Una società privata aveva annusato la crescita della domanda e si era fatta avanti con centri di

intercettazione regionali, noti anche come "camere del suono". Rendevano il lavoro più facile, ma c'erano comunque delle regole da rispettare. «Troveremo qualche difficoltà nella camera del suono» disse Pratt. «La legge richiede ancora che ogni linea sia monitorata da una persona, non si possono ascoltare due linee contemporaneamente. Noi abbiamo bisogno di monitorare tre linee con due poliziotti, perché non abbiamo altro personale. Allora come possiamo fare per rimanere entro i termini della legge? Ci alterniamo. Una linea è il cellulare di Mackey. Quello lo controlliamo a tempo pieno. Le altre due sono secondarie. Ed è qui che ci avvicenderemo. Si trovano nella proprietà dove abita e nel posto dove lavora. Perciò stiamo sulla prima linea quando è a casa e poi dalle quattro a mezzanotte, quando è al lavoro, passiamo alla linea della stazione di servizio. Comunque tracceremo le chiamate in entrata e in uscita su tutte e tre le linee ventiquattro ore su ventiquattro.» «Non potremmo avere un altro prestito dalla Rapine e Omicidi per coprire la terza linea?» domandò Rider. Pratt scosse il capo. «Il capitano Norona ci ha concesso quattro uomini, fine» disse Pratt. «Non ci perderemo molto. Come ho detto avremo i tracciati.» La tracciatura faceva parte del processo di monitoraggio. Mentre agli investigatori era concesso ascoltare solo una linea alla volta, i macchinari registravano tutte le chiamate in entrate e in uscita sulle linee oggetto dell'intercettazione, anche se in quel momento non venivano ascoltate. Questo forniva agli investigatori una lista delle telefonate, con l'ora e la durata, oltre ai numeri in uscita e in entrata. «Domande?» chiese Pratt. Bosch non pensava che ci fossero domande. Il piano era abbastanza semplice. Ma poi un detective della Casi Irrisolti di nome Renner alzò la mano, Pratt annuì. «Abbiamo l'autorizzazione del giudice?» «Sì» rispose Pratt. «Ma come ho detto prima, per ora ci ha concesso solo settantadue ore.» «Be', speriamo che le settantadue ore bastino» disse Renner. «Devo andare a pagare il campo estivo per mio figlio a Malibu.» Gli altri risero. Tim Marcia e Rick Jackson si offrirono di lavorare in strada in alternanza con Bosch e Rider. Gli altri quattro si fecero dare i dettagli sulla camera del suono, Renner e Robleto presero il turno di giorno, Robinson e Nord lo

stesso orario che avevano Bosch e Rider. Il centro della ListenTech era grazioso e confortevole, ma alcuni poliziotti non gradivano stare rinchiusi, indipendentemente dalle circostanze. Alcuni sceglievano sempre e comunque la strada, come Marcia e Jackson. Anche Bosch era uno di questi. Pratt concluse la riunione passando a ciascuno un foglio con i numeri dei cellulari di tutti e la frequenza radio su cui avrebbero dovuto sintonizzarsi durante la sorveglianza. «Per le squadre sul campo, ci sono delle ricetrasmittenti che vi aspettano nel deposito delle attrezzature» disse Pratt. «Assicuratevi di tenerle accese. Harry, Kiz, ho dimenticato qualcosa?» «Penso che sia tutto» disse Rider. «Visto che abbiamo poco tempo,» aggiunse Bosch «Kiz e io abbiamo un piano per smuovere le acque in caso non succedesse niente prima di domani sera. Abbiamo l'articolo del giornale e dobbiamo essere sicuri che lo veda.» «Come farà a leggerlo se è dislessico?» domandò Renner. «Ha preso il diploma intermedio, dovrebbe sapere quantomeno leggere. Dobbiamo solo essere sicuri che in qualche modo gli finisca davanti agli occhi.» Tutti quanti annuirono e Pratt mise la parola fine. «Va bene, ragazzi, è tutto» disse. «Vi chiamerò per sentire come vanno le cose, giorno e notte. Andateci cauti con questi tizi. Non vogliamo che la situazione possa rivoltarsi contro di noi. Quelli che hanno il primo turno ora possono andare a casa a dormire. Ricordatevi, abbiamo i minuti contati. Abbiamo tempo fino a venerdì sera, poi la carrozza si trasforma in zucca. Quindi andate là fuori e fate quello che dovete. Noi siamo gli ultimi battitori. Perciò portiamo a casa il punto.» Bosch e Rider si alzarono e scambiarono qualche chiacchiera con gli altri riguardo al caso, poi Bosch tornò alla sua scrivania. Tirò fuori dalla pila di documenti quello riguardante la libertà vigilata. Non aveva ancora avuto l'opportunità di leggerlo con attenzione. E ora era il momento giusto. Il fascicolo era a strati: siccome Mackey veniva arrestato di continuo e per tutta la vita aveva attraversato il sistema giudiziario, i rapporti e i verbali venivano semplicemente aggiunti in cima al dossier. Così i documenti comparivano in ordine cronologico inverso. Bosch era più interessato ai primi anni. Andò in fondo al fascicolo con l'idea di leggerlo al contrario. Il primo arresto di Mackey era avvenuto appena un mese dopo che aveva compiuto diciotto anni. Nell'agosto del 1987 era stato beccato, a seguito di

un incidente, alla guida di un'auto rubata. All'epoca viveva a casa dei genitori e aveva rubato la Corvette di un vicino. Era saltato sull'auto ed era partito quando si era accorto che il vicino l'aveva lasciata in moto sul vialetto d'accesso ed era rientrato in casa perché aveva dimenticato gli occhiali da sole. Mackey si era dichiarato colpevole, il rapporto che precedeva la sentenza faceva riferimento a dei reati minorili, ma non citava gli Otto di Chatsworth. Nel settembre del 1987 il giovane ladro di automobili fu condannato a un anno di libertà vigilata da un giudice della corte suprema, che cercò di convincere Mackey a rinunciare alla vita criminale. Nel dossier c'era la trascrizione della sentenza. Bosch lesse le due pagine di discorso, nel quale il giudice diceva a Mackey di aver visto centinaia di giovani come lui. Asseriva che Mackey si trovava sull'orlo dello stesso precipizio di tutti gli altri. Un solo crimine poteva essere una lezione di vita, oppure poteva rappresentare il primo passo lungo una spirale discendente. Esortava Mackey a non intraprendere la strada sbagliata. Lo invitava a riflettere e a scegliere la direzione giusta. Era evidente che le parole di ammonimento fossero cadute nel vuoto. Sei settimane più tardi Mackey era stato arrestato per aver svaligiato la casa di due vicini, mentre i coniugi che ci vivevano erano fuori al lavoro. Mackey aveva tagliato i cavi dell'impianto di allarme, ma l'interruzione della corrente era stata registrata dalla società di sorveglianza. Era stata inviata un'auto di pattuglia. Quando Mackey era uscito dalla porta posteriore con una videocamera, diverse apparecchiature elettroniche e gioielli, aveva trovato due agenti ad aspettarlo con le pistole in pugno. Siccome era in libertà vigilata per il furto d'auto, era stato trattenuto nella prigione della contea in attesa di giudizio. Dopo trentasei giorni, si era presentato di fronte allo stesso giudice e, a quanto riferivano le trascrizioni, aveva implorato il perdono e un'altra chance. Questa volta la documentazione riferiva che i test tossicologici avevano rilevato che Mackey faceva uso di marijuana e che aveva iniziato a frequentare un gruppo di giovani delinquenti della zona di Chatsworth. Bosch sapeva che quei giovani dovevano essere gli Otto. Era l'inizio di dicembre e il loro piano di terrore in omaggio ad Adolf Hitler sarebbe entrato in azione dopo appena qualche settimana. Ma non c'era niente di tutto questo nella documentazione preliminare. Il rapporto affermava solo che Mackey frequentava cattive compagnie. Quando aveva emesso la sentenza, il giudice con tutta probabilità non sapeva quanto cattive fossero quelle

compagnie. Mackey era stato condannato a tre anni di reclusione, ridotti del tempo che aveva già scontato. Gli erano stati anche concessi due anni di libertà vigilata. Il giudice, che sapeva che la prigione non avrebbe fatto altro che completare la formazione del giovane delinquente, aveva scelto una pena mite, e sperava così di mitigare Mackey. Questi era uscito libero dal tribunale, ma il giudice aveva posto pesanti restrizioni alla libertà vigilata. Doveva sottoporsi a test tossicologici settimanali, mantenere un impiego redditizio e ottenere il diploma intermedio entro nove mesi. Il giudice aveva detto a Mackey che se avesse fallito su uno solo di questi punti, lo avrebbe mandato in una prigione di stato a scontare tutti e tre gli anni di pena. «Potrà considerare questa condanna severa, signor Mackey» aveva detto il giudice. «Ma io la ritengo piuttosto benevola. Le sto offrendo un'ultima opportunità. Se mi deluderà ancora, finirà senza ombra di dubbio in prigione. La società smetterà di cercare un modo per aiutarla. Si limiterà a sbarazzarsi di lei. Mi capisce?» «Sì, Vostro Onore» aveva risposto Mackey. Il dossier continuava con i rapporti, richiesti dalla corte, sugli Otto di Chatsworth. Mackey aveva ottenuto il diploma intermedio nell'agosto del 1988, poco più di un mese dopo che Rebecca Verloren era stata portata via dalla sua camera da letto e assassinata. Nonostante gli sforzi del giudice per raddrizzare Mackey fossero stati ammirevoli, Bosch non poteva fare a meno di domandarsi se tali sforzi non fossero costati la vita a Rebecca Verloren. Che Mackey avesse o meno premuto il grilletto, l'arma del delitto era comunque passata per le sue mani. Era ragionevole pensare che la catena di eventi che aveva portato alla morte di Rebecca sarebbe stata interrotta se Mackey fosse stato dietro le sbarre? Bosch non ne era sicuro. Poteva darsi che il ruolo di Mackey si fosse limitato alla consegna dell'arma. Se non l'avesse fatto lui, avrebbe potuto farlo qualcun altro. Bosch sapeva che non aveva alcun senso pensare a quello che sarebbe potuto accadere o non accadere. «Trovato niente?» Bosch si ridestò dai suoi pensieri e chiuse il fascicolo. Kiz Rider era in piedi davanti alla scrivania. «No, niente. Stavo leggendo la documentazione sulla libertà vigilata. Le prime cose. Un giudice si è interessato a lui all'inizio, ma poi in un certo senso lo ha lasciato andare. Il massimo che ha ottenuto è stato fargli prendere il diploma intermedio.»

«Che gli è servito proprio tanto, vero?» «Già.» Bosch non disse nient'altro. Anche lui aveva soltanto quel diploma. Anche lui una volta era stato davanti a un giudice per aver rubato una macchina. Anche nel suo caso una Corvette. Solo che non apparteneva a un vicino. Era del padre affidatario. Bosch l'aveva presa per provocazione e per protesta, ma l'ultima parola era toccata al padre affidatario. Bosch era stato rimandato in orfanotrofio. «Mia madre è morta quando avevo undici anni» disse all'improvviso Bosch. Rider lo guardò e fece quella sua cosa con le sopracciglia. «Lo so. Perché lo tiri fuori adesso?» «Non lo so. Ho passato un mucchio di tempo in orfanotrofio. Cioè, sono stato per un po' presso alcune famiglie affidatarie, ma non duravano mai molto a lungo. Finivo per tornare sempre lì.» Rider attese, ma Bosch non proseguì. «E allora?» lo spronò. «Be', in orfanotrofio non c'erano delle vere e proprie gang, ma si viveva in una sorta di naturale segregazione. Sai, i bianchi legavano tra loro. Poi c'erano i neri e gli ispanici. Allora non c'erano asiatici.» «Che cosa stai dicendo, ti dispiace per quello stronzo di Mackey?» «No.» «Ha ucciso una ragazza, o quantomeno ha aiutato a ucciderla, Harry.» «Lo so, Kiz. Non è questo il punto.» «Qual è il punto?» «Non lo so. Mi stavo solo interrogando. Cos'è che spinge le persone a scegliere strade diverse? Com'è che questo tizio è diventato razzista? Perché io non lo sono diventato?» «Harry, pensi troppo. Vai a casa e fatti un bel sonno. Ne hai bisogno, perché domani notte non dormiremo.» Bosch annuì, ma non si mosse. «Te ne vai, sì o no?» domandò Rider. «Sì, tra poco. Tu esci?» «Sì, a meno che tu non voglia affrontare con me il problema della corruzione a Hollywood.» «No, mi basta quello che c'è. Ne riparliamo domani dopo che sono usciti i giornali.» «Già, non so dove riuscirò a trovare il Daily News nel South End. Forse

dovrò chiamarti e chiederti di leggermelo al telefono.» Il Daily News aveva una vasta distribuzione nella Valley, ma a volte era difficile trovarlo fuori dal centro. Rider viveva vicino a Inglewood, nello stesso quartiere dov'era cresciuta. «Tranquilla. Dammi un colpo di telefono, io ce l'avrò di sicuro. C'è un distributore ai piedi della collina sotto casa mia.» Kiz Rider aprì uno dei cassetti della scrivania e tirò fuori la borsetta. Guardò Bosch e fece ancora una volta quella sua smorfia con le sopracciglia. «Sei proprio sicuro di volerlo fare, di volerti marchiare in quel modo?» Si riferiva al loro piano per spingere Mackey a vedere il giornale. Bosch annuì. «Devo riuscire a fargliela bere» disse. «E comunque, potrò indossare le maniche lunghe per un po'. Non è ancora estate.» «E se non fosse necessario? Se leggesse l'articolo e si mettesse a telefonare, fregandosi da solo?» «Qualcosa mi dice che non accadrà. Comunque, non è permanente. Vicki Landreth mi ha assicurato che dura un paio di settimane al massimo, dipende da quanto spesso ti fai la doccia. Non è come quei tatuaggi all'henné che i bambini si fanno al molo di Santa Monica. Quelli durano di più.» Rider annuì, era d'accordo. «Okay, Harry. Ci incrociamo domattina, allora.» «Ci vediamo, Kiz. Stammi bene.» La donna si avviò per uscire. «Ehi, Kiz» la chiamò Bosch. «Cosa?» disse, fermandosi e voltandosi. «Cosa pensi? Sei contenta di esserci di nuovo dentro?» Sapeva di cosa stava parlando. Si riferiva alle indagini sull'omicidio. «Oh, sì, Harry, sono contenta. Sarò davvero estasiata quando avremo incastrato il cavaliere pallido e avremo risolto il mistero.» «Già» disse Bosch. Dopo che Rider se ne fu andata, Bosch rifletté per qualche momento a cosa avesse voluto dire quando aveva chiamato Mackey "il cavaliere pallido". Pensò che potesse trattarsi di un riferimento biblico, ma non riuscì a venirne a capo. Forse nel South End era così che chiamavano i razzisti. Decise di chiederle delucidazioni il giorno seguente. Ricominciò a esaminare il fascicolo, ma presto lasciò perdere. Sapeva che era ora di concen-

trarsi sul momento presente. Non sul passato. Non sulle scelte compiute e le strade che non erano state percorse. Si alzò e si infilò il dossier sulla libertà vigilata e il fascicolo del delitto sotto braccio. Se ci fossero stati molti tempi morti durante la sorveglianza del giorno dopo, almeno avrebbero avuto da leggere. Infilò la testa nell'ufficio di Abel Pratt per salutarlo. «Buona fortuna, Harry» disse Pratt. «Chiudete il caso.» «Lo faremo.» 26 Bosch lasciò l'auto nel parcheggio sul retro ed entrò dalla porta posteriore della Divisione Hollywood. Era passato parecchio tempo dall'ultima volta che era stato lì, e la trovò subito diversa. La ristrutturazione a seguito del terremoto di cui aveva parlato Edgar pareva aver toccato ogni singolo angolo dell'edificio. Trovò il posto di guardia in un punto in cui prima c'era una cella e scoprì che agli agenti di pattuglia era stata destinata una stanza per scrivere i rapporti, mentre in passato dovevano rubare un po' di spazio nell'ufficio dei detective. Prima di salire alla Buoncostume, entrò nel bureau dei detective per vedere se riusciva a recuperare un file di cui aveva bisogno. Percorse il corridoio posteriore, passò davanti a un sergente che si chiamava McDonald, di cui non ricordava il nome di battesimo. «Ehi, Harry, sei tornato? È un pezzo che non ti vedevo, amico.» «Sono tornato, Sei.» «Bella notizia.» "Sei" era la designazione radiofonica della Divisione Hollywood. Chiamare il sergente di pattuglia Sei era come chiamare un detective della Omicidi Roy. Funzionò e permise a Bosch di superare l'imbarazzo dovuto alla cattiva memoria. Quando giunse in fondo al corridoio si ricordò che il sergente si chiamava Bob. La Omicidi si trovava in fondo all'ampio stanzone dei detective. Edgar aveva ragione. Era diverso da tutti gli uffici che Bosch aveva mai visto. Era grigio e impersonale. Sembrava uno di quei call-center dove si facevano fredde telefonate per tirare fregature alle vecchie signore e vendere penne sopracosto o unità immobiliari in multiproprietà. Riconobbe la testa di Edgar che sbucava da sopra una parete divisoria tra due cubicoli. Sembrava l'unico rimasto in tutto l'ufficio. Era tardi, ma non così tardi. Camminò fino al muro divisorio e guardò Edgar da sopra la parete. A-

veva la testa chinata ed era concentrato sulle parole crociate del Times. Era sempre stato un rito per Edgar. Faceva i cruciverba tutto il giorno, se li portava al bagno, in mensa o fuori, quando era di sorveglianza. Non gli piaceva tornare a casa senza averli completati. Edgar non aveva notato la presenza di Bosch, che indietreggiò senza fare rumore ed entrò nel cubicolo accanto a quello dell'ex partner. Prese con cautela il cestino di metallo da sotto la scrivania e tornò nella posizione di prima, dietro Edgar. Si raddrizzò e fece cadere il cestino sul linoleum da un metro e mezzo di altezza. Il suono che ne uscì fu forte e tagliente, quasi come uno sparo. Edgar saltò in piedi, la penna gli volò verso il soffitto. Stava per urlare qualcosa quando riconobbe Bosch. «Accidenti, Bosch!» «Come te la passi, Jerry?» chiese Bosch, riuscendo a malapena a parlare per le risate. «Accidenti, Bosch!» «Sì, l'hai detto. Mi pare di intuire che stasera le cose procedono con calma a Hollywood.» «Cosa cazzo ci fai qui? Voglio dire, a parte farmi cagare addosso.» «Lavoro, amico. Ho un appuntamento con la truccatrice della Buoncostume. Tu cosa fai?» «Avevo quasi finito, stavo per uscire.» Bosch si chinò e vide che la griglia del cruciverba era quasi completata. C'erano molti segni di cancellature. Edgar non lavorava mai a un cruciverba con la penna biro. Bosch notò che aveva tirato giù dallo scaffale e posato sulla scrivania il vecchio dizionario rosso. «Imbrogli ancora, Jerry? Lo sai che non dovresti usare il dizionario.» Edgar si abbandonò sulla sedia. Sembrava esasperato, per lo spavento e per la domanda. «Balle. Posso fare quello che voglio. Non esistono regole, Harry. Perché non te ne vai di sopra e non mi lasci in pace? Dille di metterti un po' di eyeliner e di mandarti a battere il marciapiede.» «Già, ti piacerebbe. Saresti il mio primo cliente.» «Va bene, va bene. C'è qualcosa di cui hai bisogno o sei passato solo per farmi scoppiare le coronarie?» Edgar finalmente sorrise, e Bosch capì che era tutto a posto tra loro. «Tutte e due le cose» disse Bosch. «Ho bisogno di recuperare un vecchio file. Dove li tengono adesso?» «Quanto vecchio? Hanno cominciato a mandare la roba in centro per far-

la trasferire su microfilm.» «Deve essere del 2000. Ti ricordi Michael Allen Smith?» Edgar annuì. «Certo che mi ricordo. Uno come me non può dimenticare Smith, Cosa cerchi in quella storia?» «Voglio solo la foto di Smith. Quel file è ancora qui?» «Sì, i documenti recenti sono ancora da queste parti. Seguimi.» Accompagnò Bosch a una porta chiusa. Edgar aveva la chiave e presto si ritrovarono in una stanzetta le cui pareti erano coperte da scaffali ricolmi di raccoglitori blu. Edgar individuò il fascicolo di Michael Allen Smith e lo prese dallo scaffale. Lo fece cadere nelle mani di Bosch. Era pesante. Si era trattato di un caso difficile. Bosch portò il fascicolo nel piccolo scomparto accanto a quello di Edgar e cominciò a sfogliarlo finché arrivò a una sezione di fotografie che mostravano il busto di Smith e diversi primi piani dei suoi tatuaggi. I tatuaggi erano serviti per identificarlo e condannarlo per l'omicidio di tre prostitute cinque anni prima. Bosch, Edgar e Rider avevano lavorato al caso. Smith era un macho bianco, razzista dichiarato, che caricava di nascosto travestiti neri sul Santa Monica Boulevard. Poi, oppresso dal senso di colpa per aver tradito le proprie convinzioni razziali e sessuali, li uccideva. In qualche modo questo gli faceva superare la trasgressione. La chiave di volta era stata la deposizione resa a Rider da un travestito che aveva visto salire una delle vittime sul furgone di un cliente. Era riuscito a descrivere un tatuaggio sulla mano del tizio. Questo alla fine li aveva portati a Smith, che aveva collezionato una varietà di tatuaggi nei diversi soggiorni in prigione in giro per il paese. Venne giudicato, condannato e inviato nel braccio della morte, dove per ora aveva evitato l'iniezione letale con una serie di appelli. Bosch scelse le foto del collo, delle mani e del bicipite sinistro, tutte parti del corpo ornate con l'inchiostro della galera. «Ho bisogno di queste mentre sono su. Se stai andando e devi chiudere l'archivio, te le posso lasciare sulla scrivania.» Edgar annuì. «Va bene. Allora, in cosa ti sei cacciato, amico? Hai intenzione di metterti addosso quella merda?» «Esatto. Voglio essere come Mike.» Edgar socchiuse gli occhi. «Ha a che fare con la storia degli Otto di Chatsworth di cui abbiamo parlato ieri?»

Bosch sorrise. «Sai, Jerry, dovresti fare il detective. Saresti bravo.» Edgar annuì, come se si preparasse a un'altra ondata di sarcasmo. «Ti farai anche tagliare i capelli?» domandò. «No, non pensavo di spingermi a tanto» disse Bosch. «Penso che farò la parte dello skinhead riformato.» «Capito.» «Senti, hai da fare stasera? Non dovrei metterci molto lassù. Se ti va di aspettare, finisci il cruciverba e ci andiamo a mangiare una bistecca da Musso.» Solo a dirlo, Bosch sentì che gli veniva fame. Aveva voglia di una bella bistecca e di un martini vodka. «No, Harry, devo andare allo Sportsmen's Lodge per la festa del pensionamento di Sheree Riley. Per questo ammazzavo il tempo in ufficio. Aspettavo che il traffico si calmasse un po'.» Sheree Riley era una detective che si occupava di crimini sessuali. Bosch aveva lavorato con lei di tanto in tanto, ma non avevano mai legato. Quando sesso e omicidio si intrecciavano, i casi di solito erano così brutali e complessi che non rimaneva molto spazio per dedicarsi ad altro che al lavoro. Bosch non sapeva che fosse sul punto di andare in pensione. «Magari potremmo prendere quella bistecca un'altra volta» disse Edgar. «È okay per te?» «È okay, Jerry. Divertiti e dille che la saluto e che le auguro buona fortuna. E grazie per le foto. Le trovi domani sulla scrivania.» Bosch tornò verso il corridoio, ma sentì Edgar che imprecava. Si voltò e vide il vecchio partner in piedi nel cubicolo con le braccia aperte. «Dove cavolo è la matita?» Bosch perlustrò il pavimento senza successo. Alla fine levò lo sguardo e la vide incastrata tra due pannelli insonorizzati sul soffitto, sopra la testa di Edgar. «Jerry, delle volte quello che sale non scende più.» Edgar guardò su e vide la matita. Gli ci vollero due salti per prenderla. La porta della Buoncostume al secondo piano era chiusa a chiave, ma era normale. Bosch bussò, gli rispose un agente in incognito che Bosch non riconobbe. «C'è Vicki? Mi aspettava.» «Allora entri.» L'agente fece un passo indietro e lasciò entrare Bosch. Quella stanza non

era cambiata in maniera sostanziale durante la ristrutturazione. Era una lunga sala con scrivanie che correvano su ambo i lati. Sopra lo spazio destinato a ogni agente c'era il poster incorniciato di un film. Alla Divisione Hollywood era permesso adornare le pareti soltanto con poster di film che erano stati girati entro la loro giurisdizione. Trovò Vicki Landreth al lavoro sotto il poster di Blue Neon Night, un film che Bosch non aveva visto. Nell'ufficio c'erano solo lei e l'altro agente. Bosch pensò che tutti gli altri fossero già in strada per il turno di notte. «Ehi, Bosch» disse Landreth. «Ehi, Vic. Hai ancora il tempo per fare queste cose?» «Per te, tesoro, avrò sempre il tempo.» Landreth era una ex truccatrice di Hollywood. Un giorno, vent'anni prima, era stata convinta a farsi un giro di ronda con un agente che si occupava della sicurezza sul set. Il tizio voleva solo passare un po' il tempo, sperava che magari il giro la eccitasse e ci potesse scappare qualcosa di più. Invece la conseguenza era stata che Landreth si era iscritta all'Accademia di polizia ed era diventata un'agente ausiliaria, faceva un paio di turni al mese sulle auto e copriva i buchi quando era necessario. Poi qualcuno alla Buoncostume aveva scoperto il mestiere che faceva di giorno e le aveva chiesto di sfruttare la propria abilità per far assomigliare di più a prostitute e papponi gli agenti travestiti. Presto Vicki trovò il lavoro con la polizia più interessante di quello nel cinema, così divenne un'agente a tempo pieno. Le sue doti di truccatrice erano molto richieste, e la nicchia che si era ritagliata nella Divisione Hollywood era più che sicura. Bosch le mostrò le foto dei tatuaggi di Michael Allen Smith e lei le studiò per qualche momento. «Carino, eh?» disse alla fine. «Uno dei migliori.» «E vuoi che ti faccia tutta questa roba stasera?» «No. Pensavo alle saette sul collo. E magari al bicipite, se puoi.» «È tutta roba da galera. Non è arte vera. Un solo colore. Certo che posso. Siediti lì e togliti la camicia.» Lo accompagnò a una postazione per il trucco, dove lui si sedette su uno sgabello accanto a uno scaffale con diversi colori per il corpo e delle polveri. Su una mensola più in alto c'erano delle teste di manichini con la parrucca e i baffi. Sotto qualcuno aveva scritto i nomi di diversi personaggi dell'unità. Bosch si sfilò la camicia e la cravatta. Indossava una T-shirt.

«Voglio che si vedano, ma non che siano troppo sfacciati» disse. «Pensavo che potessi realizzarli in modo che, con indosso una maglietta come questa, ne sbucasse una parte. Quanto basta perché si capisca cosa sono e cosa significano.» «Non è un problema. Rimani fermo.» Usò un pezzo di gesso per tracciare delle linee sulla pelle nel punto in cui arrivavano il collo e le maniche della maglietta. «Queste sono le linee di demarcazione» spiegò. «Mi devi dire quanto vuoi che vada sopra e sotto.» «Capito.» «Ora toglila, Harry.» Lo disse con un tono palesemente sensuale. Bosch si sfilò la maglietta da sopra la testa e la gettò su una sedia insieme alla camicia e alla cravatta. Si voltò verso la donna, che gli esaminò il petto e le spalle. Vicki allungò una mano e sfiorò la cicatrice sulla spalla sinistra. «Questa è nuova» disse. «È vecchia.» «Be', è passato parecchio tempo dall'ultima volta in cui ti ho visto nudo, Harry.» «Già, direi di sì.» «Quando eri ancora un ragazzo in divisa e mi avresti convinto a fare qualsiasi cosa, persino arruolarmi nella polizia.» «Io ti convinsi a entrare nella mia auto, non nel dipartimento. Prenditela con te stessa per questo.» Bosch era in imbarazzo e si sentì arrossire. La loro relazione di vent'anni prima era finita solo perché nessuno dei due sentiva il bisogno di impegnarsi troppo. Avevano preso strade diverse, ma erano rimasti buoni amici. Soprattutto quando Bosch era stato trasferito alla squadra Omicidi della Divisione Hollywood e lavoravano nello stesso edificio. «Ma guardati, sei arrossito» disse Landreth. «Dopo tutti questi anni.» «Be', sai...» Non disse nient'altro. Landreth avvicinò lo sgabello a Bosch. Allungò la mano e passò il pollice sul tatuaggio del topo nel tunnel che aveva sul braccio destro. «Questo lo ricordo» disse. «Non se la passa tanto bene, eh?» Aveva ragione. Il tatuaggio che si era fatto in Vietnam aveva perso le linee e con il tempo i colori si erano confusi. Il personaggio del topo che usciva dal tunnel con la pistola in pugno non era più riconoscibile. Il tatuag-

gio ormai appariva come un doloroso livido. «Non me la passo tanto bene neppure io, Vicki» disse Bosch. La donna ignorò la lamentela e si mise al lavoro. Per prima cosa usò un eyeliner per schizzare i soggetti sulla pelle. Michael Allen Smith aveva quello che lui chiamava un bavero della Gestapo tatuato attorno al collo. Su entrambi i lati della gola c'erano le saette gemelle, simbolo delle SS. Rappresentavano gli emblemi sul bavero dell'uniforme della forza di élite di Hitler. Landreth tracciò il disegno senza difficoltà e in fretta. Faceva il solletico, e Bosch faticò a rimanere fermo. Poi arrivò il turno del bicipite. «Quale braccio?» domandò. «Penso il sinistro.» Rifletté sulla messinscena con Mackey. Era più probabile che finisse seduto alla destra di Mackey. Questo avrebbe significato che il braccio sinistro sarebbe stato il più visibile. Landreth gli chiese di reggere la foto del braccio di Smith accanto al suo, così avrebbe potuto copiare. Sul bicipite dell'uomo c'era un teschio che aveva sulla fronte una svastica inscritta in un cerchio. Smith non aveva mai confessato i delitti di cui era accusato, ma ammetteva apertamente di essere razzista e spiegava senza remore l'origine dei molti segni sul suo corpo. Il teschio sul bicipite, aveva detto, era stato copiato da un manifesto propagandistico della Seconda guerra mondiale. Ora che il lavoro si era spostato dal collo al braccio, Bosch poteva respirare con maggiore tranquillità e Landreth intavolò una conversazione. «Allora, che novità hai?» «Nessuna.» «Il congedo è stato noioso?» «Puoi dirlo.» «Cosa hai fatto, Harry?» «Ho lavorato a un paio di vecchi casi, ma soprattutto ho passato il tempo a Las Vegas a cercare di conoscere mia figlia.» La donna fece un passo indietro e guardò Bosch con gli occhi colmi di stupore. «Sì, anche io mi sono molto stupito quando l'ho scoperto.» «Quanti anni ha?» «Quasi sei.» «Riesci ancora a vederla ora che sei tornato al lavoro?» «Non importa, non è qui.» «Be', dov'è?»

«La madre l'ha portata a Hong Kong per un anno.» «Hong Kong? Che ci fa a Hong Kong?» «Lavoro. Ha firmato un contratto annuale.» «Non si è consultata con te in proposito?» «Non so se consultarsi sia la parola giusta. Mi ha detto che sarebbe partita. Ho parlato con un avvocato, ma non c'era molto che potessi fare.» «Non è giusto, Harry.» «Va bene. La sento al telefono una volta alla settimana. Appena accumulo un po' di vacanze, la vado a trovare.» «Non sto parlando di te. Sto parlando di lei. Una bambina dovrebbe stare vicino al proprio padre.» Bosch annuì, perché non poteva fare altro. Qualche minuto più tardi, Landreth terminò lo schizzo, aprì una valigia ed estrasse una boccetta di inchiostro per finti tatuaggi, insieme a un applicatore simile a una penna. «Questo è il Bic blu» disse. «È quello che usa la maggior parte di loro nelle prigioni. Non perforerò la pelle, così dovrebbe andare via in un paio di settimane.» «Dovrebbe?» «Va via quasi sempre. C'è stato un attore a cui tatuai un asso di spade sul braccio, e la cosa buffa è che non andava più via. Non c'era modo. Perciò finì che si fece un vero tatuaggio sopra il mio disegno. Non era troppo contento.» «Nemmeno io sarò troppo contento se mi resteranno due saette sul collo per il resto della vita. Prima che cominci a mettermi quella roba addosso, Vicki, c'è qualche...» Si fermò quando si accorse che la donna rideva. «Scherzavo, Bosch. È la magia di Hollywood. Viene via con un paio di strofinate decise, okay?» «Okay, allora.» «Adesso stai fermo e lasciami lavorare.» Si mise all'opera, applicò l'inchiostro blu scuro sul disegno che aveva realizzato. Lo tamponò con una spugnetta e invitò più volte Bosch a smettere di respirare, cosa che lui disse di non poter fare. Finì in meno di mezzora. Gli diede uno specchio e lui si esaminò il collo. Era un bel lavoro, nel senso che sembrava vero. Pareva strano vedere una simile manifestazione di odio sulla propria pelle. «Posso mettermi la maglietta?» «Aspetta qualche minuto.»

Gli sfiorò ancora una volta la cicatrice sulla spalla. «Te la sei procurata quando ti hanno sparato in quel tunnel in città?» «Sì.» «Povero Harry.» «Direi piuttosto fortunato Harry.» La donna cominciò a raccogliere gli strumenti, mentre Bosch rimaneva seduto senza maglietta, sentendosi a disagio. «Allora, cosa devi fare stasera?» domandò, tanto per dire qualcosa. «Io? Niente.» «Hai finito?» «Sì, oggi avevo il turno di giorno. Delle ragazze hanno invaso l'hotel vicino al Kodak Center. Non si possono fare cose del genere nella nuova Hollywood, no? Così abbiamo ingabbiato quattro di loro.» «Mi dispiace, Vicki. Non pensavo di trattenerti. Sarei venuto più presto. Cavolo, ero qua sotto a sparare stronzate con Edgar prima di salire. Avresti dovuto dirmi che aspettavi me.» «Non c'è problema. È stato un piacere vederti. E volevo dirti che sono contenta che tu sia rientrato in servizio.» All'improvviso Bosch pensò una cosa. «Ehi, ti va di cenare da Musso, o devi andare allo Sportsmen's Lodge?» «Scordati lo Sportsmen's Lodge. Queste cose mi ricordano troppo le feste di fine riprese. Non mi piacevano neanche quelle.» «Allora cosa dici?» «Non so se ho voglia di farmi vedere da quelle parti con un porco razzista.» Questa volta Bosch sapeva che stava scherzando. Sorrise, e lei disse che la cena era una buona idea. «Vengo, ma a una condizione» disse. «Quale?» «Che ti rimetta la camicia.» 27 La mattina seguente, senza bisogno della sveglia, Bosch si alzò alle cinque e mezza. Non era una novità per lui. Succedeva sempre quando si infilava nel tunnel di un caso. Le ore di veglia soverchiavano le ore di sonno. Come nel surf, uno faceva tutto il possibile per rimanere in piedi sulla tavola e dentro il tunnel d'acqua. Nonostante non dovesse entrare in servizio

prima di dodici ore, sapeva che quella sarebbe stata la giornata chiave per il caso. Non poteva dormire di più. Si vestì al buio in quel luogo poco familiare e uscì dalla stanza per andare in cucina, dove trovò un blocchetto per l'elenco della spesa. Scrisse un biglietto e lo appoggiò davanti alla macchina del caffè, che la sera prima Vicki Landreth aveva impostato perché entrasse in funzione alle sette. Il biglietto non diceva molto di più che grazie per la serata e arrivederci. Non c'erano promesse o ci vediamo più tardi. Bosch sapeva che Vicki non si aspettava nulla. Entrambi erano consapevoli che non era cambiato niente nei vent'anni trascorsi tra le due relazioni. Si piacevano, ma questo non bastava certo per mettere su casa insieme. Le strade tra l'abitazione di Vicki Landreth e Cahuenga Pass erano nebbiose e grigie. Gli automobilisti guidavano con i fari accesi, sia perché avevano viaggiato tutta la notte, sia perché pensavano che questo potesse aiutarli a svegliare il mondo. Bosch sapeva che l'alba non aveva niente a che vedere con il tramonto. L'alba arrivava sempre in maniera brutale, come se il sole fosse goffo e di fretta. Il tramonto era più delicato, la luna più aggraziata. Forse perché la luna aveva più pazienza. Nella vita e nella natura, pensò Bosch, le tenebre sono sempre in agguato. Cercò di levarsi dalla testa il pensiero della sera precedente, per potersi concentrare sul caso. Sapeva che gli altri ora stavano prendendo posizione sulla Mariano Street a Woodland Hills e alla ListenTech nella Città dell'Industria. Mentre Roland Mackey dormiva, le forze dell'ordine stringevano silenziosamente il cerchio attorno a lui. Era così che Bosch vedeva la cosa. Era questo che gli faceva correre il sangue nelle vene. Pensava ancora che fosse improbabile che Mackey avesse tirato il grilletto nell'omicidio di Rebecca Verloren. Ma Bosch sentiva senza ombra di dubbio che l'uomo aveva fornito l'arma del delitto all'assassino e che li avrebbe portati a lui, che fosse William Burkhart o qualcun altro. Entrò nel parcheggio di fronte al Poquito Mas ai piedi della collina su cui si trovava casa sua. Lasciò la Mercedes in moto e andò a piedi verso la fila di distributori con i giornali. Vide il volto di Rebecca Verloren che lo fissava da dietro la finestra di plastica di uno di essi. Avvertì una piccola accelerazione del battito cardiaco. Non importava che cosa diceva l'articolo, erano in gioco. Infilò la moneta nel distributore e prese il giornale. Ripeté l'operazione e pescò una seconda copia. Una per l'archivio e una per Mackey. Non si scomodò a leggere l'articolo prima di arrivare a casa. Mise a scaldare il

caffè e lesse l'articolo in piedi in cucina. La foto della finestra ritraeva Muriel Verloren seduta sul letto della figlia. La stanza era pulita e il letto rifatto alla perfezione, le balze sfioravano il pavimento. C'era un inserto con la fotografia di Rebecca nell'angolo in alto. Risultò che l'archivio del Daily News conservava la stessa foto dell'annuario. Il titolo sopra la fotografia centrale diceva: LA LUNGA VEGLIA DI UNA MADRE. Lo scatto della camera da letto era attribuito a Emerson Ward, a quanto pare la fotografa usava il nome per intero. Sotto c'era una didascalia che recitava: «Muriel Verloren seduta nella stanza da letto della figlia. La camera, come il dolore della signora Verloren, è rimasta immutata nel tempo». Sotto la fotografia e sopra l'articolo c'era quello che una volta un reporter gli aveva detto chiamarsi "cappello": una descrizione completa e sintetica della vicenda. Diceva: «TORMENTATA: Muriel Verloren ha aspettato 17 anni di sapere chi ha rubato la vita di sua figlia. In uno sforzo rinnovato, la LAPD potrebbe essere vicina alla soluzione del caso». Bosch pensò che il cappello fosse perfetto. Se e quando Mackey l'avesse visto, avrebbe avvertito le dita gelide della paura che gli stringevano il petto. Bosch lesse con impazienza l'articolo. Di McKenzie Ward Diciassette anni fa, in estate, una giovane e bella ragazza delle scuole superiori, di nome Rebecca Verloren, venne rapita dalla sua casa a Chatsworth e brutalmente assassinata sulla Oat Mountain. Il caso non fu mai risolto, e si lasciò alle spalle una famiglia distrutta, agenti di polizia tormentati e una comunità incapace di trovare un epilogo a questa tragedia. Ma, rinnovando le speranze della madre della vittima, il Dipartimento di Polizia di Los Angeles ha intrapreso nuove indagini che potrebbero condurre alla soluzione del caso e restituire un po' di pace a Muriel Verloren. Questa volta i detective hanno qualcosa che non potevano avere nel 1988: il DNA del killer. L'Unità Casi Irrisolti del Dipartimento di Polizia di Los Angeles ha deciso di concentrarsi sull'omicidio Verloren dopo che uno dei detective originari - ora un comandante d'area della Valley - ha insistito perché due anni fa, quando venne formata la squadra che doveva investigare sui casi irrisolti, fosse riaperto il caso. «Appena ho sentito che saremmo tornati a indagare sui casi privi

di soluzione, ho preso il telefono e li ho chiamati» ha dichiarato ieri il comandante Arturo Garcia nel suo ufficio nel centro direttivo della Valley. «Questo caso mi ha sempre colpito. Quella bellissima giovane portata via dalla sua casa a quel modo. Nessun omicidio è accettabile nella nostra società, ma questo ferisce più degli altri. Mi tormenta da allora.» E tormenta anche Muriel Verloren. La madre di Rebecca ha continuato a vivere nella casa sulla Red Mesa Way da cui fu strappata la figlia sedicenne. La stanza da letto di Rebecca è rimasta inalterata dalla notte in cui la ragazza venne trascinata fuori dalla porta sul retro e non tornò mai più. «Non voglio modificare nulla» ha dichiarato la madre tra le lacrime ieri, mentre con la mano carezzava la trapunta sul letto della figlia. «È il mio modo per rimanere vicina a lei. Non cambierò mai questa stanza e non lascerò mai questa casa.» Il detective Harry Bosch, cui sono state assegnate le nuove indagini, ha dichiarato al News che ci sono molti indizi promettenti. L'aiuto maggiore al caso è stato fornito dai passi avanti che la tecnologia ha compiuto dal 1988 a oggi. Del sangue che non apparteneva a Rebecca Verloren è stato rinvenuto sull'arma del delitto. Il detective Bosch ha spiegato che il percussore della pistola ha "pizzicato" lo sparatore sulla mano, strappandogli un campione di sangue e pelle. Nel 1988 poté essere solo analizzato, registrato e conservato. Ora sarebbe possibile confrontarlo con quello di un indiziato. La sfida consiste nel trovare quell'indiziato. «Le indagini originali sono state condotte in maniera meticolosa» ha sostenuto Bosch. «Sono state interrogate centinaia di persone, sono state seguite centinaia di tracce. Stiamo ripercorrendo una a una quelle strade, ma la nostra reale speranza risiede nel DNA. Sarà questo l'elemento risolutivo, ne sono convinto.» Il detective ci ha spiegato che sebbene la vittima non sia stata violentata, si riscontrano elementi che inducono a pensare a un crimine di natura psico-sessuale. Dieci anni or sono il Dipartimento di Giustizia ha costituito un archivio contenente campioni di DNA delle persone condannate per reati a sfondo sessuale. Al momento si sta procedendo a comparare il DNA proveniente dal caso Verloren con tali campioni. Il detective Bosch ritiene probabile che l'omicidio di Rebecca Verloren non sia un crimine isolato.

«Penso che sia inverosimile che l'assassino abbia commesso questo solo delitto e poi abbia condotto una vita irreprensibile. La natura del reato suggerisce che il soggetto abbia con ogni probabilità commesso altri crimini. Se fosse stato preso almeno una volta, e il suo DNA fosse stato inserito nel database, identificarlo sarà solo una questione di tempo.» Rebecca fu strappata dalla sua casa e condotta alla morte la notte del 5 luglio 1988. Per tre giorni la polizia e i membri della comunità la cercarono. Una donna che cavalcava sulla Oat Mountain trovò il cadavere nascosto dietro un albero caduto. Nonostante gli investigatori abbiano riscontrato molti particolari, tra cui il fatto che sei settimane prima di morire Rebecca aveva subito un'interruzione di gravidanza, la polizia è stata incapace di determinare chi fosse il killer e come fosse riuscito a intrufolarsi in casa. Negli anni trascorsi da allora, questo delitto ha lasciato il segno su molte vite. I genitori della vittima si sono separati e Muriel Verloren non è stata in grado di dirci dove si trovi al momento il marito, Robert Verloren, un ex ristoratore di Malibu. La donna ha affermato che la disgregazione del loro matrimonio è stata causata dalla tensione e dal dolore provocati dall'omicidio della figlia. Uno degli investigatori del caso, Ronald Green, è andato in pensione e qualche anno più tardi si è suicidato. Garcia ha riferito di essere convinto che il caso di Rebecca Verloren non sia stato estraneo alla decisione dell'ex partner di togliersi la vita. «Ronnie prendeva sempre tutto molto a cuore, e penso che quel caso lo abbia sempre turbato» ha dichiarato Garcia. Presso la Hillside Preparatory School, dove Rebecca Verloren era una studentessa molto popolare, esiste qualcosa che la ricorda in vita e in morte. Una targa eretta dai compagni di classe campeggia sulla parete del corridoio principale del prestigioso istituto. «Non dimenticheremo mai una persona come Rebecca» ha dichiarato il preside Gordon Stoddard, che insegnava nella scuola quando Rebecca Verloren venne uccisa. Una delle amiche e compagne di Rebecca attualmente insegna alla Hillside. Bailey Koster Sable trascorse la notte con Rebecca solo due giorni prima che la ragazza venisse assassinata. La perdita la tormenta da allora, e ha confessato di pensare all'amica di continuo. «Ci penso perché sento che avrebbe potuto succedere a chi-

unque di noi» ci ha detto la professoressa Sable dopo le lezioni di ieri. «E questo mi induce a pormi sempre la stessa domanda: perché lei?» È la stessa domanda a cui la polizia di Los Angeles spera di poter dare risposta quanto prima. Bosch guardò la foto nella pagina interna, dove proseguiva l'articolo. Mostrava Bailey Sable e Gordon Stoddard in piedi ai lati della targa sulla parete della Hillside Prep. Anche questo scatto era attribuito a Emerson Ward. La didascalia diceva: «AMICA E INSEGNANTE: Bailey Sable, ex compagna di scuola di Rebecca Verloren, e Gordon Stoddard, suo insegnante di scienze. Stoddard, ora preside dell'istituto, ha dichiarato: "Becky era una brava ragazza. Non sarebbe dovuto succedere"». Bosch versò del caffè in una tazza e poi rilesse l'articolo mentre sorseggiava la sua colazione. Alla fine afferrò euforico il telefono dal bancone e compose il numero di casa di Kizmin Rider. La donna rispose con voce impastata. «Kiz, l'articolo è perfetto. Ci ha messo tutto quello che volevamo.» «Harry? Che ore sono?» «Quasi le sette. Siamo in ballo.» «Harry, dobbiamo lavorare tutta la notte. Cosa ci fai sveglio? Perché mi telefoni alle sette di mattina?» Bosch si rese conto dell'errore. «Mi dispiace. È solo che sono eccitato.» «Chiamami tra due ore.» Riagganciò. La voce non aveva un tono gradevole. Imperterrito, Bosch estrasse un foglio piegato dalla tasca della giacca. Era il foglio con i numeri che Pratt aveva distribuito durante la riunione dello staff. Chiamò Tim Marcia al cellulare. «Sono Bosch» disse. «Siete in posizione?» «Sì, siamo qui.» «Si muove qualcosa?» «Al momento è un vuoto sonnolento. Immaginiamo che se il tizio ha lavorato fino a mezzanotte, dormirà fino a tardi.» «La sua macchina è lì? La Camaro?» «Sì, Harry, è lì.» «Okay. Avete letto l'articolo sul giornale?» «Non ancora. Ma abbiamo due squadre impegnate a stare addosso a Mackey e Burkhart. Noi tra poco facciamo una pausa e andiamo a prendere un

caffè e il giornale.» «Va bene. Funzionerà.» «Speriamo.» Dopo aver riattaccato, Bosch pensò che finché Mackey o Burkhart non lasciavano la casa sulla Mariano, ci sarebbe stata una sorveglianza doppia sul posto. Era uno spreco di tempo e di denaro, ma non vedeva alternative. Non c'era modo di sapere quando uno dei due soggetti avrebbe lasciato la casa. Conoscevano molto poco di Burkhart. Non sapevano neppure se avesse un lavoro. Subito dopo chiamò Renner, nella camera del suono della ListenTech. Era il detective più anziano della squadra e ne aveva approfittato per ottenere per sé e il suo partner il turno diurno nella camera dei suoni. «Ancora niente?» domandò Bosch. «Niente, ma sarai il primo a saperlo.» Bosch lo ringraziò e riagganciò. Consultò l'orologio. Non erano neppure le sette e mezza e sapeva che la giornata sarebbe stata molto lunga in attesa che iniziasse il suo turno di sorveglianza. Riempì ancora una volta la tazza di caffè e guardò di nuovo il giornale. La foto della camera della ragazza morta lo turbava in una maniera che non era in grado di definire. C'era qualcosa, ma non capiva cosa. Chiuse gli occhi, contò fino a cinque e li riaprì, sperando che il trucco potesse riallacciare qualche filo slegato. Ma la foto non rivelò il proprio segreto. Un senso di frustrazione cominciò a crescere dentro di lui, quando squillò il telefono. Era Rider. «Grandioso, ora non riesco più ad addormentarmi. Farai bene a essere ben sveglio stasera, Harry, perché io non lo sarò.» «Mi dispiace, Kiz. Cercherò di non deluderti.» «Leggimi l'articolo.» Lo fece, e quando ebbe finito sembrava che Kiz fosse stata contagiata dalla sua euforia. Sapevano entrambi che l'articolo avrebbe funzionato alla perfezione e avrebbe provocato la reazione di Mackey. La chiave ora era assicurarsi che lo vedesse e lo leggesse, e pensavano di avere il piano giusto. «Okay, Harry, io vado avanti. Ho delle cose da fare oggi.» «Va bene, Kiz, ci vediamo lassù. Che ne dici se ci incontriamo alle sei meno un quarto sulla Tampa, un isolato a sud della stazione di servizio?» «Sarò lì, a meno che non succeda qualcosa prima.» «Sì, anche io.»

Dopo aver riagganciato, Bosch andò in camera da letto e si infilò dei vestiti puliti nei quali sarebbe stato più comodo durante la sorveglianza notturna e che gli sarebbero tornati utili anche per il ruolo che intendeva interpretare con Mackey. Scelse una maglietta bianca che era stata lavata diverse volte e si era ristretta, così che le maniche risultavano aderenti e corte sui bicipiti. Prima di metterci sopra una camicia controllò il proprio aspetto nello specchio. Una buona metà del teschio sbucava da sotto la manica e le saette delle SS uscivano dal colletto di cotone. I tatuaggi sembravano più autentici rispetto alla sera precedente. Si era fatto la doccia da Vicki Landreth e lei gli aveva detto che l'acqua avrebbe reso meno nitido l'inchiostro sulla sua pelle, proprio come succedeva con i tatuaggi che si facevano nelle prigioni. Lo aveva avvertito che l'inchiostro si sarebbe cancellato dopo due o tre docce e, se ne avesse avuto bisogno, avrebbe potuto aiutarlo a mantenere il suo look con qualche ritocco. Lui le aveva detto che non aveva in programma di servirsi dei tatuaggi per più di un giorno. Avrebbero funzionato o no nel momento in cui avesse inscenato la commedia. Infilò una camicia a maniche lunghe sulla maglietta. Si controllò allo specchio ed ebbe l'impressione che sotto il cotone si intravedesse il teschio. La spessa svastica nera sulla fronte traspariva dal tessuto. Pronto a uscire, anche se mancavano diverse ore, Bosch camminò per qualche momento nel salotto con passo nervoso, domandandosi cosa fosse meglio fare. Decise di chiamare la figlia, sperando che la voce dolce della bambina e la sua allegria potessero regalargli maggiore carica per la giornata. Prese il numero dell'Intercontinental Hotel di Kowloon da un post-it sul frigorifero e premette i tasti. Là dovevano essere quasi le otto di sera. Sua figlia di certo era ancora sveglia. Ma quando la telefonata venne passata nella camera di Eleanor Wish non ci fu risposta. Si domandò se avesse sbagliato il calcolo del fuso orario. Forse stava telefonando troppo presto o troppo tardi. Dopo sei squilli rispose un centralino automatico che diede a Bosch istruzioni in inglese e cantonese per lasciare un messaggio. Lasciò un breve messaggio sia per Eleanor sia per la figlia e riagganciò. Non volendo fissarsi sulla bambina o sul pensiero di dove fosse, Bosch aprì il fascicolo del delitto e cominciò a riesaminarne il contenuto, alla ricerca di qualche dettaglio che poteva essergli sfuggito. Nonostante tutto quello che aveva appreso sul caso e su come era stato manipolato dal pote-

re, credeva ancora nel fascicolo. Credeva che le risposte si trovassero sempre nei particolari. Terminò la lettura e stava per prendere una copia del documento sulla libertà vigilata di Mackey quando pensò a un dettaglio e chiamò Muriel Verloren. Era a casa. «Ha visto l'articolo sul giornale?» domandò. «Sì, vederlo mi ha reso così triste.» «Perché?» «Perché tutto mi sembra così reale. Avevo cercato di rimuovere i ricordi.» «Mi dispiace, ma ci aiuterà. Glielo prometto. Sono felice che lei l'abbia fatto. Grazie.» «Voglio tentare tutto quello che può essere utile.» «Grazie, Muriel. Senta, desidero dirle che ho rintracciato suo marito. Ho parlato con lui ieri mattina.» Ci fu un lungo silenzio prima che la donna rispondesse. «Davvero? Dov'è?» «Sulla Fifth Street. Gestisce una mensa per i senzatetto. Serve le colazioni. Si chiama Metro Shelter. Pensavo che volesse saperlo.» Ancora un silenzio. Bosch immaginò che volesse fargli qualche domanda e aspettò. «Intende dire che lavora lì?» «Sì. È sobrio adesso. Da tre anni ormai, così dice. Credo che la prima volta sia andato lì per ottenere un pasto e che, in un certo senso, abbia fatto carriera. È il responsabile della cucina. E il cibo è buono. Ci ho mangiato ieri.» «Capisco.» «Uhm, ho un numero che mi ha dato. Non è una linea diretta. Non ha il telefono nella stanza. Ma si trova in cucina, e lui è lì di mattina. Ha detto che dopo le nove il lavoro si calma.» «Okay.» «Vuole il numero, Muriel?» Questa domanda fu seguita dal silenzio più lungo di tutti. Alla fine fu lo stesso Bosch a rispondere. «Sa cosa le dico, Muriel? Io conservo il numero, e se mai desiderasse averlo, non deve fare altro che chiamarmi. Va bene così?» «Mi sembra che vada bene, detective. Grazie.» «Nessun problema. Ora devo andare. Speriamo che oggi salti fuori qual-

cosa.» «La prego, mi chiami.» «Sarà la prima telefonata che farò.» Dopo aver riagganciato, Bosch si rese conto che parlare di cibo gli aveva messo appetito. Ora era quasi mezzogiorno e non aveva mangiato niente dopo la bistecca da Musso della sera prima. Decise che sarebbe andato in camera da letto a riposare un po' e poi avrebbe pranzato tardi prima di presentarsi per il turno di sorveglianza. Sarebbe andato da Dupar's a Studio City. Era lungo la strada per Northridge. I pancake erano il cibo perfetto per gli appostamenti. Avrebbe ordinato una montagna di pancake imburrati che si sarebbero sistemati in fondo allo stomaco come cemento e gli avrebbero dato una sensazione di sazietà per tutta la notte, se fosse stato necessario. Nella stanza da letto si sdraiò supino e chiuse gli occhi. Cercò di pensare al caso, ma la mente vagò a quel tempo ubriaco in cui si era fatto tatuare il braccio in un antro sudicio a Saigon. Mentre scivolava nel sonno ricordò l'uomo con l'ago, il suo sorriso e l'odore del suo corpo. Rammentò che l'uomo aveva detto: «Sei sicuro? Ricordati che rimarrai segnato per sempre». Bosch aveva ricambiato il sorriso e aveva risposto: «Lo sono già». Poi nel sogno il volto sorridente dell'uomo si tramutò nel viso di Vicki Landreth. Aveva il rossetto sbavato sulla bocca. Reggeva un ago da tatuaggi ronzante. «Sei pronto, Michael?» «Io non sono Michael.» «Va tutto bene. Non importa chi sei. Tutti quanti si scansano dall'ago, ma nessuno se ne va!» 28 Kiz Rider era già nel luogo dell'incontro quando arrivò Bosch. Uscì dall'auto e portò il fascicolo del delitto e gli altri documenti alla macchina di lei, una Taurus bianca poco appariscente. «C'è posto nel bagagliaio?» domandò prima di salire. «È vuoto. Perché?» «Aprilo. Mi sono dimenticato di lasciare a casa la ruota di scorta.» Tornò alla sua auto, un SUV Mercedes-Benz, tirò fuori la ruota di scorta e la trasferì nel bagagliaio della Rider. Si servì di un cacciavite che prese

dalla cassetta degli attrezzi per rimuovere le targhe e le infilò a loro volta nel bagagliaio. A quel punto salì e percorsero la Tampa verso il centro commerciale di fronte alla stazione di servizio dove lavorava Mackey. La squadra diurna, Marcia e Jackson, li attendeva nel parcheggio. Lo spazio accanto alla loro auto era libero e Rider vi si infilò. Abbassarono i finestrini per poter parlare e trasferire le ricetrasmittenti senza dover scendere dall'auto. Bosch prese le radio, ma sapeva che lui e Rider non le avrebbero usate. «Allora?» domandò Bosch. «Allora niente» disse Jackson. «A quanto pare stiamo trivellando un pozzo asciutto, Harry.» «Proprio niente?» domandò Rider. «Non è successo assolutamente nulla che possa far pensare che Mackey o qualcuno che conosce abbia visto il giornale. Abbiamo verificato una ventina di minuti fa, questo tizio non ha ricevuto neppure una telefonata, altro che conversazioni sull'argomento. Da quando è in servizio non ci sono state neanche chiamate per il carro attrezzi.» Bosch annuì. Non era ancora preoccupato. A volte le cose avevano bisogno di una spintarella. Ed era quello che era pronto a fare. «Spero che tu abbia un buon piano, Harry» intervenne Marcia ad alta voce. Era al posto di guida, distante da Bosch che si trovava dal lato del passeggero dell'auto di Rider. «Potete trattenervi ancora un po'?» replicò Bosch. «Non serve aspettare ancora se non è successo niente. Sono pronto a mettermi in movimento.» Jackson annuì. «Per me è lo stesso» disse. «Hai bisogno che ti copriamo le spalle?» «Ne dubito. Ho solo intenzione di andare a piantare un seme. Ma non si sa mai. Male non farebbe.» «Va bene. Ti daremo un'occhiata. Per ogni evenienza, che segnale userai per avvisarci?» Bosch non ci aveva pensato. «Immagino che suonerò il clacson» disse. «Oppure sentirete gli spari.» Sorrise, tutti annuirono. Rider mise in moto e tornò sulla Tampa verso la macchina di Bosch. «Sei sicuro di quello che fai?» domandò Rider mentre si fermava accanto alla Mercedes. «Sono sicuro.» Lungo la strada Bosch aveva notato che la partner aveva portato con sé

una voluminosa cartelletta a soffietto, che aveva depositato in mezzo ai due sedili. «Cos'è quella?» «Visto che mi hai svegliata presto, ho deciso di mettermi all'opera. Ho rintracciato gli altri cinque membri degli Otto di Chatsworth.» «Ottimo lavoro. Qualcuno di loro è ancora da queste parti?» «Due sono ancora in giro. Ma pare che siano cresciuti e abbiano perso la loro cosiddetta impulsività giovanile. Niente precedenti. Hanno dei lavori decenti.» «E gli altri?» «L'unico che sembra credere ancora nella causa è un tizio di nome Frank Simmons. Si trasferì qui dall'Oregon quando andava alle superiori. Un paio di anni dopo si unì agli Otto. Ora vive a Fresno. Ma si è fatto due anni a Obispo per aver venduto delle mitragliatrici.» «Potrebbe tornarmi utile. Quando c'è stato?» «Aspetta un secondo.» Aprì il file e scavò finché non tirò fuori una busta commerciale con sopra il nome di Frank Simmons. La aprì e mostrò a Bosch una foto segnaletica di Simmons. «Sei anni fa» disse. Bosch esaminò la foto, sforzandosi di memorizzare i dettagli della figura di Simmons. Aveva i capelli neri tagliati corti e gli occhi scuri. La pelle era molto chiara e il volto segnato dalle cicatrici dell'acne. Cercava di mascherarle con un pizzetto che aveva anche lo scopo di farlo apparire più duro. «Dov'è stato arrestato, qui?» «No a Fresno. A quanto pare si è trasferito dopo i problemi che c'erano stati da queste parti.» «A chi vendeva le mitragliatrici?» «Ho chiamato l'ufficio dell'FBI di laggiù, ho parlato con un agente. Non ha voluto collaborare con me prima di aver controllato le mie credenziali. Sto ancora aspettando che mi richiami.» «Grandioso.» «Ho la sensazione che l'interesse del bureau per il signor Simmons sia ancora vivo, e che l'agente non fosse in vena di condividere le informazioni.» Bosch annuì. «Dove viveva Simmons all'epoca del delitto Verloren?» «Non lo so. Era uno dei più giovani, perciò con tutta probabilità viveva

con i genitori. L'AutoTrack non lo ha rintracciato prima del '90. Ma allora era già a Fresno.» «Perciò, a meno che i suoi genitori non si siano trasferiti dopo quella storia, è molto probabile che si trovasse ancora nella Valley.» «È possibile.» «Okay, è una buona cosa, Kiz. Potrebbe tornarmi utile. Seguimi fino al Balboa Park accanto alla Woodley. Penso che sia un buon punto. C'è un campo da golf con il parcheggio. Ci saranno un mucchio di auto. Potrete parcheggiare lassù, e da lì coprirmi le spalle. Okay?» «Okay.» «Dillo agli altri.» Tirò fuori il distintivo, le manette e la pistola d'ordinanza e posò tutto sul pavimento dell'auto. «Harry, hai un'arma di riserva?» «Ho te, no?» «Dico sul serio.» «Sì, Kiz, ho una piccola automatica alla caviglia. Andrà tutto bene.» Scese dall'auto di Rider e salì sulla sua. Sulla strada verso il parcheggio, ripassò la messinscena. Era pronto, si sentiva euforico. Dieci minuti più tardi si fermò sulla strada sotto il parcheggio, spense il motore e scese dall'auto. Andò al lato anteriore destro, aprì la valvola e fece uscire l'aria dalla ruota. Siccome sapeva che alcuni carri attrezzi erano equipaggiati con un dispositivo per l'aria compressa, aprì il coltello a serramanico e tagliò il cannello della valvola. La gomma avrebbe dovuto essere riparata, non gonfiata. Pronto a mettersi in azione, aprì il cellulare e chiamò la stazione di servizio dove lavorava Mackey. Disse che aveva bisogno di un carro attrezzi e venne messo in attesa. Passò un minuto buono prima che un'altra voce arrivasse in linea. Roland Mackey. «Posso esserle utile?» «Mi serve un carro attrezzi. Ho una gomma a terra e la valvola mi sembra sputtanata.» «Che tipo di macchina è?» «Un SUV Mercedes nero.» «E la ruota di scorta?» «Me l'ha rubata qualche negro, me l'hanno fregata la settimana scorsa quando ero a South-Central.» «Che peccato. Non doveva andarci.»

«Non avevo scelta. Mi può trainare o no?» «Okay, okay. Dove si trova?» Bosch glielo disse. Era abbastanza vicino e questa volta Mackey non cercò di convincerlo a chiamare qualcun altro. «Va bene, dieci minuti» disse Mackey. «Si faccia trovare accanto alla macchina quando arrivo.» «Non saprei dove altro andare.» Bosch chiuse il telefono e aprì il portellone posteriore del SUV. Si sfilò la camicia dai pantaloni e poi se la tolse. Ora i nuovi tatuaggi erano parzialmente in mostra. Si sedette sul paraurti posteriore e attese. Due minuti più tardi gli squillò il cellulare. Era Kiz Rider. «Harry, sono riusciti a trasferirmi la chiamata dalla ListenTech. Mi sei sembrato credibile.» «Bene.» «Ho appena parlato con i ragazzi. Mackey si sta muovendo. Loro lo seguono.» «Okay, sono pronto.» «Rimpiango di non averti messo addosso un microfono. Non si sa mai cosa ti dirà quel tizio.» «Sarebbe stato troppo rischioso, sono in maglietta. Comunque, le chance che il tizio dica a un estraneo che è stato lui a uccidere la ragazza non sono di più di quelle che avrei di vincere la lotteria comprando un solo biglietto.» «Immagino.» «Devo andare, Kiz.» «Buona fortuna, Harry. Sii prudente.» «Come al solito.» Chiuse il telefono. 29 Il carro attrezzi rallentò mentre si avvicinava alla Mercedes. Bosch sollevò lo sguardo, era ancora seduto sul paraurti posteriore, all'ombra del portellone, e leggeva il Daily News. Agitò il giornale in direzione del guidatore del carro attrezzi e si alzò. Il furgone raggiunse l'auto e si sistemò dietro alla Mercedes. L'autista scese. Era Roland Mackey. Mackey indossava guanti di pelle macchiati di grasso nero sui palmi.

Non fece neanche un cenno a Bosch, girò attorno alla Mercedes e guardò la ruota sgonfia. Quando Bosch lo raggiunse, sempre con il giornale in mano, Mackey si accovacciò e studiò la valvola. Allungò una mano e la piegò in avanti e indietro, scoprendo il taglio. «Sembra quasi che sia stata tagliata.» «Magari un vetro sulla strada o qualcosa del genere» suggerì Bosch. «E niente ruota di scorta. Che sfiga.» Alzò lo sguardo su Bosch, strizzando gli occhi alla luce del sole che cominciava a calare dietro Harry. «Non me lo dica» rispose Bosch. «Be', posso rimorchiarla all'officina, il mio collega le sostituirà la valvola. Ci vorranno una quindicina di minuti dopo che saremo arrivati al garage.» «D'accordo.» «È socio della Tripla A o ha l'assicurazione?» «No, pago in contanti.» Mackey disse che il traino sarebbe costato ottantacinque dollari, più tre dollari per ogni chilometro. L'addebito per la sostituzione della valvola sarebbe stato di altri venticinque dollari per la manodopera più il costo della valvola. «D'accordo» ripeté Bosch. Mackey si alzò e guardò Bosch. Parve fissargli subito il collo e poi distogliere lo sguardo. Non disse niente riguardo ai tatuaggi. «Dovrebbe chiudere il portellone posteriore» disse invece. «A meno che non voglia che le caschi fuori tutto durante il tragitto.» Sorrise. Un po' di umorismo da autista di carro attrezzi. «Prendo la camicia e chiudo» disse Bosch. «Va bene se salgo con lei?» «Se non preferisce chiamare un taxi per viaggiare con più classe.» «Preferisco viaggiare con qualcuno che parla l'inglese.» Mackey rise sguaiatamente mentre Bosch girava dietro l'auto. Il detective rimase in piedi in disparte mentre Mackey eseguiva le procedure per agganciare il veicolo. Dopo un po' si accostò al carro attrezzi e tirò una leva che sollevò la parte anteriore del SUV. Quando Mackey ritenne che l'altezza fosse sufficiente, controllò tutte le catene e le bardature e disse che era pronto ad andare. Bosch salì sul carro attrezzi con la camicia appoggiata al braccio e il giornale in mano. Lo aveva piegato in modo che la foto di Rebecca Verloren fosse ben visibile. «Questo affare ha l'aria condizionata?» domandò poi, e chiuse la portie-

ra. «Mi son fatto una cazzo di sudata là fuori.» «Siamo in due. Avrebbe dovuto rimanere in macchina con l'aria condizionata accesa mentre mi aspettava. Questo pezzo di merda non ha l'aria condizionata in estate né il riscaldamento in inverno. È un po' come la mia ex moglie.» Ancora umorismo da carro attrezzi, immaginò Bosch. Mackey gli porse una cartelletta con un modulo e una penna. «Compili questo» disse. «Poi siamo a posto.» «Okay.» Bosch cominciò a compilare il modulo con il nome e l'indirizzo falsi che aveva scelto prima di muoversi. Mackey prese un microfono dal cruscotto e ci parlò dentro. «Ehi, Kenny?» Qualche momento dopo ci fu una risposta. «Procedi.» «Dì a Spider di non andarsene» disse Mackey. «Sto portando uno pneumatico che ha bisogno della valvola nuova.» «Non sarà contento. Si è già lavato.» «Tu diglielo. Passo.» Mackey ripose il microfono sul sostegno. «Pensa che resterà?» domandò Bosch. «Le conviene sperarlo, altrimenti dovrà aspettare domani per farsi aggiustare la ruota.» «Non posso. Devo rimettermi in strada.» «Sì? Dove va?» «Barstow.» Mackey avviò il motore e si voltò sulla sinistra per guardare fuori dal finestrino posteriore e assicurarsi che fosse tutto a posto e uscire dal parcheggio. Da quella posizione non poteva vedere Bosch, che si arrotolò con un gesto rapido la manica della maglietta in modo che metà del teschio fosse visibile. Il carro attrezzi si immise sulla strada. Bosch guardò fuori dal finestrino e vide le auto di Rider e dell'altra squadra della sorveglianza nel parcheggio del campo da golf. Appoggiò il gomito al finestrino ancora aperto e la mano sulla parte superiore della cornice. Senza farsi vedere da Mackey, riuscì a rivolgere il pollice levato verso i suoi angeli custodi. «Che c'è a Barstow?» domandò Mackey.

«Casa, tutto qui, vado a casa stasera.» «Cosa ci faceva da queste parti?» «Questo e quello.» «E South-Central? Che ci faceva laggiù con quella gente la settimana scorsa?» Bosch capì che l'espressione quella gente si riferiva alla minoranza predominante nella zona sud di Los Angeles. Si voltò e guardò Mackey con intenzione, come a volergli dire che faceva troppe domande. «Questo e quello» ripeté, inespressivo. «Grande» disse Mackey, e tolse la mano dal volante per fare un gesto come a indicare che si tirava indietro. «Ti dirò una cosa, però, non importa cosa ero lì a fare, ti puoi tenere questa merda di città.» Mackey sorrise. «So cosa intendi» disse. Bosch considerò che fossero pronti a condividere qualcosa di più che qualche chiacchiera. Era convinto che Mackey avesse buttato l'occhio sui tatuaggi e stesse tentando di farsi una idea su di lui. Pensò che fosse il momento per un'altra mossa e per accennare all'articolo. Bosch posò il giornale sul sedile in mezzo a loro, assicurandosi che la foto di Rebecca Verloren fosse ancora ben in vista. Poi cominciò a infilarsi la camicia. Per farlo, si chinò in avanti e allungò il braccio. Non guardò Mackey, ma sapeva che il teschio sul bicipite sinistro era ben in vista. Infilò prima il braccio destro, poi portò la camicia dietro la schiena e infilò il sinistro. Si appoggiò indietro e cominciò ad abbottonarsi. «C'è un po' troppo terzo mondo da queste parti per i miei gusti» disse Bosch. «Sono con te su questo.» «Sì? Sei di queste parti?» «C'ho vissuto per tutta la vita.» «Be', amico, dovresti prendere la tua famiglia - se ne hai una - e la bandiera e partire. Lasciare questo posto del cazzo.» Mackey rise e annuì. «Ho un amico che dice la stessa cosa. Di continuo.» «Già, be', non è un'idea molto originale.» «L'hai detto.» A quel punto la radio interruppe per un momento la conversazione. «Ehi, Ro?»

Mackey prese il microfono. «Sì, Ken?» «Faccio un salto a prendere del pollo fritto mentre Spider ti aspetta. Vuoi qualcosa?» «Naaa, uscirò più tardi. Chiudo.» Riappese il microfono. Viaggiarono in silenzio per qualche momento mentre Bosch cercava di pensare a un modo naturale per riavviare la conversazione nella giusta direzione. Erano quasi a Tampa. Mackey aveva percorso il Burbank Boulevard e aveva girato a destra. Dopo un'altra svolta a destra, ci sarebbe stato solo un ultimo rettilineo fino alla stazione di servizio. In meno di dieci minuti il viaggio sarebbe finito. Ma fu Mackey a riprendere l'argomento. «Allora, dove l'hai scontata?» domandò senza preavviso. Bosch attese un momento per non lasciar trapelare l'eccitazione. «Di cosa parli?» domandò. «Ho visto i tatuaggi. Non è così difficile. O te li sei fatti in casa o te li sei fatti in prigione. È evidente.» Bosch annuì. «Obispo. Ho passato un po' di tempo lassù.» «Sì? Per cosa?» Bosch si voltò e lo guardò di nuovo. «Questo e quello.» Mackey annuì, a quanto pareva non si era lasciato scoraggiare dalla riluttanza ad aprirsi del passeggero. «Fico, amico. Conoscevo un tizio che c'è stato per un po'. Alla fine dei Novanta. Mi disse che non era male. È una specie di posto da colletti bianchi. Quantomeno non ci sono tanti negri come in altre prigioni.» Bosch rimase in silenzio per un lungo istante. Sapeva che Mackey aveva scelto quell'espressione razzista come una sorta di parola d'ordine. Se Bosch avesse risposto nel modo giusto, sarebbe stato accettato. Era una questione di codici. «Già» disse Bosch, annuendo. «Questo rendeva le condizioni un po' più vivibili. È probabile che il tuo amico me lo sia perso. Io sono uscito all'inizio del '98.» «Frank Simmons. Si chiama così. C'è rimasto solo per diciotto mesi, o giù di lì. Era di Fresno.» «Frank Simmons di Fresno» disse Bosch, come se cercasse di ricordare il nome. «Non penso di averlo conosciuto.»

«È un tipo a posto.» Annuì. «C'era un tizio, era entrato qualche settimana prima che uscissi io» disse. «Avevo sentito dire che era di Fresno. Ma, ragazzi, io ero alla fine e non mi andava di incontrare gente nuova, sai cosa intendo.» «Sì, certo. Mi chiedevo solo, sai.» «Il tuo amico aveva i capelli scuri e un sacco di cicatrici dell'acne, roba del genere?» Mackey cominciò a sorridere e annuire. «È lui! È Frank. Lo chiamavamo Crater Face, faccia da cratere.» «Chissà come era felice.» Il carro attrezzi svoltò sulla Tampa e puntò a nord. Bosch sapeva che avrebbe avuto ancora un po' di tempo con Mackey alla stazione di servizio, mentre veniva aggiustata la ruota, ma non poteva farci conto. Avrebbe potuto esserci un'altra chiamata, miriadi di distrazioni diverse. Doveva portare a termine la messinscena e piantare il seme subito, mentre era solo con il bersaglio. Prese il giornale e se lo appoggiò sulle ginocchia. Abbassò lo sguardo, come se leggesse i titoli. Doveva immaginare un modo per far cadere in modo naturale la conversazione sull'articolo. Mackey staccò la mano destra dal volante e si sfilò il guanto tenendo un dito tra i denti. Bosch pensò che sembrava proprio un bambino. Mackey allungò la mano e la porse a Bosch. «A proposito, io sono Ro.» Bosch gli strinse la mano. «Ro?» «È l'abbreviazione di Roland. Roland Mackey. Piacere di conoscerti.» «George Reichert» disse Bosch, pronunciando il nome su cui aveva meditato con cura quello stesso pomeriggio. «Reichert?» disse Mackey. «Tedesco, giusto?» «Significa cuore del reich.» «Che figata. E immagino che questo spieghi la Mercedes. Sai, io ho a che fare con le macchine per tutto il cazzo di giorno. Puoi dire un mucchio di cose delle persone dalle macchine che usano e da come se ne prendono cura.» «Suppongo di sì.» Bosch annuì. Ora vedeva la meta a portata di mano. Ancora una volta Mackey lo aveva aiutato senza rendersene conto. «Meccanica tedesca» disse Bosch. «I migliori fottuti costruttori di mac-

chine del mondo. Tu cosa guidi quando non sei al lavoro?» «Sto sistemando una Camaro del '72. Sarà un dolce viaggiare quando avrò finito.» «Anno buono» suggerì Bosch. «Già, ma non comprerei niente uscito da Detroit di questi tempi. Lo sai chi fa le nostre macchine adesso? Tutta quella cazzo di gente color fango. Io non ne guiderei una, figuriamoci se ci metterei sopra la mia famiglia.» «In Germania,» rispose Bosch «vai in una fabbrica e tutti quanti hanno gli occhi azzurri, sai cosa intendo? Ho visto delle foto.» Mackey annuì pensieroso. Bosch si convinse che fosse giunto il momento di azzardare una mossa diretta. Dispiegò il giornale sulle ginocchia. Lo sollevò in modo che tutta la prima pagina, e l'intero articolo sui Verloren, fosse ben in vista. «A proposito di gente color fango» disse. «Hai letto questo articolo?» «No, cosa dice?» «Parla di questa madre che se ne sta seduta sul letto a piagnucolare per la morte della figlia color fango che è stata uccisa diciassette anni fa. E la polizia è ancora sul caso. Ma dico, a chi frega, ragazzi?» Mackey lanciò un'occhiata al giornale e vide la foto con il primo piano di Rebecca Verloren. Non disse nulla, e il viso non tradì alcun segno di riconoscimento. Bosch abbassò il giornale, per non essere troppo esplicito. Lo ripiegò e lo gettò sul sedile tra di loro. Spinse ancora oltre la conversazione. «Voglio dire, mescoli le razze in quel modo e cosa pretendi di ottenere?» «Esatto» disse Mackey. Non era una risposta molto decisa. Pareva quasi esitante, come se l'uomo stesse pensando a qualcos'altro. Bosch lo prese come un buon segno. Forse Mackey aveva già sentito quel dito gelato che gli correva lungo la spina dorsale. Forse era la prima volta in diciassette anni. Bosch decise di aver sparato il suo colpo migliore. Se avesse cercato di aggiungere altro, avrebbe potuto varcare la soglia, cadere nell'ovvietà, tradirsi. Scelse di rimanere in silenzio per il resto del tragitto, e Mackey parve fare altrettanto. Qualche isolato più avanti, il guidatore si spostò sulla corsia di sinistra per aggirare una Pinto che procedeva lenta. «Ci credi che ci sono ancora 'sti affari in giro?» disse. Mentre superavano la piccola automobile, Bosch vide dietro il volante un uomo dai tratti asiatici. Pensò che dovesse essere cambogiano.

«Figuriamoci» commentò Mackey quando vide il guidatore. «Guarda questo.» Sterzò per tornare nella corsia originaria, stringendo la Pinto tra il carro attrezzi e una fila di auto parcheggiate lungo il marciapiede. Il guidatore della Pinto non ebbe altra alternativa che frenare di colpo. Le risate di Mackey si mescolarono con il debole latrato del clacson della Pinto. «Vaffanculo!» urlò Mackey. «Torna sulla tua barca del cazzo!» Guardò Bosch in cerca di un cenno di approvazione, Bosch sorrise. Era parecchio che non trovava così difficile fare qualcosa. «Ehi, amico, è con la mia macchina che hai quasi colpito quel tizio» disse, in tono canzonatorio. «Ehi, sei stato in Vietnam?» domandò Mackey. «Perché?» «Perché sì, amico. C'eri, vero?» «E allora?» «Allora, cazzo, avevo un amico che c'è stato. Mi ha detto che laggiù incenerivano i gialli come niente. Una dozzina per colazione e un'altra dozzina a pranzo. Mi sarebbe piaciuto essere laggiù, è tutto quello che posso dire.» Bosch distolse lo sguardo, fissò fuori dal finestrino. L'affermazione di Mackey gli forniva un'apertura per domandargli delle armi, chiedergli se avesse mai ucciso qualcuno. Ma non se la sentì. Tutto d'un tratto desiderava solo allontanarsi da quell'uomo. Ma Mackey continuava a parlare. «Ho cercato di firmare per la Guerra del Golfo - la prima - ma non mi hanno preso.» Bosch si riprese un po' e ripartì. «Perché no?» «Non lo so. Penso che avessero bisogno di lasciare spazio a qualche negro.» «O magari avevi dei precedenti penali.» Bosch era tornato a guardarlo mentre lo diceva. All'improvviso temette di aver usato un tono troppo accusatorio. Mackey si voltò e resse il suo sguardo per quanto poté, prima di dover riportare gli occhi sulla strada. «Ho dei precedenti, ragazzi, sai che me ne fotte. Gli avrei comunque fatto comodo laggiù.» La conversazione morì lì, dopo pochi isolati entrarono nella stazione di servizio.

«Non penso che ci sarà bisogno di portarla nel garage» disse Mackey. «Spider può togliere la ruota mentre ce l'ho ancora agganciata. Faremo in fretta.» «Come vuoi tu» disse Bosch. «Sei sicuro che non sia ancora andato via?» «No, quello laggiù è lui.» Quando il carro attrezzi arrivò accanto alla campata doppia del garage, un uomo emerse dall'ombra e si diresse verso la parte posteriore del furgone. Reggeva in una mano la pistola per i dadi degli pneumatici e con l'altra tirava il tubo dell'aria. Bosch intravide la ragnatela tatuata sul collo. Blu prigione. Qualcosa nel viso dell'uomo gli risultò subito familiare. In un repentino istante di terrore pensò di conoscerlo, di aver avuto a che fare con lui come poliziotto. Magari lo aveva arrestato o interrogato in passato, forse addirittura era stato lui a spedirlo in quella prigione dove si era fatto tatuare la ragnatela. Bosch capì subito che doveva stare alla larga da quel tizio chiamato Spider, ragno. Estrasse il telefono dalla cintura. «Ti sta bene se rimango seduto qui a fare qualche telefonata?» domandò a Mackey, che scendeva dal furgone. «Sì, fai pure. Non ci vorrà molto.» Mackey chiuse lo sportello e lasciò Bosch da solo. Mentre sentiva l'avvitatore che cominciava ad allentare i dadi della ruota del SUV, Bosch sollevò il finestrino e chiamò il cellulare di Rider. «Come sta andando?» domandò lei senza salutare. «Andava bene finché non siamo arrivati alla stazione di servizio» disse Bosch sottovoce. «Penso di aver già visto il meccanico da qualche parte. Se dovesse riconoscermi sarebbe un guaio.» «Intendi che potrebbe sapere che sei un poliziotto?» «Esatto.» «Merda.» «Esatto.» «Cosa vuoi che facciamo? Tim e Rick sono ancora in giro.» «Chiamali e digli cosa sta succedendo. Digli di tenere gli occhi aperti finché non ho finito. Rimarrò sul carro attrezzi fino a quando potrò. Se tengo il telefono sollevato come se stessi parlando, posso fare in modo che non mi veda in faccia.» «Okay.» «Spero solo che Mackey non mi voglia presentare. Penso di aver fatto

colpo. Potrebbe volersi vantare di me.» «Okay, Harry, rimani calmo, se sarà necessario interverremo...» «Non sono preoccupato per me. Sono preoccupato per la messinscena...» «Ehi, si avvicina.» Proprio mentre Rider pronunciava l'ammonimento, si sentì un colpo secco sul finestrino. Bosch abbassò il telefono e si voltò. Vide Mackey che lo fissava. Tirò giù il finestrino. «Fatto» disse. «Di già?» «Già. Puoi venire in ufficio a pagare mentre Spider ti rimonta la ruota. Tra un paio d'ore sarai a casa.» «Grande.» Tenendo il telefono accanto all'orecchio sinistro, Bosch scese dal carro attrezzi e raggiunse l'ufficio, senza mai permettere a Spider di guardarlo in volto. Mentre camminava continuò a parlare con Rider. «Tra poco ho finito» disse. «Bene» disse lei. «Il tizio in questione ti sta montando la ruota. Stai attento mentre te ne vai.» «Lo farò.» Quando raggiunse il piccolo ufficio, Bosch chiuse il telefono. Mackey era seduto dietro un tavolo sporco e disordinato. Impiegò diversi secondi per sommare il prezzo del traino con quello della riparazione della gomma. «Fanno centoventicinque giusti» disse. «Sei chilometri di traino e la valvola sono tre deca.» Bosch si sedette sulla sedia di fronte alla scrivania e tirò fuori una mazzetta di banconote ripiegate. «Posso avere una ricevuta?» Mentre contava sei biglietti da venti e uno da cinque, sentì da fuori il rumore dell'avvitatore. Spider aveva quasi finito. Porse il denaro, ma Mackey era occupato a guardare un appunto sulla scrivania. Lo sollevò con un'angolazione che permise a Bosch di leggerlo. Ro, ha chiamato la Visa per avere conferma del tuo impiego. Bosch lo lesse in pochi secondi, ma Mackey fissò a lungo l'appunto prima di posarlo sulla scrivania e prendere i soldi. Infilò le banconote in un cassetto, dove cominciò a frugare in cerca di un blocchetto delle ricevute. Ci impiegò parecchio tempo.

«Di solito è Kenny che fa le ricevute» disse. «Ed è andato a prendersi un po' di pollo.» Bosch stava per dire che non importava, quando sentì alle sue spalle un rumore di passi, qualcuno era entrato nell'ufficio. Non si voltò, nel caso si trattasse di Spider. «Okay, Ro, ho fatto. Devi solo tirarla giù.» Bosch sapeva che era il momento della resa dei conti. Mackey avrebbe potuto presentarlo o no. «Va bene, Spider» disse Mackey. «Allora me ne vado.» «Okay, amico, grazie di essere rimasto. Ci becchiamo domani.» Spider lasciò l'ufficio senza che Bosch si voltasse. Mackey trovò quello che cercava nel cassetto centrale e ci scarabocchiò sopra qualcosa. Porse un foglietto a Bosch. Era una ricevuta in bianco. Aveva scritto in basso «125$» con una calligrafia da bambino. «Puoi compilarla tu» disse Mackey mentre si alzava. «Ti vado a tirare giù la macchina, così te ne puoi andare.» Bosch lo seguì fuori, si era reso conto di aver abbandonato il giornale sul sedile del carro attrezzi. Si domandò se fosse meglio lasciarlo lì oppure con una scusa tornare nell'abitacolo a prenderlo per portarlo nell'ufficio dove sapeva che Mackey guardava la televisione durante i momenti di calma del turno. Decise di lasciarlo dov'era. Aveva piantato il seme nel migliore dei modi. Ora era arrivato il momento di fare un passo indietro e vedere cosa sarebbe cresciuto da quel seme. Adesso la Mercedes non era più sul carro attrezzi. Bosch girò dal lato del guidatore. Mackey stava sistemando gli arnesi nella parte posteriore del furgone. «Grazie, Roland» disse Bosch. «Solo Ro, amico» rispose Mackey. «Sta' in campana. E fatti un favore, gira alla larga da South-Central.» «Non preoccuparti per me» disse Bosch. «Lo farò.» Mackey sorrise e strizzò l'occhio mentre si toglieva di nuovo i guanti e porgeva la mano a Bosch. Bosch gliela strinse e restituì il sorriso. Abbassò lo sguardo e vide una piccola cicatrice bianca sulla parte carnosa tra il pollice e l'indice della mano destra di Mackey. Il tatuaggio di una Colt calibro 45. «Ci becchiamo» disse.

30 Bosch guidò fino al punto in cui aveva incontrato Rider all'inizio del turno di sorveglianza, la partner era lì ad aspettarlo. Parcheggiò e salì sulla Taurus. «Ci sei andato vicino» disse Rider. «È saltato fuori che forse conoscevi davvero quel tizio. Jerry Townsend. Ti dice niente? Quando è andato via abbiamo passato al computer la targa del suo pick-up e lo abbiamo identificato.» «Jerry Townsend? No, il nome non mi dice niente. Ho solo riconosciuto il viso.» «È stato condannato per omicidio colposo nel '96. Si è fatto cinque anni. Pare che si trattasse di un caso di violenza domestica, ma è tutto quello che sono riusciti a tirare fuori dal computer. Scommetto che se prendessimo in mano i documenti ci troveremmo il tuo nome. Per questo lo hai riconosciuto.» «Pensi che sia collegato al nostro caso?» «Ne dubito. L'unica certezza è che chiunque sia il proprietario di quella stazione di servizio, non si fa problemi ad assumere ex detenuti. Sono più economici, sai? E se dovessero imbrogliare sulle riparazioni, chi vuoi che vada a lamentarsi?» «Be', torniamo indietro e vediamo che succede.» Rider avviò l'auto e si immise sulla Tampa, per dirigersi verso l'incrocio dove si trovava la stazione di servizio. «Com'è andata con Mackey?» domandò. «Piuttosto bene. Mi mancava soltanto di leggergli l'articolo. Non si è lasciato andare, ma il seme è stato senza dubbio piantato.» «Ha visto i tatuaggi?» «Sì, hanno funzionato bene. Ha iniziato a farmi domande subito dopo averli notati. E anche le tue informazioni su Simmons sono servite. È saltato fuori nella conversazione. E per quello che può valere, Mackey ha una cicatrice sulla pelle accanto al pollice destro. Il pizzicotto.» «Harry, amico, non ti sei fatto scappare niente. Immagino che ormai non ci resti altro che stare seduti qua a vedere che succede.» «Gli altri hanno staccato?» «Appena arriviamo, se ne vanno.» Quando giunsero all'incrocio tra la Tampa e la Roscoe, videro il carro at-

trezzi di Mackey che aspettava di immettersi sulla Roscoe in direzione ovest. «Ha ricevuto una chiamata» disse Bosch. «Perché nessuno ce l'ha detto?» Aveva appena finito di pronunciare quelle parole quando il cellulare di Rider squillò. La donna lo passò a Bosch, per poter rimanere concentrata sulla guida. Tagliò a sinistra, per seguire Mackey lungo la Roscoe. Bosch aprì il telefono. Era Tim Marcia. Spiegò che Mackey era uscito senza che alla stazione fossero arrivate chiamate. Jackson aveva controllato con la camera del suono. Non c'erano state telefonate sulle linee che tenevano sotto controllo. «Va bene» disse Bosch. «Quando ero sul carro attrezzi ha detto qualcosa riguardo ad andare a prendere la cena. Forse è uscito per quello.» «Forse.» «Okay, Tim, ora ce l'abbiamo noi. Grazie di essere rimasti in giro. Dillo anche a Rick.» «Buona fortuna, Harry.» Seguirono il carro attrezzi fino a un centro commerciale e guardarono Mackey che entrava in un fast food. Non aveva con sé il giornale che Bosch aveva lasciato sul carro attrezzi e, dopo aver preso la cena, si sedette a uno dei tavoli interni e cominciò a mangiare. «Ti sta venendo fame, Harry?» domandò Rider. «Sarebbe l'ora giusta.» «Mi sono fermato da Dupar prima, sono a posto. A meno che non ci sia un Cupid da queste parti. Non mi dispiacerebbe.» «Non se ne parla. Da quando sei andato via, non mangio più la merda dei fast food.» «Cosa vuoi dire? Ci trattavamo bene. Non andavamo da Musso tutti i giovedì?» «Se per te il pasticcio di pollo è una cena salutare, sì, mangiavamo bene. Comunque, io parlo degli appostamenti. Hai sentito di Riso e Fagioli alla Hollywood?» Riso e Fagioli era il soprannome di una coppia di detective che si occupava di rapine alla Divisione Hollywood. I veri nomi erano Choi e Ortega, ed erano già lì quando Bosch lavorava alla divisione. «No, cos'è successo?» «Stavano sorvegliando quel tizio che rapinava le prostitute in strada. Ortega era seduto in macchina a mangiare un hot dog, gliene andò di traverso un pezzo, non riusciva a sputarlo fuori. Era diventato porpora, si indicava

la gola, e Choi lo guardava come a dire "Che cazzo succede?". Perciò alla fine Fagioli saltò fuori dalla macchina e Choi capì cos'era successo. Uscì di corsa per fargli la manovra di Heimlich. Fece schizzare l'hot dog sul cofano e addio appostamento.» Bosch rise, si immaginava la situazione. Sapeva che era una storia di cui Riso e Fagioli non si sarebbero mai più liberati, non con in giro uno come Edgar che l'avrebbe raccontata e ripetuta a tutti quelli che si sarebbero trasferiti alla divisione. «Be', vedi? Non c'è Cupid giù a Hollywood» disse. «Se avesse mangiato un morbido hot dog di Cupid, non gli sarebbe mai capitata una cosa del genere.» «Non mi interessa, Harry. Niente hot dog negli appostamenti. Niente merda. È la nuova regola. Non voglio che la gente parli di me in quel modo per il resto dei miei giorni...» Il telefono di Bosch trillò. Era Robinson, a cui, con Nord, era toccato l'ultimo turno nella camera del suono. «Hanno appena ricevuto una chiamata alla stazione di servizio. Hanno messo giù e hanno telefonato a Mackey. Credo che non si trovi più sul posto di lavoro.» Bosch spiegò la situazione e si scusò per non aver aggiornato i colleghi. «Dove deve andare con il carro attrezzi?» domandò. «C'è stato un incidente tra Reseda e la Parthenia. Penso che la macchina sia malridotta. La deve trainare da un carrozziere.» «Okay, siamo con lui.» Dopo qualche minuto Mackey uscì dal fast food con in mano un grande bicchiere di carta da cui sbucava una cannuccia. Lo seguirono all'incrocio tra il Reseda Boulevard e Parthenia Street, dove una Toyota con il muso rientrato era stata spinta a lato della strada. Un altro carro attrezzi stava agganciando la seconda auto, un grande SUV con la parte posteriore appiattita dall'incidente. Mackey parlò brevemente con l'autista dell'altro carro attrezzi - uno scambio di cortesie tra colleghi - e si mise al lavoro sulla Toyota. Nel parcheggio all'angolo della piazza c'era un'auto di pattuglia del Dipartimento di Polizia di Los Angeles, l'agente all'interno stava redigendo un verbale. Bosch non vide nessuno degli automobilisti. Immaginò che fossero stati trasportati tutti e due in ospedale. Mackey trainò la Toyota fino a un carrozziere in fondo al Van Nuys Boulevard. Mentre la depositava nel vialetto di servizio, Bosch ricevette un'altra chiamata. Robinson gli disse che Mackey era stato convocato di

nuovo. Questa volta al Northridge Fashion Center, dove un'impiegata della libreria Borders aveva bisogno di ricaricare la batteria dell'auto. «Il nostro amico non avrà il tempo di leggere il giornale se continua a saltabeccare a destra e a sinistra» disse Rider, dopo che Bosch le riferì della telefonata. «Non so» disse Bosch. «Mi chiedo persino se sappia leggere.» «Ti riferisci alla dislessia?» «Sì, ma non solo a quello. Non gli ho visto leggere né scrivere nulla. Ha chiesto a me di riempire il modulo per il traino. Poi non ha voluto o non è stato in grado di compilare la ricevuta. E infine c'era quell'appunto per lui sulla scrivania.» «Che appunto?» «Lo ha preso e lo ha fissato a lungo, ma non sono sicuro che sia riuscito a capire cosa ci fosse scritto.» «Tu sei riuscito a leggerlo? Cosa diceva?» «Era un appunto di quelli del turno di giorno. La Visa aveva chiamato per avere conferma che il suo lavoro fosse effettivamente quello indicato sulla richiesta della carta di credito.» Rider aggrottò le sopracciglia. «Cosa?» domandò Bosch. «Mi sembra solo strano, lui che fa richiesta per avere la carta di credito. Diventerebbe rintracciabile, pensavo cercasse di evitarlo.» «Forse comincia a sentirsi al sicuro.» Mackey andò dritto al centro commerciale, dove riavviò il motore dell'auto di una donna, poi voltò il carro attrezzi in direzione della base. Erano quasi le dieci di sera quando rientrò alla stazione di servizio. Le deboli speranze di Bosch tornarono a galla quando, dalla sua postazione dall'altra parte della strada, vide con il binocolo Mackey che si allontanava dal furgone. «Forse siamo ancora in gioco» disse a Rider. «Ha il giornale con lui.» Era difficile seguire gli spostamenti di Mackey all'interno della stazione. L'ufficio aveva due pareti di vetro, ma le porte del garage ora erano chiuse e spesso Mackey scompariva in zone dove Bosch non poteva vederlo. «Vuoi che lo tenga d'occhio io per un po'?» domandò Rider. Bosch abbassò il binocolo e la guardò. Nell'oscurità dell'auto riusciva a malapena a intravedere il viso della partner. «No, non c'è problema. Tu già guidi, comunque. Perché non ti riposi? Ti ho svegliata presto stamattina.»

Risollevò il binocolo. «Sto bene» disse Rider. «Ma in qualunque momento dovessi avere bisogno di una pausa...» «Comunque» disse Bosch, «in un certo senso mi sento responsabile per questo tizio.» «Cosa vuoi dire?» «Lo sai. Tutta questa storia. Avremmo potuto semplicemente prendere Mackey e strizzarlo per cercare di tirargli fuori qualcosa. Invece abbiamo scelto questa strada. Insomma, il piano è mio e io mi sento responsabile.» «Se non dovesse funzionare, potremo sempre strizzarlo in seguito. E temo che sia proprio quello che ci toccherà fare.» Il telefono di Bosch trillò. «Forse è la chiamata che aspettiamo» disse mentre rispondeva. Era Nord. «Harry, non avevi detto che questo tizio ha preso almeno il diploma intermedio?» «Infatti. Che succede?» «Ha dovuto telefonare a una persona per farsi leggere l'articolo del giornale.» Bosch si raddrizzò sul sedile. Erano in ballo. Non aveva importanza il modo in cui l'articolo fosse arrivato sotto gli occhi di Mackey, la cosa rilevante era che lui aveva voluto sapere cosa diceva. «Chi ha chiamato?» «Una donna di nome Michelle Murphy. Sembrava una vecchia fidanzata. Le ha domandato se comprava ancora il giornale tutti i giorni, come se non ne fosse più sicuro. Lei ha detto sì e lui le ha chiesto di leggergli l'articolo.» «Ne hanno parlato dopo che gliel'ha letto?» «Sì, lei gli ha domandato se conosceva la ragazza di cui parlava il giornale. Lui ha risposto di no, ma poi ha aggiunto: "Conoscevo la pistola". Solo questo. Ha detto che ai tempi non aveva voluto sapere niente. Basta. Hanno riagganciato.» Bosch rifletté su ciò che aveva sentito. La messinscena aveva funzionato. Erano riusciti a rivoltare una roccia che non veniva smossa da diciassette anni. Era galvanizzato, sentiva la carica montare nel sangue. «Riesci a girarci la registrazione? La voglio sentire.» «Penso di sì» disse Nord. «Lasciami bloccare uno dei tecnici che si aggirano qua attorno. Ehi, Harry, ti devo richiamare. Mackey sta telefonando.»

«D'accordo.» Bosch chiuse in fretta il cellulare, per permettere a Nord di tornare al monitor. Era euforico e raccontò a Rider quanto gli era stato riferito sulla telefonata tra Mackey e Michelle Murphy. Ebbe l'impressione che anche Rider fosse elettrizzata. «Il ballo è cominciato, Harry.» Bosch guardava Mackey attraverso il binocolo. Era seduto dietro la scrivania dell'ufficio e parlava al cellulare. «Andiamo, Mackey» sussurrò Bosch. «Vuota il sacco. Raccontaci la storia.» Ma Mackey chiuse il telefono. Bosch sapeva che la telefonata era stata troppo breve. Dieci secondi dopo, Nord richiamò. «Ha appena chiamato Billy Blitzkrieg.» «Cos'ha detto?» «Ha detto: "Potrei essere nei guai" e "Potrei aver bisogno di fare una mossa", ma Burkhart lo ha interrotto: "Non mi interessa di cosa si tratta, non parlarne al telefono". Perciò si sono accordati per incontrarsi alla fine del turno di Mackey.» «Dove?» «Mi è sembrato a casa. Mackey ha detto: "Sarai ancora alzato?" e Burkhart ha risposto di sì. Allora Mackey ha domandato: "E Belinda? È ancora lì?" e Burkhart ha replicato che la donna sarebbe stata a letto e che non c'era da preoccuparsi per lei. Poi hanno concluso la conversazione.» Bosch percepì subito che le speranze di chiudere il caso quella notte stessa erano crollate in maniera fragorosa. Se Mackey avesse incontrato Burkhart in casa, non avrebbero potuto ascoltare quello che si sarebbero detti e tutto il piano sarebbe andato in fumo. «Chiamami se fa altre telefonate» disse rapido, quindi riappese. Guardò Rider, che aspettava ansiosa. «Niente di buono?» domandò. Ovviamente aveva intuito qualcosa dal tono con cui il partner si era rivolto a Nord. «Niente di buono.» Le disse delle chiamate e dell'ostacolo che avrebbero dovuto affrontare se Mackey avesse incontrato Burkhart per discutere i suoi "guai" a porte chiuse. «Non è tutto perduto, Harry» disse lei, dopo aver ascoltato con attenzione. «Ha fatto un'ammissione inequivocabile parlando con la donna, e una

meno esplicita con Burkhart. Ma ci siamo vicini, perciò non ti deprimere. Cerchiamo di trovare una soluzione. Come possiamo intervenire per riuscire a farli incontrare fuori casa? Tipo a uno Starbucks o qualcosa del genere.» «Sì, proprio, me lo vedo Mackey che ordina un caffelatte.» «Sai cosa intendo.» «Anche se riuscissimo a indurli a uscire, in che modo potremmo avvicinarli? Impossibile. Ci serve una telefonata. È il punto debole di tutta questa faccenda.» «Dobbiamo solo rimanere seduti e vedere che succede. Non possiamo fare altro in questo momento. Senti, sarebbe ottimo poter ascoltare la loro chiacchierata, ma forse non tutto è perduto. Mackey ha già detto al telefono che ha bisogno di fare una mossa. Se scappasse, una giuria potrebbe considerare la fuga come un'ammissione di colpevolezza. E se ci aggiungi le conversazioni che abbiamo già su nastro, ce n'è abbastanza per spremergli tutta la storia quando alla fine lo porteremo dentro. Perciò non tutto è perduto, okay?» «Okay.» «Vuoi che chiami Abel? Penso che vorrebbe essere informato.» «Sì, d'accordo. Chiamalo. Non c'è niente da dire, ma fai pure.» «Rilassati, Harry.» Bosch la zittì sollevando il binocolo per guardare Mackey. Era ancora dietro la scrivania e pareva immerso nei propri pensieri. L'altro uomo del turno serale, quello che doveva essere Kenny, era seduto su una sedia con il viso rivolto verso la televisione. Rideva di qualcosa che stava guardando. Mackey guardava fisso davanti a sé con il viso rannuvolato. Scrutava qualcosa nella memoria. L'attesa fino alla mezzanotte fece di quei novanta minuti i più lunghi che Bosch avesse mai trascorso. Mentre aspettavano che la stazione di servizio chiudesse e Mackey si dirigesse verso il suo appuntamento con Burkhart, non successe nulla. I telefoni rimasero muti e Mackey non si mosse da dietro la scrivania. Bosch non riuscì a imbastire né un piano per sviare il rendez-vous né trovò il modo di intrufolarsi nel loro incontro. Pareva tutto congelato, finché l'orologio segnò la mezzanotte. Finalmente le luci esterne della stazione di servizio si spensero e i due uomini chiusero per la notte. Mackey uscì portando con sé il giornale che non era in grado di leggere. Bosch sapeva che lo avrebbe mostrato a Bur-

khart e che con tutta probabilità avrebbero discusso dell'omicidio. «E noi non ci saremo» borbottò mentre seguiva Mackey con il binocolo. L'uomo salì sulla Camaro e fece rombare il motore. Si immise sulla Tampa e si diresse a sud, verso casa, il luogo dell'incontro. Rider attese quanto necessario, poi uscì dal parcheggio del centro commerciale, e si diresse a sud. Bosch chiamò Nord nella camera del suono e le disse che Mackey aveva lasciato la stazione di sevizio; avrebbero dovuto spostare il monitoraggio sulla linea di casa. Le luci dell'auto di Mackey erano a un centinaio di metri davanti a loro. Il traffico era rado e Rider si mantenne a distanza di sicurezza. Quando passarono accanto al parcheggio in cui aveva lasciato la macchina, Bosch controllò la Mercedes per appurare che fosse ancora lì. «Oh, oh» disse Rider. Bosch si voltò verso la strada, appena in tempo per vedere l'auto di Mackey che compiva un'inversione a "U". Ora era diretta verso di loro. «Harry, che faccio?» domandò Rider. «Niente. Non fare niente di troppo palese.» «Sta tornando verso di noi. Deve essersi accorto di essere seguito!» «Stai calma. Magari ha riconosciuto la mia macchina parcheggiata là dietro.» Il rombo profondo del motore della Camaro li raggiunse ben prima dell'auto stessa. Suonava minaccioso e maligno, un mostro che ruggiva e correva loro incontro. 31 La vecchia Camaro passò rombando accanto a Bosch e Rider, senza esitazioni. Bruciò il semaforo all'incrocio con la Saticoy e continuò a viaggiare. Bosch guardò le luci dell'auto scomparire a nord. «Che succede?» disse Rider. «Pensi che abbia scoperto di essere seguito?» «Non...» Il cellulare di Bosch squillò. Rispose in fretta, era Robinson. «È appena stato chiamato dal servizio di risposta della Tripla A. Sembrava piuttosto seccato, ma se non avesse preso la chiamata, si sarebbero rivolti a un'altra società, e lui sarebbe finito nei guai. La Tripla A li avrebbe scaricati.» «Dov'è il mezzo da trainare?»

«Un'auto ha rotto il motore sulla Reagan, in direzione ovest, in prossimità della sopraelevata della Tampa Avenue. Non molto lontano da qui.» «Okay, ce l'abbiamo.» Bosch chiuse il telefono e disse a Rider di fare inversione. La loro copertura era ancora intatta, e Mackey stava andando a recuperare il carro attrezzi. Quando giunsero di nuovo all'incrocio tra la Tampa e la Roscoe, videro il carro attrezzi che usciva dalla stazione di servizio buia. Mackey non aveva perso tempo. Visto che conoscevano la sua destinazione, Rider poté permettersi di rimanere a distanza, per evitare di essere notata nello specchietto retrovisore del furgone. La Reagan corrispondeva alla freeway 118, che correva da est a ovest lungo la parte settentrionale della Valley, una delle poche non intasate dal traffico ventiquattro ore al giorno. Doveva il suo nome al governatore e presidente e conduceva a Simi Valley, dove si trovava la biblioteca presidenziale di Reagan. Comunque, a Bosch era suonata come una stonatura sentire Robinson chiamarla Reagan. Per Bosch era sempre stata semplicemente la 118. L'ingresso in direzione ovest era una rampa che scendeva dalla Tampa Avenue alle dieci corsie della freeway. Rider rallentò e rimase indietro. Guardarono il carro attrezzi che svoltava a sinistra e scendeva la rampa fino a sparire. A quel punto Rider ripartì ed eseguì la stessa svolta. Non appena raggiunsero la rampa e cominciarono a scendere, si resero conto di avere un problema. L'auto in panne non era sulla freeway come aveva detto Robinson, ma sulla rampa di accesso. Si avvicinavano rapidamente al carro attrezzi, fermo sul bordo della rampa, una cinquantina di metri davanti a loro. La luce della retromarcia era accesa, il mezzo stava indietreggiando verso un'utilitaria parcheggiata con le quattro frecce lampeggianti. «Cosa facciamo, Harry?» disse Rider. «Se ci fermiamo capirà che lo stiamo seguendo.» Aveva ragione. «Vai avanti» rispose. Doveva riflettere in fretta. Sapeva che una volta sulla freeway avrebbero potuto accostare sulla corsia di emergenza e aspettare che il carro attrezzi di Mackey li superasse con la macchina in panne attaccata al gancio. Ma sarebbe stato rischioso. Mackey avrebbe potuto riconoscere l'auto di Rider, o persino fermarsi per vedere se avevano bisogno di assistenza. Se avesse visto Bosch, il pedinamento sarebbe stato bruciato.

«Hai una carta stradale?» «Sotto il sedile.» Rider oltrepassò l'auto in panne e il carro attrezzi mentre Bosch allungava una mano sotto il sedile per prendere la carta. Una volta superato il furgone, accese la lucina e sfogliò rapidamente le pagine. Bosch trovò subito la sezione della città dove si trovavano. Esaminò in fretta la situazione e diede a Rider l'indicazione su come procedere. «La prossima uscita è la Porter Ranch Drive» disse. «A meno di un chilometro. Usciamo e andiamo a destra, poi di nuovo a destra sulla Rinaldi. Ci riporterà sulla Tampa. Possiamo scegliere se aspettare in cima al cavalcavia o continuare a girare.» «Penso sia meglio aspettare in cima» disse Rider. «Se continuassimo a passare sulla rampa con la stessa auto potrebbe notarci.» «Mi sembra un buon piano.» «Non mi convince, ma non vedo che altre alternative abbiamo.» Coprirono la distanza fino all'uscita di Porter Ranch in pochi minuti. «Hai controllato il carro attrezzi?» domandò Bosch. «Un'occhiata di sfuggita» rispose Rider. «Mi è parso che ci fosse una persona dietro il volante, poi più niente. Le luci del carro attrezzi erano troppo alte per poter vedere altro.» Rider mantenne la velocità finché non si immisero nella corsia d'uscita per il Porter Ranch Drive. Seguendo le indicazioni, svoltò a destra e poi di nuovo a destra, poco dopo erano ancora diretti verso la Tampa. Si fermarono un momento a un semaforo, ma Kiz Rider ripartì subito, dopo aver controllato a destra e a sinistra per essere sicura che fosse sgombro. Meno di tre minuti dopo aver oltrepassato il carro attrezzi erano di nuovo sulla Tampa. Rider si accostò al lato della strada, a metà della sopraelevata. Bosch socchiuse la portiera. «Do una controllata» disse. Uscì dall'auto. Da quell'angolazione non poteva vedere il carro attrezzi, ma il lampeggiante sul tetto dell'abitacolo proiettava un bagliore sulla rampa d'ingresso. «Harry, hai dimenticato questo» disse Rider. Bosch si chinò dentro l'auto e prese il binocolo che Rider gli porgeva. Tornò indietro lungo la sopraelevata. La freeway non era trafficata, ma si sentiva comunque il rombo delle auto che passavano sotto. Quando giunse in cima alla rampa e guardò in basso, gli ci volle qualche momento per regolare la vista, perché le luci del carro attrezzi fendevano

ancora l'oscurità. Ben presto si rese conto che le frecce lampeggianti dell'auto in panne erano scomparse. Si sporse e vide che sul bordo della strada l'auto non c'era più. I suoi occhi si spostarono sulla rampa e videro le luci di posizione rosse di decine di auto che si muovevano in lontananza verso ovest. Guardò di nuovo il carro attrezzi. Era tutto fermo. Non c'era traccia di Mackey. Bosch si portò la radio alla bocca e aprì il microfono. «Kiz?» «Sì, Harry?» «Faresti meglio a venire.» Bosch cominciò a scendere per la rampa. Mentre lo faceva, estrasse la pistola e la tenne lungo il fianco. Dopo trenta secondi delle luci lampeggiarono dietro di lui, era Rider, che fermò l'auto sul bordo della strada. Scese con una lampada tascabile e proseguirono insieme. «Che succede?» domandò. «Non lo so.» Non c'era traccia di Mackey, né dentro né attorno al carro attrezzi. Bosch sentì una morsa serrargli il petto. L'istinto gli diceva che qualcosa non andava. Più si avvicinavano più se ne convinceva. «Cosa diciamo se lo troviamo lì ed è tutto a posto?» sussurrò Rider. «Non può essere» disse Bosch. Le luci sul retro del carro attrezzi erano quasi accecanti e Bosch sapeva di trovarsi in una posizione vulnerabile. Non vedeva nessuno nella parte anteriore del veicolo. Si spostò a destra, in modo da procedere separato da Rider. La partner non poteva andare più a sinistra, altrimenti avrebbe camminato sulla corsia di immissione. Un furgone rombò al loro fianco sulla rampa, sollevando una ventata d'aria puzzolente e facendo tremare il terreno come per un terremoto. Bosch ora camminava tra le erbacce che crescevano sul pendio accanto alla corsia d'emergenza. Continuava a non vedere nessuno davanti a loro. Bosch e Rider non comunicavano. Il rumore del traffico di passaggio sulla freeway riecheggiava sotto la sopraelevata. Avrebbero dovuto gridare per sentirsi, e questo avrebbe turbato la concentrazione. Si riunirono quando raggiunsero il carro attrezzi. Bosch controllò l'abitacolo, non c'era traccia di Mackey. Il motore era ancora acceso. Andò sul retro e osservò il terreno illuminato dai lampeggianti. C'erano delle tracce di pneumatici nere che portavano diritte al portello posteriore del furgone.

Un guanto di pelle macchiato di grasso era rimasto sulla ghiaia; era quello che aveva visto indosso a Mackey quello stesso pomeriggio. «Prestamela» disse, e strappò la lampada tascabile dalla mano di Rider. Notò che era uno di quei modelli corti e di gomma approvati dal capo della polizia dopo che un agente era stato ripreso mentre percuoteva un sospetto con il lungo fusto metallico di quelle che venivano utilizzate prima. Bosch puntò il fascio di luce sul portello posteriore del furgone, poi lo passò sul lato inferiore che rimaneva nell'ombra e non era illuminato dal bagliore del lampeggiante sul tetto. Riconobbe una macchia chiara di sangue sul metallo scuro. Non poteva essere olio, era rosso e vivido, come la vita. Bosch si accucciò e puntò la lampada sotto il furgone. Era buio anche lì, e la visuale era resa ancora più difficile dalla luce intensa del lampeggiante. Scorse il corpo di Mackey accasciato contro il semiasse posteriore. Metà del viso era imbrattata dal sangue sgorgato da una profonda lacerazione nel lato sinistro della testa. La camicia blu della divisa era diventata marrone per il sangue che era uscito da altre ferite non visibili. Il cavallo dei pantaloni era bagnato di sangue o di urina, o di tutte e due. L'unico braccio che Bosch poteva vedere era piegato in modo innaturale all'altezza del polso. Un osso seghettato, color avorio, fuoriusciva dalla carne. Il braccio era schiacciato contro il petto di Mackey, che si sollevava con sussulti irregolari. L'uomo era ancora vivo. «Oh Dio!» urlò Rider da dietro Bosch. «Chiama un'ambulanza» ordinò Bosch mentre iniziava a scivolare sotto il furgone. Udì i piedi di Rider che crepitavano sulla ghiaia, mentre la donna correva verso la macchina e la radio, e si spostò il più vicino possibile a Mackey. Sapeva che rischiava di danneggiare la scena del crimine, ma aveva bisogno di avvicinarsi. «Ro, mi senti? Chi è stato? Cos'è successo?» Mackey parve irrigidirsi nell'udire il proprio nome. La bocca cominciò a muoversi, e in quel momento Bosch capì che doveva avere la mascella rotta o slogata. I movimenti erano scoordinati. Era come se Mackey provasse a parlare per la prima volta. «Prenditi tutto il tempo, Ro. Dimmi chi è stato. Lo hai visto?» Mackey sussurrò qualcosa, ma un'auto che passava veloce sulla rampa coprì le sue parole.

«Ripetilo, Ro. Dillo di nuovo.» Bosch si chinò in avanti e posò la testa accanto alla bocca di Mackey. Quello che sentì fu un suono a metà tra un rantolo e un sussurro. «...sworth...» Bosch si tirò indietro e guardò Mackey. Gli puntò la luce in faccia, sperando che questo potesse ridestarlo. Notò che anche la struttura ossea attorno all'occhio sinistro era rotta e sanguinante. Non ce l'avrebbe fatta. «Ro, se hai qualcosa da dire, dilla adesso. Hai ucciso tu Rebecca Verloren? Eri presente quella notte?» Bosch si chinò in avanti. Se Mackey aveva detto qualcosa, anche questa volta le sue parole erano state sommerse dal rumore di un'auto di passaggio. Quando Bosch indietreggiò per guardarlo di nuovo, gli parve che fosse morto. Gli premette due dita contro il lato insanguinato del collo e non trovò alcuna pulsazione. «Roland, sei ancora con me?» L'occhio non danneggiato era aperto, ma a mezz'asta. Bosch spostò la luce verso la pupilla e non ci fu alcuna reazione. Era andato. Bosch sbucò con cautela da sotto il furgone. Rider era lì in piedi, le braccia conserte, strette contro il petto. «L'ambulanza è per strada» disse. «Annulla la chiamata.» Le restituì la lampada tascabile. «Harry, se pensi che sia morto, i paramedici dovranno confermarlo.» «Non preoccuparti, è morto. Si infilerebbero là sotto e danneggerebbero la scena del crimine. Annulla la chiamata.» «Ha detto niente?» «Mi è sembrato che abbia detto Chatsworth. Tutto qui. Nient'altro. Non sono riuscito a sentire altro.» Rider camminava nervosamente avanti e indietro. «Oh Dio» disse. «Sto per sentirmi male.» «Allora torna indietro, allontanati.» Rider andò dietro la sua auto. Anche Bosch avvertiva la nausea, ma sapeva di potersi trattenere. Non era il corpo martoriato di Mackey a causare la bile che gli saliva in gola. Bosch, come Rider, aveva visto di peggio. Erano le circostanze a essere nauseanti. L'istinto gli diceva che non si era trattato di un incidente. Era un omicidio. Ed era stato lui a mettere in moto tutto questo. Era stomacato perché aveva provocato l'assassinio di Roland Mackey. E

forse, con quella morte, avevano perso l'ultimo legame con l'omicida di Rebecca Verloren. PARTE TERZA LE TENEBRE ATTENDONO 32 La rampa di accesso dalla Tampa alla Ronald Reagan Freeway era chiusa e il traffico veniva deviato lungo la Rinaldi fino all'entrata dal Porter Ranch Drive. Tutta la rampa era intasata da auto della polizia. La Divisione Scientifica del LAPD, la Polizia stradale e l'ufficio del medico legale erano tutti rappresentati, insieme ai membri della Unità Casi Irrisolti. Abel Pratt aveva fatto delle chiamate e aveva ottenuto che il caso fosse affidato proprio a loro. Poiché l'omicidio era avvenuto sulla rampa di una freeway statale, tecnicamente ricadeva sotto la giurisdizione della Stradale, che tuttavia si dimostrò ben lieta di passare la palla, soprattutto quando fu chiaro che il delitto era collegato con un'indagine in corso del LAPD. In altre parole, avrebbero concesso al Dipartimento di Polizia di Los Angeles di rimettere ordine nel casino che aveva fatto. Il comandante della locale caserma della Polizia stradale offrì l'aiuto della squadra di esperti in incidenti e Pratt accettò la proposta. Oltre a questo, Pratt aveva radunato alcuni dei migliori tecnici di cui il dipartimento poteva disporre e tutto nel cuore della notte. Bosch e Rider trascorsero gran parte del tempo dedicato all'esame della scena del crimine seduti sui sedili posteriori dell'auto di Pratt, dove furono interrogati a lungo prima dallo stesso Pratt e poi da Tim Marcia e Rick Jackson, che erano stati convocati per occuparsi delle indagini sulla morte di Mackey. Siccome Bosch e Rider erano parte attiva in alcuni eventi e testimoni di altri, era fondamentale che non fossero loro i responsabili delle indagini. Si trattava di una formalità tecnica. Era chiaro che Bosch e Rider avrebbero continuato a occuparsi del caso Verloren, e per fare questo avrebbero ovviamente dato la caccia anche all'assassino di Roland Mackey. Verso le tre di notte, gli investigatori della Scientifica si riunirono con i detective della Omicidi per confrontarsi sugli elementi in loro possesso fino a quel momento. Il corpo di Mackey era appena stato rimosso da sotto il furgone e la scena del crimine era stata fotografata con cura, videoregistrata e disegnata. Ora era considerata una scena aperta, dove tutti poteva-

no muoversi in libertà. Pratt chiese all'investigatore della Stradale, un uomo alto di nome David Allmand, di parlare per primo. Allmand usò un puntatore laser per evidenziare le tracce degli pneumatici sulla strada e sulla ghiaia che, secondo la sua opinione, erano collegate all'omicidio di Mackey. Diresse il raggio laser anche sul retro del carro attrezzi, dove erano stati tracciati dei cerchi con il gesso attorno a diversi graffi e ammaccature sullo spesso portellone d'acciaio. Disse di essere giunto alle stesse conclusioni cui erano arrivati Bosch e Rider subito dopo il ritrovamento di Mackey. Era stato assassinato. «Le tracce degli pneumatici suggeriscono che la vittima abbia fermato il carro attrezzi sulla corsia d'emergenza circa trenta metri a ovest di questo punto» disse Allmand. «Con tutta probabilità lo ha fatto per evitare il veicolo in panne che si trovava già sulla corsia d'emergenza. Poi il carro attrezzi è stato fatto indietreggiare fino alla posizione attuale. L'autista ha messo in folle e ha tirato il freno a mano prima di uscire dal furgone. Se era di fretta, come suggeriscono le informazioni sussidiarie che ci avete fornito, potrebbe essere andato subito sul retro per abbassare il dispositivo per il traino. E qui l'assassino l'ha sorpreso. È evidente che l'auto non fosse davvero in panne. Il guidatore ha premuto sull'acceleratore e l'auto è scattata in avanti, colpendo l'autista del carro attrezzi e schiacciandolo contro il retro del furgone e l'attrezzatura per il traino. La vittima doveva essersi chinata in avanti per liberare il gancio e prepararsi al traino e questo spiegherebbe le ferite alla testa. Per prima cosa ha sbattuto la faccia contro il dispositivo. C'è del sangue sul braccio del traino.» Per illustrare quanto diceva, Allmand passò l'occhio rosso del laser sul gancio del carro attrezzi. «L'auto poi è indietreggiata» proseguì. «Ed è in quel momento che sono rimasti i segni sull'asfalto, qui. Poi si è mossa ancora in avanti per sferrare un altro colpo. La vittima con tutta probabilità era già ferita a morte in conseguenza del primo impatto. Ma non era ancora morta. È probabile che l'uomo sia caduto a terra dopo il primo urto e con le sue ultime forze sia scivolato sotto il furgone per evitare il secondo. In ogni caso, il veicolo ha colpito il furgone una seconda volta. E la vittima è morta a causa delle ferite mentre si trovava sotto il furgone.» Allmand fece una pausa in attesa di domande, ma ci fu solo un silenzio atterrito. A Bosch non veniva in mente nulla da chiedere. Allmand terminò

il resoconto puntando il laser su due delle tracce rimaste sulla ghiaia e sull'asfalto. «La distanza tra le ruote del veicolo che ha colpito la vittima non è molto ampia» disse. «Questo elimina qualche modello. Doveva essere una piccola auto straniera. Ho eseguito delle misurazioni, appena avrò effettuato delle comparazioni, sarò in grado di fornirvi un elenco delle auto che potrebbero aver lasciato quelle tracce. Vi farò sapere.» Visto che nessuno diceva nulla, Allmand utilizzò il laser per cerchiare una piccola macchia sull'asfalto. «In aggiunta, il veicolo perdeva olio. Non molto, ma potrebbe essere importante per permettere al pubblico ministero di determinare quanto a lungo il killer sia rimasto qui in attesa della vittima. Una volta rinvenuto il veicolo, sarà possibile misurare la perdita e farci un'idea di quanto tempo può esserci voluto perché si formasse una macchia di queste dimensioni.» Pratt annuì. «Buono a sapersi» disse. Pratt ringraziò Allmand e chiese al viceispettore medico, Ravi Patel, di riferire sull'esame preliminare del cadavere. Patel iniziò dalle numerose ossa rotte e dalle ferite evidenti a un esame esterno del corpo. Disse che era probabile che l'impatto avesse fratturato il cranio di Mackey, rotto l'orbita oculare sinistra e slogato la mascella. L'uomo aveva il bacino spezzato, così come la parte superiore sinistra del busto. Anche il braccio e la coscia sinistra erano rotti. «È probabile che tali ferite siano state procurate dal primo impatto» disse. «La vittima doveva essere in piedi e il colpo è arrivato sul lato posteriore destro del corpo.» «Può essere riuscito a strisciare sotto il furgone?» domandò Rick Jackson. «È possibile» rispose Patel. «Abbiamo visto l'istinto di sopravvivenza spingere la gente a fare cose sorprendenti. Non ne sarò certo finché non lo avrò aperto, ma quello che di solito riscontriamo in casi come questo è che la compressione perfora i polmoni, che si riempiono di sangue. Non è un processo rapido. Potrebbe essere scivolato verso quella che per lui era la salvezza.» "Per morire, invece, al margine della freeway" pensò Bosch. Il prossimo a riferire doveva essere l'investigatore capo della Scientifica, che era il fratello di Ravi Patel, Raj. Bosch li conosceva entrambi da precedenti casi e sapeva che erano tra i migliori nei rispettivi campi.

Raj Patel fornì le informazioni basilari sull'esame della scena del crimine e riferì che gli sforzi di Mackey per salvarsi la vita scivolando sotto il furgone avrebbero alla fine permesso agli investigatori di catturare il suo assassino. «Il secondo impatto contro il furgone è avvenuto senza il corpo a fare da scudo. Metallo contro metallo. Ci sono sia tracce di metallo sia di vernice, abbiamo raccolto diversi campioni. Se lo trovassimo, potremmo individuare il veicolo con una precisione del cento per cento.» "Un po' di luce in tutta questa oscurità" pensò Bosch. Dopo che Patel terminò il rapporto, la scena del crimine venne sgombrata e gli investigatori si dispersero in varie direzioni per eseguire i diversi incarichi che Pratt voleva fossero portati a termine prima che l'intera unità si incontrasse al Pacific Dining Car alle nove del mattino per discutere il caso. Marcia e Jackson avevano il compito di perquisire la casa di Mackey. Questo avrebbe significato strappare un giudice dal letto e ottenere una firma sul mandato di perquisizione, visto che Mackey condivideva la casa con William Burkhart, e Burkhart era un possibile sospetto. La casa - dove si presumeva si trovasse Burkhart - era sotto sorveglianza al momento in cui Mackey era stato falciato sulla freeway. Ciononostante, Burkhart avrebbe potuto mandare qualcuno a compiere l'omicidio, il che lo poneva tra i sospetti, almeno finché non avrebbe fugato ogni dubbio sul proprio coinvolgimento. Una delle prime chiamate che Bosch e Rider avevano effettuato dopo aver trovato Mackey sotto il carro attrezzi, era stata a Kehoe e Bradshaw, i due detective della Rapine e Omicidi che controllavano la casa sulla Mariano Street. Erano entrati subito nell'appartamento e avevano preso in custodia Burkhart e una donna identificata come Belinda Messier. Ora i due attendevano di essere interrogati al Parker Center, compito che Pratt aveva affidato a Bosch e Rider. Ma appena si voltarono per risalire la rampa verso l'auto di Rider, Pratt chiese loro di aspettare. Si avvicinò e parlò in modo che nessun altro potesse sentire. «Immagino che non sia necessario che vi dica che ci prenderemo qualche scottatura per questa storia» disse. «Lo sappiamo» rispose Rider. «Non so ancora in che forma, ma un accertamento ci sarà. Potete contarci.»

«Saremo pronti» disse Rider. «Magari è meglio che vi facciate una chiacchierata mentre andate in centrale» suggerì. «Tanto per trovare una linea comune.» Bosch sapeva che Pratt stava dicendo di farsi un'idea precisa della storia da raccontare, così che avrebbero potuto presentare una versione univoca, anche se fossero stati interrogati separatamente. «Andrà tutto bene» disse Rider. Pratt lanciò un'occhiata a Bosch, poi distolse lo sguardo e lo rivolse al furgone. «Lo so» disse Bosch. «Se qualche testa dovrà cadere per questa storia, sarà la mia. Va bene. È stata una mia idea.» «Harry» disse Rider. «Non è...» «Era mio il piano» la interruppe Bosch. «Sarò io a pagare.» «Be', forse non pagherà nessuno» disse Pratt. «Prima mettiamo insieme i tasselli di questa vicenda, meglio ne usciamo. Il successo fa scomparire un sacco di merda. Perciò inchiodiamo questo stronzo entro l'ora di colazione.» «L'hai detto, capo» disse Rider. Bosch e Rider si diressero in silenzio verso la salita. 33 Il Parker Center era deserto quando arrivarono. Sebbene diverse unità investigative operassero nell'edificio, per lo più il quartier generale era occupato dallo staff di comando e dai servizi di supporto. Non prendeva mai vita prima che sorgesse il sole. Nell'ascensore Bosch e Rider si separarono, Bosch andò alla Divisione Rapine e Omicidi al terzo piano per lasciare liberi Kehoe e Bradshaw, mentre Rider fece una sosta nell'ufficio dell'Unità Casi Irrisolti per prendere il file che aveva messo insieme su William Burkhart. «Ci vediamo tra un po'» disse Bosch mentre usciva. «Spero che Kehoe e Bradshaw abbiano preparato del caffè.» Svoltato l'angolo, si diresse lungo il corridoio verso le doppie porte della Rapine e Omicidi. Una voce alle sue spalle lo fermò. «Cosa le avevo detto degli pneumatici ricostruiti?» Bosch si voltò. Era Irving. Proveniva da un punto in cui c'era solo il server del computer. Bosch immaginò che fosse rimasto lì in attesa. Cercò di non mostrarsi sorpreso per il fatto che, a quanto pareva, Irving sapesse

già quello che era successo sulla freeway. «Cosa ci fa qui?» «Oh, volevo cominciare presto. Sarà un gran giorno.» «Ah, sì?» «Sì. E le darò un consiglio spassionato. Alla mattina i media saranno informati della cazzata che ha fatto nel cuore della notte. Diremo ai reporter che ha usato quel Mackey come esca e ha lasciato che fosse ucciso in maniera orribile. Faranno domande sul perché sia stato permesso a un detective in congedo di rientrare nel dipartimento per combinare un casino del genere. Ma non si preoccupi, queste domande con tutta probabilità verranno poste al capo della polizia che ha orchestrato il suo rientro.» Bosch rise e scosse la testa, si comportava come se non avvertisse la minaccia. «È tutto qui?» domandò. «Solleciterò anche il comandante della Divisione Affari Interni perché avvii un'inchiesta sul modo in cui ha condotto le indagini, detective Bosch. Se fossi in lei non ci farei troppo l'abitudine all'idea di essere tornato in servizio.» Bosch fece un passo verso Irving, come per ricambiare la minaccia. «Bene, capo, lo faccia. Spero che vorrà anche preparare il comandante su quello che dirò ai suoi investigatori e ai giornalisti riguardo alla sua parte di responsabilità in tutto questo.» Ci fu una lunga pausa prima che Irving fiatasse. «Che sciocchezze sta dicendo?» «L'uomo di cui si preoccupa tanto, è stato lasciato libero da lei diciassette anni fa. Lo ha messo in libertà per poter concludere il suo accordo con Richard Ross. Mackey avrebbe dovuto essere in prigione, invece ha usato la pistola che aveva rubato in uno dei suoi furti per uccidere un'innocente sedicenne.» Bosch attese, ma Irving non disse nulla. «D'accordo» proseguì Bosch. «Io avrò anche le mani macchiate del sangue di Roland Mackey, ma lei ha quello di Rebecca Verloren. Vuole che i media e la Affari Interni ne vengano informati? Bene, faccia la sua mossa e vediamo cosa uscirà da tutta questa storia.» Lo sguardo di Irving si congelò. Il vicecapo fece un passo verso Bosch fino ad arrivare a pochi centimetri da lui. «Si sbaglia, Bosch. Tutti quei ragazzi erano stati scagionati, non erano coinvolti nel caso Verloren.»

«Ah sì? E chi è stato a scagionarli? Di certo non furono Green e Garcia. Ha fatto di tutto per allontanarli dalla verità. Proprio come fece con il padre della ragazza. Lei e uno dei suoi mastini lo minacciaste per dissuaderlo.» Bosch puntò un dito contro il petto di Irving. «Ha lasciato un omicida in libertà per il suo vantaggio.» Quando rispose, nella voce di Irving c'era una straordinaria urgenza. «Si sbaglia di grosso» disse. «Pensa davvero che avremmo lasciato liberi degli assassini?» Bosch scosse la testa, fece un passo indietro e si mise quasi a ridere. «È un dato di fatto.» «Mi ascolti, Bosch. Abbiamo controllato gli alibi di ognuno di quei ragazzi. Erano tutti puliti. Per alcuni di loro l'alibi eravamo noi, perché li tenevamo ancora sotto sorveglianza. E quando fu chiaro che ogni membro di quel gruppo era pulito, dicemmo a Green e Garcia di farsi indietro. Lo dicemmo anche al padre, ma lui non voleva mollare.» «Così lo avete spinto a lasciar perdere, giusto, capo? Lo avete spinto in un precipizio.» «Andava fatto. C'era molta tensione in città, allora. Non potevamo permettere che il padre se ne andasse in giro a dire cose che non erano vere.» «Non stia a raccontarmi la stronzata del bene della comunità, capo. Aveva il suo accordo, è l'unica cosa di cui le importasse. Aveva Ross e gli Affari Interni in tasca e voleva lasciarceli. Solo che si sbagliava. Il DNA lo dimostra. Mackey era l'uomo giusto per il caso Verloren e le sue indagini erano merda.» «No, aspetti. Questo dimostra solo una cosa. Che lui ha maneggiato la pistola. Ho letto l'articolo che ha fatto uscire. Il DNA lo collega alla pistola, non all'omicidio.» Bosch lo liquidò con un gesto della mano. Non aveva alcun senso quel balletto con Irving. La sua unica speranza era che il timore di venir denunciato agli Affari Interni e ai media neutralizzasse la minaccia di Irving. Erano in stallo. «Chi controllò gli alibi?» domandò. Irving non rispose. «Mi faccia indovinare. McClellan. Ci sono le sue impronte su tutta questa storia.» Ancora una volta Irving non rispose. Era come se fosse scivolato nei ricordi di diciassette anni prima.

«Capo, voglio che chiami il suo mastino. So che lavora ancora per lei. Gli dica che voglio sapere degli alibi. Voglio i dettagli. Voglio i rapporti. Voglio tutto quello che ha in mano entro le sette di stamattina. Facciamo quello che dobbiamo e vediamo dove andiamo a finire.» Bosch stava per voltarsi quando finalmente Irving parlò. «Non ci sono rapporti sugli alibi» disse. «Non ce ne sono mai stati.» Bosch sentì l'ascensore che si apriva, e un attimo dopo Rider girò l'angolo con un dossier tra le braccia. Si fermò atterrita quando vide il confronto. Non disse nulla. «Niente rapporti?» domandò Bosch a Irving. «Allora le conviene sperare che abbia buona memoria. Buonanotte, capo.» Bosch si voltò e si avviò lungo il corridoio. Rider si affrettò a raggiungerlo. Si guardò alle spalle per assicurarsi che Irving non li seguisse. Dopo aver varcato la porta doppia della Rapine e Omicidi, parlò. «Sei nei guai, Harry?» Bosch la guardò. Il misto di terrore e timore sul viso della partner dimostrava quanto sarebbe stata importante la sua risposta. «No, se riesco a impedirlo» disse. 34 William Burkhart e Belinda Messier erano trattenuti in due diverse stanze. Bosch e Rider decisero di occuparsi prima della donna, così Burkhart sarebbe rimasto seduto ad aspettare e a farsi domande. In questo modo avrebbero anche dato il tempo a Marcia e Jackson di ottenere il mandato e di entrare nella casa sulla Mariano. Se i colleghi avessero trovato qualcosa, avrebbero potuto servirsene durante l'interrogatorio con Burkhart. Belinda Messier era già saltata fuori nell'indagine in precedenza. Il numero del cellulare di Mackey era intestato a lei. Nel resoconto che Kehoe e Bradshaw avevano fornito a Bosch e a Rider al loro arrivo, l'avevano descritta come la fidanzata di Burkhart. Lo aveva dichiarato lei stessa quando i detective della Rapine e Omicidi li avevano presi entrambi sotto custodia. Aveva aggiunto poco altro. Era una donna piccola con capelli biondastri che le incorniciavano il viso. Lo sguardo smentiva l'involucro da dura che aveva scelto di presentare. Chiese di vedere un avvocato nel momento in cui Rider e Bosch entrarono nella stanza. «Perché vuole vedere un avvocato?» domandò Bosch. «Pensa di essere

in arresto?» «Mi state dicendo che me ne posso andare?» Si alzò. «Si sieda» disse Bosch. «Questa notte è stato ucciso Roland Mackey e lei potrebbe essere in pericolo. La teniamo in custodia per proteggerla. Questo significa che non uscirà da qui finché non avremo sistemato alcune cose.» «Io non ne so niente. Sono stata con Billy tutta la sera finché non si sono presentati i vostri uomini.» Nei successivi quarantacinque minuti, Messier fornì informazioni con riluttanza. Spiegò che conosceva Mackey attraverso Burkhart e che aveva acconsentito a richiedere un telefono cellulare e a girarlo a Mackey perché lui non risultava solvibile. Disse ai detective che Burkhart non lavorava e che viveva grazie a un risarcimento che aveva ricevuto a seguito di un incidente automobilistico avvenuto due anni prima. Aveva comprato la casa di Mariano con la liquidazione del danno e si faceva pagare l'affitto da Mackey. La donna precisò che non abitava nella casa, ma ci passava diverse notti quando andava a trovare Burkhart. Quando la interrogarono sul legame passato tra Mackey e Burkhart e i gruppi di Potere bianco, si finse sorpresa. Quando le domandarono della piccola svastica tatuata sulla pelle tra il pollice e l'indice, asserì che pensava fosse un portafortuna navajo. «Sa chi ha ucciso Roland Mackey?» domandò Bosch dopo la lunga fase preliminare. «No» rispose lei. «Era davvero un tipo gentile. È tutto quello che so.» «Che cosa le disse il suo fidanzato dopo la telefonata di Mackey?» «Niente, solo che sarebbe rimasto alzato a parlare con Ro di qualcosa. Disse che forse sarebbero usciti per avere un po' di privacy.» «Tutto qui?» «Sì, è quello che mi ha detto.» La torchiarono a lungo, da diversi punti di vista, alternandosi nella conduzione dell'interrogatorio, senza che emergesse niente di reale valore per le indagini. Dopo di lei toccò a Burkhart, ma prima di entrare nella stanza Bosch chiamò Marcia e Jackson per un aggiornamento. «Siete già nella casa?» domandò a Marcia. «Sì, siamo dentro. Non abbiamo trovato ancora niente.» «C'è qualche cellulare?» «Niente cellulari finora. Pensi che Burkhart possa essere riuscito a sgat-

taiolare fuori senza farsi vedere da Kehoe e Bradshaw?» «Tutto è possibile, ma ne dubito. Quei due non stavano dormendo.» Rimasero in silenzio per un momento a riflettere, poi Marcia parlò. «Quanto tempo è passato da quando Mackey è stato fottuto a quando avete chiamato Kehoe e Bradshaw per trattenere Burkhart?» Prima di rispondere Bosch ripensò alle proprie azioni sulla freeway. «Non molto» disse alla fine. «Dieci minuti al massimo.» «Allora non ci sono dubbi» disse Marcia. «Arrivare dalla 118 all'uscita di Porter Ranch fino a Mariano Street sulle Woodland Hills al massimo in dieci minuti? E senza farsi vedere dai nostri uomini? Non se ne parla. Non è stato lui. Kehoe e Bradshaw sono il suo alibi.» «E non ci sono cellulari in casa...» Sapevano tutti che la linea fissa dell'abitazione non era stata usata, perché la chiamata sarebbe stata registrata dalla strumentazione della ListenTech. «No» disse Marcia. «Niente cellulare e niente chiamate sulla linea fissa. Non penso che sia il nostro uomo.» Bosch non era ancora pronto ad arrendersi. Ringraziò e riagganciò, poi riferì le cattive notizie a Rider. «Allora cosa facciamo con lui?» domandò Kiz. «Be', potrebbe non essere il nostro uomo per l'omicidio di Mackey, ma Mackey lo ha chiamato dopo essersi fatto leggere l'articolo. Mi convince ancora per il caso Verloren.» «Ma non ha senso. Chiunque abbia colpito Mackey doveva essere il suo partner nel caso Verloren, a meno che tu non stia dicendo che quello che è successo sulla rampa è stata una coincidenza.» Bosch scosse il capo. «No, non dico questo. È solo che ci stiamo perdendo qualcosa. Burkhart deve essere riuscito a inviare un messaggio.» «Come fare il numero di un killer? Non funziona, Harry.» Ora Bosch annuì. Sapeva che aveva ragione lei. Non quadrava. «Va bene, allora andiamo dentro e vediamo cos'ha da dire.» Rider annuì, poi passarono qualche minuto a elaborare una strategia di interrogatorio prima di tornare nel corridoio dietro la sala detective ed entrare nella stanza dove Burkhart aspettava. La stanza era impregnata dall'odore dell'uomo, e Bosch lasciò la porta aperta. Burkhart aveva posato la testa sulle braccia incrociate. Siccome non alzava il capo dal finto sonno, Bosch diede un calcio alla gamba della

sedia. L'uomo sollevò la testa. «Alzati e risplendi, Billy Blitzkrieg» disse Bosch. Burkhart aveva i capelli neri tagliati in modo irregolare, che ricadevano attorno a un viso dalla pelle bianca e pallida. Aveva l'aspetto di uno che non esce mai se non di notte. «Voglio un legale» disse Burkhart. «Tutti lo vorremmo. Ma cominciamo dal principio. Mi chiamo Bosch e questa è Kiz Rider. Tu sei William Burkhart e sei in arresto perché sospettato di omicidio.» Rider iniziò a leggergli i suoi diritti, ma lui la interruppe. «Siete pazzi? Non sono mai uscito di casa. La mia ragazza è stata lì tutto il tempo.» Bosch si portò un dito alle labbra. «Lasciala finire, Billy, poi potrai mentire quanto vuoi.» Rider finì di leggere i diritti dal retro di un biglietto da visita. Poi Bosch prese di nuovo la parola. «Stavi dicendo?» «Stavo dicendo che siete fottuti. Sono stato a casa per tutto il tempo e ho una testimone che può provarlo. Comunque, Ro era un mio amico, perché avrei dovuto ucciderlo? È uno scherzo del cazzo, perciò perché non mi lasciate chiamare il mio avvocato, così potrò portare il culo fuori da qui?» «Hai finito, Bill? Perché ho una novità per te. Non stiamo parlando di Roland Mackey. Ti stiamo riportando indietro di diciassette anni, a Rebecca Verloren. Te la ricordi? La ragazza che portaste sulla collina? È di lei che stiamo parlando.» Burkhart non mostrò alcuna reazione. Bosch aveva sperato in un segno, qualcosa che suggerisse che era sulla strada giusta. «Non so di cosa stiate parlando» disse Burkhart, il volto di pietra. «Ti abbiamo registrato. Mackey ti ha chiamato ieri sera. È finita, Burkhart. Diciassette anni sono una fuga lunga. Ma ora è finita.» «Non avete un cazzo. Se c'è una registrazione allora mi sentirete solo dire a Ro di stare zitto. Non ho il cellulare, non mi fido di quei cosi. Per me è una regola. Voleva raccontarmi i suoi problemi, ma io gli ho impedito di farlo con un maledetto cellulare. E quanto a questa Rebecca come cazzo si chiama, non ne so niente. Penso che avreste dovuto chiedere a Ro, finché ne avevate l'opportunità.» Guardò Bosch e fece l'occhiolino. Bosch aveva voglia di saltargli addosso. Ma si trattenne.

Si confrontarono a parole per altri venti minuti, ma né Bosch né Rider riuscirono a scalfire l'armatura di Burkhart. Alla fine questi decise di lasciar perdere, disse ancora una volta che voleva un avvocato e non rispose alle domande che seguirono. Rider e Bosch lasciarono la stanza per discutere le varie opzioni, che, convennero, erano minime. Avevano tentato un bluff, ma Burkhart aveva chiesto di vedere le carte. Ora, o gli concedevano di procurarsi un avvocato o lo buttavano fuori. «Non abbiamo niente, Harry» disse Rider. «Smettiamola di prenderci in giro. Io dico di buttarlo fuori.» Bosch annuì. Sapeva che era vero. Mackey, l'unico legame con il delitto Verloren, era andato. Lo avevano perso per colpa sua. Ora sarebbero dovuti tornare indietro nel tempo, a cercare qualcosa che era andato perso o era stata ignorato diciassette anni prima. La depressione causata dallo stato delle indagini calò su di lui come una coperta di piombo. Aprì il telefono e chiamò Marcia ancora una volta. «Niente?» «Niente, Harry. Niente telefono, niente prove, niente.» «Okay, tanto perché lo sappiate, lo sbattiamo fuori. Potrebbe comparire lì tra non molto.» «Grandioso. Non gli piacerà quello che troverà qui dentro.» «Bene.» Bosch chiuse il telefono e guardò Rider. Gli occhi di lei raccontavano tutto. Disastro. Sapeva di averla delusa. Per la prima volta pensò che forse Irving aveva ragione, forse non sarebbe dovuto tornare. «Vado a dirgli che è un uomo libero.» Appena si allontanò, Rider lo chiamò. «Harry, io non ti biasimo.» Si voltò a guardarla. «Ho condiviso ogni passo di questa strada. Era un buon piano.» Bosch annuì. «Grazie, Kiz.» 35 Bosch andò a casa per farsi una doccia, infilarsi dei vestiti puliti e magari chiudere gli occhi per un po' prima di tornare in centro per la riunione della unità. Ancora una volta guidò attraverso una città che si stava appena

svegliando. E ancora una volta gli parve orribile, colma di spigoli e sguardi induriti. Tutto gli pareva brutto adesso. Non era ansioso di andare alla riunione, sapeva che tutti gli occhi sarebbero stati su di lui. Per i detective dell'Unità Casi Irrisolti era chiaro che ora, dopo la morte di Mackey, le loro azioni sarebbero state analizzate e giudicate con il senno di poi. Se sentivano il bisogno di cercare una ragione per un arresto della carriera, non avrebbero dovuto andare troppo lontano. Bosch gettò le chiavi sul bancone della cucina e controllò il telefono. Nessun messaggio. Consultò l'orologio e stabili che gli restavano come minimo un paio d'ore prima di avviarsi verso il Pacific Dining Car. Controllare l'ora gli ricordò l'ultimatum che aveva dato a Irving durante il confronto che avevano avuto fuori dalla Rapine e Omicidi. Ma Bosch ormai dubitava che avrebbe avuto notizie del vicecapo o di McClellan. Sembrava proprio che tutti andassero a vedere i suoi bluff. Sapeva che, con tutto quel peso addosso, dormire un paio d'ore non sarebbe stata un'opzione praticabile. Si era portato a casa il fascicolo del delitto e tutti i file accumulati. Decise di lavorarci sopra. Sapeva che quando tutto il resto andava storto, c'era sempre il fascicolo. Doveva tenere gli occhi sull'obiettivo. Sul caso. Avviò il bollitore del caffè, fece una doccia di cinque minuti e si rimise al lavoro. Rilesse i documenti mentre un'edizione rimasterizzata di Kind of Blue usciva dal lettore CD. La sensazione che si stesse perdendo qualcosa che doveva trovarsi proprio sotto i suoi occhi lo opprimeva. Sentiva che sarebbe stato tormentato dal caso, che non sarebbe più riuscito a scrollarselo di dosso, a meno che non fosse scattato qualcosa che gli avrebbe permesso di scovare ciò che mancava. E sapeva che questo qualcosa poteva trovarsi solo nel fascicolo. Decise che questa volta non avrebbe letto i documenti nell'ordine in cui erano stati presentati dai primi investigatori del caso. Aprì gli anelli ed estrasse le pagine. Cominciò a leggerle in ordine sparso, prendendosi tutto il tempo, accertando di aver assorbito ogni nome, ogni parola, ogni fotografia. Quindici minuti dopo, stava guardando di nuovo le fotografie scattate dalla Scientifica nella camera da letto di Rebecca Verloren quando sentì lo sportello di un'auto che si chiudeva davanti a casa. Curioso di sapere chi stesse parcheggiando là fuori così presto, si alzò e andò alla porta. Attraverso lo spioncino scorse un uomo che si avvicinava da solo. Non poteva

vederlo con chiarezza dietro la lente convessa del piccolo foro. Aprì comunque la porta, prima che l'ospite potesse bussare. L'uomo fu sorpreso dal fatto di essere stato spiato mentre si avvicinava. Era chiaro dal suo atteggiamento che si trattava di un poliziotto. «McClellan?» Annuì. «Tenente McClellan. Presumo che lei sia il detective Bosch.» «Avrebbe potuto chiamare.» Bosch indietreggiò per farlo entrare. Nessuno dei due offrì all'altro la mano da stringere. Bosch pensò che fosse tipico di Irving mandare il suo uomo a casa. Una procedura standard, la classica strategia intimidatoria: so dove abiti. «Ho pensato che sarebbe stato meglio parlare faccia a faccia» disse McClellan. «Ha pensato? O lo ha pensato il vicecapo Irving?» McClellan era un uomo grosso, con i capelli biondi, quasi trasparenti, e ampie guance floride. Bosch pensò che il modo migliore per descriverlo sarebbe stato ben nutrito. Le sue guance assunsero una tinta più scura alla domanda di Bosch. «Senta, sono qui per collaborare con lei, detective.» «Bene. Posso offrirle qualcosa? Ho dell'acqua.» «L'acqua andrà bene.» «Si accomodi.» Bosch andò in cucina, scelse dalla credenza il bicchiere più impolverato e lo riempì con l'acqua del rubinetto. Girò l'interruttore della macchinetta del caffè. Non aveva intenzione di mettere McClellan a proprio agio. Quando tornò in salotto McClellan stava guardando oltre le porte a vetri scorrevoli e la veranda. L'aria era limpida sul passo. Ma era ancora presto. «Bella vista» disse McClellan. «Lo so. Non vedo documenti nelle sue mani, tenente. Spero che questa non sia una visita di cortesia, né una chiacchierata come quelle che fece con Robert Verloren diciassette anni fa.» McClellan si voltò verso Bosch e accettò il bicchiere d'acqua e l'insulto con la medesima espressione vuota. «Non ci sono documenti. Se ci fossero stati, sarebbero scomparsi molti anni fa.» «E dunque? È qui per cercare di convincermi con i suoi ricordi?» «È vero, io ricordo molto bene quel periodo. Deve capire una cosa, io

ero un detective di primo grado assegnato alla PDU. Se mi veniva affidato un lavoro, io lo svolgevo. Non si discutono gli ordini in quelle situazioni. Lo fai una volta e sei fuori.» «Perciò era un buon soldato che compiva bene il proprio lavoro. Ho capito. E che mi dice degli Otto di Chatsworth e dell'omicidio di Rebecca Verloren? Che mi dice degli alibi?» «C'erano otto membri negli Otto. Verificai tutti i loro alibi. E non pensi che l'abbia fatto perché desideravo scagionarli. Mi venne chiesto di verificare se qualcuno di quei disgraziati fosse coinvolto. E io controllai, ma risultarono tutti puliti, quantomeno per quanto riguardava l'omicidio.» «Mi parli di Roland Mackey e William Burkhart.» McClellan si sedette su una sedia accanto al televisore. Appoggiò sul tavolino da caffè il bicchiere d'acqua, da cui ancora doveva bere. Bosch spense Miles Davis nel mezzo di Freddie Freeloader e rimase in piedi con le mani in tasca, vicino alle porte scorrevoli. «Be', per quello che riguarda Burkhart, fu facile. Quella sera lo stavamo già sorvegliando.» «Si spieghi.» «Era appena uscito da Wayside. Ci era stato riferito che mentre era dentro si era verificata una recrudescenza dei conflitti etnico-religiosi, perciò pensammo che fosse prudente vedere se avrebbe tentato di rimettere in piedi la banda.» «Chi diede l'ordine?» McClellan si limitò a guardarlo. «Irving, naturalmente» rispose Bosch. «Per mettere l'accordo al sicuro. Perciò la PDU sorvegliava Burkhart. Continui.» «Burkhart era uscito e aveva legato con due tizi del vecchio gruppo. Un tipo di nome Withers e un altro di nome Simmons. Sembrava che potessero progettare qualcosa, ma la notte in questione erano in una sala da biliardo sulla Tampa a bere fino allo stordimento. Era un alibi solido. Due poliziotti travestiti sono rimasti con loro tutto il tempo. È questo che sono venuto a dirle, detective. Erano alibi solidi.» «Sì? Be', mi dica di Mackey. Il PDU non lo sorvegliava, no?» «No, Mackey no.» «E allora com'è che il suo alibi era così solido?» «Quello che ricordo di Mackey è che nella notte in cui la ragazza venne presa era sotto tutoraggio alla Chatsworth High. Frequentava le scuole serali per prendere il diploma intermedio. Un giudice gliel'aveva ordinato

come condizione per la libertà sulla parola. Solo che doveva superare l'esame, ma non stava andando troppo bene. Tutte le sere libere le passava con un tutor quando a scuola non c'erano lezioni. E la sera in cui la ragazza venne portata via era con il tutor. Lo confermo.» Bosch scosse il capo. McClellan stava cercando di fargli bere una storia assurda. «Mi sta dicendo che Mackey studiava con un tutor nel cuore della notte? O sta mentendo o ha creduto a un sacco di stronzate. Mackey e il suo tutor. Chi era l'insegnante?» «Non ricordo il nome del tizio adesso, ma finirono al più tardi verso le undici, poi se ne andarono ciascuno per la propria strada. Mackey andò a casa.» Bosch era esterrefatto. «Questo non è un alibi, tenente! La ragazza è morta alle due di notte. Non lo sapeva?» «Certo che lo sapevo. Ma l'ora della morte non era l'unico elemento per verificare l'alibi. Mi vennero dati i rapporti messi insieme dai tizi che seguivano il caso. Nessuno degli ingressi della casa era stato forzato. E il padre aveva fatto il giro per controllare che tutte le porte fossero chiuse dopo essere rientrato alle dieci. Questo significa che il killer a quell'ora doveva già essere dentro. Era nascosto, in attesa che tutti andassero a dormire.» Bosch si sedette sulla poltrona e si chinò in avanti, con i gomiti sulle ginocchia. All'improvviso si rese conto che McClellan aveva ragione, e che tutto adesso era diverso. Aveva visto lo stesso rapporto che McClellan aveva letto diciassette anni prima, ma non ne aveva registrato il significato. L'assassino era già in casa quando Robert Verloren era rientrato dal lavoro. Questo cambiava molte cose. Cambiava il modo in cui Bosch doveva guardare non solo alle indagini originarie, ma anche alle proprie. Non registrando il tumulto interiore di Bosch, McClellan proseguì. «Perciò Mackey non poteva essere entrato in quella casa perché era con il suo tutor. Era pulito. Tutti quei piccoli bastardi erano puliti. Quindi feci al mio capo un resoconto verbale e lui lo riferì ai due che lavoravano sul caso. E con questo tutto finì, finché non è saltata fuori la storia del DNA.» Bosch annuì, ma erano altre le cose a cui pensava. «Se Mackey era pulito, come si spiega il DNA sull'arma del delitto?» domandò. «Non so cosa dire. Non lo so spiegare. L'ho scagionato dal coinvolgimento nell'omicidio, ma deve essere...»

Non terminò la frase. Bosch pensò che sembrasse davvero ferito all'idea di aver potuto aiutare un assassino a farla franca, o quantomeno la persona che aveva fornito l'arma del delitto. Sembrava che tutto d'un colpo si fosse reso conto di essere stato corrotto da Irving. Aveva un aspetto desolato. «Irving è ancora deciso a passare tutta la faccenda ai media e agli Affari Interni?» domandò Bosch con calma. McClellan scosse lentamente il capo. «No» disse. «Mi ha detto di portarle un messaggio. Mi ha pregato di dirle che un accordo rimane un accordo soltanto se entrambe le parti vi tengono fede. Tutto qui.» «Un'ultima domanda» disse Bosch. «La scatola con le prove del caso Verloren è scomparsa. Lei ne sa niente?» McClellan lo fissò. Bosch si rese conto di averlo pesantemente insultato. «Lo dovevo chiedere» disse Bosch. «Io so solo che quella roba è sparita» disse McClellan con la mascella serrata. «Chiunque potrebbe averla portata via in questi diciassette anni. Ma non sono stato io.» Bosch annuì. Si mise in piedi. «Be', devo rimettermi al lavoro» disse. McClellan raccolse l'invito e si alzò. Parve ingoiare la rabbia per l'ultima domanda, forse aveva accettato la spiegazione di Bosch. Era una domanda che non poteva essere evitata. «Va bene, detective» disse. «Buona fortuna. Spero che riesca a catturare il tizio. E lo dico sul serio.» Porse la mano a Bosch. Bosch non conosceva la storia di McClellan, non conosceva tutte le circostanze della vita del PDU nel 1988, ma sentiva che McClellan avrebbe lasciato la casa con un fardello più greve di quello con cui era entrato. Perciò decise che avrebbe potuto stringergli la mano. Dopo che McClellan se ne fu andato, Bosch si sedette di nuovo, riflettendo sul fatto che l'assassino di Rebecca Verloren doveva essere nascosto nella casa. Si alzò e andò al tavolo della sala da pranzo, dove aveva sparpagliato i documenti. Sfogliò i rapporti finché non trovò quello della Scientifica sull'analisi delle impronte digitali. Il rapporto era lungo diverse pagine e conteneva l'analisi di molte impronte lasciate sulla superficie degli oggetti contenuti nella casa dei Verloren. Il resoconto riassuntivo concludeva che nessuna delle impronte rinvenute nella casa aveva origine sconosciuta, pertanto era probabile che il so-

spetto o i sospetti indossassero i guanti, o che semplicemente avessero evitato di toccare superfici sulle quali avrebbero potuto lasciare le impronte. Il resoconto diceva che le impronte rilevate coincidevano con quelle dei membri della famiglia Verloren o di persone che avevano ragioni valide per essere state nella casa e aver toccato gli oggetti su cui erano rimaste le tracce. Questa volta Bosch lesse il resoconto in maniera differente e nella sua interezza. Non era più interessato ai risultati, voleva sapere dove i tecnici avevano cercato le impronte. Il rapporto aveva la data del giorno successivo al ritrovamento del corpo di Rebecca. Dettagliava i passaggi di routine della ricerca di impronte. Tutte le superfici erano state analizzate. Le maniglie delle porte e le chiavi. I davanzali delle finestre e gli infissi. Tutti i punti sui quali sarebbe stato logico che l'assassino potesse aver lasciato impronte durante il crimine. Mentre erano state rinvenute diverse impronte sulle finestre e sulle serrature, che coincidevano con quelle di Robert Verloren, il rapporto affermava che non erano state trovate tracce utilizzabili sulle maniglie delle porte all'interno della casa. Non si trattava di una cosa insolita, a causa delle sbavature che si verificavano ogni volta che la maniglia veniva girata. Fu quello che non era scritto nel rapporto a rivelare a Bosch la falla attraverso la quale l'assassino poteva essersi salvato. La Scientifica era entrata nella casa un giorno dopo la scoperta del corpo della vittima, dopo che il caso era stato mal interpretato già due volte. Prima si era pensato alla fuga di un'adolescente, poi a un suicidio. Come se non bastasse, quando alla fine erano state avviate le indagini per omicidio, la squadra era stata mandata all'interno della casa senza alcuna indicazione. A quel punto, gli investigatori non si erano ancora fatti un'idea del caso. L'ipotesi che il killer potesse essere rimasto nascosto nel garage o da qualche altra parte per diverse ore non era ancora stata formulata. La ricerca di impronte digitali e di altre prove, come capelli e fibre, non era mai andata oltre l'ovvio, oltre la superficie. Bosch sapeva che ormai era troppo tardi. Erano trascorsi troppi anni. Un gatto si aggirava per la casa e chissà quanti oggetti comprati dai robivecchi erano entrati e usciti dal luogo in cui l'assassino era rimasto nascosto ad aspettare. I suoi occhi si posarono sulle foto sparpagliate sul tavolo, e lui fu colpito da un dettaglio. La camera da letto di Rebecca era l'unico locale che non era stato contaminato dal tempo. Era come un museo con le sue opere d'ar-

te inscatolate e sigillate. Bosch sparse sul tavolo le foto della camera da letto. C'era qualcosa che lo aveva infastidito fin dalla prima volta. Non riusciva ancora a capire cosa, ma ora sentiva l'urgenza di andare a fondo. Studiò gli scatti dello scrittoio, del comodino e poi dell'armadio aperto. Da ultimo esaminò il letto. Pensò alle foto che erano state pubblicate sul giornale e prese la seconda copia dell'articolo che aveva conservato nel file con i documenti della seconda indagine. Studiò gli scatti di Emmy Ward e li paragonò con le fotografie di diciassette anni prima. La stanza sembrava esattamente la stessa, come se fosse rimasta inviolata dal dolore che emanava, ardente come una fornace. A un tratto notò una piccola differenza. Nello scatto sul Daily News il letto era stato tirato e lisciato con cura, negli scatti più vecchi della Scientifica, il letto era rifatto, ma la sopraccoperta da una parte era ripiegata verso l'interno, dall'altra era scivolata verso l'esterno. Gli occhi di Bosch si mossero avanti e indietro da una foto all'altra. Sentì qualcosa che si scioglieva dentro di lui. Avvertì una piccola scarica elettrica nel sangue. Ecco cosa l'aveva turbato. Era quel quid che non quadrava. «Dentro e fuori» si disse. C'era la possibilità che la sopraccoperta fosse stata tirata verso l'interno del letto da qualcuno che era scivolato sotto, mentre, dall'altro lato, era stata spinta in fuori quando la persona era sgattaiolata fuori. Dopo che tutti quanti si erano addormentati. Bosch si alzò e cominciò a camminare a grandi passi, ripensando a tutta la vicenda. Nelle foto scattate dopo il rapimento e l'omicidio, il letto mostrava in modo chiaro la possibile via di entrata e di uscita. L'assassino di Rebecca poteva aver atteso proprio sotto il letto che la ragazza si addormentasse. «Dentro e fuori» disse di nuovo Bosch. Ci lavorò ancora. Sapeva che non erano state rinvenute impronte digitali leggibili nella casa. Ma erano state analizzate solo le superfici più ovvie. Questo non significava per forza di cose che l'assassino indossasse i guanti. Voleva dire solo che era stato abbastanza furbo da non toccare niente a mani nude, o che aveva confuso le impronte dove era stato indispensabile lasciarle. Anche se avesse indossato i guanti quando era entrato in casa, possibile che l'assassino non li avesse mai tolti mentre aveva aspettato con tutta probabilità per ore - sotto il letto?

Valeva la pena di fare un tentativo. Bosch andò in cucina, chiamò la Scientifica e chiese di Raj Patel. «Raj, che stai facendo?» «Catalogo le prove che abbiamo rinvenuto ieri notte sulla freeway.» «Ho bisogno che il tuo uomo migliore venga con me a Chatsworth.» «Ora?» «Proprio ora, Raj. Più tardi potrei non avere più un lavoro. Dobbiamo farlo adesso.» «Cos'è che dobbiamo fare?» «Voglio sollevare un letto e guardarci sotto. È importante, Raj. Se troviamo qualcosa, ci porterà all'assassino.» Ci fu un breve silenzio, poi Patel rispose. «Sono io il mio uomo migliore, Harry. Dammi l'indirizzo.» «Grazie, Raj.» Gli diede l'indirizzo e riagganciò. Tamburellò le dita sul bancone, chiedendosi se era il caso di chiamare Kiz Rider. Era demoralizzata e depressa quando erano usciti dal Parker Center, tanto da dichiarare che desiderava solo mettersi a dormire. Avrebbe dovuto svegliarla per il secondo giorno di fila? Sapeva che non era quello il punto. Il punto era che preferiva aspettare di vedere se c'era qualcosa sotto il letto prima di ridestare le sue speranze. Decise di attendere che ci fosse qualcosa di concreto prima di chiamarla. Invece prese il telefono e svegliò Muriel Verloren. Le disse che stava andando a casa sua. 36 Bosch arrivò alla riunione della squadra al Pacific Dining Car in ritardo, a causa del traffico di rientro dalla Valley. Erano tutti in una sala privata interna. In molti erano già stati serviti. La sua eccitazione doveva essere evidente. Pratt interruppe un resoconto di Tim Marcia per guardare Bosch e disse: «O in queste due ore di libertà hai avuto un colpo di fortuna, o non te ne frega niente della merda in cui siamo sprofondati». «Ho avuto un colpo di fortuna» disse Bosch, mentre prendeva posto sull'unica sedia vuota. «Ma non nel senso che intendi tu. Raj Patel ha appena trovato l'impronta di un palmo e di due dita su un'assicella di legno sotto il letto di Rebecca Verloren.»

«Bene» disse Pratt. «Cosa significa?» «Significa che appena Raj passerà le impronte al database, potremmo avere il nostro assassino.» «Come avresti fatto?» domandò Rider. Bosch non l'aveva più chiamata. Sentiva già una vibrazione ostile nel tono di voce della partner. «Non ti volevo svegliare» disse Bosch. Poi si rivolse agli altri. «Stavo esaminando i rapporti sulle impronte digitali nel fascicolo del delitto. Mi sono reso conto che la Scientifica era andata a cercare le impronte solo il giorno successivo al ritrovamento del corpo. Non ci erano più tornati dopo che si era concretizzata la possibilità che il rapitore fosse entrato nella casa prima di sera, quando la porta del garage era ancora aperta, e che si fosse nascosto in attesa che tutti si addormentassero.» «Allora perché il letto?» domandò Pratt. «Le foto della scena del crimine mostrano che il copriletto ai piedi del letto è stato spinto in dentro. Come se qualcuno vi fosse scivolato sotto. Non se ne accorsero perché non cercavano quello.» «Bel lavoro, Harry» disse Pratt. «Se Raj trova un riscontro, cambiamo direzione e lavoriamo su quello. Va bene, torniamo ai nostri rapporti. Puoi farti riferire dalla tua partner quello che ti sei perso fino ad ora.» Pratt si volse quindi verso Robinson e Nord all'altro capo del lungo tavolo e chiese: «A che conclusioni siete arrivati con la chiamata per il carro attrezzi?». «Non molto che possa essere d'aiuto» disse Nord. «La telefonata è arrivata dopo che avevamo spostato il monitoraggio sulla casa di Burkhart, perciò non abbiamo una registrazione. Ma abbiamo la traccia della chiamata, da cui risulta che era diretta alla Tampa Towing, prima di essere dirottata sul servizio di risposta della Tripla A. Arrivava da un telefono pubblico di fronte al Seven-Eleven sulla Tampa, vicino all'entrata della freeway. Con tutta probabilità, il nostro uomo ha effettuato la chiamata, poi è sceso lungo la rampa e si è fermato ad aspettare.» «Impronte sul telefono?» domandò Pratt. «Abbiamo chiesto a Raj di dare un'occhiata» disse Robinson. «Il telefono è stato pulito.» «Figuriamoci» disse Pratt. «Avete parlato con la Tripla A?» «Sì, nessun indizio, a parte la conferma che a chiamare è stato un uomo.» Si rivolse verso Bosch.

«Hai qualcosa da aggiungere che la tua partner non ci abbia ancora detto?» «Sono sicuro che vi abbia detto tutto. Sembra che Burkhart sia pulito e a quanto pare aveva un alibi solido anche la sera dell'omicidio Verloren. In entrambi i casi era sotto sorveglianza del Dipartimento di Polizia di Los Angeles.» Kiz Rider lo guardò interrogativa, le sopracciglia aggrottate. Bosch aveva ancora altre informazioni di cui lei non era a conoscenza. Bosch distolse lo sguardo. «Be', mi sembra perfetto» commentò Pratt. «Allora, questo a cosa ci porta, gente?» «Be', il nostro piano con la stampa si è ritorto contro di noi» disse Rider. «Mackey ha sentito il bisogno di parlare di Rebecca Verloren, ma non ne ha avuto l'opportunità. Qualcun altro ha letto l'articolo.» «E quel qualcuno è l'assassino» disse Pratt. «Esatto» disse Rider. «La persona che Mackey ha aiutato, o a cui ha dato la pistola diciassette anni fa. E questo tizio doveva anche sapere che non era suo il sangue sulla pistola, e che quindi doveva essere di Mackey. Sapeva che Mackey era il collegamento che ci avrebbe portati a lui, perciò doveva farlo sparire.» «Come si è organizzato?» domandò Pratt. «O è stato abbastanza furbo da immaginare che la storia era un'esca e che noi stavamo sorvegliando Mackey, oppure ha supposto che il modo migliore per arrivare a Mackey fosse quello che ha usato. Farlo uscire da solo. Come ho detto, è stato scaltro. Ha scelto un'ora e un luogo in cui sapeva che Mackey sarebbe stato solo e vulnerabile. Su quella rampa sei in alto sopra la freeway, anche con le luci del carro attrezzi accese, non sarebbe stato possibile vedere quello che succedeva lassù.» «Era anche un buon posto nel caso Mackey fosse stato pedinato» aggiunse Nord. «L'assassino doveva sapere che, se qualcuno stava seguendo Mackey, in quel punto avrebbe dovuto tirare dritto.» «Non stiamo dando a questo tizio un po' troppo credito?» domandò Pratt. «Come avrebbe potuto capire che i poliziotti erano addosso al suo uomo? Solo da un articolo di giornale? Andiamo.» Né Bosch né Rider risposero, e il silenzio di tutti gli altri confermò l'ipotesi latente che l'assassino avesse un legame con il dipartimento o, ancora più precisamente, con le indagini. «Va bene, cosa c'è ancora?» disse Pratt. «Penso che questa storia possa

essere tenuta sotto controllo al massimo per altre ventiquattro ore. Dopo di che andrà a finire sui giornali e salirà le scale fino al sesto, e ci saranno un sacco di spifferi dalle pareti se non impacchettiamo tutto per benino prima che succeda. Che facciamo?» «Prendiamo i tabulati telefonici» disse Bosch, parlando per sé e per Rider. «E partiamo da quelli.» Bosch stava pensando all'appunto per Mackey che aveva visto il giorno prima sulla scrivania della stazione di servizio. Una chiamata della Visa per verificare che fosse impiegato lì. Come aveva fatto notare Rider quando glielo aveva riferito la prima volta, Mackey non era il tipo da lasciare tracce come pagamenti con carta di credito. Era una nota stonata, e pertanto voleva indagarla meglio. «Abbiamo qui tutti i tabulati» disse Robinson. «La linea più impegnata era quella della stazione di servizio. Tutte chiamate di lavoro.» «Okay, Harry, Kiz, volete le registrazioni?» domandò Pratt. Rider guardò Bosch e poi Pratt. «Se è quello che vuole Harry. Sembra che oggi sia in pista.» Con straordinario tempismo, il telefono di Bosch cominciò a suonare. Guardò il display. Era Raj Patel. «Vedremo subito se siamo pronti al decollo» disse, mentre apriva il telefono. Patel disse di avere una notizia buona e una cattiva. «La buona è che abbiamo ancora qui in archivio le impronte che furono prese allora nella casa. Le impronte rilevate questa mattina non coincidono con nessuna di quelle. Hai trovato un personaggio nuovo, Harry. Potrebbe essere il tuo assassino.» Questo significava che i campioni di impronte dei membri della famiglia Verloren e degli altri che avevano avuto accesso alla casa si trovavano ancora negli archivi della Scientifica. Nessuno di quei campioni coincideva con le impronte delle dita e del palmo ritrovate quella mattina sotto il letto di Rebecca Verloren. Di certo le impronte digitali non potevano essere datate, ed era possibile che quelle scoperte quella mattina fossero state lasciate da chi aveva montato il letto, ma sembrava improbabile. Le impronte provenivano dalla parte inferiore della doga di legno. Chiunque le avesse lasciate, con tutta probabilità si trovava sotto il letto. «E la cattiva notizia?» domandò Bosch. «Le ho appena passate al Dipartimento di Giustizia della California. Nessun risultato.»

«E l'FBI?» «È la prossima mossa, ma non sarà così veloce. Le devono trattare. Gliele invierò con la procedura d'urgenza, ma sai come vanno queste cose.» «Lo so, Raj. Fammi sapere appena scopri qualcosa, e grazie per l'impegno.» Bosch chiuse il telefono. Provava un notevole disappunto, e il suo volto lo tradiva. Capì che gli altri avevano colto il risultato delle ricerche prima ancora che potesse dar loro la notizia. «Non hanno trovato riscontri sul database del Dipartimento di Giustizia» disse. «Proverà con l'archivio dei federali, ma ci vorrà un po' di tempo.» «Merda!» disse Renner. «A proposito di Raj Patel,» disse Pratt «suo fratello ha fissato l'autopsia per le due di questo pomeriggio. Voglio una squadra là. Chi si offre?» Renner alzò la mano con poca convinzione. Se ne sarebbero occupati lui e Robleto. Era un incarico semplice, se uno non si lasciava turbare dalla vista. La riunione terminò dopo che Pratt ebbe destinato Robinson e Nord alla stazione di servizio, a interrogare i colleghi di Mackey. Marcia e Jackson avrebbero lavorato a mettere insieme i rapporti e al fascicolo del delitto. Erano ancora i responsabili dell'indagine e l'avrebbero coordinata dalla stanza 503. Pratt guardò il conto, lo divise per nove e disse a tutti di mettere un deca. Questo significava che Bosch doveva tirare fuori dieci dollari nonostante non avesse preso neppure una tazza di caffè. Non protestò. Era il prezzo per essere arrivato in ritardo e aver ficcato tutti quanti in quel guaio. Mentre i detective si alzavano, incrociò lo sguardo di Rider. «Sei venuta direttamente qui o ti ha portato qualcuno?» «Mi ha dato un passaggio Abel.» «Torniamo insieme?» «Certo.» Fuori dal ristorante, Rider punì Bosch con il trattamento del silenzio. Mentre aspettavano che il parcheggiatore portasse loro la macchina, rimase a fissare il grande manzo di plastica sopra l'insegna del locale. Aveva sottobraccio una cartelletta con i tabulati delle telefonate. Finalmente arrivò l'auto e ci salirono. Prima di uscire dal parcheggio, Bosch si voltò e la guardò. «Va bene, dillo.» «Cosa?»

«Qualunque cosa tu voglia dire che possa farti sentire meglio.» «Avresti dovuto chiamarmi, Harry. Tutto qui.» «Senti, Kiz, ti ho chiamata ieri e mi hai insultato. Ho solo reagito a un'esperienza recente.» «Questa volta era diverso, e lo sai. Ieri mi hai chiamato perché eri eccitato per qualcosa. Oggi stavi seguendo una traccia. Avrei dovuto essere con te. E non ho scoperto a cosa eri arrivato finché non sei entrato là dentro e non l'hai detto a tutti quanti. È stato imbarazzante, Harry. Grazie.» Bosch annuì, era davvero dispiaciuto. «Su questo punto hai ragione. Mi dispiace. Avrei dovuto chiamarti sulla via del ritorno. È solo che me ne sono dimenticato. Sapevo di essere in ritardo e ho tenuto tutte e due le mani sul volante per cercare di arrivare il prima possibile.» Lei non disse nulla, perciò parlò di nuovo lui. «Ora possiamo tornare a occuparci del caso?» Rider alzò le spalle e Bosch avviò il motore. Sulla strada verso il Parker Center cercò di aggiornarla su tutti i dettagli che non aveva menzionato durante la riunione a colazione. Le disse della visita di McClellan a casa sua e di come questa l'avesse condotto alla scoperta delle impronte sotto al letto. Venti minuti dopo erano nella loro nicchia nella stanza 503. Bosch finalmente aveva davanti una tazza di caffè. Si sedettero uno di fronte all'altro e sparpagliarono i tabulati delle telefonate sulle scrivanie. Bosch era concentrato sui rapporti relativi ai numeri della stazione di servizio. L'elenco conteneva come minimo un paio di centinaia di voci chiamate in entrata e in uscita dei due telefoni della stazione - tra le sei del mattino, quando era iniziata la sorveglianza, fino alle quattro del pomeriggio, quando Mackey si era presentato al lavoro e Renner e Robleto avevano cominciato a monitorare le linee di persona. Bosch esaminò la lista. Non c'era nulla che a prima vista apparisse familiare. Molte erano chiaramente telefonate di lavoro, che provenivano o erano destinate a utenti il cui nome era legato alle automobili. Molte altre provenivano dal centralino della Tripla A, ed era verosimile che si trattasse di chiamate per il carro attrezzi. C'erano anche diverse telefonate che venivano da numeri privati. Bosch guardò con attenzione i nomi ma niente gli saltò agli occhi. Nessuna delle persone elencate era tra gli attori del caso. C'erano quattro voci nella lista che erano state attribuite alla Visa, tutte

allo stesso numero. Bosch alzò il telefono e chiamò. Non sentì squillare. Udì soltanto il suono stridulo del collegamento a un computer. Era così forte che persino Rider lo sentì. «Cos'è quello?» Bosch riagganciò. «Sto cercando di concentrarmi su quell'appunto che ho visto sulla scrivania alla stazione di servizio, quello sulla Visa che avrebbe chiamato per aver conferma dell'impiego di Mackey. Ti ricordi che tu stessa hai detto che non ti quadrava?» «Me n'ero dimenticata. Era quello il numero?» «Non lo so. La Visa compare quattro volte nel tabulato ma... aspetta un minuto.» Realizzò che le chiamate alla Visa erano solo in uscita. «Non importa, queste erano chiamate in uscita. Deve essere il numero che compone la macchina quando un cliente paga con la carta di credito. Non ci sono chiamate in entrata dalla Visa.» Bosch alzò di nuovo il ricevitore e chiamò il cellulare di Nord. «Siete già alla stazione di servizio?» La collega rise. «Siamo appena usciti da Hollywood. Ci arriveremo tra mezzora.» «Chiedete di un messaggio telefonico che qualcuno ha lasciato ieri per Mackey. Qualcosa tipo la Visa che ha chiamato per avere conferma dell'impiego indicato su una richiesta di carta di credito. Domandate cosa ricordano della telefonata e, ancora più importante, a che ora è arrivata. Cercate di ottenere l'ora esatta, se potete. Chiedetelo come prima cosa e richiamatemi subito.» «Sì, signore. Desidera anche che veniamo a prendere la sua biancheria sporca?» Bosch si rese conto che non era la mattina giusta per pestare i piedi ai colleghi. «Scusa» disse. «Qui lavoriamo con una pistola puntata alla tempia.» «Non è così per tutti noi? Ti chiamo appena abbiamo sentito il tizio.» Nord riagganciò, Bosch posò il ricevitore e guardò Rider. La donna osservava la foto di Rebecca Verloren sull'annuario scolastico che avevano preso in prestito. «A cosa pensi?» domandò, senza alzare lo sguardo su Bosch. «Questa storia della Visa mi disturba.» «Lo so, perciò cosa pensi?»

«Be', diciamo che tu sei l'assassino e che hai avuto da Mackey l'arma con cui hai commesso il delitto.» «Allora ti sei arreso con Burkhart? Ieri sera ti ha proprio convinto.» «Diciamo che i fatti mi stanno persuadendo. Per ora, okay?» «Okay, vai avanti.» «Va bene, perciò tu sei l'assassino e hai avuto la pistola da Mackey. È l'unica persona al mondo che può far convergere le indagini su di te. Ma sono passati diciassette anni e non è mai successo nulla, perciò ti senti al sicuro e forse hai anche perso le tracce di Mackey.» «Okay.» «E poi ieri prendi il giornale, vedi la foto di Rebecca Verloren e leggi che è saltata fuori una traccia di DNA. Il sangue non è tuo, perciò o si tratta di un grande bluff dei poliziotti o il sangue è di Mackey. E in quel momento sai cosa devi fare.» «Mackey deve sparire.» «Esatto. I poliziotti si stanno avvicinando troppo. Deve sparire. Perciò come lo trovi? Be', Mackey ha passato tutta la vita - quando non era in galera - a guidare carri attrezzi. Se sai questo, fai esattamente quello che abbiamo fatto noi. Sfogli le pagine gialle e cominci a chiamare le stazioni di servizio.» Rider si alzò e raggiunse gli armadietti con i dossier lungo la parete della stanza. C'era sopra una pila disordinata di elenchi del telefono. Dovette mettersi in punta di piedi per raggiungere le pagine gialle della Valley. Tornò alla scrivania e aprì l'elenco alla pagina dei servizi di carro attrezzi. Passò il dito sulla lista di indirizzi finché raggiunse la Tampa Towing, dove lavorava Mackey. Alzò il telefono e compose il numero della stazione di servizio che precedeva la Tampa sull'elenco, la Tall Order Towing Service. Non mise il viva voce, e Bosch poté sentire soltanto lei. «Sì, con chi parlo?» Rimase un momento in attesa. «Sono il detective Kiz Rider della polizia di Los Angeles. Sto indagando su un caso di frode, posso farle alcune domande?» Rider annuiva, a quanto pareva aveva ottenuto un «faccia pure». «Il sospetto su cui sto concentrando le mie ricerche chiama diverse società di servizi e si qualifica come un dipendente della Visa. Dice di telefonare per una verifica sulla dichiarazione di impiego di qualcuno che ha fatto richiesta per ottenere la carta di credito. Le dice niente? Abbiamo alcune informazioni che ci portano a credere che questo individuo ieri abbia

operato nella Valley. Tende a prendere come bersaglio il settore dei servizi per l'automobile.» Rider attese, mentre riceveva una risposta alla sua domanda; guardò Bosch ma non diede alcuna indicazione. «Sì, me la può passare per cortesia?» Rider ripeté la stessa solfa a un'altra persona e pose la stessa domanda. Poi si chinò in avanti e parve assumere una postura più rigida. Coprì il microfono e guardò Bosch. «Bingo» disse. Tornò alla telefonata e ascoltò ancora un momento. «Era un uomo o una donna?» Scrisse qualcosa. «E a che ora ha chiamato?» Scarabocchiò un altro appunto e Bosch si alzò per poter leggere rimanendo dietro la propria scrivania. La partner aveva scritto su un foglietto: uomo, circa 13.30. Mentre la conversazione continuava, Bosch controllò il tabulato delle telefonate e vide una chiamata in ingresso alla Tampa Towing alle tredici e quaranta. Proveniva da un numero privato. Il nome registrato era Amanda Sobek. Il prefisso indicava che si trattava di un cellulare. Né il nome né il numero dicevano niente a Bosch. Ma non aveva alcuna importanza. Pensò che potevano essere vicini a qualcosa. Rider terminò la telefonata chiedendo alla persona con cui stava parlando se ricordasse il nome dell'impiegato della Visa. Dopo aver evidentemente ricevuto una risposta negativa, domandò: «Le dice niente il nome Roland Mackey?». Attese. «Ne è sicura?» insistette. «Okay, grazie per il suo tempo, Karen.» Riattaccò e guardò Bosch. L'eccitazione nei suoi occhi aveva cancellato il disappunto per essere stata esclusa dalla faccenda delle impronte. «Avevi ragione» disse. «Hanno ricevuto una chiamata. Ha persino riconosciuto il nome, Roland Mackey. Harry, qualcuno cercava di rintracciarlo mentre noi lo tenevamo d'occhio.» «E ora noi rintracceremo quel qualcuno. Se hanno seguito l'ordine alfabetico, la chiamata successiva è stata alla Tampa Towing. Il registro mostra una chiamata alle tredici e quaranta da una certa Amanda Sobek. Non è un nome che conosco, ma potrebbe essere la telefonata che cerchiamo.» «Amanda Sobek» ripeté Rider mentre apriva il computer portatile. «Vediamo cosa c'è su di lei sull'AutoTrack.»

Mentre rintracciava il nome, Bosch ricevette una telefonata da Robinson, che era arrivato con Nord alla Tampa Towing. «Harry, il tizio del turno di giorno ha detto che la chiamata è arrivata tra l'una e le due. Lo sa perché era appena tornato dal pranzo, ed è uscito per un traino alle due. Una chiamata della Tripla A.» «Chi ha chiamato dalla Visa era uomo o donna?» «Uomo.» «Okay, nient'altro?» «Sì, quando il tizio ha confermato che Mackey lavorava qui, quello della Visa ha chiesto che orari facesse.» «Bene. Puoi fargli un'altra domanda?» «Ce l'ho qui.» «Chiedi se hanno una cliente di nome Sobek. Amanda Sobek.» Bosch attese che la domanda venisse posta. «Nessuna cliente di nome Sobek» riferì Robinson. «È una buona notizia?» «Funzionerà.» Dopo aver messo giù, Bosch si alzò e girò attorno alla scrivania per guardare lo schermo del computer di Rider. Le disse quello che Robinson le aveva appena riferito. «Niente su Amanda Sobek?» domandò. «Sì, c'è questo. Vive nella West Valley. Sulla Farralone Avenue a Chatsworth. Ma non c'è molto di più. Niente carte di credito o mutui. Penso che significhi che sia tutto intestato a nome del marito. Deve essere una casalinga. Sto passando l'indirizzo per vedere se posso tirare fuori il nome del coniuge.» Bosch aprì l'annuario della classe di Rebecca Verloren. Iniziò a sfogliare le pagine in cerca del nome Sobek o Amanda. «Eccolo qui» disse Rider. «Mark Sobek. Tutto intestato a nome suo: quattro auto, due case, un mucchio di carte di credito.» «Non c'era nessuno che si chiamava Sobek nella sua classe» disse Bosch. «Ma c'erano due ragazze che si chiamavano Amanda. Amanda Reynolds e Amanda Riordan. Pensi che sia una di loro?» Rider scosse il capo. «Non penso. L'età non coincide. Qui dice che Amanda Sobek ha quarantuno anni. Rebecca ne avrebbe otto in meno. Qualcosa non quadra. Pensi che dovremmo semplicemente chiamarla?» Bosch chiuse bruscamente l'annuario. Rider sobbalzò sulla sedia.

«No» disse. «Andiamoci.» «Dove? A trovarla?» «Sì. È ora che cominci ad alzare il culo e ad andare a bussare alle porte.» Abbassò lo sguardo su Kiz Rider e vide che non era divertita. «Non mi riferisco al tuo culo in particolare. È un modo di dire figurato. Andiamo, dai.» La donna si alzò. «Sei piuttosto esuberante per uno che potrebbe non avere più il lavoro alla fine della giornata.» «È l'unico modo di fare, Kiz. La tenebra ci attende, e alla fine arriva sempre, che tu ti comporti in un modo o nell'altro.» La precedette fuori dall'ufficio. 37 L'indirizzo sulla Farralone Avenue fornito dall'AutoTrack portò Bosch e Rider a una villa in stile mediterraneo che doveva misurare all'incirca mille e ottocento metri quadri. Aveva un garage separato con quattro porte di legno scuro, sopra le quali si aprivano le finestre della dependance per gli ospiti. I detective ammirarono la casa da dietro le sbarre di un cancello in ferro battuto, mentre aspettavano che qualcuno rispondesse al citofono. Alla fine si udì una voce uscire dalla scatola di plastica accanto al finestrino aperto di Bosch. «Sì, chi è?» Era una donna. Aveva un tono giovanile. «Amanda Sobek?» domandò Bosch in risposta. «No, sono la sua assistente. Voi chi siete, signori?» Bosch guardò di nuovo la scatola e vide la lente della telecamera. Erano osservati, oltre che ascoltati. Tirò fuori il distintivo e lo tenne a una trentina di centimetri dalla telecamera. «Polizia» disse. «Abbiamo bisogno di parlare con Amanda o Mark Sobek.» «A che proposito?» «A proposito di qualcosa che riguarda la polizia. Apra il cancello, per favore, signora.» Attesero qualche secondo: Bosch stava per premere di nuovo il bottone della chiamata quando il cancello iniziò ad aprirsi lentamente. Entrarono e

parcheggiarono in una rotonda davanti al portico a due piani. «Sembra il genere di posto per cui vale la pena uccidere un autista di carro attrezzi» disse Bosch con calma mentre spegneva il motore. Una donna sulla ventina aprì la porta prima che i due detective la raggiungessero. Indossava la gonna e una camicetta bianca. L'assistente. «E lei è?» domandò Bosch. «Melody Lane. Lavoro per la signora Sobek.» «La signora è in casa?» domandò Rider. «Sì, si sta vestendo. Scenderà subito. Potete attendere in salotto.» Vennero condotti in un atrio dove c'era un tavolo con diverse foto in mostra. Pareva che la famiglia fosse composta da marito, moglie e due figlie adolescenti. Seguirono Melody in un sontuoso salotto con ampie vetrate che si aprivano sul Santa Susana State Park e la Oat Mountain. Bosch consultò l'orologio. Era quasi mezzogiorno. Melody lo notò. «Non stava dormendo. Ha fatto ginnastica presto e stava facendo la doccia. Dovrebbe scendere...» Non ebbe bisogno di finire. Una donna attraente, in pantaloni bianchi e con un cardigan aperto sulla camicetta di chiffon, entrò frettolosa nella stanza. «Cosa succede? C'è qualcosa che non va? Le mie ragazze stanno bene?» «Lei è Amanda Sobek?» domandò Bosch. «Certo che lo sono. Cosa c'è? Perché siete qui?» Bosch indicò la combinazione di poltrone e sedie al centro della stanza. «Perché non ci sediamo, signora Sobek?» «Ditemi se è successo qualcosa.» Il panico sul suo viso parve reale a Bosch, che cominciò a pensare che forse avevano preso una svolta sbagliata da qualche parte. «Non c'è niente che non va» disse. «Nulla che riguardi le sue figlie. Le sue figlie stanno bene.» «È Mark?» «No, signora Sobek. Per quanto ne sappiamo, sta bene anche lui. Sediamoci.» Finalmente cedette e camminò rapida verso la grande sedia alla destra della poltrona. Bosch aggirò un tavolino di vetro e si sedette alla sinistra della donna. Rider prese una delle sedie rimaste. Bosch si identificò, presentò Rider e mostrò di nuovo il distintivo. Notò che il tavolino da caffè era immacolato. «Stiamo svolgendo un'indagine di cui non le posso parlare. Debbo farle

alcune domande sul suo cellulare.» «Il mio cellulare? Mi avete spaventato a morte per il mio cellulare?» «A dire il vero si tratta di un'indagine molto seria, signora Sobek. Ha il cellulare con sé?» «È nella borsa. Avete bisogno di vederlo?» «No, non ancora. Mi può dire quando lo ha usato ieri?» La signora Sobek scosse il capo, come se si trattasse di una domanda insulsa. «Non saprei. Di mattina ho chiamato Melody dalla palestra. Non ricordo in che altro momento. Sono andata al negozio e ho chiamato le mie figlie per vedere se erano tornate a casa dopo la scuola. Non ricordo altro. Sono stata a casa quasi tutto il giorno, a parte la palestra. Quando sono a casa non uso il cellulare. Uso il telefono fisso.» I cattivi presentimenti si rafforzavano in Bosch: da qualche parte avevano fatto una mossa sbagliata. «È possibile che qualcun altro abbia usato il suo cellulare?» domandò Rider. «Le mie figlie hanno i loro. E anche Melody. Non capisco.» Bosch tirò fuori dalla tasca la pagina del tabulato. Lesse ad alta voce il numero che aveva chiamato la Tampa Towing. «È suo questo numero?» domandò. «No, è quello di mia figlia. Kaitlyn.» Bosch si protese in avanti. Questo cambiava ancora la situazione. «Sua figlia? Dov'era ieri?» «Ve l'ho già detto. Era a scuola. E non può aver usato il telefono fino al termine della lezione, a scuola non è permesso.» «Che istituto frequenta?» domandò Rider. «Hillside Prep. A Porter Ranch.» Bosch si appoggiò allo schienale e guardò Rider. In qualche modo il cerchio si chiudeva. Non sapeva perché, ma sentiva di essere a un punto cruciale. Amanda Sobek lesse l'espressione sui loro visi. «Cosa succede?» domandò. «C'è qualcosa che non va a scuola?» «No, per quanto ne sappiamo noi, signora» rispose Bosch. «Che classe frequenta sua figlia?» «È al secondo anno.» «Ha un'insegnante di nome Bailey Sable?» domandò Kiz Rider. Sobek annuì.

«È la sua insegnante di inglese.» «Può esserci qualche motivo per cui la signora Sable ha preso in prestito il telefono di sua figlia ieri?» domandò Rider. Sobek alzò le spalle. «Non che mi venga in mente. Dovete capire quanto è strano per me tutto questo. Tutte queste domande. Il suo telefono è stato usato per delle minacce o qualcosa del genere? C'è di mezzo il terrorismo?» «No, signora» disse Bosch. «Ma è una questione seria. Ora dobbiamo andare a scuola e parlare con sua figlia. Apprezzeremmo molto se volesse venire con noi ed essere presente quando parleremo con lei.» «Ha bisogno di un avvocato?» «Non penso, signora.» Bosch si alzò. «Possiamo andare?» «Può venire anche Melody? Voglio che Melody venga con me.» «Sa che le dico? Incontriamoci là con Melody, così potrà riaccompagnarla a casa se noi avremo bisogno di andare da qualche altra parte.» 38 Il silenzio regnava nell'auto, lungo il tragitto verso la Hillside Prep. Bosch avrebbe voluto parlare con Rider, per cercare di approfondire gli ultimi eventi, ma non voleva farlo davanti ad Amanda Sobek. Perciò rimasero in silenzio finché la donna non domandò di chiamare il marito e Bosch rispose che per lui andava bene. Lei, però, non riuscì a trovarlo e gli lasciò un messaggio in cui, con un tono di voce quasi isterico, gli diceva di chiamarla appena possibile. Quando arrivarono a scuola era l'ora di pranzo. Mentre camminavano lungo il corridoio principale verso gli uffici, sentivano il tumulto di voci quasi assordante che proveniva dalla caffetteria. La signora Atkins era dietro il bancone dell'ufficio. Quando vide Amanda Sobek in compagnia dei detective parve un po' confusa, Bosch chiese di vedere il preside Stoddard. «Il signor Stoddard è andato a pranzo fuori dal campus oggi» li informò la signora Atkins. «C'è qualcosa che posso fare per aiutarvi?» «Sì, vorremmo vedere Kaitlyn Sobek. La signora Sobek rimarrà con noi mentre parliamo con lei.» «Subito?» «Sì, signora Atkins, subito. Apprezzerei che lei o qualche suo collega

andaste a prenderla. Sarebbe meglio che gli altri ragazzi non la vedessero in compagnia della polizia.» «Posso andare io» propose Amanda. «No» replicò Bosch in fretta. «La vogliamo vedere nello stesso momento in cui la vede lei.» Era un modo gentile per dirle che non voleva che lei le chiedesse del cellulare prima che lo facesse la polizia. «Andrò alla caffetteria e la troverò» disse la signora Atkins. «Potrete usare la sala riunioni della presidenza per la vostra... chiacchierata.» Girò attorno al bancone, evitò lo sguardo di Amanda Sobek e si diresse verso la porta che conduceva al corridoio principale. «Grazie, signora Atkins» disse Bosch. La signora Atkins impiegò quasi cinque minuti per rintracciare Kaitlyn Sobek e tornare insieme a lei. Nel frattempo, arrivò Melody Lane e Bosch disse ad Amanda che l'assistente avrebbe dovuto attendere fuori durante il colloquio. La ragazza entrò con Bosch, Rider e la madre in una stanza accanto all'ufficio del preside, occupata da un tavolo rotondo con sei sedie. Dopo che tutti si furono accomodati, Bosch annuì in direzione di Rider, che prese la parola. Bosch pensava che sarebbe stato meglio che fosse una donna a condurre l'interrogatorio e Rider lo capì senza bisogno di esplicite indicazioni. Spiegò a Kaitlyn che stavano indagando su una telefonata partita dal suo cellulare alle tredici e quaranta del giorno prima. La ragazza la interruppe subito. «È impossibile» disse. «Perché?» domandò Rider. «La linea che è stata chiamata era sotto controllo. I tabulati mostrano che la telefonata proveniva dal tuo cellulare.» «Ieri ero a scuola. Non abbiamo il permesso di usare il telefono durante le ore di lezione.» Kaitlyn appariva nervosa. Bosch intuiva che stava dicendo una bugia, ma non riusciva a immaginare a che gioco giocasse. Si chiese se stesse mentendo perché la madre era presente. «Dov'è il tuo telefono adesso?» domandò Rider. «Nello zaino nel mio armadietto. Ed è spento.» «Era lì ieri alla una e quaranta?» «Uh-uh.» Distolse lo sguardo mentre mentiva. Era facile da leggere e Bosch sapeva che Rider aveva tratto le sue stesse conclusioni. «Kaitlyn, si tratta di un'indagine molto seria» disse Rider con un tono

dolce. «Se menti con noi, rischi di trovarti in guai davvero grossi.» «Kaitlyn, non mentire» le intimò Amanda Sobek con veemenza. «Signora Sobek, restiamo calmi» disse Rider. «Kaitlyn, questi controlli elettronici sui telefoni di cui ti abbiamo parlato, si chiamano tracciature. Le registrazioni non mentono. Il tuo telefono è stato usato per fare quella telefonata. Non ci sono dubbi. Perciò, è possibile che qualcuno ieri abbia aperto il tuo armadietto e abbia usato il telefono?» La ragazza alzò le spalle. «Tutto è possibile, immagino.» «Okay, chi potrebbe averlo fatto?» «Non lo so. Siete stati voi a dirlo.» Bosch si schiarì la voce, e questo attirò su di lui gli occhi della ragazza. La guardò con durezza e disse: «Penso che forse dovremo fare un salto in centrale. Questo non è il posto adatto per un interrogatorio». Cominciò a spingere indietro la sedia per alzarsi. «Kaitlyn, che succede?» la implorò Amanda. «Queste persone fanno sul serio. Chi hai chiamato?» «Nessuno, va bene?» «No, non va bene.» «Non avevo il telefono. Me l'avevano confiscato.» Bosch si sedette e Rider riprese la parola. «Chi ti ha confiscato il telefono?» domandò. «La signora Sable» rispose la ragazza. «Perché?» «Perché non possiamo usarlo a scuola dopo che è suonata la campanella. Ieri Rita, la mia migliore amica, non è venuta. Perciò ho cercato di mandarle un messaggio durante l'ora di inglese per vedere se stava bene, e la signora Sable mi ha scoperta.» «E ti ha preso il telefono?» «Sì, me l'ha requisito.» La mente di Bosch correva veloce, cercava di far coincidere i lineamenti di Bailey Koster Sable con quelli dell'assassino di Rebecca Verloren. Sapeva che un particolare non quadrava. A sedici anni, Bailey Koster non avrebbe potuto trasportare il corpo inerme della sua amica sulla collina dietro casa. «Perché hai mentito?» domandò Rider a Kaitlyn. «Perché non volevo che lei sapesse che sono nei guai» disse, indicando la madre con il mento.

«Kaitlyn, non mentire mai con la polizia» rispose secca Amanda. «Non mi importa cosa...» «Signora Sobek, potete discutere di questo più tardi» disse Bosch. «Ci lasci continuare.» «Quand'è che hai riavuto il telefono, Kaitlyn?» domandò Rider. «Alla fine della giornata.» «Perciò la signora Sable ha tenuto il tuo telefono per tutto il giorno?» «Sì. Cioè, no. Non per tutto il giorno.» «Be', allora chi ce l'aveva?» «Non lo so. Quando ti prendono il telefono, alla fine della giornata devi andare a recuperarlo nell'ufficio del preside. È quello che ho fatto. Me l'ha restituito il signor Stoddard.» Gordon Stoddard. Il puzzle all'improvviso cominciò a ricomporsi. Bosch era entrato nel tunnel di acqua del caso e ora tutti i dettagli gli mulinavano attorno. Cavalcò l'onda con chiarezza e con grazia. Tutto combaciava. Stoddard combaciava. Le ultime parole di Mackey combaciavano. Stoddard era il professore di Rebecca. Era vicino a lei. Era il suo amante, era lui che la chiamava a tarda sera. Il quadro si faceva nitido. Mr. X. Bosch si alzò in piedi e lasciò la stanza senza pronunciare una parola. Oltrepassò la porta dell'ufficio di Stoddard. Era aperta, la scrivania era vuota. Uscì e andò al bancone. «Signora Atkins, dov'è il signor Stoddard?» «Era appena arrivato, ma poi è uscito subito.» «Per andare dove?» «Non lo so. Forse alla caffetteria. Gli ho detto che lei e la sua collega stavate parlando con Kaitlyn.» «Ed è allora che se ne è andato?» «Sì. Oh, ora che ci penso... potrebbe essere nel parcheggio. Ha detto che oggi aveva una macchina nuova. Magari la sta mostrando a uno degli insegnanti.» «Che tipo di macchina? Glielo ha detto?» «Una Lexus. Mi ha detto anche il modello, ma l'ho dimenticato.» «Ha un parcheggio riservato?» «Sì, è nella prima fila, appena esce dall'edificio a destra.» Bosch si voltò e varcò la soglia. Il corridoio era affollato di studenti che lasciavano la caffetteria per iniziare le lezioni del pomeriggio. Bosch iniziò a muoversi attraverso la folla spintonando gli studenti e prendendo veloci-

tà. Presto la strada fu libera e cominciò a correre. Raggiunse il cortile e subito si precipitò lungo la fila di parcheggi a destra. Trovò un posto vuoto con il nome di Stoddard scritto sull'asfalto. Si voltò per tornare a prendere Rider. Stava tirando fuori il cellulare dalla cintura quando vide una macchia argentata alla propria destra. Era una macchina che puntava dritto verso di lui, ed era troppo tardi per evitarla. 39 Bosch venne aiutato a mettersi seduto sull'asfalto. «Harry, stai bene?» Mise a fuoco e riconobbe Rider. Annuì con un tremolio. Cercò di ricordare cosa fosse successo. «Era Stoddard» disse. «Mi stava investendo.» «Con l'auto?» Bosch rise. Aveva tralasciato quel particolare. «Sì, con la macchina nuova. Una Lexus argentata.» Bosch iniziò ad alzarsi. Rider gli posò una mano sulla spalla per trattenerlo. «Aspetta un minuto. Sei sicuro di stare bene? Ti fa male qualcosa?» «Solo la testa.» Cominciava a tornargli alla mente quello che era accaduto. «L'ho sbattuta quando sono atterrato» disse. «Sono saltato di lato. Ho visto i suoi occhi, sai? La rabbia, intendo.» «Fammi vedere i tuoi, di occhi.» Bosch alzò lo sguardo e Rider gli sorresse il mento mentre gli controllava le pupille. «Mi sembra che tu stia bene» disse. «Okay, allora, rimarrò seduto qui per un secondo mentre tu vai a farti dare dalla signora Atkins l'indirizzo di casa di Stoddard.» Rider annuì. «Va bene. Aspettami qui.» «Fai presto. Dobbiamo trovarlo.» Kiz tornò di corsa dentro la scuola. Bosch allungò la mano e tastò la contusione sulla testa. Ripassò nella memoria, che si andava schiarendo, la sequenza degli avvenimenti. Aveva visto il viso di Stoddard dietro il parabrezza. Era furioso, contorto. Ma poi l'uomo aveva sterzato di colpo a sinistra, mentre Bosch saltava

dal lato opposto. Bosch fece per prendere il telefono: voleva chiamare la centrale e diramare un bollettino perché Stoddard venisse ricercato. Ma l'apparecchio non era più alla cintura. Si guardò attorno e lo vide sull'asfalto, accanto alla ruota posteriore di una BMW. Strisciò e lo afferrò, poi si alzò in piedi. Fu colto da vertigini e dovette appoggiarsi all'auto. Una voce elettronica scattò all'istante: «Per favore si allontani dall'auto». Bosch si staccò dalla BMW e cominciò a camminare verso la parte del parcheggio dove aveva lasciato la sua auto. Intanto, chiamò la polizia per diramare il bollettino per Stoddard e la Lexus argentata. Bosch chiuse il telefono e lo riagganciò alla cintura. Raggiunse l'auto, avviò il motore e si diresse verso l'uscita, così sarebbero stati pronti a partire non appena Rider fosse saltata a bordo con l'indirizzo. Dopo quella che gli parve un'attesa interminabile, la partner emerse dall'edificio e corse verso l'auto. Ma andò dal lato di Bosch, aprì lo sportello e gli fece cenno di scendere. «Non è lontano» annunciò. «È una casa sulla Chase, fuori Winnetka. Ma non guidi tu, guido io.» Discutere sarebbe stato uno spreco di tempo. Bosch uscì e si mosse il più velocemente possibile per raggiungere il lato del passeggero. Rider premette l'acceleratore e uscirono dal parcheggio. Mentre Kiz guidava verso la casa di Stoddard, Bosch chiamò per avere rinforzi dalla Divisione Devonshire, poi telefonò ad Abel Pratt e gli fornì un rapido resoconto degli sviluppi di quella mattina. «Dove pensate che sia diretto?» domandò Pratt. «Non ne abbiamo idea. Stiamo andando a casa sua.» «È un tipo da suicidio?» «Non ne ho idea.» Pratt rimase in silenzio per un momento, metabolizzando le informazioni. Pose qualche altra domanda su dettagli di minore importanza e riattaccò. «Sembrava contento» disse Bosch a Rider. «Dice che se riusciremo a prendere questo tizio potremo trasformare un limone in una limonata.» «Bene» rispose Rider. «Possiamo prendere le impronte dall'ufficio o dalla casa di Stoddard e compararle con quelle sotto il letto. Allora il caso sarà chiuso, che ci sfugga o meno.» «Non preoccuparti. Lo prenderemo.» «Harry, cosa pensi, Stoddard e Mackey lo hanno fatto insieme?»

«Non lo so. Ma ricordo la foto di Stoddard nell'annuario. Sembrava piuttosto agile. Potrebbe essere stato capace di portarla sulla collina da solo. Non lo sapremo mai, a meno che non lo troviamo e non lo chiediamo a lui.» Rider annuì. «La domanda chiave,» disse allora «è in che modo Stoddard fosse collegato con Mackey.» «La pistola.» «Questo lo so. È ovvio. Intendo, in che modo conosceva Mackey prima? Dov'è l'intersezione, come faceva a conoscerlo così bene da farsi dare da lui una pistola?» «Penso che sia stato di fronte a noi per tutto il tempo» disse Bosch. «E Mackey me lo ha detto con le sue ultime parole.» «Chatsworth?» «Chatsworth High.» «Cosa intendi?» «Quell'estate doveva prendere il diploma intermedio alla Chatsworth High. La notte dell'omicidio l'alibi di Mackey era il suo tutor. Forse era piuttosto il contrario. Forse Mackey era l'alibi del tutor.» «Stoddard?» «Il primo giorno ci disse lui stesso che tutti gli insegnanti della Hillside avevano dei lavori all'esterno. Forse Stoddard lavorava come tutor. Forse era il tutor di Mackey.» «Ci sono un sacco di forse, Harry.» «Per questo dobbiamo trovare Stoddard prima che si faccia del male da solo.» «Pensi che sia il tipo da suicidio? Hai detto ad Abel che non lo sapevi.» «Non so niente con sicurezza. Ma nel parcheggio mi ha schivato all'ultimo secondo. Mi fa pensare che volesse solo fare del male a qualcuno.» «A se stesso? Forse voleva solo evitare di ammaccare la macchina nuova.» «Forse.» Rider svoltò sulla Winnetka, una strada a quattro corsie, e iniziò a procedere veloce. Erano quasi a casa di Stoddard. Bosch rimase in silenzio, riflettendo su quello che avrebbe potuto trovare. Rider alla fine girò in direzione ovest sulla Chase, dove trovò un'auto della polizia con entrambi gli sportelli anteriori aperti. Rider si fermò dietro l'auto e saltò fuori dalla macchina. Bosch estrasse la pistola dalla cintura e la portò lungo il fianco.

Rider poteva non avere tutti i torti quando aveva detto che forse Stoddard voleva semplicemente preservare la sua auto quando aveva evitato di colpire Bosch. La porta d'ingresso della piccola casa, risalente ai tempi della Seconda guerra mondiale, era aperta. Non c'era traccia degli agenti della Stradale. Bosch guardò Rider e vide che anche lei era armata. Erano pronti a entrare. Alla porta, Bosch urlò: «Detective, stiamo entrando». Fece un passo sulla soglia e ricevette una risposta dall'interno. «Libero. Libero.» Bosch non si rilassò e non abbassò l'arma mentre entrava nel salotto. Perlustrò la stanza e non vide nessuno. Abbassò lo sguardo sul tavolino da caffè e vide il Daily News del giorno prima aperto sull'articolo su Rebecca Verloren. «Agenti di pattuglia in uscita!» gridò una voce dal corridoio sulla destra. Presto due agenti arrivarono in salotto dal corridoio. Avevano la pistola in pugno. Ora Bosch si rilassò e abbassò l'arma. «Tutto pulito» disse l'agente con la striscia dei P2 sulla divisa. «Abbiamo trovato la porta aperta e siamo entrati. C'è qualcosa che dovete vedere in camera da letto.» Gli agenti fecero strada e Bosch e Rider li seguirono. Percorsero un breve corridoio e oltrepassarono la porta aperta del bagno e di una piccola camera da letto usata come studio. Entrarono nella stanza da letto e l'agente indicò loro una scatola di legno oblunga che era stata aperta sul letto. La scatola aveva un'imbottitura di gommapiuma con la forma di un revolver a canna lunga. La sagoma era vuota. La pistola non c'era più. C'era anche una piccola fessura nella gomma piuma per una scatoletta di munizioni. Era vuota anche quella, ma la scatoletta era a terra accanto al letto. «Dà la caccia a qualcuno?» domandò l'agente. Bosch non alzò lo sguardo dalla scatola dell'arma. «Con tutta probabilità solo a se stesso» disse. «Uno di voi ragazzi ha dei guanti? I miei li ho lasciati in macchina.» «Ecco qui» disse l'agente, estraendo un paio di guanti di lattice da un piccolo scomparto nell'equipaggiamento che portava alla cintura. Li porse a Bosch, che li infilò, raccolse la scatola delle munizioni, la aprì e ne tirò fuori un vassoietto di plastica nel quale erano conservate le pallottole. Ne mancava una sola. Bosch rimase a fissare lo spazio lasciato dalla pallottola mancante, quando Rider interruppe la sua riflessione con un colpo sul gomito. La

guardò e poi seguì il suo sguardo fino al tavolo dall'altra parte del letto. C'era una foto incorniciata di Rebecca Verloren. Era una foto della gita, con la ragazza in piedi su un prato verde con la Torre Eiffel alle spalle. Indossava un basco nero e sorrideva con spontaneità. Bosch pensò che lo sguardo nei suoi occhi fosse sincero e che mostrasse amore per la persona che la stava inquadrando. «Lui non c'era nelle foto sull'annuario perché stava dietro la macchina fotografica» disse Bosch. Rider annuì. Anche lei era nel tunnel d'acqua. «È lì che è cominciato» disse. «È lì che si è innamorata di lui. My true love. Il mio vero amore.» Rimasero in silenzio, cupi, per un momento, finché l'agente parlò. «Detective, possiamo andare?» «No» disse Bosch. «Abbiamo bisogno che restiate qui a sorvegliare la casa fino all'arrivo della Scientifica. E state pronti, potrebbe tornare.» «Voi andate?» domandò l'agente. «Noi andiamo.» 40 Ritornarono in fretta all'auto, e ancora una volta Rider si mise al volante. «Dove?» chiese, mentre girava la chiavetta, «A casa dei Verloren» rispose Bosch. «E sbrighiamoci.» «Cosa stai pensando?» «Ho riflettuto sulla foto del giornale, quella di Muriel seduta sul letto. Quella in cui si vede la stanza come fosse ancora la stessa, sai?» Rider rifletté un momento e poi annuì. «Sì.» Aveva capito. La foto mostrava che la stanza di Rebecca era rimasta immutata dalla notte in cui la ragazza era stata portata via. Vederla poteva aver fatto scattare qualcosa nella testa di Stoddard. Il desiderio di un sogno che aveva perso molti anni prima. La foto era come un'oasi, il ricordo di un luogo perfetto dove nulla era finito male. Rider premette l'acceleratore e la macchina balzò in avanti. Bosch aprì il cellulare, chiese che venissero inviati altri rinforzi a casa di Muriel Verloren. Aggiornò anche il bollettino su Stoddard, lo descrisse come un uomo armato e con tutta probabilità 5150, ossia mentalmente instabile. Quando

chiuse il telefono si accorse che erano vicini alla casa dei Verloren e che sarebbero arrivati per primi. La chiamata successiva fu per Muriel Verloren, ma non ricevette alcuna risposta. Quando parti la segreteria, riattaccò. «Non risponde.» Cinque minuti dopo svoltarono l'angolo della Red Mesa Way e gli occhi di Bosch scorsero subito l'auto argentata parcheggiata in malo modo contro il marciapiede di fronte alla casa dei Verloren. Era la Lexus che aveva tentato di investirlo nel parcheggio della scuola. Rider si fermò accanto all'auto e ancora una volta uscirono veloci, con le armi pronte. La porta principale della casa era socchiusa. Si fecero dei segnali con le mani e presero posizione ai due lati dell'uscio. Bosch spalancò la porta ed entrò per primo. Rider lo seguì, introducendosi nel salotto dietro a lui. Muriel Verloren era sul pavimento. Accanto a lei, una scatola di cartone e altro materiale per imballaggio. Del nastro da pacco marrone era stato girato diverse volte attorno alla testa e alla faccia della donna, come un bavaglio, e lo stesso nastro era stato usato anche per legarle i polsi e le caviglie. Rider la sollevò contro il divano e si portò un dito alle labbra. «Muriel, è qui in casa?» sussurrò. Muriel annuì, gli occhi spalancati e disperati. «Nella stanza di Rebecca?» Muriel annuì di nuovo. «Ha sentito spari?» Muriel scosse il capo ed emise un mugolio ovattato, che sarebbe stato un urlo se non avesse avuto il nastro sulla bocca. «Deve stare zitta» sussurrò Rider. «Se le tolgo il nastro, deve stare zitta.» Muriel annuì con decisione e Rider cominciò a darsi da fare con il nastro. Bosch si accovacciò li accanto. «Io salgo nella stanza.» «Aspetta, Harry» ordinò Rider, la sua voce appena più intensa di un sussurro. «Andiamo su insieme. Occupati delle caviglie.» Bosch cominciò ad armeggiare con il nastro che legava insieme i due piedi di Muriel. Rider alla fine riuscì ad allentare lo scotch che copriva la bocca della donna e ad abbassarlo sotto il mento. Mentre faceva questo, la zittì con dolcezza. «È l'insegnante di Becky» sussurrò Muriel, la voce intensa ma non alta. «Ha una pistola.»

Rider passò ai polsi. «Okay,» disse «ce ne occuperemo noi.» «Cosa sta facendo?» domandò Muriel. «È stato lui?» «Sì, è stato lui.» Muriel Verloren emise un lungo, sonoro, angosciato sospiro. Le mani e i piedi ora erano liberi, la aiutarono ad alzarsi. «Noi saliamo» disse Rider. «Abbiamo bisogno che lei esca di casa.» Iniziarono a spingerla verso la porta. «Non posso andarmene. È nella stanza. Non posso...» «Deve andare via, Muriel» sussurrò Bosch con asprezza. «Non è al sicuro qui. Vada a casa di qualche vicino.» «Non conosco nessuno.» «Muriel, deve uscire» disse Rider. «Vada in fondo alla strada. Stanno arrivando degli altri poliziotti. Si faccia vedere e dica loro che noi siamo già dentro.» La spinsero attraverso la porta aperta e si chiusero dentro. «Non permettetegli di rovinare la sua camera» la udirono implorare dall'altra parte. «È tutto quello che mi resta.» Bosch e Rider percorsero il corridoio e salirono le scale cercando di non fare rumore. Presero posizione ai due lati della porta della stanza di Rebecca. Bosch guardò Rider. Sapevano entrambi che c'era poco tempo. Quando le unità di rinforzo sarebbero arrivate, la situazione sarebbe cambiata. Era un classico caso di suicidio costruito dalla polizia. Era l'unica occasione che avevano per arrivare a Stoddard prima che si sparasse o che un uomo delle squadre speciali gli piantasse un proiettile nel cervello. Rider indicò la maniglia della porta e Bosch allungò una mano e cercò di girarla senza fare rumore. Scosse il capo. Era chiusa a chiave. Si servirono ancora di segnali con le mani per delineare il piano, poi Bosch indietreggiò di qualche passo nel corridoio e si preparò a indirizzare il tacco sulla porta accanto alla maniglia. Sapeva che doveva farlo con un solo calcio. Dopo, avrebbero perso il vantaggio della sorpresa. «Chi c'è là fuori?» La voce proveniva da dietro la porta. Era Stoddard. Bosch guardò Rider. Fine dell'elemento sorpresa. Puntò il dito contro di lei e le disse di fare silenzio. Avrebbe parlato lui. «Signor Stoddard, sono il detective Bosch. Come sta?» «Non troppo bene.»

«Già, sembra che le cose siano un po' fuori controllo, non trova?» Stoddard non rispose. «Le dico una cosa. Farebbe bene a mettere giù la pistola e venire fuori. È fortunato che ci sono qui io. Sono venuto a vedere come stava la signora Verloren, ma la mia partner e gli uomini della SWAT arriveranno presto. Non le piacerebbe avere a che fare con loro. Ora è il momento di venire fuori.» «Voglio solo che sappiate che l'amavo, tutto qui.» Bosch esitò prima di parlare. Guardò Rider e poi di nuovo la porta. Poteva usare due strade con Stoddard. Poteva cercare di ottenere una confessione subito oppure tentare di tirarlo fuori dalla casa e salvargli la vita. Entrambe le cose erano possibili, ma forse non probabili. «Allora, cos'è successo?» domandò. Ci fu un lungo silenzio prima che Stoddard parlasse. «Quello che è successo è che lei voleva tenere il bambino e non capiva che questo avrebbe rovinato ogni cosa. Dovevamo sbarazzarcene, e poi più tardi ha cambiato idea.» «Sul bambino?» «Su di me. Su tutto.» Bosch non rispose. Dopo qualche istante, Stoddard parlò di nuovo. «L'amavo.» «Ma l'ha uccisa.» «Ho commesso degli errori.» «Come quella notte?» «Non voglio parlare di quella notte. Voglio ricordare tutto il tempo prima di quella notte.» «Non la biasimo per questo.» Bosch guardò Rider e sollevò tre dita. Avrebbero contato fino a tre. Rider annuì. Era pronta. Bosch piegò un dito. «Sa cosa non capisco, signor Stoddard?» Abbassò il secondo dito. «Cosa?» domandò Stoddard. Bosch piegò il terzo dito, poi abbassò la gamba destra e colpì la porta, che si spalancò con facilità. Lo slancio lo fece precipitare nella stanza. In una frazione di secondo, alzò la pistola e la puntò contro il letto. Stoddard non era lì. Bosch si voltò e colse il riflesso dell'uomo nello specchio. Era in piedi

nell'angolo dalla parte opposta alla porta. Si stava portando alla bocca la canna della rivoltella. Bosch udì Rider urlare e la vide entrare a tutta velocità nella stanza, scagliandosi contro Stoddard. Un colpo d'arma da fuoco scosse la stanza, Rider e Stoddard finirono per terra. Il revolver cadde dalle mani dell'uomo e finì sul pavimento. Bosch si mosse rapido verso di loro e si abbatté con tutto il peso su Stoddard, mentre Rider rotolava lontano. «Kiz, ti ha colpita?» Non ci fu alcuna risposta. Bosch cercò di guardarla mentre teneva Stoddard sotto controllo. Rider si era portata una mano sul lato sinistro della testa. «Kiz?» «Non mi ha colpita!» urlò. «Penso di essere sorda da un orecchio.» Stoddard cercò di alzarsi, nonostante il peso di Bosch gravasse su di lui. «Per favore!» gemette. Bosch usò l'avambraccio per togliere l'appoggio a Stoddard, il cui petto batté sul pavimento. Bosch gli torse in fretta un braccio dietro la schiena e lo ammanettò. Dopo una piccola colluttazione, tirò a sé l'altro braccio e completò l'ammanettamento. Quindi si sporse in avanti e gli parlò. «Per favore cosa?» «Per favore lasciatemi morire.» Bosch si alzò e trascinò Stoddard in piedi. «Sarebbe troppo facile per te, Stoddard. Sarebbe come permetterti di farla franca ancora una volta.» Bosch guardò Rider che si era rimessa in piedi. Si accorse che un po' di capelli erano stati bruciacchiati dalla scarica della pistola. Era passata davvero vicino. «Stai bene?» «Appena smette questo fischio.» Bosch alzò lo sguardo e vide il foro del proiettile sul soffitto. Udì le sirene che si avvicinavano. Afferrò Stoddard per il gomito e lo trascinò verso la porta della stanza. «Ora vado giù e infilo questo tizio in una macchina. Lo portiamo alla Devonshire e ce lo teniamo finché non viene incriminato.» Rider annuì, ma Bosch era sicuro che stesse ancora pensando a quello che era appena successo. Il fischio nell'orecchio era il memento di quanto il proiettile fosse passato vicino.

Bosch sorresse Stoddard per il braccio mentre lo portava giù dalle scale. Quando giunsero nel salotto, Stoddard parlò con la disperazione nella voce. «Può farlo adesso.» «Fare cosa?» «Spararmi. Dire che sono scappato. Mi tolga una delle manette e dica che mi sono liberato. Mi vuole uccidere, non è vero?» Bosch si fermò e lo guardò. «Sì, ti vorrei uccidere. Ma questo sarebbe un bene per te. Devi pagare per quello che hai fatto alla ragazza e alla sua famiglia. E farti fuori qui non basterebbe a ripagare neppure gli interessi per questi diciassette anni.» Bosch lo spinse con durezza verso la porta. Uscirono sul prato proprio mentre un'auto della polizia si fermava e spegneva la sirena. Bosch capì dall'unica barra luminosa che aveva sul tetto che si trattava di una di quelle nuove auto di cui aveva sentito parlare, equipaggiate con le ultime novità tecnologiche. Il dipartimento se ne poteva permettere solo alcune in ogni ciclo di budget. L'auto diede a Bosch un'idea. Alzò una mano e tracciò un cerchio nell'aria con il dito, il segnale che era tutto a posto. Mentre portava Stoddard verso la macchina, vide Muriel Verloren che camminava in mezzo alla strada verso la casa. Fissava Stoddard. Aveva la bocca spalancata come in un muto urlo d'orrore. Cominciò a correre verso di loro. 41 Bosch viaggiò sul sedile posteriore dell'auto di pattuglia insieme a Stoddard sulla strada per la Divisione Devonshire. Rider era rimasta a casa dei Verloren per calmare Muriel e per farsi visitare dai paramedici. Quando le avrebbero dato l'okay, avrebbe guidato l'auto di Bosch fino alla stazione. Il tragitto fino alla Divisione sarebbe durato al massimo dieci minuti. Bosch sapeva che aveva davvero poco tempo per indurre Stoddard a parlare. Per prima cosa, lesse al preside i suoi diritti. Stoddard aveva fatto alcune ammissioni mentre era rintanato nella camera da letto di Rebecca Verloren, ma Bosch non era sicuro che potessero essere usate davanti alla corte, perché non erano state registrate e l'uomo non era stato informato dei suoi diritti, tra cui c'era quello di rimanere in silenzio.

Dopo aver letto i diritti da un biglietto da visita che si era fatto prestare poco prima da Rider, Bosch domandò con semplicità: «Ora vuoi parlare con me?». Stoddard era piegato in avanti perché aveva ancora le mani ammanettate dietro la schiena. Il mento era abbassato quasi fino al petto. «Cosa c'è da dire?» domandò. «Non lo so. Non mi serve che parli. Ti abbiamo in pugno. Azioni e prove, abbiamo tutto quello che ci serve. Pensavo solo che volessi spiegare le cose, tutto qui. A questo punto molta gente sente il bisogno di aprirsi.» Stoddard dapprima non rispose. L'auto si dirigeva a est sul Devonshire Boulevard. La stazione di polizia si trovava a un paio di chilometri. Poco prima, quando aveva parlato con i due agenti fuori dalla macchina, Bosch aveva detto all'autista di prendersela comoda. «È buffo» disse alla fine Stoddard. «Cosa?» «Sono un insegnante di scienze, lo sa? Voglio dire, prima di diventare preside insegnavo scienze. Ero a capo del dipartimento.» «Ah sì?» «E spiegavo ai miei studenti il DNA. Dicevo sempre che è il segreto della vita. Decodifichiamo il DNA e abbiamo decodificato la vita stessa.» «Già.» «E ora... ora, be', viene usato per decodificare la morte. Dalla vostra gente. È il segreto della vita. È il segreto della morte. Non lo so. Immagino che non sia davvero divertente. È più un'ironia della sorte.» «Se lo dici tu.» «Un professore insegna cos'è il DNA e viene catturato per colpa del DNA.» Stoddard cominciò a ridere. «Ehi, è un bel titolo» disse. «Lo proponga ai giornali.» Bosch allungò la mano e usò la chiave per aprire le manette di Stoddard. Poi gli richiuse i polsi davanti al petto, così poteva sedersi dritto. «Quando eravamo nella casa hai detto che l'amavi» disse Bosch. Stoddard annuì. «L'amavo. E l'amo ancora.» «È un modo buffo di dimostrarlo, non trovi?» «Non era programmato. Niente di quello che successe quella sera era programmato. La stavo sorvegliando, tutto qui. Ogni volta che potevo la guardavo. Passavo di continuo in macchina davanti a casa sua. La seguivo

quando prendeva l'auto. La spiavo a scuola.» «E avevi sempre con te una pistola.» «No, la pistola era per me, non per lei. Ma...» «Scopristi che sarebbe stato più facile uccidere lei che te stesso.» «Quella sera... vidi la porta del garage aperta. Entrai. Non sapevo perché. Pensavo che avrei usato la pistola contro me stesso. Sul suo letto. Sarebbe stato un modo per mostrarle la mia devozione.» «Ma ti infilasti sotto il letto invece che sdraiarti sopra.» «Dovevo pensare.» «Mackey dov'era?» «Mackey? Non so dove fosse.» «Non era con te? Non ti aiutò?» «Mi diede la pistola. Facemmo un patto. La pistola in cambio del diploma. Ero il suo insegnante. E il suo tutor. Era il mio lavoro estivo.» «Ma non era con te quella sera? La portasti in cima alla collina da solo?» Gli occhi di Stoddard erano spalancati e guardavano lontano, nonostante fossero concentrati sul retro del sedile davanti. «Ero forte a quel tempo» disse in un sussurro. L'auto oltrepassò il varco nel muro di cemento che circondava il retro della Divisione Devonshire. Stoddard guardò fuori dal finestrino. Vedere tutte le auto della polizia e il retro della stazione dovette ridestarlo. Realizzò la situazione. «Non voglio più parlare.» «Va bene» disse Bosch. «Ti mettiamo in una cella e ti procuriamo un avvocato, se vuoi.» L'auto si fermò di fronte a una porta doppia e Bosch scese. Girò attorno alla macchina, tirò fuori Stoddard e gli fece oltrepassare le porte. L'ufficio dei detective era al secondo piano. Presero l'ascensore, gli venne incontro il tenente in comando della Devonshire. Una stanza per gli interrogatori attendeva Stoddard. Bosch lo spinse su una sedia e gli ammanettò uno dei polsi a un anello di metallo al centro del tavolo. «Stai seduto» disse Bosch. «Torno subito.» Sulla porta, si voltò a guardare Stoddard. Decise di tentare un'ultima carta. «E per quanto può valere, penso che la tua storia sia una stronzata» disse. Stoddard lo guardò, la sorpresa sul viso. «Cosa intende? Io l'amavo. Non volevo...»

«L'hai seguita con un preciso intento. Per ucciderla. Lei ti ha respinto e tu non potevi sopportarlo, perciò volevi la sua morte. E ora, diciassette anni dopo, cerchi di raccontarlo in modo diverso, come fosse la storia di Romeo e Giulietta o qualcosa del genere. Sei un codardo, Stoddard. Le hai dato la caccia e l'hai uccisa, e dovresti almeno ammetterlo.» «No, si sbaglia. La pistola era per me.» Bosch rientrò nella stanza e si chinò sul tavolo. «Sì? E che mi dici dell'arma stordente, Stoddard? Anche quella era per te? L'hai lasciata fuori dal tuo racconto, vero? Perché avresti avuto bisogno di un'arma stordente se fossi andato là dentro per ucciderti?» Stoddard rimase in silenzio. Era quasi come se, dopo diciassette anni, fosse riuscito a cancellare la Professional 100 dalla sua memoria. «Abbiamo l'omicidio di primo grado con l'aggravante della premeditazione» disse Bosch. «Ti farai il viaggio fino in fondo, Stoddard. Non avevi nessuna intenzione di ucciderti. Né allora, né oggi.» «Ora penso di volere un avvocato.» «Già, certo che lo vuoi.» Bosch lasciò la stanza e camminò lungo il corridoio verso una porta aperta. Era la stanza dei monitor. Nel piccolo locale c'erano il tenente e uno degli agenti della mobile. Due dei video erano accesi. Su uno Bosch vide Stoddard seduto nella stanza degli interrogatori. Fissava il muro sul quale, in un angolo, era montata la telecamera che lo inquadrava. L'immagine sull'altro schermo era immobile. Mostrava Bosch e Stoddard sul sedile posteriore dell'auto di pattuglia. «Com'è l'audio?» domandò Bosch. «Magnifico» disse il tenente. «Ce l'abbiamo. Togliergli le manette è stato un tocco perfetto. Ha fatto in modo che il volto finisse davanti all'obiettivo.» Il tenente premette un interruttore e l'immagine cominciò a muoversi. Bosch sentiva chiaramente la voce di Stoddard. Annuì. L'auto di pattuglia era stata equipaggiata con una telecamera sul cruscotto utilizzata per filmare i posti di blocco e il trasporto di prigionieri. Per la corsa in auto con Stoddard era stato acceso il microfono interno e l'esterno era stato spento. Aveva funzionato alla perfezione. Le ammissioni di Stoddard sul sedile posteriore avrebbero aiutato a blindare il caso. Da quel punto di vista, Bosch era tranquillo. Ringraziò il tenente e l'agente e chiese se poteva prendere in prestito la scrivania per fare qualche telefonata. Chiamò Abel Pratt, lo aggiornò e lo rassicurò. Rider era scossa, ma per il

resto stava bene. Bosch spiegò a Pratt che aveva dovuto mandare gli uomini della Scientifica a casa sia di Stoddard sia di Muriel Verloren per esaminare le scene del crimine. Disse che era stato richiesto e accordato un mandato di perquisizione prima che gli uomini della Scientifica entrassero nell'abitazione di Stoddard. Confermò che stavano per schedare Stoddard e per prendergli le impronte digitali, che sarebbero poi state comparate con quelle trovate sull'asse sotto il letto di Rebecca Verloren. Per finire, raccontò a Pratt del video girato durante il viaggio alla stazione di servizio e delle ammissioni che Stoddard aveva fatto. «È tutto inequivocabile ed è su nastro» disse Bosch. «E ha parlato solo dopo che gli avevo letto i diritti.» «Ben fatto, Harry» disse Pratt. «Non penso che avremo niente di cui preoccuparci.» «Non per quanto riguarda il caso, almeno.» Nel senso che Stoddard avrebbe ceduto senza problemi, ma Bosch non era sicuro di come avrebbe fatto a cavarsela con l'analisi del suo operato nella gestione delle indagini. «È dura contestare, quando ci sono i risultati.» «Vedremo.» Bosch ricevette un avviso di chiamata sul telefono. Disse a Pratt che doveva andare e premette il tasto per prendere la nuova telefonata. Era McKenzie Ward del Daily News. «Mia sorella stava ascoltando la radio al laboratorio fotografico» disse con urgenza. «Ha detto che una pattuglia e un'ambulanza sono state inviate a casa dei Verloren. Ha riconosciuto l'indirizzo.» «È vero.» «Cosa succede, detective? Avevamo un accordo, ricorda?» «Sì, me lo ricordo e stavo per chiamarla.» 42 La cucina al Metro Shelter era buia. Bosch entrò nel piccolo atrio dell'hotel accanto e parlò con l'uomo dietro il vetro. Chiese il numero di stanza di Robert Verloren. «È andato, amico.» Il carattere risolutivo del tono scavò un buco nel petto di Bosch. Non suonava come se Robert Verloren fosse uscito per la serata. «Cosa vuol dire andato?»

«Vuol dire andato. L'ha fatto ed è andato. Questo è quanto.» Bosch fece un passo verso il vetro. L'uomo teneva un romanzo in edizione economica aperto sul bancone e non aveva alzato gli occhi dalle pagine ingiallite. «Ehi, guardami.» L'uomo ripiegò il libro per non perdere il segno e alzò lo sguardo. Bosch gli mostrò il distintivo. Poi abbassò gli occhi e vide che il libro si intitolava Chiedi alla polvere. «Sì, agente.» Bosch scrutò gli occhi stanchi dell'uomo. «Cosa vuol dire l'ha fatto e cosa vuol dire è andato?» L'uomo alzò le spalle. «È arrivato ubriaco, e questa è l'unica regola che abbiamo qui. Non si beve. Niente ubriachi.» «È stato licenziato?» L'uomo annuì. «E la sua stanza?» «Le stanze vengono con il lavoro. Come ho detto, è andato.» «Dove?» L'uomo alzò le spalle ancora una volta. Indicò la porta che conduceva al marciapiede sulla Fifth Street. Stava dicendo a Bosch che Verloren era là fuori, da qualche parte. «Succede» disse. Bosch tornò a guardarlo. «Quando è andato?» «Ieri. Siete stati voi poliziotti a fargli questo, lo sa.» «Cosa vuol dire?» «Ho sentito dei poliziotti entrare qua dentro, dirgli delle merdate. Non so cosa riguardassero, ma è stato appena prima di..., mi capisce insomma. Ha lasciato il lavoro, è uscito e ci ha preso gusto di nuovo. E questo è tutto. Io so solo che ora abbiamo bisogno di un nuovo chef perché il tizio che stavano inserendo non è capace di cucinare neanche una merda di uovo.» Bosch non disse nient'altro. Si allontanò dalla vetrata e andò alla porta. Fuori dal ricovero la strada brulicava di gente. Il popolo della notte. I feriti e i disadattati. Gente che si nascondeva dagli altri e si nascondeva da se stessa. Gente che scappava dal passato, dalle cose che aveva fatto e da quelle che non aveva fatto. Bosch sapeva che la storia sarebbe uscita sui giornali il giorno seguente.

Avrebbe voluto essere lui a dirlo a Robert Verloren. Decise di cercare l'uomo fuori da lì. Non sapeva che reazione avrebbe provocato la notizia che portava. Non sapeva se avrebbe tirato Verloren fuori dal suo buco o lo avrebbe spinto più a fondo. Forse niente poteva più aiutarlo, ormai. Ma glielo voleva dire lo stesso. Il mondo era pieno di gente che non era capace di andare oltre. Non c'era fine e non c'era pace. La libertà non ti libera, ma puoi sempre andare oltre. Era questo che Bosch gli avrebbe detto. Puoi dirigerti verso la luce, arrampicarti, scavare e combattere per trovare la via per uscire dal buco. Bosch spalancò la porta e si diresse fuori, nella notte. 43 Il campo della parata dell'Accademia di Polizia si posava come una coperta verde contro le colline alberate dell'Elysian Park. Era un luogo magnifico, ombreggiato, e rappresentava perfettamente la tradizione che il capo della polizia desiderava che Bosch rammentasse. Alle otto della mattina successiva all'infruttuosa ricerca notturna di Robert Verloren, Bosch si presentò al tavolo degli invitati per la cerimonia del diploma e venne scortato al posto che gli era stato assegnato sulla piattaforma sotto la tenda delle autorità. C'erano quattro file di sedie dietro il leggio da cui sarebbero stati pronunciati i discorsi. Dalla sedia di Bosch si scorgeva il terreno delle parate dove i nuovi cadetti avrebbero marciato prima di mettersi in formazione per permettere agli ufficiali di passarli in rassegna. Come ospite invitato dal comandante, Bosch sarebbe stato uno degli ispettori. Il detective era in alta uniforme. La tradizione voleva che ci si mettesse in ghingheri per le cerimonie di diploma dei nuovi agenti, per dar loro il benvenuto nell'uniforme con l'uniforme. Bosch era in anticipo. Si sedette da solo e ascoltò la banda della polizia che eseguiva dei vecchi standard. Altri VIP vennero accompagnati ai rispettivi posti, ma non lo degnarono di uno sguardo. Erano per la gran parte politici, dignitari e qualche reduce della guerra in Iraq decorato con il Purple heart che indossava l'uniforme del corpo dei Marine. La pelle di Bosch era ruvida sotto il colletto inamidato e la cravatta annodata stretta. Era rimasto quasi un'ora sotto la doccia per grattare via l'inchiostro che si era messo sulla pelle, nella speranza che tutte le brutture di quel caso finissero nello scarico con il colore.

Non notò il vicecapo Irvin Irving che si avvicinava finché il cadetto che lo accompagnava non disse: «Mi scusi, signore». Bosch alzò lo sguardo e vide che stavano facendo accomodare Irving proprio accanto a lui. Si irrigidì e spostò il programma dalla sedia destinata a Irving. «Si diverta, signore» disse il cadetto prima di voltarsi di scatto e dirigersi verso un altro VIP. Dapprincipio Irving non disse nulla. Parve impiegare parecchio tempo per mettersi a proprio agio e per guardarsi attorno e controllare che nessuno li guardasse. Erano in prima fila, due dei posti migliori. Alla fine parlò a Bosch senza voltarsi. «Che succede, Bosch?» «Me lo dica lei, capo.» Anche Bosch diede un'occhiata in giro per verificare se ci fosse qualcuno a osservarli. Era ovvio che non fossero seduti uno accanto all'altro per caso. Bosch non credeva nelle coincidenze. Non di questo genere. «Il capo ha detto che mi voleva qui» disse. «Mi ha invitato lunedì quando mi ha restituito il distintivo.» «Buon per lei.» Passarono altri cinque minuti prima che Irving parlasse di nuovo. La tenda era quasi piena, salvo che per i posti in fondo alla prima fila riservati al capo della polizia e alla moglie. Ora il vicecapo sussurrò. «Ha avuto una settimana bestiale, detective. È atterrato nella merda e ne è uscito profumato come una rosa. Congratulazioni.» Bosch annuì. Era un'analisi molto accurata. «E che mi dice di lei, capo? Ancora una dura settimana di lavoro d'ufficio?» Irving non rispose. Bosch pensò ai luoghi dove aveva cercato Robert Verloren la notte precedente. Pensò al volto di Muriel Verloren quando la donna aveva visto l'assassino della figlia che veniva accompagnato all'auto di pattuglia. Bosch aveva dovuto spingere Stoddard sul sedile posteriore per sottrarlo alla vista di lei. «È stato tutto a causa sua» disse Bosch con calma. Irving lo guardò per la prima volta. «Di cosa sta parlando?» «Diciassette anni, di questo sto parlando. Lei e il suo uomo avete controllato gli alibi degli Otto. Il suo uomo non sapeva che Gordon Stoddard era anche l'insegnante della ragazza. Se fossero stati Green e Garcia a oc-

cuparsi degli alibi - come avrebbe dovuto essere - sarebbero arrivati a Stoddard e avrebbero messo insieme i pezzi. Diciassette anni fa. Tutto quel tempo è sulle sue spalle.» Irving si girò del tutto sulla sedia per fronteggiare Bosch. «Avevamo un accordo, detective. Se lei infrange i patti, io trovo un altro modo per arrivare a lei. Spero che questo sia chiaro.» «Sì, certo, quello che vuole, capo. Ma dimentica una cosa. Non sono l'unico a sapere. Cosa farà? Stringerà i suoi piccoli patti con tutti? Con tutti i giornalisti? Tutti i poliziotti? Tutte le madri e tutti i padri che hanno dovuto vivere una vita tarlata per quello che ha fatto?» «Abbassi la voce» disse Irving a denti stretti. Bosch rispose con un tono di voce basso, calmo. «Ho detto tutto quello che volevo dire.» «Bene, allora lasci che le dica io una cosa, non ho finito. Se scoprirò...» Troncò la frase a metà, stava arrivando il capo della polizia insieme alla moglie. Irving si raddrizzò sulla sedia, mentre la musica cresceva di volume, lo show aveva inizio. Ventiquattro cadetti con i loro distintivi nuovi di zecca sulle uniformi marciarono nel campo delle parate e presero posizione di fronte alla tenda delle autorità. Ci furono troppi discorsi preliminari, l'ispezione dei nuovi agenti durò troppo a lungo, ma alla fine il programma giunse all'evento principale, il tradizionale discorso del capo della polizia. L'uomo che aveva riportato Bosch nel dipartimento era rilassato ed equilibrato dietro il leggio. Parlò di ricostruire il Dipartimento di Polizia dall'interno, a partire dai ventiquattro nuovi agenti che aveva davanti. Disse che intendeva ristabilire sia l'immagine sia i comportamenti del dipartimento. Ripeté molte delle cose che aveva detto a Bosch lunedì mattina. Invitò i nuovi agenti a non infrangere mai la legge per difendere la legge. A eseguire sempre il loro dovere sotto l'egida della costituzione e della compassione. Ma poi sorprese Bosch con le conclusioni finali. «Vorrei anche attirare la vostra attenzione su due poliziotti che oggi sono qui come miei ospiti. Uno viene, l'altro va. Il detective Harry Bosch è tornato nel dipartimento questa settimana dopo alcuni anni di congedo. Penso che durante il periodo prolungato di lontananza abbia imparato che a un vecchio cane si possono insegnare nuovi trucchi.» Dalla folla che si trovava sull'altro lato del campo delle parate si levarono delle risate di cortesia. Era lì che si trovavano i familiari e gli amici dei cadetti. Il capo proseguì.

«Perciò è tornato nella famiglia del Dipartimento di Polizia di Los Angeles e ha già ottenuto un risultato mirabile. Ha messo a repentaglio la propria vita per il bene della comunità. Ieri lui e la sua partner hanno risolto un caso di omicidio di diciassette anni fa, che bruciava come una spina nel fianco della comunità. Diamo il bentornato all'ovile al detective Bosch.» Dalla folla si levò un breve applauso. Bosch sentì il viso divenire bollente. Abbassò lo sguardo sulle mani. «Vorrei anche ringraziare il vicecapo Irvin S. Irving per la sua presenza qui oggi» proseguì. «Il comandante Irving ha servito in questo dipartimento per quasi quarantacinque anni. Nessuno degli agenti attualmente in servizio fa parte del dipartimento da più tempo. La sua decisione di andare in pensione oggi e di fare di questa cerimonia l'atto finale della sua vita con il distintivo è la degna conclusione dei tanti anni di servizio. Lo ringraziamo per un simile servigio al dipartimento e alla città.» L'applauso per Irving fu più intenso e sostenuto. La gente iniziò ad alzarsi in onore dell'uomo che aveva servito il dipartimento e la città tanto a lungo. Bosch si voltò appena verso destra, in modo da poter osservare il viso di Irving, e capì nel momento in cui scorse gli occhi del vicecapo che non aveva visto arrivare il colpo. Lo avevano messo alle strette. Presto tutti quanti si alzarono in piedi per applaudire, e Bosch si sentì in obbligo di fare altrettanto, nonostante disprezzasse quell'uomo. Sapeva con esattezza chi aveva architettato la caduta di Irving. Se Irving avesse protestato o avesse cercato di recuperare la posizione, avrebbe affrontato un'indagine interna patrocinata da Kizmin Rider. Non c'era dubbio su chi avrebbe perso in tal caso. Assolutamente nessun dubbio. Quello che Bosch non sapeva era quando il piano fosse stato immaginato. Bosch pensò a Rider seduta alla scrivania nella stanza 503, mentre lo aspettava con un caffè nero, proprio come piaceva a lui. Allora sapeva già da quale caso proveniva il cold hit e dove li avrebbe portati? Ricordò la data sul rapporto del Dipartimento di Giustizia. Aveva dieci giorni quando lui l'aveva letto. Cos'era successo durante quei dieci giorni? Cos'era stato progettato per il suo arrivo? Bosch non lo sapeva e non era neppure certo che gli importasse saperlo. Le politiche del dipartimento si stabilivano al sesto piano. Bosch lavorava nella stanza 503 e lì si sarebbe fermato. Niente domande. Dopo che il capo ebbe terminato il commento conclusivo, si allontanò dal microfono. Diede a ciascuno dei cadetti, uno per uno, un certificato nel

quale si attestava che avevano terminato l'addestramento all'Accademia e si mise in posa per le foto in cui stringeva la mano alle reclute. Fu tutto molto veloce, pulito, coreografato alla perfezione. Tre elicotteri della polizia volarono sopra il campo delle parate in formazione e i cadetti terminarono la cerimonia gettando in aria i berretti. Bosch ricordò il giorno in cui, più di trentacinque anni prima, anche lui aveva gettato in aria il berretto. Sorrise al ricordo. Non era rimasto nessuno del suo corso. Erano tutti morti o in pensione, oppure avevano fatto fiasco. Sapeva che toccava a lui portare la bandiera e difendere la tradizione. Combattere la guerra giusta. Quando la cerimonia finì e la folla s'affrettò a riempire il campo per congratularsi con i nuovi agenti, Bosch guardò Irving alzarsi e camminare verso l'uscita dell'area. Non si fermò per nessuno, neppure per quelli che gli allungavano la mano per congratularsi. «Detective, ha avuto una settimana molto densa.» Bosch si voltò. Era il capo della polizia. Annuì. Non sapeva cosa dire. «Grazie di essere qui» disse il comandante. «Come sta il detective Rider?» «Si è presa un giorno di riposo. Ieri una pallottola l'ha mancata di un soffio.» «Così ho sentito dire. Ci sarà uno di voi alla conferenza stampa di oggi?» «Be', lei non c'è, e io stavo pensando di evitarla, se va bene.» «Ce la caveremo. Vedo che lei ha già fornito la storia al Daily News. Ora tutti gli altri si accalcano per ottenere la propria parte. Dobbiamo allestire un bel circo anche per loro.» «Avevo un debito con la reporter del News.» «Sì, capisco.» «Quando le acque si saranno calmate, avrò ancora un lavoro, comandante?» «Certo, detective Bosch. Come in tutte le indagini, bisogna operare delle scelte. Scelte difficili. Lei ha preso le decisioni migliori che potesse prendere. Ci sarà un esame, ma non penso che avrà problemi.» Bosch annuì. Stava per dire grazie ma preferì evitarlo. Si limitò a guardare l'uomo. «C'è qualcos'altro che mi vuole chiedere, detective?» Bosch annuì di nuovo. «Mi chiedevo una cosa» disse.

«A che proposito?» «Il caso è partito con una lettera del Dipartimento di Giustizia e quella lettera è rimasta ferma finché sono arrivato io. Mi chiedevo perché fosse stata tenuta per me. Intendo dire, lei cosa sapeva e quando l'ha saputo?» «Tutto questo ha importanza adesso?» Bosch sporse il mento nella direzione in cui se n'era andato Irving. «Forse» disse. «Non lo so. Ma non se ne andrà così. Si rivolgerà ai media. O agli avvocati.» «Sa che se lo facesse sarebbe un errore. Ci sarebbero delle conseguenze per lui. Non è uno sciocco.» Bosch si limitò ad annuire. Il capo lo studiò un momento prima di parlare di nuovo. «Sembra ancora inquieto, detective. Si ricorda cosa le dissi lunedì? Le dissi che avevo analizzato appieno il suo caso e la sua carriera prima di decidere se darle il bentornato.» Bosch lo fissò senza parlare. «Dicevo sul serio» disse il comandante. «L'ho studiata e penso di sapere qualcosa di lei. Lei è su questa terra per un motivo, detective Bosch. E ora ha l'opportunità di fare ciò per cui è al mondo: continuare a portare avanti la sua missione. Dopo di ciò, c'è qualcos'altro che ha importanza?» Bosch resse lo sguardo a lungo prima di parlare. «In realtà quello che volevo chiederle riguarda proprio ciò che mi disse lunedì. Quando parlò dei mormorii e delle voci, diceva sul serio? O mi stava solo attizzando per mettermi alle calcagna di Irving?» Subito si sprigionarono fiamme dalle guance del capo della polizia. Distolse lo sguardo dagli occhi di Bosch mentre componeva la risposta. Tornò a guardare il detective e furono i suoi occhi a reggere lo sguardo questa volta. «Pensavo ogni parola che ho pronunciato. E non lo dimentichi. Lei torni alla stanza cinque, zero, tre e chiuda i casi, detective. È per questo che è qui. Chiuda i casi o troverò qualche buona ragione per chiuderla fuori. Mi capisce?» Bosch non si sentì minacciato. Gli piacque la risposta del comandante. Lo fece sentire meglio. Annuì. «Capisco.» Il capo alzò la mano e prese Bosch per l'avambraccio. «Bene. Allora andiamo laggiù e facciamoci fare una foto con qualcuno di quei giovani che oggi si sono uniti alla nostra famiglia. Magari potreb-

bero imparare qualcosa da noi. Magari noi potremmo imparare qualcosa da loro.» Mentre si muovevano nella folla, Bosch guardò nella direzione che aveva preso Irving. Il vicecapo era scomparso da un pezzo. 44 Bosch cercò Robert Verloren per tre delle sette notti successive, ma lo trovò solo quando ormai era troppo tardi. Una settimana dopo la cerimonia del diploma, Bosch e Rider erano seduti uno di fronte all'altro alle rispettive scrivanie, presi a dare le ultime pennellate al caso contro Gordon Stoddard. L'imputato d'omicidio era stato chiamato in giudizio dal tribunale di San Fernando all'inizio della settimana e si era dichiarato non colpevole. Ora il balletto giudiziario aveva avuto inizio. Bosch e Rider avrebbero dovuto mettere insieme un impianto accusatorio che doveva tracciare le linee guida del caso contro Stoddard. Sarebbe stato consegnato alla pubblica accusa e utilizzato nella negoziazione con l'avvocato difensore di Stoddard. Dopo aver incontrato Muriel Verloren, Bosch e Rider, la pubblica accusa aveva impostato la propria strategia. Se Stoddard avesse scelto di andare al processo, lo Stato avrebbe chiesto la pena di morte per l'aggravante della premeditazione. L'alternativa per Stoddard era evitare il rischio della pena capitale dichiarandosi colpevole di omicidio di primo grado e patteggiando l'ergastolo senza la possibilità di accedere alla libertà vigilata. In un caso o nell'altro, il rapporto che Bosch e Rider avrebbero redatto sarebbe stato di vitale importanza, perché avrebbe mostrato a Stoddard e al suo avvocato quanto erano solide le prove in loro possesso. Sarebbero riusciti a forzare la mano, avrebbero spinto Stoddard a scegliere tra la tetra alternativa di trascorrere l'esistenza in carcere o di giocarsi la vita sull'esile speranza di convincere una giuria della propria innocenza. Era stata una buona settimana fino a quel momento. Rider si era ripresa dallo spavento che le aveva provocato la pallottola di Stoddard e aveva riconquistato la consueta abilità nell'elaborare i documenti di sintesi delle indagini. Bosch aveva trascorso tutto il lunedì a ricostruire i passaggi del caso con un investigatore della Affari Interni e, il giorno seguente, era stato scagionato. Il verdetto «non atto a procedere» significava che all'interno del dipartimento Bosch era pulito, anche se i numerosi articoli che affollavano i giornali continuavano a sollevare domande sul perché il dipartimen-

to avesse usato Mackey come esca. Bosch era pronto a passare all'indagine successiva. Aveva già confidato a Rider che desiderava dare un'occhiata al caso della donna che avevano trovata legata e annegata nella vasca da bagno il giorno in cui lui era entrato in servizio. Lo avrebbero esaminato appena terminate le pratiche su Stoddard. Abel Pratt uscì dall'ufficio e si infilò nel loro bugigattolo. Aveva sul viso un'espressione funerea. Annuì in direzione dello schermo del computer di Rider. «State lavorando al caso Stoddard?» «Sì» disse Rider. «Che succede?» «Potete lasciar perdere. È morto.» Nessuno disse nulla per un lungo istante. «Morto?» domandò alla fine Rider. «Che cosa significa morto?» «È morto nella sua cella della prigione di Van Nuys. Due ferite da perforazione al collo.» «Lo ha fatto da solo?» domandò Bosch. «Non pensavo che ne avrebbe avuto la forza.» «No, è stato qualcun altro.» Bosch si irrigidì sulla sedia. «Aspetta un minuto» disse. «Era in isolamento in un reparto di massima sicurezza. Nessuno avrebbe potuto...» «Qualcuno lo ha fatto questa mattina» disse Pratt. «E adesso arriva il brutto.» Pratt sollevò un taccuino che aveva in mano. C'erano degli appunti scarabocchiati. Li lesse. «Lunedì sera un uomo è stato arrestato sul Van Nuys Boulevard per ubriachezza molesta. Ha anche aggredito uno degli agenti che lo avevano fermato. Gli sono state prese le impronte ed è stato condotto nel carcere di Van Nuys. Non aveva documenti e ha dichiarato di chiamarsi Robert Light. Il giorno seguente, si è dichiarato colpevole di tutti i capi d'accusa e il giudice lo ha condannato a una settimana nella prigione di Van Nuys. Le impronte non erano ancora state passate al computer.» Bosch avvertì un profondo strappo allo stomaco. Era terrorizzato. Sapeva dove sarebbe arrivato il racconto. Pratt proseguì servendosi degli appunti per ricostruire la vicenda. «L'uomo che aveva dichiarato di chiamarsi Robert Light è stato assegnato alle cucine, poiché aveva sostenuto e dimostrato di avere esperienza nel

campo della ristorazione. Questa mattina ha barattato il proprio lavoro con quello di un altro addetto alle cucine e si è occupato del carrello con le vivande per i detenuti sotto sorveglianza speciale. Secondo quanto hanno riferito due guardie, quando Stoddard si è avvicinato alla finestrella scorrevole sulla porta della cella per ritirare il vassoio, Robert Light ha allungato la mano attraverso le sbarre e lo ha afferrato. Lo ha poi pugnalato ripetutamente con un punteruolo realizzato affilando un cucchiaio rotto. Stoddard ha subito due ferite da perforazione al collo prima che le guardie potessero soccorrerlo. Ormai era troppo tardi. Le arterie della carotide di Stoddard erano tagliate e l'uomo è morto dissanguato prima che i secondini potessero prestargli soccorso.» Pratt si fermò ma Bosch e Rider non gli rivolsero domande. «Per pura coincidenza,» riprese Pratt «le impronte di Robert Light venivano finalmente passate al computer proprio mentre lui uccideva Stoddard. Il computer ha smascherato un inganno: il detenuto aveva fornito delle false generalità. Il vero nome, come sono certo avrete già immaginato, era Robert Verloren.» Bosch fissò Rider dall'altra parte del tavolo ma non riuscì a reggere a lungo il suo sguardo. Abbassò gli occhi sulla scrivania. Si sentiva come se fosse stato preso a pugni. Chiuse gli occhi e si strofinò il viso con le mani. Aveva la sensazione che in qualche modo fosse colpa sua. Era lui che aveva la responsabilità di occuparsi di Robert Verloren. Lo avrebbe dovuto trovare. «Come vi pare come conclusione?» Bosch lasciò cadere le mani e si alzò. Guardò Pratt. «Dov'è?» «Verloren? È ancora lì. Se ne sta occupando la Omicidi di Van Nuys.» «Ci vado.» «Cosa farai?» domandò Rider. «Non lo so. Tutto quello che posso.» Uscì dalla nicchia e si lasciò alle spalle Rider e Pratt. In corridoio premette il tasto dell'ascensore e attese. La pesantezza al petto non si allentava. Sapeva che era il senso di colpa, la sensazione di non essere stato pronto per il caso e di aver commesso degli errori che erano costati molto cari. «Non è colpa tua, Harry. Ha fatto quello che aspettava da diciassette anni.» Bosch si voltò. Rider lo aveva raggiunto.

«Lo avrei dovuto trovare prima.» «Non voleva essere trovato. Aveva un piano.» La porta dell'ascensore si aprì. Era vuoto. «Qualunque cosa tu abbia intenzione di fare,» disse Rider «io vengo con te.» Bosch annuì. Insieme a lei sarebbe stato più semplice. La invitò a entrare nell'ascensore e la seguì. Mentre scendevano, avvertì la determinazione che cresceva dentro di lui. La determinazione a portare avanti la sua missione. La determinazione a non dimenticare Robert, Muriel e Rebecca Verloren. E si ripromise che avrebbe parlato sempre per conto dei morti.

Ringraziamenti L'autore desidera ringraziare tutti coloro che hanno collaborato alle ricerche e alla stesura di questo romanzo. Tra di essi ci sono Michael Pietsch, Asya Muchnick, Jane Wood e Peggy Leith Anderson, oltre a Jane Davis, Linda Connelly, Terrill Lee Lankford, Mary Capps, Judy Couwels, John Houghton, Jerry Hooten e Ken Delavigne. Un ringraziamento molto speciale ai detective Tim Marcia, Rick Jackson e David Lambkin del Dipartimento di Polizia di Los Angeles, oltre che al sergente Bob McDonald e al capo della polizia William Bratton. FINE