Ernesto Balducci
Storia del pensiero umano Volume secondo
Edizioni Cremonese
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Ernesto Balducci
Storia del pensiero umano Volume secondo
Edizioni Cremonese
I
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In dice
Capitolo 1
Pag.
1
L'uMANESIMO FILOLOGICO, p. 2 - 1.1 Francesco Petrarca, p. 2 - 1.2 Gli 'uomini nuovi', p. 3 - 1.3 Lorenzo Valla, p. 6 NICOLA CusANO, p. 7 - 1.4 11 finito e l'infinito, p. 7 - 1.5 La dotta ignoranza, p. 9 - 1.6 La cosmologia, p. 10 - 1.7 L'ideale ecumenico, p. 12 MARSILIO FICINO, p. 13 · 1.8 Platone o Aristotele?, p. 13 · 1.9 L'Accademia platonica, p. 14 - 1.10 La teologia platonica, p. 15 - 1.11 Amore e Bellezza, p. 16 PICO DELLA MIRANDOLA, p. 17- 1.12 L'uomo come 'microcosmo', p. 17 - 1.13 L'utopia della pace, p. 19. L'ARISTOTELISMO UMANisnco, p. 19 - 1.14 Le due 'sette' aristoteliche, p. 19 - 1.15 Pietro Pomponazzi, p. 21 Capitolo 2 LA FINE DELLA CRISTIANITA, p. 24 - 2.1 11 trapasso, p. 24- 2.2 11 Savonarola, p. 26 NICCOL6 MACHIAVELLI, p. 28 - 2.3 Machiavelli e il SUO tempo, p. 28 -2.4 L'arte dello Stato, p. 30 - 2.5 La fortuna e la virtu, p. 32 - 2.6 Francesco Guicciardini, p. 33 L'uTOPIA UMANISTICA, p. 35 - 2.7 Erasmo di Rotterdam, p. 35 - 2.8 11 pacifismo di Erasmo, p. 37 - 2.9 Tommaso Moro, p. 38 LA RIFORMA PROTESTANTE, p. 41 - 2.10 Martin Lutero, p. 41 - 2.11 - Le tesi luterane, p. 43 - 2.12 Giovanni Calvino, p. 45 RIFORMA CATTOLICA E CONTRORIFORMA, p. 47 · 2.13 La riforma cattolica, p. 47- 2.14 11 cattolicesimo tridentino, p. 48- 2.15 La seconda scolastica, p. 49 - 2.16 Agli esordi dello Stato laico, p. 51
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VI 0 lndice Capitola 3
Pag.
54
DALLA MAGIA ALLA SCIENZA, p. 55 - 3.1 Il mago del Cinquecento, p. 55 3.2 La magia come trionfo dell'uomo, p. 57 - 3.3 I due limiti tra magia e scienza, p. 58 BERNARDINO TELESIO, p. 59 - 3.4 Il ritorno ai presocratici, p. 59 - 3.5 Il mondo e del tutto mondano, p. 60 GIORDANO BRUNO, p. 62 - 3.6 L'infinita del mondo, p. 62 - 3.7 La religione della natura, p. 64 - 3.8 L'eroico furore, p. 65 TOMMASO CAMPANELLA, p. 66- 3.9 Tra naturalismo e magia, p. 66 -3.10 Metafisica e antropologia, p. 67 - 3.11 La gnoseologia, p. 68 - 3.12 L'utopia politica, p. 70 · L'UMANESIMO scETTico IN FRANCIA, p. 71 - 3.13. Franc;:ois Rabelais, p. 71 - 3.14. Michel de Montaigne, p. 74 - 3.15 Pierre Charron, p. 76
Capitola 4
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78
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106
Gu ESORDI DELLA SCIENZA, p. 79 - 4.1 Jl mutamento culturale, p. 79 4.2 Leonardo da Vinci, p. 80 LA RIVOLUZIONE COPERNICANA, p. 83 - 4.3 Niccolo Copernico, p. 83 - 4.4 Giovanni Keplero, p. 86 GALILEO GALILEI, p. 87 - 4.5 Il caso Galilei, p. 87 - 4.6 La scienza, nuova filosofia, p. 91 - 4.7 Autonomia e limiti della ragione, p. 94 - 4.8 Il metodo, p. 95 - 4.9 L'eta galileiana, p. 96 FRANCESCO BACONE, p. 98 - 4.10 L'araldo dei tempi nuovi, p. 98 - 4.11 Il metoda baconiano, p. 101 - 4.12 L'ambivalenza di Bacone, p. 103
Capitola 5 CARTESIO, p. 107 - 5.1 Il progetto di una 'scienza universale', p. 107 5.2 Il metodo, p. 110- 5.3 Il punto archimedico della filosofia, p. 112 - 5.4 Dall'io a Dio, p. 114 - 5.5 Da Dio al mondo, p. 116 - 5.6 La fisica, p. 118 - 5.7 La psicologia, p. 120 - 5.8 La morale, p. 121. ATTORNO A CARTESIO, p. 123- 5.9 I 'libertini', p. 123- 5.10 Pierre Gassendi, p. 124 - 5.11 L'occasionalismo, p. 125 MALEBRANCHE, p. 126- 5.12 L'armonia tra fede e ragione, p. 126 -5.13 Superamento del dualismo, p. 127 - 5.14 Razionalismo teologico, p. 128 PASCAL, p. 129- 5.15 Pascale Port-Royal, p. 129- 5.16 Potenza e limiti della ragione, p. 132 - 5.17 La comprensione dell'uomo, p. 1345.18 La condizione umana, p. 136 - 5.19 La risposta apologetica, p. 137
lndice 0 VII
Capitolo 6
Pag. 141
LA RAGIONE BORGHESE, p. 142 - 6.1 L'espansione del razionalismo, p. 142 - 6.2 La prima rivoluzione borghese, p. 143 - 6.3 Ugo Grozio, p. 145 - 6.4 I temi del giusnaturalismo, p. 147 HoBBES, p. 148 - 6.5 Dalla metafisica alla meccanica, p. 148 - 6.6 Il materialismo metodologico, p. 150- 6.7 Il materialismo etico, p. 1526.8 Lo stato di naturae il contratto sociale, p. 152- 6.9 Il Leviatano, p. 154 NEWTON, p. 156- 6.10 Dalla metafisica alle scienze: l'ultimo passo, p. 156 - 6.11 Il metodo, p. 158 - 6.12 La legge di gravitazione p. 159 6.13 11 mondo e un sistema?, p. 160 - 6.14 La teologia, p. 161 LocKE, p. 162 - 6.15 La filosofia del huon senso, p. 162- 6.16 Il problema critico, p. 164- 6.17 Critica dell'innatismo, p. 165- 6.18 Origine e classificazione delle idee, p. 166 - 6.19 I gradi della conoscenza, p. 168 - 6.20 Lo stato di natura e il contratto sociale, p. 169 - 6.21 Poteri e limiti dello Stato, p. 171 - 6.22 Il cristianesimo ragionevole, p. 172 Capitolo 7
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205
SPINOZA, p. 176- 7.1 L'ideale matematico, p. 176- 7.2 La prospettiva morale, p. 178-7.3 La .sostanza, p. 180-7.4 La necessita, p. 182-7.5 L'antropologia, p. 183- 7.6 La questione politica, p. 186- 7.7 La religione, p. 188 LEIBNIZ, p. 190- 7.8 Un intellettuale europeo, p. 190- 7.9 Dalla logica alia metafisica, p. 192- 7.10 Dal meccanicismo al finalismo, p. 1957.11 La conoscenza, p. 197-7.12 L'armonia prestabilita, p. 199-7.13 Necessita e liberta in Dio, p. 200- 7.14 Necessita e liberta nell'uomo, p. 202 Capitolo 8 (Aldo Bondi) PANORAMA DEL SETTECENTO, p. 206 - 8.1 Le rivoluzioni 'materiali' del secolo, p. 206- 8.2 Una rivoluzione 'culturale'?, p. 208- 8.3 I 'lumi' e la borghesia, p. 210 - 8.4 Cronologia e geografia dell'illuminismo, p. 214 LA RIFLESSIONE EPISTEMOLOGICA, p. 217 - 8.5 Il quadro della ricerca scientifica, p. 217 - 8.6 L' empirismo teologico di Berkeley, p. 219 8.7 Il razionalismo tedesco, p. 224 - 8.8 L'empirismo scettico di Hume, 227 - 8.9 L'empirismo radicale di Condillac, p. 233 IL MITO DELLA NATURA, p. 236 - 8.10 Tra meccanicismo e vitalismo, p. 236 - 8.11 Anche la natura ha una sua storia, p. 239 - 8.12 Il sentimento della natura, p. 241 DALLA NATURA ALLA CULTURA, p. 243 - 8.13 La scoperta del 'milieu', p. 243 - 8.14 La funzione ideologica dell'idea di selvaggio, uomo di na-
VIII 0 lndice tura, p. 245 - 8.15 Dalla scienza dell'uomo alle scienze umanosociali, p. 249 Capitolo 9 (Aldo Bondi)
Pag. 252
LA RELIGIONE NATURALE, p. 253 - 9.1 11 deismo inglese, p. 253 - 9.2 La critica dell"entusiasmo' religioso, p. 258 - 9.3 La reazione dell'anglicanesimo ortodosso: Butler e Berkeley, p. 261 - 9.4 La religione naturale nello scetticismo di Hume, p. 264. IL DEISMO FUORI D'INGHILTERRA, p. 266- 9.5 La religione di Voltaire, p. 266 - 9.6 Tre opinioni diverse nell'illuminismo italiano: Muratori, Giannone e Genovesi, p. 270 - 9.7 Le scienze religiose in Germania e Francia, p. 273 L'ATEISMO, p. 276 - 9.8 11 «Testamento» di Meslier, p. 276 - 9.9 Materialismo ed ateismo: Diderot, La Mettrie, Helvetius, d'Holbach, p. 277- 9.10 11 «Vero sistema» di Deschamps, p. 282- 9.11 Primato morale degli atei?, p. 283. LA RELIGIONE DEL CUORE, p. 285- 9.12 Tramonto del cristianesimo?, p. 285 - 9.13 11 neo-cristianesimo di Rousseau, p. 286- 9.14 L'irrazionalismo di Hamann, p. 291 - 9.15 Lessing: la rivalutazione storicistica delle religioni positive, p. 292. Capitolo 10 (Aldo Bondi)
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321
LA 'sciENZA NuovA' m Vrco, p. 295- 10.1 La coscienza storica del Settecento, p. 295 - 10.2 Vico: la polemica antirazionalistica, p. 296 -10.3 Vico: metafisica e fisica, p. 299 - 10.4 La storia come scienza, p. 301 - 10.5 La sapienza poetica, p. 303 - 10.6 I corsi e ricorsi della storia, p. 305. L'IDEA m PROGREsso, p. 306 - 10.7 Fontenelle: il progresso della conoscenza, p. 306 - 10.8 L'abate di Saint Pierre: il progresso generale dell'uomo, p. 308 - 10.9 Turgot, ovvero l'esigenza di una nuova storia universale, p. 309 - 10.10 Lo storicismo di Herder in polemica coni 'lumi', p. 311 - 10.11 Condorcet: l'idea di progresso durante la Rivoluzione, p. 313. CARATTERI DELLA STORIOGRAFIA SETTECENTESCA, p. 315- 10.12 La 'Storia filosofica', p. 315- 10.13 Storia delle istituzioni e della societa civile, p. 317- 10.14 Lo sviluppo delle scienze storiche, p. 319. Capitolo 11 (Aldo Bondi) IL FONDAMENTO DELLA MORALE, p. 322 - 11.1 Mandeville: vizi privati, pubblica prosperita, p. 322 - 11.2 Shaftesbury e Hutcheson: l'autonomia del senso morale, p. 324- 11.3 Hume e Smith: la morale come simpatia, p: 325 - 11.4 La virtu come filantropia, p. 328 - 11.5 Dalla
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IX
'virtu morale' alla 'virtu politica', p. 330 - 11.6 Rousseau: la civilta corrompe, la natura e buona, p. 333 - 11.7 Rousseau: la nuova educazione, p 336. UTOPIA E PROGETTO POLITICO, p. 338 - 11.8 Il ritomo dell'utopia, p. 338 11.9 Diritto di natura, p. 340 - 11.10 Il 'Contratto sociale' di Rousseau, p. 343- 11.11 Tra riformismo e palingenesi, p. 344- 11.12 La nascita dell 'economia politica, p. 348. INDIVIDUALISMO E COSMOPOLITISMO, p. 352- 11.13 L'esplorazione dell'io, p. 352 - 11.14 Arte e natura: la nascita dell'estetica, p. 354 - 11.15 Stato e garanzie individuali: Beccaria, p. 356- 11.16 Cosmopolitismo e .Pacifismo, p. 358. Capitola 12
Pag. 361
KANT PRECRITICO, p. 362 - 12.1 I 'maestri', p. 362 - 12.2 La fase naturalistica, p. 365 - 12.3 La fase metafisica, p. 367 - 12.4 La 'grande luce', p. 369. KANT: LA RAGION PURA, p. 371 - 12.5 Il problema critico, p. 371 - 12.6 La sintesi a priori, p. 374- 12.7 Estetica trascendentale, p. 376- 12.8 Analitica trascendentale, p. 377 - 12.9 La deduzione trascendentale, p. 378 - 12.10 l-o schematismo trascendentale, p. 380- 12.11 Dialettica trascendentale, p. 381. KANT: LA RAGION PRATICA, p. 385 - 12.12 L'a priori morale, p. 385 -12.13 L'imperativo categorico, p. 387- 12.14 I1 regno dei fini, p. 390 -12.15 I postulati della ragion pratica, p. 391 - 12.16 La filosofia della religione, p. 393- 12.17 La filosofia del diritto, p. 395- 12.18 La filosofia della storia, p. 397. KANT: IL SENTIMENTO, p. 399 - 12.19 L'ultimo anello del sistema, p. 399- 12.20 Il giudizio estetico: il bello, p. 401 - 12.21 Il giudizio estetico: il sublime e il genio, p. 402 - 12.22 Il giudizio teleologico: il finalismo della natura, p. 403. Capitola 13 L'IslAM NELL'ETA MODERNA, p. 407 - 13.1 Vicende storico-culturali, p. 407 - 13.2 Il ripiegamento esoterico, p. 408 - 13.3 La scuola di Isfahan. Sandra Shirazi, p. 410. L'INDIA NELL'ETA MODERNA, p. 412- 13.4 L'impero dei Mogol. Akbar, p. 412 - 13.5 Tra induismo e islamismo, p. 413 - 13.6 La terza fase del Vedanta: Villabha, p. 415 - 13.7 Il vishnuismo bengalese: Caitanya, p. 417 - 13.8 L'eclettismo. Il declino del pensiero indiana, p. 419. L'EsTREMO ORIENTE NELL'ETA MODERNA, p. 420 - 13.9 Sviluppi della 'Scuola della Spirito universale', p. 420 - 13.10 L'idealismo di Wang Shou-jen, p. 421 - 13.11 Diffusione del neoconfucianesimo in Estre-
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406
X 0 lndice
mo Oriente, p. 426 - 13.12 L'ingresso del pensiero occidentale in Estremo Oriente (XVI - XVII sec.), p. 427 - 13.13 La fase critica e fi. lologica del confucianesimo, p. 428 - 13.14 Il pensiero giapponese nei secc. XVII e XVIII, p. 430. Indice analitico
Pag. 433
LEGENDA 0 I rimandi interni al testo sono indicati dai numeri fra parentesi (che non siano quelli cronologici), di cui il primo indica il capitola del volume, il secondo il paragrafo. Quando il rimando e ad uno degli altri due volumi, se ne da indicazione con il numero romano premesso ai due numeri arabi. Per esempio, l'indicazione (III.2.3) vuol dire: volume terzo, capitola secondo, paragrafo terzo. 0 L'asterisco apposto ad un termine in neretto indica che ad esso e dedicata una scheda, collocata all'interno della stesso paragrafo, o, quando il caso lo richiede, in uno dei paragrafi immediatamente successivi. 0 Nella trascrizione dei termini delle lingue non occidentali, per non appesantire il testo, abbiamo seguito il criteria della massima semplificazione, adottando una grafia italianizzata nella misura consentita dall'uso non specialistico. Per i termini cinesi, data che Ia riforma con cui, nel 1958, Ia Repubblica Popolare Cinese ha introdotto nell'insegnamento e nella stampa l'uso dell'alfabeto Iatino (sistema Pinyin: Mao Zedong, invece che Mao tse-tung) ha avuto in occidente scarsa diffusione, ci siamo attenuti generalmente al sistema di trascrizione detto Wade-Giles, da noi piu nota. E nei casi in cui sia invalsa in occidente una grafia difforme (ad esempio, Lao tse), l'abbiamo preferita a quella piu rigorosa (Lao tzu).
1•
Sommario 0
1
Sommario. I primi segni di una rivoluzione spirituale che avrebbe posto l'uomo al centro del mondo e della propria storia, si hanna gia nel poeta Francesco Petrarca, che ricerca negli antichi il modello di una humanitas adatta agli uomini nuovi, ormai estranei al richiamo del monachesimo (1.1). La passione filologica, cioe la passione peril patrimonio letterario degli antichi ricostruito mediante la lettura critica dei testi, e gia di per se una filosofia al cui centro c'e il primato dell'autenticita umana e del fervoroso operare nella citta terrena. Sono maestri di questa nuova humanitas i fiorentini Coluccio Salutati, Leonardo Bruni, Poggio Bracciolini, Leon Battista Alberti, che fanno della loro citta un fecondo cantiere della nuova cultura (1.2). II pensatore che si serve della filologia per obiettivi di piu radicale rinnovamento e il romano Lorenzo Valla, che osa proporre una conciliazione tra l'insegnamento di Epicuro e quello di Cristo (1.3). La scelta umanistica trova la sua espressione piu profonda in Nicola Cusano, che in un periodo di gravi conflitti interni alla chiesa cerca un punta di prospettiva che unifichi le diversita senza annullarle (1.4). Su questa via egli utilizza le piu diverse tradizioni mistiche per elaborare la dottrina della 'dotta ignoranza', basata sui principia che il punta di vista onnicomprensivo e fuori della portata della ragione umana (1.5), e n punto di vista di Dio che e illuogo in cui gli opposti coincidono, in cui tutto il molteplice si trova in stato di implicazione (1.5). L'universo fisico non e che l'esplicazione di Dio e dunque e infinito come Dio (1.6). 11 dogma cristiano dell'Incarnazione si colloca su questa sfondo cosmico e fa da fondamento per una apertura senza limiti a tutte le tradizioni del pensiero umano, neUe quali si riflette quell'unico Verba che si e rivelato ai cristiani (1. 7). L'umanesimo e anche l'eta in cui si ricerca la conciliazione tra le chiese. Una premessa a questa riconciliazione doveva essere, secondo Gemisto Pletone, il rigetto dell'aristotelismo e il ritorno a Platone (1.8). Questa stesso obiettivo si propane Marsilio Ficino che traduce i dialoghi di Platone e le Enneadi di Plotino (1.9) e, sulla base della tradizione platonica e neoplatonica, costruisce una teologia il cui obiettivo e la dimostrazione dell'immortalita dell'anima (1.10) e lo sviluppo in sensa cristiano della dottrina platonica dell'eros (1.11). Meno vincolato all'eredita del platonismo e piu aperto alla multiforme tradizione della sapienza umana e Pico della Mirandola, memorabile anche per aver tracciato, in una specie di manifesto, l'ideale umanistico della nuova epoca, nel quale la qualita propria dell'uomo non e un"essenza' determinata, rna la liberta e cioe la capacita di farsi simile al bruto o simile a Dio.(l.12). Proprio in nome di questa liberta dell'uomo Pico si oppone alle forme di astrologia e di magia che gettano sull'uomo l'ombra scura del·determinismo, e perora un suo progetto di pace universale (1.13). Ma la tendenza platonica non e l'unica del '400. C'e un'altra tendenza, orientata a comporre dentro i confini 'laici' l'esperienza umana secondo l'insegnamento di Aristotele, che in questa secolo viene accolto e sviluppato in sensa naturalistico (1.14). Con una sua posizione originale emerge, in questo periodo, Pietro Pomponazzi, che elabora un umanesimo dalle rigorose basi naturalistiche e immanentistiche (1.15).
2 0 1 - L 'umanesimo filologico
L'umanesimo filologico 1.1. Francesco Petrarca. In una sua lettera del 26 aprile 1336, Francesco Petrarca (1304-1374) narra la sua ascensione sui monte Ventoso, in Provenza. Durante una sosta, egli scrive,
mi venne in mente di consultare il libro di S. Agostino, le Confessioni... Lo apro, per leggere que! che mi capitava ... dove prima affissai il mio sguardo era scritto: «E vanno gli uomini ad ammirare le alte cime dei monti e i flutti ingenti del mare e i vastissimi corsi dei fiumi e l'immensa distesa dell'oceano e il corso delle stelle, e di se stessi non prendono cura. Secondo lo schema medioevale, decidere di 'prendere cura di se' in modo pieno yoleva dire volgere le spalle al mondo ed entrare nella solitudine monacale. Cosi fara il fratello del Petrarca, Gherardo, che era con lui in quell'ascensione di montagna. La conversione del poeta di Laura invece segue un'altra strada, senza perder di vista il supremo fine della salvezza eterna: la strada dello studio di se, nelle dimensioni interiori dell'anima, in cerca del pieno svilur.po della propria umanita. Anche questa scelta conduce alia solitudine. La 'vita solitaria' (e il titolo di un suo opuscolo, del 1346) del Petrarca e, si, occupata dalla meditazione religiosa, rna trova il suo momento specifico nel confronto di se con i grandi spiriti del passato. E la solitudine del 'letterato', il cui momento-culmine e «dedicarsi alia scrittura e alla lettura, e, stanco dell'una ricercare nell'altra ristoro; leggere cio che scrissero gli antichi e scriver cio che leggeranno i posteri». A chi gli chiede perche nei suoi scritti egli sia «pieno di esempi antichi» Petrarca adduce due ragioni che, considerate insieme, ci offrono gia il modello di vita destinato a trionfare nell'imminente stagione umanistica: Nulla, in verWt, ha tanta presa sui mio animo quanto gli esempi degli uomini famosi. Mi piace, infatti, meditandoli, sentirmi pili grande, ed esperimentare se il mio animo abbia in se qualcosa di forte, di nobile, tale da renderlo indomito e invitto contro i colpi della fortuna, o se in malafede si sia illuso di essere tale. · La seconda e che io scrivo anche per me, e mentre scrivo avidamente vivo coi nostri antenati nel solo modo che posso; e costoro ai quali un'iniqua stella ha voluto ch'io fossi contemporaneo, dimentico, con grandissima gioia; e in questo adopero tutte le forze del mio animo: nel fuggire questi, nell'imitare quelli. Come infatti gravemente m'infastidisce Ia vista dei contemporanei, cosi il ricordo degli antichi, le !oro magnifiche gesta e gli illustri nomi mi riempiono di una gioia incredibile e immensa che, se fosse nota a tutti, susciterebbe in molti stupore del fatto che io mi diletti a stare coi morti piuttosto che coi vivi. II fastidio del Petrarca per i contemporanei non e il generico fastidio del monaco per il mondo, e la ripugnanza specifica contro la cultura del tempo, dominata dagli indirizzi naturalistici che avevano i loro centri a Padova, aBologna, a Parigi. II maestro riconosciuto in quegli ambienti universitari era an-
1 - L 'umanesimo filologico 0
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cora Aristotele, ridotto pero agli insegnamenti della Logica e della Fisica. La Logica dava alimento al costume delle dispute puramente formali, ultima degradazione della scolastica, e la Fisica dava legittimazione alle ricerche sperimentali soprattutto in campo medico. Apparentemente segregate, il Petrarca era in realta partecipe, e con una sua singolare capacita di anticipazione, del mutamento di spirito che gia ferveva attorno a lui. La novita che stava maturando era quella del ritorno dell'uomo a se stesso, in diretto contrasto sia con le deviazioni di una dialettica senza piu contenuti reali, sia con un naturalismo il cui sottinteso ideologico era l'integrazione dell'uomo nell'universo fisico. E quiche trova sensa la via petrarchesca dell'interiorita, che non puo essere confusa con quella tradizionale dell'esperienza mistica. La convivenza con gli antenati stava diventando una via indiretta per recuperare i modi e le misure dell'uomo saldamente radicato dentro il tempo, operosamente integrato nella citta terrena. Nel chiudere una sua lettera a Giovanni Boccaccio (uno degli 'uomini nuovi' che vedevano in lui un maestro) il Petrarca scrive (ed era alia vigilia della propria morte): «se frattanto verra la fine della mia vita, vorrei, lo confesso, che rrii trovasse, come si suol dire, a vivere una vita gia armonicamente compiuta». L'idea che la vita possa essere 'armonicamente compiuta' non nell'aldila rna gia prima della morte, e un'idea relativamente nuova, che inutilmente si ricercherebbe, ad esempio, in sant' Agostino, di cui il Petrarca si professo sempre discepolo. Anche il filosofo di Tagaste ebbe, per dir cosl., il suo momenta umanistico, quando fu preso dalla lettura di Cicerone. Ma si tratto di un momenta di passaggio, dopo il quale egli non ebbe altro maestro che Cristo, altra meta che la vita eterna. In Petrarca il momenta ciceroniano, per quanta raccordato alla fede in Cristo, rimane un momenta autonomo. E cosi il momenta platonico. Egli non ebbe contatto diretto (non conosceva il greco) con le opere del grande discepolo di Socrate, se si eccettuano quelle che il Medioevo gia conosceva: il Timeo, il Fedone e il Menone. Lo conobbe attraverso Cicerone e attraverso Agostino. Riferirsi a Platone invece che ad Aristotele e per Petrarca un modo di prendere le distanze dai contemporanei e di affermare contra il loro andazzo naturalistico la centralita dell'uomo nell'universo. In questa suo libero muoversi tra Agostino, Cicerone e Platone il Petrarca da appagamento a un'altra sua esigenza: quella di ricomporre in una conciliazione formalmente armoniosa i suoi interrogativi di uomo voglioso di nutrimenti terrestri, di cui sono fecondi sia l'esperienza amorosa, sia la partecipazione al consorzio civile, e di uomo spirituale sinceramente teso alla trascendenza. Forte di quelle incontestabili 'autorita', egli poteva guardare con disprezzo «il rumoroso gregge degli scolastici», i circoli dei 'naturalisti' che cercavano la verita attraverso l'analisi del mondo fisico (
Tav. 1 II secolo dell'umanesimo. Schema sinottico
-
1 -Nicola Cusano 0
Avvenlmentl politici
Cultura e tecnlca
Teologia - filosofia
1431 Valla: De vo/uptate 1437 II Cusano in missione a Costantinopol i 1439 Concilio di Firenze
1453 I Turchi conquistano Costantinopoli 1454 La pace di Lodi
1439 Brunellcschi finisce Ia CupoIa 1444 Beato Angelico: affreschi in San Marco 1452 Ghiberti: Porta del Paradiso
1479 Spagna: Ferdinanda e Isabell a sovrani 1480 Milano: Lodovico il Moro
1449 Alberti: Trattato di architettura 1453 Cusano: La pace della fede
1455 Gutenberg stampa Ia Bibbia
1455 Giorgio di Trebisonda: Confronto tra Platone e Aristotele
1478 Botticelli: La primavera
1462: Firenze: nasce l'Accadcmia platonica 1470 Alberti: Del Governo domestico 1472 A Padova: traduzione in Iatino di Averroe 1477 Ficino: I dia/oghi di Platone
1480 Poliziano: Orfeo 1483 Leonardo: La Vergine delle rocce
1482 Ficino: TheoloJ!,ia platonica
1461 Pio II scrive a Maometto II 1478 Firenze: congiura dei Pazzi
1440 Cusano: De docta ignorantia
1485 Inghilterra: Enrico inizia Ia dinastia dei Tudor 1492 Marte di Lorenzo il Ma- 1492 Viaggio di Colombo gnifico. I Medici cacciati da Firenze. Alessandro VI Papa 1494-5 Carlo VIII in Jtalia 1497 Leonardo: L'ultima Cena 1498 Supplizio del Savonarola 1498 De Gama: Ia via alle Indie 1500 Iran: dinastia dei Safa- 1503 Leonardo: La Gioconda widi 1507 Muore Cesare Borgia 1512 Tornano i Medici a Fire·renze 1513 Leone X Papa 1516 Ariosto: L'Orlando Furioso 1518 Tiziano: L'Assunta
1486 Pica della Mirandola: le 900 lesi e il De hominis dignitale 1491 Ficino: Enneadi di Plotino 1496 Pico della Mirandola: Contro /'astrologia
1509 Erasmo: Elogio della paz:.zia 1510 Agrippa: La filosofia occulta 1513 Machiavelli: ll principe 1514 Las Casas si converte alia causa degli indios Pomponazzi: De immortalitate animae Mora: Utopia 1517 Lutero: le 95 tesi
1519 Carlo V imperatore. Cor- 1519 Magellano: Ia prima circumtes conquista l'impero aztenavigazione co 1525 Esecuzione di Thomas Miintzer
1523 Svizzera: Riforma di Zwingli 1524 Erasmo: Sui Iibera arbitrio 1525 Lutero: Sui servo arbitrio 1526-44 Francisco de Vitoria insegna a Salamanca
1527 Sacco di Roma 1528 Paracelso: Tre libri di chirurgia 1529 I Turchi assediano Vienna 1530 La •Confessione Augustana»- Caduta della Repubblica di Firenze 1534 Inghilterra: «At to di su- 1534 Michelangelo: tombe medicee prernazia» 1535 Telesio si laurea a Padova 1536 Ginevra calvinista 1536 Michelangelo comincia il «giudizio universale ')
1532 Rabelais: comincia Gargmttua e Pantagruel 1534 Vasalio: De corporis humani fabrica 1536 Calvina: Jstituziorte della religione cristiana
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Nicola Cusano
tativa tra il mondo sublunare e il mondo sopralunare, corruttibile il primo, incorruttibile il secondo. La stoffa dell'universo e una sola, come una sola e la forza che genera il movimento degli astri e della terra, la quale e anch'essa un astro e un astro luminoso come le stelle, se potesse essere osservata in lontananza. Questa forza e !'impetus e cioe la tendenza di ogni corpo a perseverare nel suo movimento se non impedito da ostacoli (Iegge di inerzia della meccanica moderna). L'altro carattere 'aristotelico' e Ia finitezza del mondo. Per Cusano il mando «ha il centro dappertutto e Ia circonferenza in nessun luogo». II mondo e dunque infinito, e la explicatio dell'infinita di Dio che e l'implicatio del mondo infinito. Di qui un corollario che da solo mostra l'ardimento del pensiero del Cusano: le contraddizioni in cui si impiglia Ia nostra esperienza - prima tra tutte quella tra la bonta del mondo creato da Dio e l'esistenza del dolore e del~ Ia morte - sono dovute al fatto che noi pensiamo con le categorie del finito una realta Ia cui verita e nell'infinito, osiamo piegare Ia provvidenza a garantire alia terra in cui viviamo un finalismo razionalmente comprensibile, mentre il finalismo misurato sull'infinita di Dio e quello dell'universo infinito, dove ci sono anche probabilmente altri astri abitati da intelligenze diverse dalla nostra. Questa finalismo razionalistico e un errore che abbiamo ereditato dagli antichi, i quali «hanno trascurato di considerare che tante stelle senza numero piu grandi di questa terra che rioi abitiamo, e tante intelligenze, non possono essere state create per rimanere subordinate ai fini di questa mondo». Sembrerebbe che, collocato su questa sfondo infinito, l'uomo, abitante di un astro tra altri innumerevoli astri, debba perdere Ia sua centralita nell'universo. Non e cosi. Come dimostra l'Incarnazione del Verbo nell'uomo Gesu, Dio ha deciso di contrarre l'infinito nell'uomo finito, il quale percio, in quanta ragione, e in grado di misurare l'universo. E proprio questa connessione tra il finito e l'infinito e perfetta in Cristo (il quale assume dunque le dimensioni di 'uomo cosmico'), imperfetta e progressiva in ogni creatura umana, che e sempre una contrazione della totalita, un presentarsi dell'infinito nel finito. Ricomponendo nella sua mente (mens, secondo Cusano, viene da mensura) Ia molteplicita nell'unita, l'uomo ascende via via verso un ideale di coincidenza con l'Uno che in se riduce; ad unita tutta Ia molteplicita dell'universo. La natura umana e stata posta da Dio al di sopra di tutte le cose e poco al di sotto degli angioli, perche complica Ia natura sensibile e quella intellettuale e comprende in se tutte le cose onde giustamente dagli antichi e detta microcosmo, cioe piccolo mondo. Percio essa e quella che, se fosse elevata all'unione col massimo, sarebbe Ia pienezza di tutte le perfezioni dell'universo e delle cose singole, le quali in tal caso otterrebbero attraverso l'umanita il grado supremo.
1.7. L'ideale ecumenico. Ed ecco un altro aspetto dell'umanesimo del Cusano: l'uomo va verso Dio non negando se stesso rna accettando se stesso, le leggi interne della propria natura razionale, tra le quali c'e anche quella del trascendimento di se nel riconoscimento della trascendenza di Dio. Ma in questa trascendimento l'uomo e ancora se stesso, anzi realizza l'infinita di cui e la forma contJ;"atta. In sintesi, l'appello di Dio all'uomo e questa: sii tuo ed io sa-
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Marsilio Ficino 0
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ro tuo. E su questa base antropologica che i1 Cusano sviluppa l'intuizione che stava al centro della sua prima opera, De Concordantia catholica; il cristianesimo e Machiavelli
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- da ogni contesto che nelle riflessioni tradizionali gli faceva da presupposto: o da presupposto deduttivo, come, in Platone, il mondo delle idee, o da presupposto induttivo, come, in Aristotele, l'esistenza delle classi sociali. Lo Stato e, per Machiavelli, quel che per un matematico e una figura geometrica o per un fisico il movimento meccanico: dentro e fuori dell'oggetto studiato, non ci sono nel primo caso, che le linee che lo compongono, e, nel secondo, il corpo, la velocita e il tempo, da mettere in rapporto tra loro. Tutti gli altri valori, come la morale o la religione, da cui si era soliti partire per dedurre le leggi della politica, scompaiono o se appaiono e per trovare il lora posto dentro le regole dell'agire politico, che sono, solo esse, l'assoluto. Ma anche la parola 'assoluto' e impropria, perche implica un giudizio di valo-re, mentre per Machiavelli la politica e un'arte - nel senso greco di tecnica di cui egli illustra le regole con una innocenza che risulta raccapricciante solo per chi dimentica che, appunto, si tratta di regole a cui il Principe deve attenersi se vuole conservare lo Stato, nello stesso modo che chi vuol giocare a scacchi o alla scherma deve osservare delle regole su cui non avrebbe senso sollevare riserve morali. Il problema semmai e un altro: e se sia lecito isolare l'oggetto Stato come invece e lecito isolare l'oggetto 'gioco degli scacchi', dato che, di sua natura, la sorte dello Stato e strettamente congiunta alla sorte dell'uomo. Qua e la Machiavelli ci lascia capire che egli sarebbe felicissimo se l'uomo potesse vivere anche senza lo Stato; che le sue preferenze sarebbero per un mondo di uomini buoni, in cui non avesse ragion d'essere l'uso della forza e dell'astuzia. Ma un mondo simile, per Machiavelli, rimane un puro postulato del sentimento e il sentimento ha questo di proprio, che e totalmente estraneo aile esigenze della ragione teoretica e di quella pratica. Ai buoni sentimenti si ispirano i profeti disarmati, che, appunto per questo, come il Savonarola, vanno in rovina e mandano in rovina lo Stato che erano riusciti a creare. La politica rimanda dunque ad una antropologia. A differenza di Platone e di Aristotele, Machiavelli non premette alia sua costruzione. teorica dello Stato un'indagine su quale sia la natura dell'uomo. II suo procedimento e piu empirico: egli constata che l'uomo storico, e cioe l'uomo stretto dentro le condizio-ni limitative della societa in cui vive. ed esposto ai marosi degli eventi che non dipendono da lui, non ha altro mezzo di scampo se non l'uso della forza e dell'astuzia. Questioni come quella se Dio ha creato l'uomo cattivo o buono, o quella se a renderlo malvagio e stato un peccato originale o quella se prima che avesse inizio la storia- e cioe nello stato di natura- egli fosse dominato da impulsi di amore o da quelli aggressivi, sono del tutto estranee all'ottica di Machiavelli, ostinatamente fermo nella sua osservazione di come l'uomo appare nella vita associata, sia nel presente che nel passato. E a partire da un uomo siffatto che egli prende a costruire, con coerenza geometrica, la sua repubblica: Mi e parso piu conveniente andare dietro alia verita effettuale della cosa che alla immaginazione di essa. E multi si sono immaginati repubbliche e principati, che non si sono mai visti ne conosciuti essere in vero.
A muovere l'uomo cosi com'e non c'e che una sola forza, l'attrazione
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Niccolo Machiavelli
dell'utile_ Si capisce: un utile al livello umano e cioe allivello di un essere che, secondo un'efficace immagine di Machiavelli, rassomiglia al centauro, mezzo uomo e mezzo bestia. Piu che nella determinazione dei fini, questa qualita umana si riflette nel metoda dell'agire. Quando uno persegue l'utile con la sua meta bestiale, fa uso della forza, quando lo persegue con la sua meta umana fa uso dell'astuzia. E il Principe deve fare altrettanto, con questa di proprio, che nel suo caso ]'utile e la conset'Vazione della Stato. Tenendo conto che quella del Principe non e che la figura antropomorfica dello Stato, potremmo anche dire, piu modernamente, che l'uso della forza e dell'astuzia deve volgersi verso ]'utile comune e non verso quello privata. 2.5. La fortuna e la virtu. Machiavelli si rende canto che l'arte dello Stato, a differenza di ogni altra arte, e chiamata a modellare una 'materia' che non risponde aile intenzioni, anzi le contrasta, le deforma e, in modo cieco e imprevedibile, dopa averle assecondate, le tradisce. Dinanzi all'uomo politico sta la fortuna. Nata dentro i limiti stretti del condizionamento storico, vario secondo i tempi e i luoghi, la costruzione politica deve tener conto degli eventi che non possono rientrare in nessun programma, perche di lora natura sovrastano l'intelligenza e la volonta umana. Nella visione medioevale (ad esempio in quella di Dante) la fortuna e al servizio della Provvidenza con cui Dio governa le case, mettendo in scacco la presunzione dell'uomo, i cui occhi non vedano al di la di una spanna. La visione che Machiavelli ha della storia e totalmente secolarizzata. La fortuna e il caso avverso, il moto irrazionale delle case che investe la geometria dei progetti umani e la sconvolge. Cesare Borgia, ad esempio, lo spregiudicato Duca Valentino, che agli occhi del Machiavelli incarna le qualita ideali del principe, non poteva prevedere che il giorno della morte di suo padre, Alessandro VI, sarebbe stato trattenuto a letto dalla febbre e quindi sarebbe stato impedito dal regolare a suo vantaggio, come avrebbe potuto, la successione pontificia. In questa caso la fortuna ha il carattere di un banale contrattempo. Ma nella visione di Machiavelli, il dominio della fortuna abbraccia tutto cio che, nel flusso degli eventi, non rientra nelle previsioni fondate sull'esperienza personale e su quella storica. La sua esaltazione dell'individuo e contenuta dentro la consapevolezza tragica dell'alone oscuro che circonda l'uomo, quell'alone oscuro in cui gli antichi vedevano il Fato e in cui egli vede le propaggini del Caos irrazionale che sta al fonda della storia umana e su cui nessun trionfo e mai definitivo. Contro la fortuna sta la virtu. La fortuna, in una suggestiva pagina del Principe, e come il torrente che straripa; la virtu e lo sforzo preveggente dell'uomo che in tempo di bonaccia ha elevato dighe e scavato fossati in modo da annullare o limitare la furia devastatrice delle acque. I risultati dell'agire politico sono dunque in parte (il 50%, precisa in un luogo Machiavelli: rna in questo dosaggio egli si permette notevoli oscillazioni) riconducibili alia fortuna, per il resto alla virtu del Principe. In questa virtu, il cui tratto caratteristico e l'efficace dominio sugli eventi, tutto rientra, la pieta e la crudelta, la fedelta e l'infedelta e cosi via: i comportamenti antitetici, che nel giudizio morale sono segnati nelle due colonne del bene e del male, diventano virtuosi quan-
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do siano efficaci nel raggiungimento del fine, che e appunto il bene dello Stato o meglio la sua stabilita. Quanto si e detto riassume, nella sua sostanza, la breve opera a cui e legata la fama del Machiavelli. Nei Discorsi, la potente astrazione che identifica lo Stato con la personalita del Principe si discioglie in un'analisi meglio rispondente alla distinta problematica in cui tradizionalmente si articolano le questioni politiche. L'assolutismo, che nel primo libro sembra identificarsi con l'onnipotenza dell'arbitrio principesco, qui diventa assolutezza delle leggi dello Stato, anche quando si tratta, com'e nelle preferenze di Machiavelli, di uno Stato repubblicano e cioe, come noi diremmo, democratico. Ma anche qui e ben visibile l'impronta realistica del Principe, come quando, rievocando i conflitti tra patrizi e plebei della Roma repubblicana, Machiavelli rigetta il moralismo di chi li condanna come un male e per suo conto riconosce che proprio nel dissidio tra i grandi e i plebei sta la ragione dello sviluppo di quelle leggi che hanno fatto la fortuna di Roma. II compito della Stato non e, dunque, la repressione della classe inferiore da parte di quella dominante rna la garanzia del loro libero gioco, dal quale dipende in definitiva il trionfo del bene comune. 0 come quando, parlando della religione, non solo la raccomanda - lo aveva gia fatto nel Principe - quale ottimo strumento di potere, rna stabilisce un paragone tra la religione pagana e quella di Cristo, a tutto vantaggio della prima, che esaltava il coraggio, la forza e la grandezza della patria, mentre quella di Cristo mette in primo piano l'umilta e la mitezza e cioe proprio le virtu seguendo le quali uno Stato cadrebbe in rovina. Si capisce come Machiavelli sia apparso subito anche ai suoi contemporanei come un dissacratore dei valori essenziali della tradizione e come un cinico difensore della scelleratezza politica. Da quanto abbiamo esposto dovrebbe apparire chiaro che non e con questa attica che Machiavelli puo essere compreso e giudicato in modo oggettivo. E nemmeno coglie la sostanza del suo insegnamento chi vede in lui il primo sostenitore dell'autonomia della politica dalla morale e dalla religione. Certo, per lui l'agire politico e autonomo, rna non perche abbia di fronte a se altre sfere dello spirito, come quella morale e religiosa, dinanzi alle quali debba rivendicare leggi proprie e propri principi. La verita di Machiavelli e questa: la costruzione e la difesa dello Stato sono la suprema delle attivita umane, tutte le altre rientrano nel suo ambito. 11 che non vuol dire che egli non sentisse personalmente i richiami dell'ideale morale: solo che ai suoi occhi il mondo in cui l'uomo opera e cosi chiuso dentro le leggi della forza e dell'astuzia che per quell'ideale gli resta solo il tributo della nostalgia. 2.6. Francesco Guicciardini. La singolarita di Machiavelli acquista rilievo se comparata con l'amara meditazione storico-politica svolta nello stesso periodo da un altro fiorentino, Francesco Guicciardini ( 1483-1540). A differenza di Machiavelli, Guicciardini visse la politica del suo tempo, e in posizione di responsabilita, nei 'luoghi caldi' delle vicende europee, per lo piu come uomo di fiducia dei papi medicei, Leone X e soprattutto Clemente VII. Venuto meno il potere politico dei Medici, travolti nel conflitto tra l'imperatore Carlo V e il re di Francia Francesco I, anche lui si ritiro in una sua villa per tradurre la
34 0 2 - Niccolo Machiavelli propria esperienza di vita in una specie di 'filosofia della storia'. La sua solitudine fu interrotta da un ritorno di fiamma delle fortune medicee: fu Guicciardini il grande mediatore che favori il trapasso della repubblica fiorentina agli ordinamenti autocratici del duca Cosimo (1537). La sua opera politica riflette la sua indole morale e intellettuale, che e di scarsa fiducia negli uomini e, piu in genere, nella stessa possibilita dell'uomo di far fronte alle vicende della 'fortuna': «ne e' pazzi ne e' savi possono finalmente resistere a quello che ha da essere», si Iegge nei Ricordi, il suo scritto piu famoso perche condensa in massime per lo piu brevi la sua visione delle cose che nelle altre opere di largo respiro, come la Storia di ltalia, si dispiega, rna spesso in modo occulto, nell'acuta e articolata ricostruzione dei grandi avvenimenti. Guicciardini ha dell'uomo una concezione non dissimile da quella di Machiavelli, solo che egli rifugge da ogni pretesa di trasformare in 'scienza' legeneralizzazioni derivate dall'osservazione dei fatti e dei comportamenti. La storia e anche per lui un processo tutto chiuso nei confini mondani, senza rapporti con quel mondo di cause invisibili nella cui indagine perdono tempo filosofi e teologi. Mail processo non ha in se le nervature delle leggi che diano un senso ai fatti e in particolare all'uomo. «Sono varie le nature degli uomini», e soprattutto sono varie le circostanze in cui essi si trovano ad agire, cosi varie che non ha senso ricercarvi delle costanti che possano essere assunte come regole di condotta. E grande errore parlare delle cose del mondo indistintamente e assolutamente, e, per dire cosi, per regola; perche quasi tutte hanno distinzione ed eccezione per la varieta delle circostanze, in le quali non si possono fermare con una medesima misura; e queste distinzioni ed eccezioni non si trovano scritte in su' libri, rna bisogna lo insegni la discrezione.
La 'discrezione', che in Guicciardini hail ruolo della 'virtu' del Machiavelli,
e la capacita di comprendere il gioco delle circostanze nelle loro infinite variazioni, in modo da potervisi inserire senza restarne travolti e possibilmente realizzando il proprio 'particulare', come dire il vantaggio personale. Manca nel Guicciardini, proprio in ragione di questo suo relativismo, ogni indicazione del bene comune come obiettivo dell'agire politico e ogni fiducia nella democrazia, essendo ai suoi occhi il popolo «uno animale pazzo, pieno di mille errori, di mille confusioni, senza gusto, senza diletto, senza stabilita». Mentre per quanto riguarda la identificazione della 'natura umana' il Guicciardini e meno pessimista di Machiavelli, dato che per lui l'uomo e inclinato al bene e sono le circostanze a renderlo malvagio, per quanto riguarda le capacita dell'uomo di costruire la storia, il rapporto tra i due si capovolge: Machiavelli esalta le capacita umane di dar forma allo Stato e di tenerlo immune dai giochi della fortuna; Guicciardini ritiene non modificabile il ritmo caotico degli eventi e riduce l'agire politico all'astuzia diplomatica, agli accorgimenti autocratici, all'abile combinazione di ordinamenti (i governi 'misti') che assicurino alle elites dirigenti la possibilita di soddisfare il piu possibile il loro 'particulare'. Un prammatismo che piaceva al nostro Cavour, rna che e sempre parso deludente a coloro che han posto fiducia nelle ideologie politiche e cioe nelle possibilita
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umane di progettare, in vista del bene comune, comunque inteso, la costruzione e la conduzione dello Stato.
L'utopia umanistica 2.7. Erasmo di Rotterdam. Il corso delle cose, agli inizi del Cinquecento, aveva un senso preciso: si stava disgregando la cristianita medioevale e si andava instaurando, nella cultura e negli ordinamenti, quella che siamo soliti chiamare la civilta moderna. Quando si scompone un mondo in cui da secoli la coscienza si era abituata a ritrovare, con immediatezza, la cornice delle sue esperienze e il quadro di riferimento delle sue scelte, essa vede accumularsi all'orizzonte i segnali della fine. II clima diventa apocalittico. Nelle situazioni apocalittiche e fatale che si scatenino le forze della distruzione, non piu contenute nella disciplina che viene spontaneamente assicurata dal comune consenso alle istituzioni e ai valori che in queste si incarnano. Ma nel contempo, se il mondo che muore contiene in se le energie vitali capaci di creare un nuovo assetto della societa e una nuova presa di coscienza delle responsabilita e delle possibilita umane, emergono dal tumulto delle passioni gli uomini che propugnano il trapasso ai tempi nuovi mediante il ricorso alla ragione e a una ragione saldamente ristabilita nei propri principi e cioe ricondotta alle origini. Prima che, con Cartesio, il razionalismo moderno modifichi radicalmente il processo con cui Ia ragione ricerca in se stessa, e solo in se stessa, le proprie leggi, la riscossa della ragione non poteva che assumere il classico modulo antropologico del ritorno ai 'tempi d'oro' e cioe alia fase storica anteriore alla formazione di quel mondo di cui si avvertiva la fine. Abbiamo gia visto come questa nostalgia utopistica fosse alla base dell'umanesimo del Quattrocento: il ritorno agli antichi avrebbe inaugurato sulla terra la renovatio saeculi e insieme la renovatio Ecclesiae. Ne Ficino ne Pico erano in grado di comprendere che ormai le strutture della storia si stavano spostando, facendo emergere sul proscenio nuovi soggetti collettivi (le nazioni, i ceti imprenditoriali e finanziari) destinati ad allargare lo spazio delle vicende umane e. a rendere anacronistiche le istituzioni formatesi nell'epoca della cristianita. Bisognava riprendere le misure dell'uomo creatore di storia. Machiavelli lo fece, collocandosi in modo brusco, in nome della fedelta aile 'origini', che per lui erano soprattutto quelle della repubblica romana, al di fuori della linea di continuita col passato, mettendo fra parentesi perfino il cristianesimo perche inconciliabile con le robuste virtu terrene da cui era nata la grandezza di Roma. Quella di Machiavelli e una ragione totalmente 'laica'. Ma nello stesso giro di anni, il ricorso alla ragione come a principia costitutivo di storia seguiva altre strade, sempre all'insegna del ritorno alle origini. Sono le strade dell'umanesimo cristiano di Erasmo di Rotterdam e di Tommaso Moro. I due si ricollegano, in modi diversi, all'umanesimo di Lorenzo Valla, di
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Marsilio Ficino e di Pico della Mirandola, rna la novita che li distacca dall'umanesimo del secolo precedente e, appunto, il ritorno alle origini inteso come ritorno al Nuovo Testamento, recuperate nella sua autenticita mediante la ricostruzione filologica del testo. L'invenzione della stampa aveva apprestato lo strumento idoneo a trasformare la coraggiosa ricerca di Erasmo in una vera e propria rivoluzione culturale, che contribuira a far crollare i titoli di credito dell'istituzione principe della cristianita, la chiesa cattolica. Le costruzioni teologiche e giuridiche ereditate dal Medioevo furono costrette a specchiarsi sulla pagina della Scrittura, ripulita dalle incrostazioni con cui l'ignoranza o la malizia l'avevano deformata. Fu per merito di Erasmo che il Vangelo, Iiberato dalla prigionia delle glosse ecclesiastiche, riprese a circolare dentro gli spazi dell'umana ragionevolezza, tornando ad essere quel che era stato aile origini: un messaggio di pace. E proprio per questa ragione torno ad essere il punto d'appoggio incontestabile per la critica aile forme di vita - da quella prelatizia a quella monastica, ritenuta nel Medioevo l'emblema stesso della sequela di Cristo - e per Ia critica allo stesso pontificate, i cui titolari, in patente difformita dal mandate evangelico, si erano fatti fautori di guerra o addirittura, come Giulio II, condottieri. L'umanesimo italiano era stato un fenomeno aristocratico, senza veri rapporti con le masse; il nuovo umanesimo europeo si sviluppa invece in risposta a una sensibilita collettiva largamente diffusa che era di carattere religiose. Ecco perche uomini come l'inglese Giovanni Colet (t 1519), come il francese gUt citato (2-1) Jacques Lefevre d'Etaples, come lo svizzero Ulrico Zwingli (1484-1531) e soprattutto come Erasmo, ricercano negli antichi non un modello di umanita rna Ia risposta al bisogno di una riforma morale e religiosa e percia tra gli antichi prediligono i Padri della chiesa e soprattutto il Nuovo Testamento. Nell'applicare anche alla Sacra Scrittura i criteri filologici che gli umanisti del Quattrocento avevano applicate ai classici, Erasmo di Rotterdam (14661536) non obbediva allo spirito di irriverenza, intendeva fornire la possibilita di un contatto diretto con le sorgenti della fede, senza la meditazione dell'autori ta della chiesa. Io vorrei che il Vangelo e le Lettere di San Paolo fossero letti da tutte le donnicciuole, fossero tradotti in tutte le lingue, che il contadino potesse cantarli presso l'aratro, il tessitore trarne delle ariette da intonare presso il telaio, ed i viaggiatori fame argomento di conversazione perche sembri pili breve il cammino. Questa sorta di filosofia e fondata pili sull'intuizione che sui sillogismi, e piu vita che punto di vista,_ piu inspirazione che erudizione, piu trasformazione che ragione ... Che altro e la dottrina di Cristo, che egli stesso chiama rinascita, se non un ritorno alia ben creata natura? Infine, benche nessuno ce l'abbia insegnata cosi compiutamente ed efficacemente come Cristo, nei libri pagani si possono trovare moltissime cose che concordano con la sua dottrina.
C'e qui la premessa fondamentale per una divaricazione tra coscienza del credente e istituzione ecclesiastica. Tocchera a Lutero sperimentarla drammaticamente e proclamarla.
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Erasmo non si riconobbe negli esiti rivoluzionari della propria opera. Il suo intento era di riconciliare il Vangelo con la vita quotidiana, secondo il programma da lui esposto nel Manuale del soldato cristiano (1503). C'e chi vede in Erasmo il precursore della spirito laico, che, un secolo dopa di lui, trionfera nella cultura europea. E certamente la prospettiva cristiana da lui elaborata si svincola dagli sbocchi ultramondani delle costruzioni teologiche medioevali, che saranno riprese con vigore, nel concilio di Trento, dalla chiesa cattolica, la quale, non per nulla, condannera alcune opere erasmiane. Senza negare il fine trascendente della vita terrena, Erasmo identifica la sapienza evangelica con la saggezza di cui e ministra la ragione dell'uomo, purche resti ancorata ai postulati morali, specialmente a quello della pace. Nella sua opera piu famosa, Elogio della follia (1511), egli contrappone, in tono scherzoso rna in realta profondamente serio, alla follia, e cioe all'irrazionalita che sta alla base dei costumi della societa del suo tempo, specie quella ecclesiastica, la follia che fiammeggia nella ragione non appena si scuota di dosso le incrostazioni del sensa comune per farsi strumento delle aspirazioni morali: allora la follia e una sola cosa con la sapienza che accomuna Salomone, Socrate e Gesu Cristo. La piu autentica vena erasmiana e proprio in questa inesauribile guizzo dell'ironia, che smorza gli impeti polemici nella sorridente consapevolezza della insuperabile mediocrita umana e, nel contempo, sovrasta questa consapevolezza, che potrebbe diventare complicita, con l'indomabile fiducia nelle risorse ancora inespresse della natura umana. 2.8. II pacifismo di Erasmo. Questa inimitabile combinazione tra realismo ed utopia fece di Erasmo un maestro dell'Europa, fino al momenta critico in cui la comunita intellettuale della cristianita non si lacero ed egli si trovo nell'impossibilita di schierarsi da una delle due parti: quella della chiesa cattolica, di cui aveva fustigato i vizi per un ventennio, e quella della Riforma, che riconosceva nell'opera erasmiana una delle fonti principali della propria ispirazione: era lui, si disse, che aveva fatto l'uovo che Lutero avrebbe covato. Dai suoi ammiratori protestanti egli fu bollato come l'homo pro se, come uomo incapace di votarsi ad altra causa che la propria. La verita e che Erasmo non sapeva riconoscersi, nemmeno come cristiano, nelle dispute teologiche che trascinavano la fede in zone troppo remote dalla simplicitas evangelica, divenuta per lui una sola cosa con la humanitas insegnata dai classici. Quando, nel 1524, scese in campo contro Lutero con un suo saggio teologico De libero arbitrio (Sui libero arbitrio), non fece che provocare l'estremismo di Lutero, che gli rispose con un saggio che batteva in breccia l'armonia erasmiana tra natura e grazia, un'armonia che era e restera un punto fermo dell'ortodossia cattolica. Ma se Erasmo non ha un posto di rilievo nella storia della teologia, lo ha di sicuro nella storia della fede evangelica in rapporto ai grandi problemi dell'uomo, specie a quello della pace. Nel suo secolo, l'intolleranza tocco il suo culmine con le guerre di religione, il cui sbocco ultimo fu tale da riproporre, per contrasto, la questione se non fosse stato Erasmo, prima ancora della lacerazione prodotta da Lutero, ad intuire quale fosse per la cristianita in crisi il problema decisivo.
38 0 2 · L 'utopia umanistica In un suo lungo saggio, contenuto negli Adagia (1515), Erasmo condensa la sua dottrina sui rapporti tra la chiesa e Ia pace. Lo slittamento della cristianita dall'umile profezia evangelica all'ideologia dell'imperialismo clericale e avvenuto, per Erasmo, quando abbiamo recepito l'intero sistema di Aristotele nel cuore della teologia ... Aristotele ci ha insegnato che la felicita dell'uomo non e perfetta se non e corredata da un bell'aspetto e da beni di fortuna. Aristotele ci ha insegnato che non puo prosperare lo stato nel quale tutti i beni sono comuni. E noi vogliamo accozzare il suo sistema con l'insegnamento di Cristo: tanto varrebbe mescolare l'acqua al fuoco. Abbiamo recepito anche alcuni elementi del diritto imperiale romano. Ma il diritto romano permette di respingere la forza con la forza, consente a ciascuno di perseguire il suo diri tto, approva i traffici, ammette il prestito ad interesse, purche moderato, celebra come egregia la guerra, purche giusta. E quale sarebbe la guerra giusta? Ecco la definizione: giusta e quella guerra che e indetta da un principe sovrano, anche se il principe in questione e un bambino 0 un idiota. Ma come e stata possibile questa mescolanza tra il fuoco e l'acqua? Con sorprendente modernita Erasmo scorge dietro le degenerazioni ideologiche i motivi pratici. E che gli uomini di chiesa cominciarono con l'accettare gli onori offerti !oro dal potere temporale. E dopo gli onori essi accettarono la ricchezza, dapprima per aiutare i poveri e poi perche essa da potere. Alla fine il potere e stato ricercato per se stesso, a! punto tale che «un vescovo non si sente vescovo se non ha un potere temporale». Chiusi nelle spire della logica del potere, gli uomini di chiesa hanno rotto ogni ritegno e battono i pagani per avidita, ambizione, dispotismo. E a partire da questa degenerazione che si capisce come la chiesa, da missionaria del Vangelo, sia diventata una centrale che organizza guerre. Ad esempio, quella contro i Turchi. I Turchi devono vedere in noi non solo il nome rna i sicuri contrassegni del cristianesimo: purezza di vita, desiderio di fare del bene anche ai nemici, incrollabile tolleranza di fronte a tutte le offese, sprezzo del denaro, incuria della gloria, modestia di vita. Quando Erasmo scriveva questi ammonimenti, la cristianita era ancora unita. La tempesta esplodera due anni dopo, nel 1517, col gesto di Martin Lutero. 2.9. Tommaso Moro. Erasmo fece in tempo a vedere coi suoi occhi la sterilita delle sue perorazioni pacifiste. L'Europa cristiana, che lo aveva venerate come maestro, si spacco in due. La frattura teologica divenne ben presto politica e finalmente militare. Sfuggiva totalmente ad Erasmo che tra l'uomo ideale, tratteggiato sul modello evangelico, e l'uomo effettuale sta l'immenso spessore delle strutture economiche e politiche, che non possono essere mosse per semplice virtu d' eloquenza rna solo conoscendo e rispettando le Ioro regole specifiche, che sono appunto le regole dell'agire politico, quelle di cui andava scrivendo, proprio negli anni d'oro di Erasmo, Niccolo Machiavelli. Fu cosi che l'uomo conteso dalle corti e dalle curie si trovo solo, nell'impossibilita di
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riconoscersi in nessuna delle fazioni in lotta. Fece a tempo a seguire, sia pure da lontano, la passione e la morte sul patibolo (1535} del suo amico fraterno Tommaso Moro (1478-1535), che dell'umanesimo cristiano aveva fatto non soltanto un oggetto di riflessione rna anche un coraggioso progetto di vita. Egli fu uno degli artefici della rinascita culturale dell'Inghilterra, che ebbe inizio sulla fine del Quattrocento, quando John Colet trasporto da Firenze la grande utopia della pace religiosa universale, che aveva illuminato gli ultimi anni dei massimi maestri dell' Accademia platonica. Tommaso Moro si sentiva della loro famiglia spirituale, tanto da tradurre in inglese la Vita di Pico della Mirandola. Ma il sodalizio londinese aveva spostato il modello originario da Platone alla Sacra Scrittura e ai Padri della chiesa, facendo propria la svolta. filologica di Erasmo, che, a sua volta, divenuto per qualche anno londinese (a partire dal 1499), trovo nei suoi amici un incentivo ai suoi interessi religiosi. Se Erasmo e Moro fanno coppia a se, e perche, passati ambedue attraverso il tirocinio della scolastica, se ne liberarono con agilita in nome del ritorno al Vangelo. Quando, nel 1516, usd l'edizione bilingue del Nuovo Testamento portata a termine da Erasmo, Moro scese in campo per difenderne la validita, in nome della scienza e in nome dello Spirito, polemizzando contro i teologi accademici di cui mise in ridicolo la dottrina arrogante, frantumata in 'quaestiunculae' e in 'sophismata'. Nello stesso anno in cui usci la grande opera dell'Erasmo filologo, venne alla luce, a Lovanio, per cura dello stesso Erasmo, il libro che doveva Iegare il nome di Moro alia memoria dei posteri. L'Vtopia o della forma migliore diRepubblica. Come Erasmo nel suo Elogio della pazzia aveva espresso, in forma giocosa, la sua indignazione morale, cosi Moro, sotto il velo di una divagazione fantasiosa (anche lui compose il suo 'libello' per vincere la noia di una missione diplomatica}, contrappone alla societa del suo tempo, ritratta in crude tinte, la societa come dovrebbe essere. Questa societa ideale e collocata in un'isola scoperta dall'immaginario protagonista Itlodeo, al seguito di Amerigo Vespucci, ai confini del mondo, rna in realta in un Non-luogo (questo vuol dire, in greco, Utopia). La descrizione dell'isola occupa la seconda parte del libro; la prima e la descrizione della societa del tempo. L'opera, infatti, e come l'esplosione di una necessita morale a cui Erasmo poteva pili facilmente sottrarsi perche il suo vero mondo non era quello dell'operazione politica, era il mondo dei codici antichi. Moro invece ebbe fin da giovanissimo cariche pubbliche che, ai vari livelli di una carriera fulminea, lo tenevano a contatto con le miserie della gente e con la corruzione della corte. Stretto nella morsa della cecita nobiliare e della degradazione della plebe, un uomo integerrimo come Moro non aveva altro sbocco che l'evasione idealistica, il passaggio immaginativo dal luogo reale dell'esperienza al Non-luogo ideale della coscienza. Sarebbe conforme a logica che in mezzo ci fosse un progetto di saldatura politica tra i due mondi e cioe il momento tecnico - quello di cui si stava occupando Machiavelli - del come costruire un principato. E invece c'e il vuoto, un vuoto in cui passa impotente il soffio della pura aspirazione morale, a cui Moro rimarra, per suo conto, cosi fedele da salire, per coerenza, sul patibolo. L'analisi che Moro fa della societa, e pili precisamente della societa inglese
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del suo tempo, non e moralistica, perche mette in giusto rilievo le cause economiche della sua degenerazione. In primo luogo, il carattere parassitario della nobilta, vera causa della disoccupazione, che sospinge verso il crimine o verso la vita militare, la quale a sua volta, nei periodi di pausa della guerra, riversa turbe di sfaccendati aggressivi in seno alla comunita civile. In secondo luogo, l'incipiente industria tessile, che per procurarsi la materia prima, e cioe la lana, trasforma in pascoli le terre e in vagabondi i contadini che in esse vivevano e lavoravano. Insieme alla proprieta contadina viene meno anche l'allevamento del bestiame, il cui costo sui mercato aumenta al punto che solo una piccola elite puo permettersi illusso di un piatto di carne. In un quadro sociale del genere, la monarchia degenera in tirannide e la nobilta, appoggiandosi alia corona, manovra a piacimento la politica monetaria anche per mezzo dello stato di guerra, reale o simulate. Quale rimedio a un cosi generale sfacelo? Nello stesso anno in cui usci !'Utopia, Erasmo dedicava al futuro Carlo V un suo manuale sull'Educazione di un principe cristiano, del tutto concentrate sulle virtu personali del principe da cui dipende la felicita dello Stato. La risposta di Moro e pili globale, perche investe nel suo insieme l'immagine dello Stato, secondo il modello della Repubblica platonica. Nell'isola di Utopia non si ha proprieta privata, vera radice di tutti i mali, ne divisione del lavoro, dato che le prestazioni agricole o artigianali vengono assegnate a turno a tutti i cittadini, salvo i sacerdoti, a cui e affidata la moralita pubblica, e i letterati, che hanno funzioni direttive come i 'custodi' della Repubblica di Platone. I sacerdoti e i letterati costituiscono un'aristocrazia dal cui seno viene eletto democraticamente il supremo magistrate, il principe, che dura a vita, salvo che non cada nella tentazione della tirannide. Il vero fulcro dell'attivita produttiva e l'azienda familiare (diversamente che in Platone, la famiglia e sacra in Utopia) di tipo patriarcale: quaranta persone tra uomini e donne e due servi. Anche le donne lavorano, dato che le ore di lavoro sono tollerabili: sei al giorno. La religione degli abitanti di Utopia e basata su alcuni principi di ordine naturale, evidenti di per se alla ragione: immortalita dell'anima, creata da Dio per la felicita; premio o castigo dopo questa vita. Quando il protagonista del dialogo, Itlodeo (che vuol dire 'spacciatore di chiacchiere') annuncio agli utopiensi la religione di Cristo, essi l'accettarono con entusiasmo perche del tutto conforme a quella che essi gia praticavano. Ma il cristianesimo non veniva impasto: un neobattezzato che oso disprezzare le altre religioni fu esiliato, « secondo le antichissime istituzioni di Utopia, per le quali ognuno puo osservare la religione che piu gli piace». Solo l'ateismo e vietate, perche esso toglie ogni garanzia di osservanza delle leggi. E tuttavia nemmeno l'ateo e perseguitato, salvo che con l'esclusione dalle cariche pubbliche e con la proibizione di discutere le sue idee col volgo. Discuterle puo soltanto con sacerdoti ed esperti che siano in grado di guarirlo dalla sua follia. Cosi si garantisce la prosperita e la pace nelle cinquantaquattro citta che popolano l'isola. Si danno solo tre eccezioni alla pace (il pacifismo di Moro e meno radicale di quello di Erasmo): la guerra difensiva; quella di aiuto a un altro popolo «Oppresso da tirannia e servitu, in nome dei diritti dell'umanita»; e quella di espansione, qualora la popolazione di Utopia sia eccedente e debba emigrare in terre non adeguatamente coltivate.
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Pur nei limiti dovuti alia cultura dell'epoca, la citta ideale di Moro, del tutto priva di riscontri nei comportamenti politici del suo tempo, sara feconda di suggestioni nel futuro, specialmente per la sua critica radicale alia proprieta privata come fonte prima del disordine sociale. Al suo fascino contribui non poco la circostanza drammatica della morte di Moro: divenuto Lord Cancelliere, fu condannato a morte da Enrico VIII perche non aveva assecondato le pretese del re di emanciparsi dalla supremazia religiosa del Papa. Anche per questo (rna non solo per questo) la chiesa cattolica lo ha annoverato fra i suoi santi.
La riforma protestante 2.10. Martin Lutero. L'umanesimo di Erasmo e di Moro aveva portato aliimite le possibilita del mondo cristiano di rinnovare se stesso, rna senza mettere seriamente in questione il proprio assetto politico ed ecclesiastico. L'Europa, nel secondo decennio del Cinquecento, era erasmiana, almeno nei ceti intellettuali pili significativi:'perfino alia corte pontificia le opere di Erasmo, nonostante la sua sferzante ironia antiecclesiastica, incontravano gradimento. Ma la linea di frizione tra le coscienze religiosamente pili serie e le forme storiche della cristianita correva a livelli pili profondi, dove nessuna luce poteva portare un messaggio umanistico che, tutto sommato, appiattiva l'impeto profetico della Scrittura sulle misure di una ragionevolezza troppo vicina al buon senso naturale e troppo reticente circa la legittimita degli ordinamenti ecclesiali formatisi in quindici secoli di ininterrotta tradizione. Erasmo poteva scherzare sul contrasto tra l'apostolo Pietro, che aveva lasciato tutto per l'amore del suo Maestro e le pompe mondane dei suoi successori, rna, quando fu messo aile strette dai luterani, dichiaro di voler morire nella chiesa cattolica, per quanto desiderasse di vederla migliore. Egli poneva pili fiducia nell'incremento delle humanae litterae, ricondotte dall'asse pagano a quello patristico ed evangelico, che non nella contestazione dell'autorita religiosa. Gli sfuggivano le implicazioni ·del suo 'evangelismo': una volta restituita alia sua liberta di discernimento della Parola di Dio, Ia coscienza non poteva non scontrarsi con una istituzione che presumeva di sostituirsi alia Scrittura. Questo era infatti il principio portante della chiesa formatasi nel periodo della cristianita: il rapporto tra l'uomo e Dio veniva inquadrato in un sistema di mediazioni di cui l'autorita del Papa era Ia suprema espressione e Ia. suprema garanzia. La salvezza eterna era raggiungibile attraverso la grazia dei sacramenti amministrati dalla chiesa e attraverso la docilita aile sue norme disciplinari, arricchite, mediante la concessione delle indulgenze, di un'efficace partecipazione ai meriti acquisiti da Gesli Cristo con la sua morte. Erano queste le 'opere' che rendevano l'uomo giusto dinanzi a Dio, meritandogli il premio della salvezza. Quest'anima ideologica della cristianita, che non poteva essere scalfita dal-
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le semplici invettive contra il malcostume ecclesiastico e monacale, si trovava invece in diretto contrasto col crescente bisogno di interiorizzare Ia pratica della fede, un bisogno che aveva gUt creato, quae la per !'Europa, movimenti e gruppi ad alta intensita di devozione e aveva ritagliato, dentro Ia compagine cattolica, spazi di autonomia dove, per lo piu, ci si limitava a prendere le distanze sia dalla mondanita della chiesa, sia dalle sterili raffinatezze della cultura umanistica. Questa crescita della soggettivita religiosa era dovuta anche a ragioni di altra natura, prima tra tutte il diffondersi della mentalita, che oggi diremmo borghese, il cui tratto essenziale era l'estraneita ai quadri e ai costumi dell'eta dei feudi e delle signorie. La richiesta Iatente nei fermenti sociali e religiosi dei primi decenni del Cinquecento era di uno scardinamento delle gerarchie che impedivano alla coscienza la riappropriazione dei propri diritti. su cui si basa la sua fondamentale autonomia: era, insomma, la fine del sistema delle mediazioni. La scossa decisiva a questa sistema fu data da Martin Lutero (1483-1546). Quando, il 10 dicembre 1520, egli getta sui rogo, in cui i suoi ammiratori avevano gia gettato manuali di teologia scolastica e di diritto canonico, la Bolla di scomunica inviatagli da Leone X, la cristianita medioevale era fondamentalmente infranta: «Perche hai turbato la verita di Dio, il Signore ti distrugga oggi in questa fuoco, Amen», disse Lutero. In tre anni, e cioe da quando, la vigilia d'Ognissanti del1517, egli aveva affisso sulla porta della cattedrale di Wittemberg le sue 95 tesi sfidando chiunque a discuterle con lui, il consenso aile sue posizioni era talmente cresciuto che a cercar luce e calore in quel rogo era ormai una grossa porzione della cristianita. Prima di essere una ribellione istituzionale, quella di Lutero era stata una conversione interiore e cioe il passaggio da una fede basata sulle opere, e dunque sulla mediazione della chiesa, a una fede basata direttamente sulla Parola di Dio e dunque sui libero movimento della coscienza. Il 'ritorno aile origini', che aveva avuto nell'umanesimo erasmiano un significato filosofico ed etico, fu, in Lutero, un vero capovolgimento antropologico, che lo radicava, scartando in blocco l'intera tradizione, nella Sacra Scrittura e piu precisamente in quella parte della Sacra Scrittura che fa dipendere la salvezza da niente altro che dalla decisione misericordiosa di Dio. Questa conversione era avvenuta molto prima, nel 1513, in un esperienza che va sotto il nome di Turmerlebnis, esperienza della Torre, perche sarebbe avvenuta mentre il monaco agostiniano, dottore in Sacra Scrittuni, meditava sui senso di un brano fondamentale della Lettera ai Romani di san Paolo. Ne parlo lui stesso, alla vigilia della morte: Ero stato infiammato dal desiderio di intendere bene un vocabolo adoperato nella Epistola ai Romani, a! capitolo primo, dov'e detto: 'Ia giustizia di Dio e rivelata nell'Evangelo'; poiche fino allora lo consideravo con terrore. Questa parola, 'giustizia di Dio', io Ia odiavo, perche Ia consuetudine e l'uso che ne fanno abitualmente tutti i dottori mi avevano insegnato a intenderla filosoficamente: la giustizia che essi chiamano formale o attiva, quella per la quale Dio e giusto e punisce i colpevoli. Nonostante l'irreprensibilita della mia vita di monaco, mi sentivo peccatore davanti a Dio, la mia coscienza
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era estremamente inquieta e non avevo alcuna certezza che Dio fosse placato dalle mie opere soddisfattorie ... Finalmente Dio ebbe compassione di me. Mentre meditavo giorno e notte ed esaminavo Ia connessione di queste parole: 'La giustizia di Dio e rivelata nell'Evangelo, com'e scritto: il •giusto vivra per fede', incominciai a comprendere che Ia giustizia di Dio significa qui Ia giustizia che Dio dona, e per mezzo della quale Dio, nella sua misericordia, ci giustifica mediante Ia fede, com'e scritto: 'II giusto vivra per fede'. Subito mi sentii rinascere e mi parve che si spalancassero per me le porte del paradiso.
Ecco dunque il capovolgimento luterano: a rendere giusto l'uomo dinanzi a Dio non sono le opere (giustizia attiva), e una concessione gratuita e misericordiosa di Dio, una specie di imputazione esterna che, senza trasformare l'uomo, che resta intrinsecamente peccatore, lo salva. E la giustizia. passiva. In termini filosofici, questo significa il rigetto di ogni armonizzazione tra la spinta dell' eros, che sospi{l.ge l'uomo di grado in grado verso una sempre migliore rassomiglianza con Dio, e il moto dell'agape, della carita di Dio (grazia) che va verso l'uomo e lo assimila a se. La teologia medioevale aveva trovato in questo progetto di conciliazione tra natura e grazia, tra ascesi morale e santificazione soprannaturale, tra filosofia e fede, tra saggezza umanistica e sapienza evangelica l'asse centrale del proprio sviluppo e delle proprie dialettiche. La crisi di questo progetto scolastico si era avuta con il nominalismo e soprattutto con Occam (1.12.8), la cui filosofia era dominante negli ambienti di formazione di Lutero. Era stato Occam a recidere il nesso tra razionalita umana e razionalita divina, sistemando la prima dentro gli orizzonti puramente terreni e assorbendo la seconda nella trascendenza dell'arbitrio divino, non vincolato a nessuna 'ragione'. Il linguaggio filosofico di cui si serve Lutero e ancora quello occamista, rna, dopo Ia conversione, la sua premura sara di rigettare ogni forma di sapere e perfino di linguaggio che non sia derivata direttamente, senza mediazioni filosofiche, dalla Scrittura. 2.11. Le tesi luterane. Ma non per questo egli esce dalla storia del pensiero: le sue tesi teologiche, oltre a scardinare l'edificio medioevale e a tagliare dalla radice le lussureggianti vegetazioni dell'umanesimo cristiano, hanno modificato, in modo irreversibile, Ia stessa riflessione filosofica sull'uomo. In questa sede non possiamo che limitarci a ricordare alcune di queste tesi, accentuandone Ia loro angolazione filosofica. 1. Se la 'giustizia' e un'imputazione esterna dei meriti di Cristo, diventano inutili, anzi peccaminosi, gli sforzi ascetici su cui si basavano sia la vita monacale (Lutero abbandonera il suo stato di religioso agostiniano e si sposera nel 1525), sia l'insieme delle pratiche religiose con cui i fedeli miravano ad accaparrare meriti e indulgenze. Resta, come unica virtu capace di salvare e che d'altronde viene anch'essa da un dono di Dio, la fede: la fede, occorre precisarlo, nella potenza salvifica del Vangelo. L'oggetto di questa fede e dunque niente altro che la Scrittura: sola fides e sola Scriptura. Anche per comprensibili ragioni polemiche, Lutero da a queste 'unicita' della fede e della Scrittura un significato esclusivo, tale cioe da rigettare tutto il resto nel non-valore. L'uo-
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mo, ad esempio, non importa se virtuoso o vizioso, e sempre, in se considerato, un peccatore anche quando la fede lo fa giusto: simul justus et peccator. Una caratteristica del pensiero luterano e proprio quest'affermazione dei contrari, il cui luogo di sintesi non e nella sfera dell'intelligibile, e nel mistero di Dio. II peccato di cui egli parla come di condizione insuperabile e la concupiscenza, da intendere non come impulso sessuale, rna come appetito irresistibile che spinge l'uomo, sia in quanto carne sia in quanto spirito, a cio che e terrestre e lo distoglie da cio che e divino. II che nor. vuol dire affatto che per Lutero le buone opere siano insignificanti, solo che, invece di mezzi per ottenere grazia, esse sono espressioni della grazia ricevuta, segni visibili della predestinazione alia salvezza. E qui che va collocato il contrasto tra Erasmo e Lutero circa la liberta dell'uomo in rapporto alla salvezza. La volonta umana - cosi risponde Lutero ad Erasmo che aveva difeso illibero arbitrio - e posta tra Dio e Satana come un giumento; se Dio vi sta sopra, egli vuol andare e va dove Dio vuole ... Se invece sui suo dorso si e assiso Satana, allora vuol andare e va dove Satana vuole e non e in sua Iibera scelta poter correre lontano dai due cavalieri o il poterli cercare; sono questi ultimi, piuttosto, che lottano per tenerselo stretto e per possederlo.
2. Cade cosi, d'un colpo solo, la mediazione della chiesa, che presumeva di parlare all'uomo in nome di Dio, sostituendosi alia Scrittura, e di guidare l'uomo verso Dio mediante la disciplina sacramentale (dei sette sacramenti Lutero ne salva due, il battesimo e la Cena Eucaristica) e quella ascetica (che trovava la sua attuazione esemplare nella vita monacale). La chiesa none che la cornunita dei predestinati, a diretto contatto con Ia Parola di Dio, senza gerarchie interne. II papa, i vescovi, i preti, hanna usurpato, secondo Lutero, le prerogative (come quella del sacerdozio) che appartengono in esclusiva a Cristo, che le trasmette in modo indivisibile alla comunita. Venuta meno Ia polarita clericale a vantaggio della signoria di Cristo, la comunita si trova nuda di ogni apparato ecclesiastico, esposta immediatamente al mondo: la sua e una vita nel mondo segnata da una diversita di vocazioni (Beruf) che sono, per un verso, tutte Iaiche e, per l'altro verso, tutte animate dall'appello dello Spirito. Nasce cosi (fatto importante nella nascente societa borghese) la qualificazione cristiana delle professioni. 3. La dottrina medioevale sulle due podesta- quella spirituale della chiesa e quella temporale dell'impero - viene sostituita, in piu diretta conformita con l'insegnamento di sant'Agostino, con la dottrina dei due 1~egni: quello spirituale, che e Ia chiesa sottoposta alia Parola di Cristo (e qui il Cristiano «e Iibera signore sopra ogni cosa e non e sottoposto a nessuno») e quello temporale, affidato ai principi e retto da leggi coercitiye, senza le quali, a causa della concupiscenza, la societa cadrebbe nell'anarchia (e in questa regno il cristiano pazio l'intera mole della materia. Essi hanna due sorgenti, il sole e la terra:) dal sole scende il caldo, rna dal sole stesso, in quanta materia, non e assente del tutto il principia del freddo; dalla terra pr;omana il freddo, rna in nessuna parte e del tutto assente il caldo, dato che i quattro elementi sono gia determinazioni concrete prodotte dal principia solare. E siccome il caldo e principia di movimento e il freddo principia di immobilita, ecco perche, come ci dicono i sensi e come insegno Tolomeo, il sole si muove e la terra sta ferma. Tipico caso in cui il deduttivismo di stampo aristotelico mette Telesio in contraddizione con se stesso. 3.5. II mondo e del tutto mondano. E invece coerente con se stesso, Telesio, quando tenta di dar ragione delle cosiddette attivita spirituali senza uscire dalle nature-agenti, il caldo e il freddo. Essendo i due principi in contatto, si avvertono l'un l'altro e cioe si sentono. II fisico diventa psichico. E la scala aristotelica delle tre anime, vegetativa, sensitiva, razionale, scompare per lasciar posto a un'unica anima, che pervade le cose, dalla pietra all'uomo, senza salti
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metafisici, raggiungendo nell'uomo una particolare raffinatezza, pur restando, anche in questa suo ultimo grado, materiale. Torna dunque in Telesio la dottrina neoplatonica della animazione universale, con questa perc) di diverso, che in lui l'anima del mondo non e altra dal mondo, e il principia del caldo, che nelle sue esplicazioni diventa principia psichico e principia spirituale. E infatti anche l'anima dell'uomo e, come ogni altra determinazione del caldo, mortale. E. bene sottolineare subito come questa totale mondanita del mondo sia gia di per se un presupposto necessaria all'approccio scientifico della natura. Dio non e piu il Motore immobile da cui far derivare Ia catena delle cause: Ia catena parte dalla naturae nella natura si chiude. Dio e soltanto il supremo garante dell'ordine della natura, come sara per Cartesio. Questa radicale semplificazione costringe Telesio a render canto, in modo tutt'altro che plausibile, di alcuni momenti essenziali dell'esperienza umana, prima fra tutti quello conoscitivo. La conoscenza non puo che essere conoscenza sensibile: l'uomo conosce perche, come la pietra, e modificato dagli oggetti esterni, come gli animali avverte la modificazione subl.ta e in piu - e questa e il suo momenta specifico - avverte gli oggetti che hanna prodotto la modificazione. Questa percezione della propria modificazione, che comprende anche la percezione dell' oggetto che l'ha causata, si sedimenta nella memoria, costituendo cosi il tratto proprio dell'uomo, Ia coscienza soggettiva. Un corollario di questa ricostruzione sensistica del procedimento conoscitivo e la squalificazione della matematica. I simboli matematici non sono che i residui mnemonici di sensazioni fisiche: il triangolo e la forma labile della cosa triangolare che mi ha modificato, il circolo della cosa circolare e cosi via. Proprio perche privi di un fondamento diretto nella realta, gli strumenti matematici non sono idonei a farci penetrare nella sua intima struttura. La quantita e un'astrazione, solo la qualita e reale. Come dire, dunque, che la scienza e impossibile: il suo compito, per Telesio, e ancora in mano alla filosofia. Un'altra difficolta, e questa molto piu grave anche per i suoi riflessi disciplinari (siamo nel momenta rigido della Controriforma), dovette affrontare Telesio: quella di conciliare la sua antropologia con la dottrina cattolica dell'immortalita dell'anima. Come si e vista, !'anima dell'uomo, momenta interno al ciclo della natura, e mortale. E tuttavia, argomenta Telesio, l'esperienza ci dimostra che ci sono nell'uomo aspirazioni di ordine morale e conoscitivo che vanno bene al di la della natura sensibile, che insomma l'uomo e, si, nella natura rna non e totalmente della natura. Ad esempio, in quanta e della natura l'uomo ha quale suo principia morale supremo quello della propria conservazione. Ma l'uomo e capace di far getto della pr:~ria vita in nome di beni superiori. La spiegazione di questa 'innaturalita' ifell'uomo e che Dio infonde in lui fin dal suo concepimento un'anima superiore (anima superaddita), che e nell'uomo un principia diverso da quello che la natura gli fornisce ed e quello che noi chiamiamo l'anima immortale. Questa che a noi appare un espediente per evitare i rigori della chiesa (che a ogni buon canto mise all'Indice l'opera maggiore di Telesio, nel 1593, cinque anni dopo la sua morte) ha invece nelle pagine del filosofo cosentino i tratti, vorremmo dire l'afflato, delle profonde convinzioni.
62 0 3 - Giordano Bruno Che nell'uomo ci sia un'altra sostanza, del tutto divina e immessa dallo stesso Creatore, non e solo cio che ci insegnano le Sacre Scritture, rna e cosa che e lecito intendere anche con le umane ragioni. Gli uomini sembrano operare e sopportare e desiderare, diversamente da tutti gli altri animali, case che si debbono senz'altro attribuire ad una sostanza piu elevata di quanta sia lo spirito originantesi dal seme. L'uomo non sembra placarsi infatti, come e Iegge di tutti gli altri animali, nel sentimento e nella conoscenza e fruizione di queUe cose grazie alle quali si nutre e per le quali si conserva e ha godimento; egli va investigando invece con somma ansieta la sostanza e le operazioni di altre cose, anche di quelle che non gli sono di nessuna utilita pratica e che anzi non possono essere afferrate col sensa.
Nonostante queste contraddizioni, ha ragione forse chi vede in Telesio il piu galileiano dei filosofi naturalisti, perche il suo vero interesse non e, come sara quello di Giordano Bruno e di Campanella, metafisico, rna fisico. E vero, sl., che Ia sua dottrina dell'animazione universale lo tiene ancora esposto aile suggestioni della magia, rna la vera intenzionalita che governa la sua opera si protende sui versante della scienza fisica. Gli manco, per potervi entrare, l'intuizione, che sara di Galileo, del valore della matematica come chiave di lettura del mondo.
Giordano Bruno 3.6. L'infinita del mondo. Nel periodo che stiamo studiando, la rivoluzione conoscitiva, ancora allo stato informe degli inizi, e per di piu turbata dal contesta politico-religioso che, quasi nel presentimento della propria disgregazione, tiene sotto rigida sorveglianza i movimenti del pensiero. Come si e detto, nel 1593 l'opera di Telesio venne messa aii'Indice. Nello stesso anno, un altro pensatore meridionale, Giordano Bruno*, entrava nelle segrete del Sant'Uffizio per restarvi sotto processo per cinque anni. Ne uscira per salire sul rogo nel Campo de' Fiori, il 17 febbraio 1600. Il mondo di Telesio era stato la tranquilla Accademia di Cosenza, il mondo di Bruno e l'intera Europa, che egli percorre, sostando a Ginevra, a Parigi, a Londra, a Wittemberg, a Francoforte, a Venezia, sospinto da quello che egli chiamera l"eroico furore', un impeto conoscitivo che non tollera freni di tradizioni ne di discipline istituzionali. L'ascendenza immediata del pensiero di Bruno e nel naturalismo del «giudiciosissimo» Telesio: anche per Bruno l'universo e in ogni sua parte omogeneo, costruito con la medesima st~ffa, si tratti del cielo o della terra, dell'anima o del corpo. Ma Telesio aveva contenuto il suo naturalismo dentro una cornice tolemaica, cioe geocentrica,. senza coinvolgere Dio nei processi del mando. Bruno, forse gia nel suo soggiorno pari gino, prese conoscenza dell' opera di Copernico di cui diremo nel prossimo capitola (4.5.) e ne sposo subito la tesi di fondo, quella della centralita del sole, derivandone pero conseguenze da cui Copernico riluttava: quella soprattutto dell'infinita del mondo, che Bruno aveva gia mutuato dal 'divino' Cusano (1.4.).
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Il nostro sistema planetaria - ecco la 'rivoluzione copernicana' di Bruno - non e che una infinitesima porzione dell'universo, dove sono infiniti altri sistemi con altri pianeti abitati alia pari della Terra. Sicche nell'universo non c'e ne alto ne basso, ne piccolo ne grande, ne centro ne circonferenza. E i suoi movimenti non sono dovuti a un motore immobile, rna a un principia interno che e, nel mondo, quel che }'anima e nell'uomo. Questa principia e anch'esso infinito, rna lo e in modo implicito, cosi come l'universo e l'infinito esplicito. Come nell'uomo !'anima e tutta presente in ogni parte del corpo pur non avendo parti, cosi il principia infinito che anima il mondo e tutto in ogni parte. Una causa infinita non puo non produrre un effetto infinito. Non che ci sia un momento in cui Ia causa produsse 1' effetto: effetto e causa sono necessari l'uno all'altro e dunque eterni. L'infinita spaziale dell'universo none che l'esplicazione dell'infinita ontologica del Principia (o Essere, o Uno, o Causa) che e tutt'insieme presente in ciascun individuo della natura, cosicche ciascun individuo, limitato e determina-
Giordano Bruno. Nasce a Nola rzel 1548. Erztra adolescerzte rzell'ordirze dei domenicani ed ha un processo gia prima di diventare sacerdote. Ma poco dopo, nel1576, lascia l'abito religioso e comincia le sue peregrinazioni; aprendo dovunque, col suo insegnamento, conflitti che lo costringono a riprendere il viaggio. A Ginevra entuasiasma prima e poi scarzdalizza i calvinisti, a Wittemberg i luterani. Un nobile veneziano, Giovanni Mocenigo, desideroso forse di essere introdotto nelle arti magiche, lo invita presso di se come suo istitutore. Deluso, lo denuncia nel 1592 all'lnquisizione veneta, che dopa un anno si decide a passarlo al Sant'Uffizio romano. Durante il lungo processo, il filosofo, che sulle prime da qualche segno di cedimento, s'irrigidisce nell'intransigenza e nella fierezza. Condannato come eretico impenitente viene consegnato alia Corte del Governatore di Roma per ,.ze debite pene». Le pene sono quelle del rogo, subite il 17 febbraio 1600. L'attivita filosofica di Bru~o e intensa e tumultuosa. Nel decennia 15821592, sebbene senza dimora stabile, egli compone e da alle stampe un numero incredibile di opere, di diversa ampiezza e di diverso genere letterario. E in grado di portarne avanti piu d'una simultaneamente, svolgendo sempre le sue intuiziorzi forzdamentali, ma assorbendo via via i contributi che gli vengono dall'esperienza e dalle letture, come quella di Copernico, ora servendosi della forma del dialogo in lingua volgare (un volgare tutto suo, da lasciare allibiti i tutori del lessico, della grammatica, e del decoro), ora del poema Latino, ora del trattato. I due nuclei piu importanti sono quello dei Dialoghi in italiano, stampati a Londra tra il 1584 e il1585: La Cena delle Ceneri; De la Causa Principia e Uno; De l'Infinito, universo e mondi; Spaccio della bestia trionfante; De gli eroici furort· e quello dei poemi in Latino, stampati a Francoforte nel1590: De minimo, De monade, de Immenso et innumerabilibus.
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to in quanto e un particolare modo del tutto, in quanto ha in se la totalita dell'essere e anch'esso infinito. La tensione tra la determinazione individuale e l'infinita dell'Essere, che sta sotto la determinazione, provoca il divenire, l'interminabile trasmutazione di tutte le cose. Le quali, dunque, nascono e muiono, rna solo in quanto determinazioni molteplici, non in quanto Essere. Come nella dimensione spazio cosi anche nella dimensione tempo, l'Uno e presente per intero in ogni punto del divenire e proprio perche nessun punto lo esaurisce, si ha il dinamismo del divenire. Nessun uomo, dunque, e in un sol momento tutto quello che puc essere, e tuttavia in un solo dei suoi momenti si racchiudono tutte le sue possibilita future. Di qui, appunto, l'eroico furore, come bramosia d'infinito. 3.7. La religione della natura. Non ha senso pertanto distinguere nella natura il soggetto e l'oggetto. La natura e soggetto di se stessa. Il Principia che la genera e infatti l'Intelletto universale, che modella dall'interno gli infiniti oggetti, come il vetraio da forma al vetro soffiando nella cannuccia al cui estremo si trova il grumo incandescente. L'intelletto dell'uomo none che un modo di questo Intelletto mondano, il quale essendo la vera causa di tutte le cose, garantisce la corrispondenza tra il pensiero e la natura, tra l'ordine delle cose e l'ordine delle idee. Non ha senso derivare da una rivelazione soprannaturale il senso del mondo, che e tutto scritto nel mondo e che l'intelletto umano e in grado di decifrare. I libri sacri, scrive Bruno nella Cena delle ceneri, anticipando una famosa tesi di Galileo, contengono leggi che riguardano il nostro agire morale e non la spiegazione di quelle leggi della natura che sono tutte scritte dentro le pagine del mondo, sono lo stesso Intelletto che imprime le proprie forme nella materia, la quale, cosi fecondata, genera da se stessa iimumerevoli e diversissime realm che costituiscono la natura. Siamo di fronte alia piu rigorosa dottrina panteista. E. vero che Bruno in piu luoghi distingue tre intelletti, anteponendo a quello mondano e a quello umano l'intelletto divino, che e infinito e che sta oltre la natura, tanto che nulla noi ne possiamo dire. Ma questa concessione alla dottrina tradizionale di un Dio trascendente resta come posticcia nel sistema bruniano, che e rigorosamente chiuso nell'intuizione del Dio immanente al mondo come suo principia infinito, come Mente interna alle cose. Nell'immagine dell'uomo che con la sua indagine si appropria delle idee dello stesso intelletto divino immanente al mondo, trova compimento l'ideale umanistico-rinascimentale della signoria dell'uomo sull'universo, in ragione della radicale corrispondenza tra macrocosmo e microcosmo. L'appartenenza di Bruno alia fase rinascimentale della storia del pensiero appare ancora piu evidente se si da il giusto peso a quanto egli dice sulla funzione conoscitiva dell'immaginazione. I sensi ci danno delle cose una conoscenza chiusa e confusa, l'intelligenza ce ne da una conoscenza limitata in quanto ci rende coscienti dei loro limiti, l'immaginazione, oltre che fornire all'intelletto il materiale sensibile, ha anche questo di proprio, che ci fa spaziare nelle regioni infinite del non ancora conosciuto, e nelle sue creazioni riesce a rispecchiare l'armonia invisibile dell'ordine infinito dell'universo. Un tema leonardiano, se ben si pensa.
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Cosi come la vera filosofia, scrive Bruno, e insieme musica, poesia e pittura, anche la vera pittura e insieme musica e filosofia e la vera poesia e insieme un'espressione e un'immagine della sapienza divina.
3.8. L'eroico furore. E gia in questo ruolo dell'immaginazione trova un connotate essenziale la dottrina fondamentale di Bruno, quella della conoscenza come eroico furore. Abbiamo gia detto che la mera conoscenza intellettuale ci tiene prigionieri del finito e cioe delle determinazioni in cui ci si presentano le cose, sempre identiche a se stesse. E l'immaginazione che fa da mediazione tra il finito e l'infinito. E cosi l'intelletto, animato dalla tensione verso l'infinito di quel divino Intelletto che e la trama viva dell'universo, supera di continuo se stesso negli spazi aperti dall'immaginazione e diventa 'furore', una smania insaziabile che spezza ogni limite, diventa appunto eroismo. E questa la vera religione bruniana: una religione totalmente laica, contemplativa e insieme attiva, avversaria irriducibile e dell' errore e del vizio, che so no i due aspetti inseparabili della Bestia trionfante, cioe della superstizione. Le religioni positive, anche il cristianesimo sia cattolico che protestante, sono momenti del trionfo della Bestia. Momenti necessari, perche il volgo non ha altro modo, per accogliere e vivere la verita divina implicita nel mondo, se non quello dei simboli superstiziosi e delle sanzioni eterne del premio e del castigo. Nelle religioni c'e sempre un nucleo che andrebbe disciolto dall'involucro volgare tessuto dalla sensibilita. Ed e quello che fa il filosofo, la cui religione e quella che lo rende capace di contemplare ed operare la verita dispiegata nella natura. Le opere di Bruno sono attraversate, come la sua vita, dall'aspettativa di un'eta diversa, libera dalle superstizioni e dalle istituzioni che le propagano e vi trovano fondamento di potere. Solo che quest'ansia legittima resta come imprigionata nei quadri mentali del Rinascimento, che sono omogenei ad una cultura aristocratica, estranei aile nuove classi allora gia emergenti, le classi che saranno davvero capaci, secondo l'auspicio di Bruno, di «formar altre nature, altri corsi, altri ordini». La necessita della tecnica in cui l'uomo possa usare «l'intelletto e le mani>> e presente in Bruno come esigenza, tant'e vero che egli riservo particolare attenzione all'uso magico dell'arte mnemotecnica, appresa dall'ammiratissimo Raimondo Lullo (!.12.3), e dalle pratiche cabalistiche derivate dall'umanesimo ficiniano. Gli manco la percezione dello strumento matematico, sebbene egli abbia riservato alle matematiche una riflessione particolarmente impegnata nel De minimo e nel De monade. Egli vi tratta del minimo metafisico, che e l'Uno e cioe Dio, e del minimo matematico che e i1 punto, e cioe il cerchio senza estensione, e il minimo fisico che e l'atomo. Ma questi temi egli li svolge alla maniera pitagorica e cioe come matematica qualitativa, che sta dalla parte della metafisica e non da quella della scienza.
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3 • Tommaso Campanella
Tommaso Campanella 3.9. Tra naturalismo e magia. Giordano Bruno non ebbe maestri veri e propri. E non ebbe discepoli. Oltre che del suo temperamento, incline alia tracotanza, il suo splendido isolamento e an,che il portato del suo pensiero, in cui si ritrovano, e vero, eredita antiche e recenti, rna che nel suo insieme e di una· novita sconcertante. La sua speranza di poter trovare, come altri pensatori, un accomodamento con Ia chiesa della Controriforma era illusoria. II suo vero tempo, ed egli sail sui patibolo con questa convinzione, era il futuro. Solo che a preparare quel futuro non sarebbe stata la filosofia, sarebbe stata Ia scienza. Ad accorgersene fece a tempo un altro filosofo, Tommaso Campanella*, che prolungo fin nel cuore del seiceRto l'impeto utopico di cui era gravida Ia filosofia rinascimentale: fu lui a salutare la scoperta di Galileo come l'inizio di un «Secol nuovo». Ma, come Giovanni il Battista, vide il Regno senza riuscire ad entrarvi. Pochi mesi prima di morire (1639) scrive al Granduca di Toscana: «ufia', il cui contenuto pen'> none ancora l'insieme delle relazioni tra le cose, e Ia natura stessa delle cose, che consiste in figure e numeri. La naturae anch'essa, come !a Bibbia, il libra di Dio, che va letto con i criteri della matematica (4.6). L'autonomia della ragione acquista solide basi: la certezza matematica e assoluta, sebbene all'interno di un sistema, quello in cui ci troviamo, e si basa sulla possibilita di ridurre tutti i fenomeni aile proprieta quantitative (4.7). A tal fine Galileo elabora un suo metoda che si articola nell'osservazione, nell'ipotesi e nell'esperimento (4.8). Il mondo ontologico di Aristotele, strutturato in una gerarchia di essenze, si trasforma in una continuita di fenomeni fisici calcolabili matematicamente. Finisce cosi l'antico antropocentrismo e ha inizio, con tutte le sue caratteristiche, Ia grande avventura della comprensione scientifica dell'universo e dell'uomo stesso (4.9). Se Galileo ha dato alia scienza il metoda, Bacone le ha fornito l'ideologia che prelude alia odierna tecnocrazia, prefigurata nella sua opera utopica I'Atlantide (4.10). Per diventare capace della vera conoscenza del mondo la ragione deve innanzitutto liberarsi dagli idoli che Ia tengono schiava, per poi procedere induttivamente, rna in maniera organizzata, fino a raggiungere Ia definizione della natura di un fenomeno (4.11). Ma e proprio in questa sua identificazione tra Ia natura, o forma, e la causa del fenomeno che Bacone si svela ancora legato a una concezione qualitativa e dunque prescientifica del mondo. II suo merito, nel quadro della rivoluzione scientifica del suo secolo, e di aver messo in luce il nesso tra sapere e potere, tra conoscenza della natura e dominio su di essa. Se none uno scienziato egli e quanta meno il 'prima filosofo della civilta industriale' (4.12).
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Gli esordi della scienza 4.1. II mutamento culturale. GUt da quanto si e detto, il secolo XVI- il secolo del Rinascimento - appare come uno straordinario momento creativo nella storia del pensiero umano. Da Ficino a Campanella, la corrente calda dell'utopia lo attraversa per intero, anzi, lo scavalca, tenendo viva l'attesa del 'secol novo', di un nuovo tempo della specie umana. E tuttavia, per quanto riguarda le sue espressioni filosofiche, il Rinascimento non fece che disseminare luminose intuizioni senza uscire mai, nemmeno con Bruno, anzi nemmeno con Campanella, dall'antica pretesa di risolvere nella metafisica la comprensione del mondo. La radicale fuoriuscita dalla pregiudiziale metafisica si avra con i pensatori che non si limiteranno ad esaltare il primato conoscitivo dell'esperienza sensibile rna, mediante l'uso della matematica, tramuteranno quell'esperienza da semplice dato di fatto in programma preordinato dalla ragione, da confusa identita primordiale tra soggetto e oggetto, in dominio del soggetto sull' oggetto. L'antico Pitagora aveva operato una vera rivoluzion~ conoscitiva quando aveva stabilito una corrispondenza tra l'acutezza del suono e la lunghezza della corda di uno strumento, e cioe tra una variazione qualitativa e una variazione quantitativa (I. 2.7). Un suo seguace, Filolao, aveva scritto: «II numero e la guida e il maestro del pensiero umano. Senza la potenza del numero, tutto resterebbe oscuro e confuso». II limite dei pitagorici fu di fare del numero una cosa, e del sistema numerico un sistema di cose. E cosi essi scivolarono nel misticismo. La scoperta decisiva sara quella che fara del numero non piu l'essenza della realta rna un suo simbolo, una forma particolare di linguaggio atta a definire non le cose in se rna le loro relazioni. E questa la scoperta che, nonostante luminose anticipazioni, appartiene in proprio al pensiero occidentale moderno e che, mediante la rivoluzione tecnica di cui sta aile origini, ha modificato la faccia della terra. Ebbene: nel fitto intreccio del pensiero rinascimentale non ancora libero dalla feconda rna anche soffocante ipoteca platonico-aristotelica, corre una linea che pian piano riuscira a districarsi e a diventare definitivamente dominante, la linea che mira a coniugare tra loro la conoscenza sperimentale della natura e il discorso simbolico della matematica. Questo processo fu reso possibile da alcune evenienze che gli offrirono il contesto e gli stimoli indispensabili. 1. In primo luogo la diffusione, specie per opera degli umanisti italiani, degli scritti degli antichi scienziati tradotti dal greco in latino e dal Iatino in lingua volgare. Si ebbe cosi la conoscenza diretta di Ippocrate e di Galeno, di Dioscoride e di Plinio, di Euclide e di Tolomeo, di Strabone e di Archimede (l'opera del quale, tradotta in Iatino da Niccolo Tartaglia nel 1543, ebbe un valore decisivo per Galilei) e cioe degli scienziati antichi che, nel loro insieme, avevano composto una enciclopedia del sapere naturale, rimasta per lo piu ignota al Medioevo, capace di provocare verifiche e sviluppi totalmente nuovi. II patrimonio antico entrava a far parte infatti di una coscienza umana profondamente tesa al dominio del mondo, secondo il programma di Pico della Mi-
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randola, che faceva dell'uomo non il riflesso empirico di un'essenza immutabile rna il libero creatore di una realta fatta a propria immagine e somiglianza (1.12). 2. Questa infatti e l'altro tratto caratteristico dell'eta rinascimentale: un approccio diretto con la natura nell'intento di leggerne i segreti senza mediazioni libresche e di utilizzarli a vantaggio dell'uomo. «Quando tu metti insieme la scienza dei moti dell'acqua, ricordati, scrisse Leonardo da Vinci, di mettere di sotto a ciascuna posizione li sua giovamenti, acciocche tale scienza non sia inutile». Questa finalizzazione della conoscenza all'utilita trova il suo riscontro nella nuova considerazione riservata alla conoscenza volgare di colora che, senza ausilio di libri, vivono ed operano a diretto contatto con la natura. L'uomo colto, scrive LodovicoVives (1492-1540), amico di Erasmo e di Moro, «non deve vergognarsi di entrare nelle officine e nelle fattorie ponendo delle domande agli artigiani e cercando di rendersi conto dei dettagli della loro opera». Meglio loro che gli scolastici, i quali, cosi argomenta Vives, arrabbiati contro la natura, se ne sono costruita un'altra fatta di forme, di ecceita, di relazioni e han dato a questa sapere vuoto e mostruoso il nome di metafisica. Questa divisione tra il sapere astratto e la conoscenza pratica ha generalizzato il fenomeno denunciate argutamente dal grande anatomista Andrea Vesalio (1514-1564) nel suo De corporis humani fabrica (1534): la pratica anatomica resta affidata ai barbieri, incapaci di leggere testi di anatomia, e gli autori espongono, seduti come cornacchie sulle loro cattedre, cose che mai hanno sperimentato e che hanno tratto dai libri. E cosi «si insegna confusamente agli allievi meno di quanta un macellaio, dal suo bancone, potrebbe insegnare al dottore». L'esigenza di uno scambio stretto tra scienza e tecnica e d'altronde un tratto costante dell'umanesimo: basterebbe ricordare i rapporti tra Filippo Brunelleschi e Leon Battista Alberti o Paolo Torricelli. II luogo tipico di questo scambio e la 'bottega', dove si formano i grandi artisti del Rinascimento in stretto contatto con umili artigiani, da cui traggono i segreti ereditari del mestiere arricchendoli di ricerche teoriche, come fecero Lorenzo Ghiberti nei suoi Commentari e Piero della Francesca nel suo De perspectiva pingendi. 4.2. Leonardo da Vinci. Il genio che meglio espresse questo momento decisive delle origini del sapere scientifico e Leonardo da Vinci (1452-1519). Man mano che, a partire dal secolo scorso (1881), e stata decifrata l'immensa mole dei suoi appunti (circa settemila ·fogli) ed e stato ricostruito con maggior rigore filologico l'ambiente della sua prima formazione, Leonardo, Iiberato dall'alone ambiguo del portentoso prodotto di natura in cui lo aveva rinchiuso il romanticismo, si e rivelato, senza perdere di eccezionalita, come l'uomo che meglio ha incarnato in se la tensione universalistica del Rinascimento, la sua insaziabile curiosita nel perlustrare i segreti della natura, il suo progetto di tramutare la conoscenza in dominio, la sua fierezza giovanile nello scuotersi di dosso, in nome dell'esperienza, le sovrastrutture del sapere scolastico e metafisico e finalmente (ed e qui che in Leonardo batte gia la luce dell'eta galileiana) l'utilizzazione delle leggi di natura per superare i limiti che Ia natura sembra aver posto all'uomo. Questa confluenza del multiforme spirito
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dell'epoca in Leonardo non avvenne peri tramiti tradizionali, che sono tramiti libreschi (egli chiamo se stesso «Omo sanza lettere») rna mediante il tirocinio della 'bottega fiorentina' (quella del Verrocchio), dove la tradizione artigianale si era gia arricchita degli apporti del nuovo sapere umanistico, da quello del circolo ficiniano a quello di Nicola Cusano, e del nuovo sapere tecnico centrato sull'importanza del calcolo matematico. Come aveva insegnato Leon Battista Alberti, il pittore deve essere datto in tutte le arti liberali, rna soprattutto in geometria. Proprio in questa destinazione del sapere matematico a penetrare nelle ragioni che regolano quella realta che la pittura, nel modo che e suo, intende ritrarre, sta il nesso che stringe in unita il Leonardo pittore, il Leonardo ingegnere e il Leonardo scienziato. Certo, sopravvivono in lui non pochi atteggiamenti che abbiamo riscontrato nei filosofi della natura, rna cio che gli e proprio e il fermo convincimento che la natura non si conosce se non mediante la matematica. Quando scrive che la natura e retta da 'ragioni' immanenti, che nel lora insieme costituiscono la necessita che della natura e «frena e regola eterna», egli riecheggia temi cari alia filosofia del suo tempo. Ma mentre altri cercavano di impossessarsi di quelle ragioni con deduzioni metafisiche o con arti magiche, Leonardo fa appello ai matematici: «0 matematici, fate lume a tale errore!. .. », e cioe all'errore di chi fa derivare i moti della natura da forze soprannaturali o anche semplicemente spirituali. Nissuna umana investigazione si puo dimandare vera scientia, s'essa non passa per le matematiche dimostrazioni.
Sono due, per Leonardo, le vie dell'investigazione: quella che parte dalla mente e torna alia mente e genera soltanto la sofistica loquace e quella che passa attraverso l'esperienza filtrata dalle misure matematiche e genera la vera scienza. E questa la 'nota sperientia'. Chi biasimi la somma certezza della matematica, si pasce di confusione e mai porra silentio aile contradditioni delle sofistiche scientie con le quali s'impara uno eterno gridore.
Come, per un verso, il pensiero di Leonardo (un pensiero in movimento, incapace di raggiungere, nonostante i suoi propositi, una compiutezza sistematica, dato che si accende e si spegne, come un lampo, ai margini delle immense imprese 'naturali') taglia netto con l'umanesimo platonico, che assegnava all'uomo un primato di tipo meramente contemplativo, cosi taglia netto con quello sperimentalismo che rende l'esperienza quasi fine a se stessa, condannandola ad una indefinita ripetizione. Nessun effetto gna sperienzia.
e in
natura senza ragione: intendi ragione e non ti biso-
E nemmeno l'intendere ragione e fine a se stesso, perche lo scopo dell'intendere e l'invenzione della strumento meccanico: la scienza sbocca di necessita nella tecnica. Esperienza piu matematica produce la meccanica:
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la meccanica e il paradiso delle scienze matematiche, perche con quella si viene al frutto matematico.
Si direbbe, insomma, che tutti gli elementi su cui si basera la svolta scientifica galileiana siano gia presenti in Leonardo. A correggere questa impressione. va detto che in Leonardo l'esaltazione della matematica e ancora, per cosi dire, ingenua, in quanta il suo nesso con l'esperienza rimane di troppo stretto respiro, non sorretto da una metodologia adeguata, come quella che distinguera 1' esperienza dall' espe rimento, facendo di questa Ia veri fica di una ipotesi formulata matematicamente. C'e in Leonardo una specie di entusiasmo inesausto dinanzi al panorama delle ragioni segrete della natura: per afferrarle egli si getta in esperienze le piu disparate, che si accumulano !'una sull'altra senza un disegno preordinato. Certo, molte delle sue invenzioni sono straordinarie, come pure molte delle sue spiegazioni scientifiche di fenomeni naturali. Sta di fatto pero che le sue macchine sono state quasi sempre inventate a scopi ludici, in occasione di festivita e di pubblici divertimenti. Perseguendo come fine della scienza l'utilita comune, egli non supero, tutto sommato, i limiti dell'artigianato geniale. II fatto e che lo slancio demiurgico di Leonardo aveva gia un orizzonte dove appagarsi ed era, non quello della scienza, rna quello della pittura. E. noto a tutti che egli preparava i suoi quadri con ricerche d'ogni genere, che andavano dall'anatomia alla geometria. Non era, Ia sua, una procedura da pedante. Per lui la scienza del pittore fa che la mente del pittore si trasmuta in una similitudine di mente divina, impero che con Ia Iibera potesta discorre alia generazione di diverse essenze di vari animali, piante, frutta, paesi, campagne, ruine di monti, luoghi spaventosi e paurosi ....
E mentre la natura produce e distrugge le sue caduche bellezze, Ia scienza le salva dalla morte e le conserva in vita. Proprio per questa la pittura e un procedimento conoscitivo che deve ripercorrere le ragioni che stanno nascoste nella natura e anche se essa ci da la superficie delle cose, deve lasciar intravedere que! che vibra dietro la superficie, l'infinito groviglio di processi di cui la superficie e l'approdo e insieme il velo che lo nasconde. La 'magia' dei quadri di Leonardo (si pensi alia Gioconda) sta proprio in questa sua capacita di fermare nella tela non solo Ia superficie di un volto o di un panorama rna l'infinita delle 'ragioni' che han dato vita e senso a que! frammento di natura. Anche i suoi famosi chiaroscuri riflettono questa filosofia, nel senso che restituiscono aile dimensioni ineffabili e notturne le forme luminose colte dai sensi. Ecco perche abbastanza fortunato da trovare solo una cosa che sia certa e indubitabile.
Le conoscenze umane, cosi argomenta Cartesio, hanna due sorgenti: i sensi e la ragione. Le proposizioni che si basano sulla testimonianza dei sensi sono di tre specie: giudizi di esistenza: questa bicchiere esiste perche lo ved6 e lo tocco; giudizi di relazione; questa bicchiere e piu piccolo di quest'altro, perche io lo vedo cosi; giudizi di attribuzione: questa bicchiere e trasparente perche cosi me lo mostrano i miei occhi. Tali giudizi sono esenti dal dubbio? Affatto. Quante volte nel sogno noi crediamo di vedere e di toccare oggetti che nella realta non esistono! Senza dire che i sensi sono ingannatori e perfino in contraddizione tra loro: un bastone immerse nell'acqua appare spezzato agli occhi, rettilineo al tatto. Ma le verita di ragione? Non sono, almena esse, immuni dalla necessita del dubbio? No. Nemmeno queUe. Ogni giorno ci imbattiamo in uomini che ragionando si ingannano perfino nelle materie piu semplici. Si potrebbe pensare che almena le nozioni su cui si basa la geometria abbiano la prerogativa dell'evidenza incontestabile. Cartesio avanza un'ipotesi che gUt Montaigne aveva formulate: non potremmo essere stati creati da un 'genic malefico' che si diverte nell'ingannarci? E il cosiddetto 'dubbio iperbolico'. Proprio mentre sembra allinearsi alla posizione degli scettici, Cartesio scopre la verita certa e assoluta. Io posse supporre, egli dice, qualunque cosa: che Dio non ci sia, che il mondo esterno sia un'illusione, che le verita della ragione siano dei tranelli, rna nel far questa, nel dubitare di tutto, e certo che io penso: se penso sono; cogito ergo sum. Fosse pure vera l'ipotesi del 'genic malefico', questi non potrebbe ingannarmi se non pensassi. Ecco dunque la salda pietra su cui puo poggiare la mia ragione mentre tutto e sommerso dall'alluvione del dubbio. L'io penso non mi da solo la prima certezza ontologica, quella del mio esiste.re, rna anche la prima certezza logica, quella dell'evidenza. Avendo notato- aggiunge Cartesio- che non vi e niente in questa affermazione io penso dunque sono che mi assicuri che io dico Ia verita se non vedo chiaramente che per pensare bisogna esistere, giudicai di poter prendere per regola generale che le cose che concepiamo molto chiaramente e distintamente sono tutte vere.
Fu subito obiettato a Cartesio che, accettando il principia dell'io penso come vero perche rispondente alla regola dell'evidenza, non tutto era stato roesso in dubbio, quanta meno non era stata messa in dubbio la regola dell'evidenza. Ma, replica Cartesio, l'io penso non e una cosa tra le cose garantite dalla regola dell'evidenza, e il principia stesso dell'evidenza, e la trasparenza immediata del soggetto a se stesso, che fa da base ad ogni altra possibile evidenza. E cosi una regola desunta provvisoriamente dalla matematica diventa, nel rapporto tra l'io penso e l'io sono, un principia a se stante, fondamento e criteria di ogni altra evidenza.
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Basandosi sulla natura intuitiva della certezza dell'io penso Cartesio risponde a un'altra obiezione, sollevata da Gassendi: L' «iO penso dunque sono» e un vero e proprio sillogismo di cui Ia premessa maggiore sottaciuta potrebbe suonare cosi: Tutto cio che pensa esiste. Ma siccome ogni proposizione era stata invalidata dal dubbio metodico, Ia premessa maggiore del sillogismo non puo essere chiamata in causa come certa. Cartesio replica che il suo non e un sillogismo, e l'enunciazione di una intuizione, nella qwle i1 soggetto pensante coglie se stesso come esistente nell'atto stesso di pensare. Dire «penso dunque sono» none come dire «cammino dunque sono», «mangio dunque sono». Si puo infatti pensare di camminare o di mangiare senza camminare e senza mangiare, rna non si puo pensare di pensare senza pensare. Nell'atto di pensare il soggetto si fa trasparente a se stesso come soggetto pensante, 'sostanza pensante' (res cogitans) e cioe come anima. · Questa passaggio dal momenta logico del pensare al momenta ontologico della sostanza pensante e un altro punta debole nella catena deduttiva cartesiana. A rigore, l'intuizione con cui l'io coglie se stesso come pensante consente soltanto, come fece rilevare Hobbes, la certezza che io sono pensante e non che io sono una sostanza che pensa. Anche qui Cartesio ricorre, come il prestigiatore al suo cilindro, al nesso tra l'io penso e l'io esisto. Scartando la nozione classica di sostanza come di un sostrato su cui ineriscono degli accidenti, egli attribuisce proprio a questa nesso (il nesso tra il pensare e l'esistere) la densita ontologica della res, della cosa. Come si vede, le certezze che si aprono a ventaglio dalla semplicissima intuizione dell'io penso, sono molte. Poggiando su di esse Cartesio si tira fuori dalla nebbia del dubbio e vince lo scetticismo affermando la prima verita: l'esistenza dell'anima come sostanza pensante. Costretto da questa identita tra anima e pensiero, Cartesio assume dentro la categoria del pensiero, divenuta, cosi, genericissima, anche facolta di altra natura, come il volere, il sentire, il ricordare, l'immaginare e cosi via. Con questa di proprio: che per diverse che siano, tutte le attivita della spirito sono riconducibili al vaglio critico del pensiero, e di un pensiero deduttivo di tipo matematico: proprio contra questa semplificazione razionalistica della natura umana insorgera iJ nostro Giambattista Vico (10.2). E. sotto il segno di queste ambiguita che avviene, con Cartesio, la svolta idealistica del pensiero moderno. Egli capovolge il rapporto classico tra essere e pensiero (un rapporto che potremo enunciare con la formula essen: perfetto. Ed eccoci alla seconda questione: causa di tutto, Dio e anche causa del male che e nel mondo? Mentre il male metafisico none se non 1.m poriato del limite della creatura finita, e come tale non fa scandalo alla ragione, il male morale e imputabile solo all'uomo, anche se Dio f.: causa dei procedimenti mentali e fisici delle azioni malvage. Il male morale. come insegno Agostino, non e che la scel_ta di un bene inferiore al posto di un bene superiore che andrebbe scelto se si seguissero le regale della ragione. ll male altro non e dunque che l'uomo che si ferma, che si accascia su di se mentre dovrebbe scegliere i beni superiori a cui lo sollecita la volonta di Dio. E dunque lui, l'uomo, it responsabile, perche con la· sua non-volonta, rinuncia ad andare oltre gli orizzonti in cui lo imprigionano i suoi appetiti. Abbiamo fatto cenno a questi due problemi, della contingenza del mondo e dell'origine del male. per fornire due esempi della rnaniera con cui Ivlalebranche affronta l'immensa problematica della teologia tradizionale per risolverla nella chiarezza cartesiana del suo sistema. ll quale, come si e detto, apparve ai suoi contemporanei come una grandiosa creazione a cui avevano posto mano l'intelletto e l'immaginazione, la finezza psicologica e I'ardimento deduttivo, l'afflato religioso e la razionalita insofferente dei limiti. Oualcosa di unico che contiene in non pochi germi che avranno piena fiocitun.i negli illuministi, in Rousseau, in Kant e nel romanticismo tede:>eo.
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Pascal 5.15. Pascal e Port-Royal. Il successo della rivoluzione cartesiana era Jovuto in parte ai limiti che essa si era imposta e che aveva rispettato. Il capovolgi-
130 0 5 - Pascal mento, che aveva spostato il fulcro del sistema delle verita dall'essere oggettivo all'io, fu, si, un capd'volgimento davvero copernicano, rna lasciava intatto il patrimonio di certezze riguardanti la morale, la religione e la politica. Si trattava dunque di una rivoluzione dimidiata, in attesa che i suoi principi penetrassero in tutte le altre giurisdizioni della riflessione umana. Malebranche mostro come fosse possibile ricomporre sotto lo scettro della chiarezza geometrica l'intero universo dello spirito. Vedremo in seguito come altri, e con maggior rilievo, cercheranno di far propria l'intuizione rivoluzionaria di Cartesio eliminando le aporie in cui essa era rimasta bloccata, prima fra tutte il dualismo tra le due sostanze. Ma per dare completezza alla descrizione di questo momento del pensiero francese che segna una definitiva cesura col passato, occorre soffermarsi su quei suoi aspetti che toccano per l'appunto le dimensioni umane su cui Cartesic aveva preferito passar oltre. L'uomo che dette voce all' emisfero della coscienza trascurato da Cartesio, quello morale-religioso, fu Pascal. Biagio Pascal nasce a Clermont nel1623. Suo padre, Stefano, rimasto vedovo quando Biagio aveva tre anni, si trasferisce a Parigi per dedicarsi all' educazione dei figli (oltre a Biagio, Gilberte e Jacqueline) e ben presto entra a far parte anche lui del 'circolo Mersenne' (5.9). Biagio dunque non ha bisogno di liberarsi, come Cartesio, della scolastica dei collegi: la sua crescita avviene in un clima dove giungono e si confrontano tutte le correnti del pensiero europeo. E ne trae profitto al punto che, appena sedicenne, presenta al Circolo un Saggio sulle coniche che lascia sbalorditi anche i piu competenti, eccetto Cartesio, che pronuncia allora il primo dei suoi giudizi non benevoli sull'enfant prodige. Nel 1642, dopo molte prove, presenta, con una lettera dedicatoria, una 'macchina aritmetica' (una calcolatrice, la capostipite dei computer) che procura grande fama al giovane scienziato. Nel '46, un amico di Gassendi, Pietro Petit, porta dall'Italia la notizia dell'esperienza di Torricelli attorno al vuoto e chiede ai Pascal, padre e figlio, di aiutarlo a ripeterla. L'esperimento del tubo di mercurio riesce, Biagio lo ripete per conto suo, con diversi strumenti e in circostanze diverse, pubblicizzandone i risultati con un Trattato sul vuoto. Cartesio, che pure aveva partecipato all'esperimento con Petit, pur di non abbandonare la sua tesi (5.6) sulla natura che ha orrore del vuoto (horror vacut), fa l'ipotesi, degna di un peripatetico, che nel tubo lasciato libero dal mercurio ci sia una «materia sottile». E scrivendo a Christiaan Huyghens osa affermare che il giovane Pascal ha «troppo vuoto in testa e molta fretta». Proprio in quegli anni, precisamente nel '46, ha un primo contatto con l'ambiente religiose che in seguito diverra la sua famiglia spirituale. Sostano per tre mesi, in casa di Stefano Pascal, bisognoso di cure, due chfrurghi seguaci di Saint Cyran, il grande maestro di spirito di Port-Royal*. La famiglia Pascal entra al completo nell'orbita di Port-Royal quando sulle due austere comunita non si e ancora scatenata la tempesta. C'e chi vede in quell'anno 1646 una prima conversione di Biagio Pascal. In realta si tratta di un ravvivarsi in lui degli interessi per i problemi della morale e della fede e di un conseguente attenuarsi della sua passione per le matematiche e per la fisica. La sua salute peggiora e i medici gli ordinano di 'divertirsi'. Nel '50 gli muore il padre; nel '52 la sorella Jacqueline entra tra le suore di Port-Royal. Ha ini-
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Port-Royal non e soltanto un luogo decisivo per la vita e il pensiero di Pascal, e uno dei focolai spirituali che hanna plasmato la coscienza dell'Europa modema. Piccolo monastero fuori di Parigi, Port-Royal divenne celebre agli inizi del '600, quando Mere Angelique Arnauld impresse alIa comunita una riforma rigorosa, che ne fece un punta di riferimento di molte coscienze. Cresciuta anche di numero, la comunita si trasferisce, nel 1625, in un altro convento, Port Royal de Paris, nel sobborgo di Saint Jacques di Parigi. E qui che approda, nel 1635, ['abbe Saint Cyran, un agostiniano di straordinaria cultura, di grande rigore morale e di intransigenza senza deroghe nei confronti del mondo e della stessa istituzione ecclesiastica. L'irradiazione del convento crebbe: un gruppo di uomini decise di vivere vita solitaria nel vecchio monastero di campagna lasciato Iibera da Mere Angelique. Tra di essi Antoine Arnauld, fratello di Mere Angelique, Pierre Nicole e, tra gli allievi (i solitari avevano aperto anche una scuola improntata ad un grande rigore intellettuale), il futuro drammaturgo Racine. l guai di Port-Royal comineiano dopo la pubblicazione postuma (1640) di un libro del vescovo di Ypres, Giansenio (Cornelis Jansen· 1585-1638) intitolato Augustinus. L'intento del libro e la conciliazione tra la tesi calvinista sulla salvezza dei soli predestinati e la tesi cattolica sulla possibilita data a tutti di salvarsi con la corrispondenza alia grazia di Dio. Non e il caso qui di trattenersi nell'esposizione di una dottrina quanta mai complicata. Basti dire che essa servi ai portorealisti da base teologica per combattere l'insegnamento e la pratica dei gesuiti, divenuti i maestri della Francia ufficiale, a cominciare dalla corte. Pur di mantenere in seno alla chiesa il maggior numero possibile di fedeli, i gesuiti, senza nulla negare, in teoria, dei principi morali del Vangelo, mettevano in primo piano le situazioni concrete (i casi, da dove casistica o casuistica) che giustificavano una condotta in contrasto con quei principi. Era la morale del compromesso, naturalmente molto gradita agli uomini del potere e del bel mondo. PortRoyal rappresentava l'assolutezza di Dio sulla coscienza dell'uomo, i gesuiti rappresentavano le ragioni della saggezza pratica, che chiudeva un occhio sui peccati e offriva, come rimedio, la grazia dei sacramenti. l 'signori di Port-Royal' sono accusati di giansenismo e vengono richiesti di sottoscrivere le cinque proposizioni di Giansenio condannate da lnnocenzo X, nel1653. La tesi di Arnauld, che insegna alla Sorbona, e che la condanna va ritenuta valida di diritto, nel sensa che colpisce propqsizioni sicuramente eretiche, rna non .di fatto, perche esse non si ritrovavano tali e quali nel libro di Giansenio. Il potere politico non ha che da guadagnare dall'incriminazione dei 'solitari'. ll braccio di ferro tra l'autorita ecclesiastica e politica da una parte e i due monasteri dall'altra durera con alterne vicende fino alla fine del secolo e si concludera con la distruzione dei due monasteri e Ia dispersione delle suore e dei solitari. Proprio a causa di questa conflitto tra assolutismo e coscienza religios.a il giansenismo, nella storia della cultura europea, ebbe peso non tanto come dottrina teologica quanta come tendenza di ordine morale e politico.
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zio allora quello che la .;;ua prima biografa,. la sorella Gilberte, chiamera ii periodo mondano di Pascal. Egli frequenta la buona societa e stringe arnicizie nel gruppo dei libertini, acquistando cosi una conoscenza diretta di que! mondo con cui in seguito sapra confrontarsi a ragion veduta. tvla il mondo lo annoia. E [a notte del 23 novembre 1653 vive, in modo drammatico, un incontro fiammeggiante col Dio di Gesu Cristo che lo porta a prendere Ia decisione di impostare !a sua vita sulla radicale fedelta. ai vangelo. In un frammento di pergamena (che portera. cucilo nel risvolto dell'abito. in prossimita del cuore) fissa in poche parole un 'mernoriale' dell'evento. «Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, non dei filosofi e dei sapienti. .. , sono le prime parole del memoriale . che ben esprim.ono il suo nuovo programma di vita e di pensiero. Durante un ritiro a Port Royal, egli presenta un progetto di Apologia della reiigiorze crisfiana, destinata non alle anime pie ne ai popolo, ma agli uomini di mondo di cui per breve tempo aveva subito iJ fasdno. Non riuscira a condurre a termine l'impresa, ma, quasi rnateriale per 1a sua costruzione, lascera un manipolo di appunti - note preparatorif·, frammenti "--- che dopo la sua morte saranno riordinati e pubblicati col titolo di Pensieri (Pensees), uno dei capolavori assoluti nella storia del pensiero e della letteratura. A distrarlo dall'impresa sopravviene, nel 1656, il contrasto tra Port-Royal e i Gesuiti sul valore da dare alla condanna delle cinque proposizioni" Pascal, coadiuvato da Arnauld e Nicole, scende in campo scrivendo una serie di lettere (18) ad un provinciale della Compagnia di Gesu: fim:ione letteraria che aggiung:e vivacita alla pagina pascaliana, dove la 'morale del compromesso' imputata ai gesuiti viene messa allo scoperto nel suo sostan:liale paganesimo. Il successo dei suoi pamphlets e tale che Pascal decide di interrompere la sua battaglia. Le Provinciali sono uno dei testi esemplari della letteratura francese. Per quanto non faccia parte della comunita dei solitari di Port-Royal, Pascal si chiude nel nascondimento dedicandosi alla preghiera, aHa pratica della pili rigida poverta e della serena sopportazione delle numerose malattie che Jo hanna accompagnato, si puo dire, fin d::dla nascita. Una di esse (un cancra intestinale) lo conduce alia morte il 19 agosto 1662. 5.16, Potenza e limitll deHa ragione. Quando si cerca di stabilire l'identita filosofica di Pascal, si incorre spesso nell'errore di portare al limite Ja sua polemica anticartesiana per fare di lui ii rappresentante delle 'ragioni del cuore' in contrapposto a Cartesio, che invece rappresenta, e a giusto titolo, le 'ragioni della ragione'. La verita e diversa, anche se e difficile stabilirla, perc he Pascal non ci ha lasciato nessuna esposizione sistematica del suo pensiero. La verita e che Pascal c>ltre ad essere, per comune riconoscimento, uno dei grandi padri della scicnza moderna, e anche un convinto difensore dei d.iritti della ragione. Egli abita, senza inquietudini e senza ripensamenti, nell'eta culturale successiva alla svolta galileiana e cartesiana, distinguendo - perentorio e a riguardo un 'frammento' di un suo Trattato sul vuoto - due tipi di scienze: quella basata sull'autorita degli scritti, come la storia e la teologia, e quella che riguarda « tutto quanta cade sotto i sensi o il ragionamento». «L'autorita in questa caso e inutile, la ragione sola ha il diritto di giudicare». E siccome ncll'ambito del ragionamento fondato sull'esperienza sensibile
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gli oggetti. .. sono proporzionati alia possibilita della mente, questa ha piena liberta di abbracciarli tutti; la sua fecondita inesauribile e incessanternente produttiva e le sue invenzioni possono essere senza fine e senza interruzione.
Si da insomma un progresso del sapere scientifico, dato che in esso «le ccr noscenze anteriormente ricevute sono servite da gradini alle nostre». Nessuna tracda in Pascal della pavidita di cui aveva dato prova Cartesio, quando rinuncio a pubblicare il suo Trattato del mondo, che avrebbe potuto provocare la condanna di Roma peri suoi sottintesi copernicani. «> non e che un aspetto cosmico della condizione miserevole in cui egli si scopre, non appena scenda in se stesso. Pascal lo guida in questa esplorazione con impietosa ironia, abbassandosi spesso agli oltranzismi del paradosso: «Il naso di Cleopatra. Se fosse stato pili corto, tutta la faccia del mondo sarebbe cambiata>>. Come dire che la storia di cui andiamo fieri e signoreggiata dal caso; gli imperi pili grandi sono l'effetto di circostanze le pili futili. Sono le nostre facolta che c'ingannano e ci avvolgono nell'errore: l'immaginazione, che gonfia il presente a forza di riflettervi su e sminuisce l'eternita a forza di non pensarci mai; le abitudini, che sono una seconda natura e la natura che forse non e che un'abitudine; l'io (le moi hai'ssable: l'io odioso) che riconduce tutto a se e fa di se l'universo; la doppiezza, la noia, l'incostanza per cui in realta non viviamo mai, rna soltanto speria-
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mo di vivere; la follia della scienza e della filosofia («Cartesio, inutile e incerto») e finalmente le divertissement, il divertimento. 4. Il divertimento (inteso nel sensa forte di 'distrazione') e la categoria esistenziale piu importante in Pascal. Eccone un'acuta descrizione: Gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, la miseria, l'ignoranza, hanno creduto meglio, per essere felici, di non pensarci. Nulla e cosi insopportabile all'uomo come essere in pieno riposo, senza passioni, senza faccende, senza svaghi, senza occupazione. Egli sente allora la sua nullita, il suo abbandono, la sua insufficienza, la sua dipendenza, la sua impotenza, il suo vuoto. E subito sorgeranno dal fondo della sua anima, il tedio, l'umor nero, la tristezza, il cruccio, il dispetto, la disperazione.
Le occupazioni, la carriera, il trambusto delle guerre, il gioco, la caccia, tutto serve all'uomo per evitare di stare solo con se stesso, nella sua stanza, e scoprire faccia a faccia Ia propria miseria. «Gli uomini occupano il loro tempo ad inseguire una palla o una Iepre: e anche il piacere del re». II quale re, infatti, «e circondato di persone che non pensano se non a divertire il re e ad impedirgli di pensare a se stesso, perche se vi pensa, anche see re, e infelice». E per questa che va a caccia. Non gli interessa la Iepre: potrebbe comprarsela facilmente. Gli interessa la caccia. Ma per la caccia ci vuole la Iepre! Sotto il divertimento, insomma, non c'e la ragione, c'e Ia fuga dalla ragione. 5.19. La risposta apologetica. Tra la noia e il divertimento, illuogo autentico e per l'uomo la noia, perche e nella noia che egli scopre il divario tra cio che vorrebbe essere e cio che fatalmente e. Questa divario e come il varco in cui Pascal vede la via d'uscita dalla condizione intollerabile propria dell'uomo abbandonato a se stesso. «L'uomo oltrepassa l'uomo»: nelle possibilita dell'uomo c'e molto di piu che non nella sua realta. Come egli stesso riconosce nella Conversazione con il Signor De Saci (conservataci dal segretario dell'abbe De Saci, direttore spirituale di Pascal), in questa indagine sull'uomo possibile e sull'uomo reale Pascal ha seguito due maestri, nei quali, a suo giudizio, si ritrova quanta di meglio ha prodotto Ia filosofia del passato: Epitteto e Montaigne. Lo stoico Epitteto ha descritto l'uomo come deve essere: sottomesso a Dio, distaccato dai beni terreni, pago del compito terreno che gli e affidato, salida~ le con tutti gli uomini. Egli ha ben compreso i vestigi della primitiva grandezza dell'uomo rna ha ignorato del tutto la sua miseria reale. AI contrario, Montaigne (di cui Pascal fu lettore assiduo, tanto che nei suoi Pensieri si ritrovano non poche espressioni letterali degli Essais, 3.14) non ha sott'occhio chela miseria presente dell'uomo e la descrive in modo incomparabile, specie per quanta riguarda l'impossibilita dell'uomo di uscire dalla sfera delle semplici opinioni. II suo scetticismo e inconfutabile, e davvero !'ultima parola che puo dire Ia filosofia. Gli scettici come Montaigne (i 'pirroniani', li chiama Pascal) hanna ragione. Solo che essi sono incapaci di comprendere l'aspirazione all'infinito. Insomma, Epitteto e Montaigne non tengono canto della verita del peccato originale: il prima considera l'uomo come un re e non si accorge che e un re decaduto; il secondo lo considera miserabile rna non si
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accorge che era un re. Le due opposte verita vanno tenute insieme ambedue: la terza verita, che in se le compone e le chiarifica, e quella della Rivelazione cristiana. Infatti, alla luce della Rivelazione l'uomo e in un sol tempo quello di Epitteto e quello di Montaigne: il prima e Adamo, cosi come Dio lo ha creato a propria immagine, perche lo conosca e lo ami; il secondo e Adamo divenuto miserabile per il suo peccato. La fede ci proibisce di compiacersi delle nostre debolezze come fa Montaigne; la grazia ci consente di realizzare cio che in Epitteto non era che un ideale vano e presuntuoso. Come si vede, il passaggio dalla ragione alla fede, o meglio dalle aporie della ragione alla certezza della fede, avviene in base al procedimento dialet.tico, di cui, come si e detto, molti considerano Pascal come un precursore. L' errore dei dogmatici come gli stoici, da una parte, e degli scettici, dall'altra, e che «non riuscendo a concepire il rapporto di due verita opposte, e credendo che l'affermazione dell'una implichi l'esclusione dell'altra, si appigliano all'una, escludono 1' altra>>. E invece la religione cristiana insegna queste due verita: e che c'e un Dio, di cui gli uomini sono capaci, e che c'e una corruzione della natura che li rende indegni di Lui. Importa ugualmente agli uomini di conoscere l'uno e l'altro di questi punti. Ed e ugualmente pericoloso per l'uomo di conoscere Dio senza conoscere la sua misericordia, e conoscere la propria miseria senza conoscere il Redentore che lo puo guarire di essa. Una sola di queste conoscenze fa, o la superbia dei filer sofi, che hanno conosciuto Dio e non la !oro miseria, o la disperazione degli atei, che conoscono la !oro miseria senza Redentore. E cosi, come e ugualmente necessario per l'uomo di conoscere questi due pun:ti, e ugualmente dono deJla misericordia di Dio averceli fatti conoscere. La religione cristiana lo fa, e in cio che essa consiste ... Tutti coloro che cercano Dio fuori di Gesu Cristo, e che si arrestano nella natura, o non trovano alcuna luce che li soddisfi, o arrivano a formarsi un mezzo di conoscere Dio e di servirlo senza mediatore, e percio cadono, o nell'ateismo o nel deismo che sono due cose che la religione cristiana aborre quasi ugualmente.
Come si vede, l'apologetica pascaliana consiste nel rapporto tra due momenti, il cui nesso pero non e quello della necessita logica. Nel prima momenta Pascal crea la situazione, nel sensa che mette a nudo l'uomo nascosto liberandolo dalle maschere della mondanita ed esplorando le sue profondita con un metoda che ci richiama alia mente quello messo in uso, nel nostro secolo, dalla psicoanalisi; il secondo momenta e quello del Dio nascosto, ben diverso dal Dio dei filosofi. Quella pascaliana e una via esistenziale che si distacca nettamente da quelle in uso nella scolastica, basate sui processi induttivi di tipo cosmologico o su quelli deduttivi di tipo ontologico. Per Pascal non c'e nell'universo nessuna traccia di Dio, per chi non ha fede; ce ne sono infinite, per chi ha fede. Dio si nasconde nella natura fino a sembrar assente; per s>. Proprio per questa suo tono perentorio, che, anche dopo aver reso alla ragione tutti i suoi diritti, risuona nelle regioni alte della spirito, Pascal fu, ed e
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restato nei secoli successivi, come una provocazione da cui non e stato possibile liberarsi. La storia del pensiero ha proseguito, dopo di lui, senza molto curarsi di lui, eppure, come un fiume carsico che scompare e ricompare, di tanto in tanto, soprattutto nei momenti di crisi, la cultura occidentale ricerca con lui un confronto che credeva di aver gia superato vittoriosamente. Scrisse Henri Bergson che «Cartesio e Pascal sono i due grandi rappresentanti delle due forme o metodi di pensiero tra i quali si divide lo spirito moderno». E un giudizio in cui forse fa cattivo gioco il gusto della schema. Ma e sicuramente vero che nessuno, come Pascal, e con tutte le carte in regola, ha gravato la filasofia dell'obbligo salutare di sospettare sempre di se stessa, ed ha gravato la scienza dell'obbligo di interrogarsi se le vie dei suoi trionfi sono veramente adatte alle speranze dell'uomo.
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0 Sommario. La rivoluzione filosofica che durante il Seicento condusse al trionfo della ragione ebbe successo perche il mutamento sociale aveva gia formato quel soggetto collettivo che si riconosceva nell'ideale del razionalismo scientifico: il sapere come potere (6.1). Questa rivoluzione sociale e politica ebbe luogo innanzitutto in Olanda e poi in Inghilterra. Fu in questa area 'protestante' che Ia spinta economica porto al riconoscimento che al di Ia delle diverse confessioni religiose c'e una base naturale su cui fondare Ia convivenza civica (6.2). L'olandese Ugo Grozio sviluppa !'idea di un diritto naturale fondato sulla natura razionale dell'uomo, un diritto che sorpassa anche i singoli Stati come 'diritto delle genti' (6.3). E questa Ia tesi centrale del giusnaturalismo, che nel Seicento mise in circolazione alcuni temi destinati a grande successo, come quello di stato di natura e di contratto sociale {6.4). II limite del giusnaturalismo era nel suo carattere metafisico-deduttivo. A fondarlo invece su presupposti materialistici e secondo modelli meccanicistici fu Thomas Hobbes (6.5). La conoscenza, per lui, non va mai oltre l'ordine della sensazione: ragionare e addizionare o sottrarre immagini prodotte dalla sensazione (6.6). Le sensazioni provocano in noi le reazioni del piacere o del dolore, a seconda che esse rispondano o no all'istinto di conservazione (6.7). Nellostato di natura gli uomini ricercano tutti le sensazioni di piacere, entrando in guerra tra !oro. II rischio della morte ispira esigenze (leggi di natura) che possono essere soddisfatte solo mediante un contratto che da origine allo Stato (6.8). Nel contratto i cittadini rinunciano al !oro naturale diritto su tutto, per riconoscerlo solo ad uno di !oro, che percio diventa sovrano senza limiti. L'autorita del sovrano e dunque assoluta, tutto subordina a se, anche Ia chiesa, e none responsabile dinanzi a nessuno: Ia Iegge vale solo per il fatto che ha ]a forza di farsi eseguire. II limite dello Stato e sulle soglie della coscienza. che pen) rimane sovrana di se stessa solo nell'intimita (6.9). Non solo lo Stato, nel pensiero del Seicento, raggiunse una coscienza di se fondata su princlpi propri, rna anche la scienza, che era rimasta fino a dopo Cartesio come un capitolo della filosofia. Fu con Isaac Newton che la scienza determino a se stessa un ambito autonomo: da allora le figure dello scienziato e del filosofo cessarono di sovrapporsi (6.10). Newton abbandono Ia pretesa di descrivere il perche dei fatti per limitarsi al come essi avvengano, rifuggendo da ogni ipotesi non basata sull'esperienza (6.11). Sostituendo al concetto cartesiano di estensione quello di massa, Newton riesce a spiegare il moto di tutti i corpi dell'universo, con l'unico principio della gravitazione (6.12). Sembro che con Newton si fosse raggiunto finalmente un sistema scientifico dell'universo. Sfuggiva per lo piu il fatto che anche Newton aveva fatto uso di ipotesi non provate, come queUe di spazio e di tempo assoluti (6.13). Ed e proprio basandosi su queste ipotesi che Newton trapassa dalla scienza alia teologia: Dio diventa un postulato del sapere scientifico (6.14). Come Newton aveva Iiberato (fino a un certo punto) !a scienza dai vincoli con Ia metafisica, cos! John Locke libero Ia ragione filosofica dalla pretesa di spaziare in campi che stanno al di la dei suoi limiti (6.15). Fu Locke a porre per primo il problema critico e cioe il problema dei limiti che l'intelletto e in grado di stabilire alle proprie capacita
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conoscitive (6.16). Egli parte dal rigetto di ogni forma di innatismo: prima dell'esperienza, l'intelletto e un foglio in bianco (6.17). Tutte le idee dell'intelletto non sono che idee derivate dalle sensazioni, esterne o interne. Le sensazioni semplici vengono combinate tra !oro in idee complesse, riducibili a tre classi: modo, relazione, sostanza (6.18). I processi conoscitivi, come l'intuizione e Ia dimostrazione, si muovono tutti dentro questa confine della sensazione o meglio dell'idea fornita dalla sensazione (6.19). Anche Locke persegue un obiettivo politico: quello di stabilire i limiti del potere statale nella vita del cit~dino, che e ormai il cittadino borghese. Infatti per Locke lo stato di natura comporta 1! godimento di alcuni beni (Ia vita, Ia Iiberta, Ia proprieta) che lo Stato civile dovra assumere come suoi iini (6.20). La distinzione tra societa civile e Stato fonda il diritto del Cittadino alia disobbedienza (6.21). Fra gli spazi di liberta che lo Stato deve tutelare, c'e anche quello religioso; il compito dello Stato e la tolleranza, quello delle chiese e di ricondurre Ia fede alia radice evangelica, del tutto conforme ai dettami della ragione (6.22).
La ragione horghese 6.1. L'espansione del razionalismo. Il metodo conoscitivo che, pur nella diversita delle loro posizioni, Bacone, Galileo e Cartesio avevano messo in atto, fini col trionfare, a dispetto delle resistenze delle universita e delle chiese, ·perche trovo accoglienza in una nuova classe sociale, lantana ancora da quella coscienza di se che raggiungera con la rivoluzione francese, rna ormai in via di penetrare nelle sfere del potere politico e gia largament.e padrona delle strutture di produzione e di mercato. II suo punto di forza non poteva certo essere la tradizione, basata sul principia ereditario, sui titoli giuridici che sancivano i privilegi, sulle superstizioni che frenavano lo spirito critico e le conquiste della scienza. Per la nuova classe, sospinta dallo spirito di intraprendenza, il sapere era in funzione del potere, di quel potere che si esprime nel dominio dell'uomo sulle cose, nella capacita di organizzare secondo ragione la vita associata, nell'abbattimento delle barriere che frappongono alia geometria della ragione i bruti ostacoli dell' arbitrio. La circostanza che saldo la grande lezione dei filosofi al nuovo soggetto sodale in ascesa fu il ruolo decisivo acquistato dalla macchina, lo strumento creato dall'uomo che, per un verso, moltiplica le capacita produttive dell'artigiano, per l'altro, offre alia speculazione dello scienziato la riprova tangibile della validita delle sue dimostrazioni. Non per caso Galileo, Cartesio e Pascal furono anche tecnici, costruttori di strumenti. Non si capisce il successo del meccanicismo filosofico se non si tien conto del fascino eserci'tato sulla ragione dal modulo-macchina, e cioe da una realta prodotta dalla ragione e interamente posseduta dall'uomo in quanto essere razionale animato dalla volonta di potenza. L'esemplarita della macchina ebbe una funzione regolativa in tutti gli ambiti della ricerca razionale. Essa divenne come un a priori da cui partire per ricostruire deduttivamente la realta, si trattasse pure della realta biologica.
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Ne aveva data l'esempio lo stesso Cartesio col suo tentative di spiegare l'uomo, e non solo nei suoi apparati fisiologici, alia stregua di una macchina. Il congegno meccanico ha questa di proprio, che i suoi pezzi restano inerti se l'uno non riceve la spinta dall'altro, in modo che l'effetto d'insieme risulta da un sistema di relazioni tra le parti, nel quale le costanti non sono che due: l'estensione e il movimento, ambedue riconducibili a misurazioni geometriche. L'ideale del Seicento e appunto in questa trasposizione dei fenomeni, di tutti i fenomeni, sia terrestri che celesti, dentro il regno della geometria, dove ogni oscurita scompare, dove non han luogo le forze occulte e dove si fa prati.cabile il passaggio dal momenta conoscitivo a quello operative. Nelle universita continua stancamente la tradizione scolastica, rna ormai non sono piu esse a produrre cultura. Il ruolo direttivo che esse avevano aile origini e passato ad altre mani, soprattutto aile Societa scientifiche, che nel Seicento erano nate in Italia, in Francia, in Inghilterra e in Germania. Nullius in verba, era il motto della Royal Society inglese. Come dire: qui non si giura sulle parole di nessun maestro. La spinta del nuovo razionalismo sperimentale non conosce confini, mira a penetrare anche in ambiti, come quello della politica, dinanzi a cui Cartesio e Pascal erano rimasti indifferenti e a superare tutte le barriere dei cieli, come avverra con Newton, che pure apportera al razionalismo cartesiano modifiche sostanziali. Nel corso di questa itinerario nascera presto il problema dei limiti della ragione. Ma anche in questa caso tocchera alia ragione fornire a se stessa la risposta e non ad altre istanze, nemmeno a quelle religiose. Gia Pascal, nel momenta culmine del cartesianesimo, aveva tentato di distinguere l'ordine della ragione geometrica dall'ordine del cuore che «ha ragioni che la ragione non conosce>> (5.16). Ma la sua distinzione appariva come viziata da una pregiudiziale mistica. Tocchera ad un suo.-ammiratore, John Locke, riprenderla in modo critico, e cioe assumendo l'intelletto come unica autorita capace di stabilire i limiti delle proprie possibilita. In ogni caso, sia che, ignara dei propri limiti, si dilati in tutti gli orizzonti per ridurre l'universo a sistema unitario, sia che ricerchi, con i propri sentimenti, i confini delle proprie competenze, la ragione resta signora di se stessa e del mondo. 6.2. La prima rivoluzione borghese. L'area geopolitica in cui avvenne, con particolare intensita, questa trasformazione nel segno della ragione fu quella che, a ridosso dell'imperialismo cattolico degli Asburgo spagnoli, si ando organizzando nella parte centro-settentrionale dei Paesi Bassi (l'odierna Olanda) e in Inghilterra e cioe nelle due nazioni che, sulla spinta della necessita politica, trovarono la lora identita nei principi religiosi della Riforma, soprattutto di quella calvinista. Fu durante la sua lunga guerra di liberazione, sotto la guida degli Orange, negli ultimi decenni del Cinquecento, che l'Olanda avvio le prime forme di organizzazione commerciale capitalistica e di navigazione d'alto mare, con sbocchi colonialistici. L'esito fortunate della sua latta politica dipese sostanzialmente dalla vittoria della Corona inglese contra la Spagna di Filippo II: di qui quella specie di
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parentela ideologica tra i due paesi che avra il suo sigillo quando, alfa fine del Seicento, un Orange salira sul trono degli Stuart. Con la morte di Elisabetta (1558-1603) la societa inglese, a causa della dissennata politica assolutistica di Giacomo .e di Carlo Stuart, e messa alle prove da una lunga e spossante guerra civile. Ne trarra profitto l'Olanda, che per tutta la prima meta del secolo avra l'egemonia del commercia marittimo, con straordinari incentivi alla produzione interna. Amsterdam divenne la capitale economica dell'Europa, come dire del mondo. Nel paese si ando formando una classe di industriali e di commercianti che lo mise in grado di affrontare guerre esterne e civili senza detrimento peril suo primato capitalistico. Gia Cartesio, durante il suo volontario esilio, aveva notato che ad Amsterdam non c'era nessuno che non fosse attivo nel commercia. Le intransigenze confessionali non potevano non cedere il passo alla necessita di rapporti giuridici ed economici fondati su principi comuni. Proprio in ragione del suo clima di relativa tolleranza, l'Olanda divenne terra di elezione per i gruppi religiosi perseguitati in altre parti d'Europa, come gli ebrei della penisola iberica, o i sociniani (i seguaci del senese Fausto Socini, predicatore, alla fine del Cinquecento, di un cristianesimo a tendenze razionalistiche, rifugiatosi in Polonia nel 1579), vittime del rincrudimento della Controriforma. Proprio dalla convivenza di confessioni cristiane cosi diverse (una convivenza minacciata dal frequente insorgere dello spirito di intransigenza congenito al calvinisimo) trassero alimento la ricerca di una 'religione naturale' che facesse da comune piattaforma e, venuta meno la legislazione direttamente religiosa dell'autorita, la ricerca delle basi razionali e convenzionali dello Stato. Tanto piu che, usciti dalla dominazione spagnola, i Paesi Bassi non erano stati in grado di raggiungere una struttura politica unitaria: a uno Statolder, il magistrato supremo, in costante tentazione di usurpare i poteri di un monarca (tanto piu che la carica era praticamente un diritto ereditario della famiglia degli Orange) si contrapponeva il Gran pensionario, che rappresentava le autonomie delle provincie, coordinando l'attivita dei loro capi, detti Reggenti. La storia olandese del Seicento e segnata dai conflitti ricorrenti tra i due partiti, quello degli orangisti e quello dei Reggenti, tradizionalista il primo, il secondo piu aperto alle esigenze progressiste della borghesia. Niente di strano, dunque, che l'Olanda divenisse illaboratorio in cui, sulla spinta della necessita storica, s'impostarono le grandi questioni che hanna caratterizzato il dibattito politico e religioso dell'eta moderna. Anche la storia dell'Inghilterra e, nel Seicento, dominata dal conflitto trail Parlamento, in cui i nuovi ceti di industriali e di commercianti si rifiutavano di far da strumenti dell'assolutismo regio, e la monarchia. Carlo I Stuart, a partire dal 1629, ricorse all'espediente di non convocare piu l'assemblea, per affidarsi a consiglieri energid e ligi ai suoi metodi assolutistici, come Stafford e come l' Arcivescovo Laud, deciso a imporre l'unita religiosa sotto la forma della chiesa anglicana. Questo 'colpo di stato' duro undici anni. Le sommosse si moltiplicarono, animate soprattutto dalle chiese calviniste, e Carlo fu costretto a convocare il Parlamento. La lotta tra i due poteri si trasformo in guerra civile. Sconfitto dall'esercito parlamentare, il re venne condannato a morte da un'Alta corte e giustiziato (1649). L'atto venne riprovato anche dal
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mondo protestante europeo, dove era largamente accettato il principia che la monarchia trae da Dio la sua autorita. Fu allora che il poeta Milton ribatte: «c'e una maggiore presenza divina in un popolo in atto di deporre un monarca iniquo che non in un re in atto di opprimere ingiustamente il suo popolo». Proprio nei momenti caldi della rivoluzione era stato firmato, dagli esponenti delle varie correnti radicali, un manifesto dal titolo Accardo del libero popolo d'lnghilterra, in cui si affermava che tutti i poteri vengono dal popolo (pili precisamente dal free people, con esclusione dei domestici, dei mendicanti e dei nullatenenti) e devono essere esercitati in funzione nel popolo. Tra le correnti pif1 estremiste dell'ala calvinista c'erano i levellers (i livellatori) e i diggers (gli zappatori), che ripetevano gli accenti rivoluzionari di Thomas Mtintzer (2.11) con grande risonanza nel popolo londinese. Quando Oliver Cromwell (1599-1658), leader dei puritani, instauro la repubblica. dovette fare i conti con questi fermenti che minacciavano l'unita dello Stato. Proclamatosi Lord protettore, instauro un metodo dihatoriale che gli guadagno la simpatia degli assolutisti, prima fra tutti Thomas Hobbes. Restaurata, nel 1660, la monarchia con Carlo II (1630-1685), ebbe inizio anche la repressione contro gli esponenti della dissidenza. Tra questi c'era John Fox, che, dopo anni di prigione, prese le vie dell'Atlantico per preparare, nelle Indie occidentali, la colonia dei suoi seguaci, la Pennsylvania. I Padri Pellegrini portarono oltre Atlantica le utopie divenute irrealizzabili in patria. Condizionato da un Parlamento dove si alternavano le influenze dei due partiti, il conservatore ( tor:v), fautore dei diritti regi, e il progressista (whig), fautore delle prerogative parlamentari, il re tento una via moderata, rna senza riuscire a mettere un freno alle tendenze intolleranti dei conservatori, specie in senso anticattolico. Col sucv'successore, il fratello Giacomo II, le cose precipitarono. Quando egli ebbe un figlio da una principessa cattolica, l'opposizione esplose. Il re prese le vie dell'esilio e, chiamato dal Parlamento, lo Statolder d'Olanda Guglielmo d'Orange, marito della figlia di Giacomo II, Maria, sbarco in Inghilterra. Era il 5 novembre 1688. L'anno seguente egli firmo una Dichiarazione dei diritti che segna una nuova tappa nella storia d'Inghilterra, anzi del mondo occidentale. La borghesia aveva vinto. Oltre che il potere econornico, essa ebbe in mano, d'allora in poi. anche quello politico. Sono queste le vicende sociali e politiche che fanno da sfondo al nuovo corso della ragione, ben al di la dei confini in cui l'aveva contenuta Cartesio. 6.3. Ugo Groz.io. Qualche anno prima che Cartesio scrivesse il suo Discorso, Ugo Grozio (1583-1645) (Huig de Groot, latinizzato in Hugo Grotius) aveva enunciato il suo programma di fondazione del diritto naturale, con queste parole d'ispirazione galileiana: Mi sono preoccupato di ricondurre le prove di cio che si riferisce alla legge di natura a certe concezioni fondamentali indiscutibili, che nessuno puo negare senza far violenza a se stesso. I principi di quella Iegge, se solo voi ne fate oggetto di attenzione, sono infatti in se chiari ed evidenti, quasi altrettanto evidenti di cio che noi percepiamo per mezzo dei sensi esterni.
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In Grozio la ricerca di una legge naturale su cui basare gli ordinamenti positivi dello Stato e le relazioni internazionali non fu dettata soltanto da esigenze intellettuali. Coinvolto nelle lotte religiose in Olanda, venne incarcerate a vita nel 1619. Nascosto in una cassa di libri, riusci ad evadere e si stabili a Parigi, dove, nel 1625, usci l'opera che lo rese celebre, Sui diritto di pace e di guerra (De jure pacis et belli). E il capolavoro del giusnaturalismo. Per giusnaturalismo s'intende la tendenza dottrinale che sostiene l'esistenza di norme di diritto naturale - jus naturale - anteriori ad ogni norma giuridica positiva. L'idea di un diritto fondato sulla natura razionale dell'uomo non era nuova: la sostennero gli stoici antichi, a cui difatti Grozio preferibilmente si riferisce, gli scolastici medioevali e, con particolare lucidita, gli scolastici del cinquecento, primo fra tutti de Vitoria (2.15). Ma Ia novita di Grozio e che egli ha costruito la sua dottrina col metodo degli assiomi di Euclide, more geometrico: Come i matematici considerano le figure astratte dai corpi, cosi io dichiaro di voler trattare il diritto prescindendo da ogni fatto particolare.
Anche Machiavelli aveva disegnato un'immagine di Stato su una sua idea di natura umana, rna questa principia immutabile egli lo coglieva comparando tra loro i fatti della storia. Come il geometra che ragiona sui solidi prescinde dalle lora qualita particolari, cosi Grozio, partendo da 'principi... chiari ed evidenti', disegna la sua dottrina deduttivamente, convinto che, cosi dimostrati, l'esistenza e i contenuti di un diritto naturale non p. Il luogo di inerenza della 'forza e la sostanza, e non la sostanza unica e necessaria di Spinoza, rna le infinite sostanze paste in essere da Dio e che nel lora insieme costituiscono l'ordine del contingente. Dal 1695, con termine neoplatonico rinverdito da Giordano Bruno (3.8), Leibniz le chiamera monadi (unita). E nella dottrina della monade, portata a piena definizione fra molte oscillazioni, che Leibniz
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unifica Ia fisica e la metafisica, le cause efficienti del meccanicismo e le cause finali dello spiritualismo. Abbiamo gia veduto come l'estensione non sia, per Leibniz, l'essenza della sostanza, rna un suo derivato. L'estensione e infinitamente divisibile, mentre, per definizione, la sostanza non e divisibile in quanto e un'unita organica le cui componenti non possono separarsi senza cessare d'essere quelle che sono. Leibniz assomiglia la sostanza al punto matematico, che perc, in quanto centro di energia che sfugge alia constatazione dei sensi, meglio si direbbe «punto metafisico». Proprio perche molteplici, le monadi sono ciascuna diversa dalle altre. Due monadi infatti potrebbero essere identiche solo se tutti i loro predicati fossero identici, rna in questo caso non ci sarebbe ragion sufficiente del loro essere due invece che una sola (principia degli indiscernibili). La molteplicita numerica e dunque anche molteplicita qualitativa. Ma siccome la monade e, come si e visto, un punto inesteso, un atomo spirituale, in che potra consistere la sua diversita quali ta ti va? II contenuto della monade e la rappresentazione che essa si fa dell'universo intero, cioe qella totalita delle altre monadi. Si potrebbe dire che ciascuna di esse e un punto di vista sull'ttniverso. L'universo e unico, identico per tutte, e vero, rna come il panorama di una citta e sempre lo stesso, da qualunque punto di visuale si guardi, e tuttavia ogni _punto di visuale ci da un panorama diverso, cosi il contenuto rappresentativo delle monadi e identico, rna ciascuna di esse lo coglie in una prospettiva diversa. L'universo di Leibniz e, all'infinito, come uno dei quei giochi di specchi che erano nel gusto della societa barocca. Egli ci da cosi un'immagine del mondo altamente suggestiva e quanto mai ricca di senso: la sua stoffa rion e lo spazio, e Ia miriade dei centri di rappresentazione cosi correlati tra loro che, se uno solo si spegnesse, l'intero sistema, a causa della infinita reciprocita, resterebbe mutato. Ecco perche, a dispetto dei nostri sensi, la morte non tocca le monadi in se considerate (esse sono tutte immortali) rna solo Ia !oro presenza nell'intreccio delle rappresentazioni. Le rappresentazioni infatti non si danno per l'azione di un oggetto sulla monade rna per lo svolgimento interno di un contenuto rappresentativo gia presente nella monade fino dalla sua creazione. Ciascuna monade e chiusa in se stessa («e senza finestre» dice Leibniz) in modo tale che nessuna azione passa dall'una all'altra, rna tutte sono virtualmente presenti a ciascuna, pe:rche di ciascuna sono il contenuto rappresentativo. La distinzione tra materia e spirito si e dunque dissolta. Tutte le distinzioni (anche quelle tra l'uomo e Dio) si riducono alia distinzione nella qualita delle rappresentazioni: quelle totalmente chiare, trasparenti a se stesse, ccostituiscono la porzione spirituale della monade, quelle oscure la porzione materiale (che perc, giova ripeterlo, ha una consistenza solo rappresentativa). Di qui una specie di gerarchia tra le monadi: da queUe a contenuto rappresentativo oscuro (come dire, dalla materia informe) a quella la cui rappresentazione e totalmente chiara e distinta e che si chiama Dio. L'uomo e nel mezzo, in quanto risulta da una aggregazione di monadi fra loro diverse, fra le quali ce n'e una che e la monade egemone (cfr. l'io egemonico degli stoici) e che si chiama anima. La monade egemonica si trova in ogni organismo, anche in quello dei bruti e dei ·vegetali. E proprio in virtu
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di questa monade che ogni aggregazione (e cioe ogni organismo) si comporta secondo forme di coesione e di convergenza finalistica. In questa succinta esposizione della dottrina delle monadi (monadologia) abbiamo dovuto di necessita servirci di due originalissime teorie di Leibnizquella del contenuto rappresentativo della monade e quella dei rapporti reciproci tra le monadi - che meritano un'attenzione meno sbrigativa. 7.11. La conoscenza. Fu il Saggio sull'intelletto umano di Locke (6.15) a stimolare in Leibniz l'esigenza di un approfondimento della questione sulla natura e sull'origine delle idee, che il filosofo inglese aveva risolto con criteri rigorosamente empiristici. Dopo aver inutilmente provocato Locke ad un confronto mediante l'invio, ripetuto due volte, di precise osservazioni alla sua opera, Leibniz intraprese un'attenta e minuta analisi del Saggio. I risultati della sua analisi critica divennero il nucleo di una sua opera, in forma dialogica, dal titolo Nuovi Saggi (1704). Le due posizioni sembrerebbero radicalmente inconciliabili: per Locke non si danno idee inate, per Leibniz tutte le idee sono innate, vista che ogni monade ha gia in se, prima di qualsiasi attivita di pensiero, l'universo intero sotto forma di rappresentazione. Ma Leibniz non si limita ad un confronto frontale, che si sarebbe chiuso in partenza e non avrebbe lasciato nessuna possibilita ad un discorso critico. Egli comincia col contestare il principia aristotelico fatto proprio da Locke: «Nulla e nell'intelletto che prima non sia stato nei sensi». D'accordo, afferma Leibniz, ad una condizione: che alIa formula aristotelica si aggiunga: > (9.8), negli scritti, posteriori al 1749, di Diderot, di La Mettrie, Helvetius e d'Holbach, l'ateismo si salda su una concezione materialistica della realta (9.9). L'ateismo, invece, del benedettino Dom Deschamps tende a denunciare le collusioni tra la filosofia > (5.19), continuo a rappresentare, fra il 1690 e il 1730, l'asse centrale del dibattito sul deismo che appassiono l'opinione pubblica inglese. Se Pascal aveva di mira soprattutto i «libertini», il deismo da lui riprovato aveva gHt avuto in terra inglese una elaborazione di alto livello fino dai primi decenni del secolo da parte delle correnti di pensiero che, in contrasto con la rigida concezione calvinista della predestinazione, avevano difeso i diritti del libero volere umano, come i platonici di Cambridge e soprattutto Herbert di Cherbury (1587-1648). Utilizzando alcune intuizioni di Marsilio Ficino e Pico · della Mirandola, Cherbury aveva sostenuto nel De veritate (La verita), del 1624, che tutte le religioni, comprese le pagane, presentano un fondo di verita comuni che e accessibile a tutti gli uomini, dato che i suoi principi costitutivi non derivano dall'esperienza rna sono innati: «Sotto il dictamen (dettato) della coscienza, il bene dell'anima e preferito al bene del corpo, il bene comune al bene particolare». Questi principi fondamentali furono fissati da Cherbury nel De religione gentilium (La religione dei pagani, uscito postumo nel 1663) in cinque articoli di fede: esiste un Dio, creatore di tutte le cose; gli uomini devono venerarlo; l'essenziale del culto dovuto a Dio e costituito dalla pratica delle
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virtu e della pieta; e necessaria pentirsi dei propri peccati e ravvedersi; la bonta e la giustizia divina assicurano a tutti il pre'inio o il castigo in questa e nella vita ultraterrena. Una religione naturale siffatta, lontana dall'ateismo quanto dal fanatismo confessionale, costituisce, secondo Cherbury, il parametro di giudizio per vagliare le religioni storiche e scartare gli elementi di superstizione e di idolatria, introdotti quasi sempre dall'opera di manipolazione compiuta dal clero. Alla fine del Seicento la situazione politica e quella culturale sono molto propizie alia maturazione e alia diffusione delle tesi deiste. L'Atto di tolleranza, promulgato nel 1689 da Guglielmo d'Orange, riconosce legittimita all a pluralita delle dottrine teologiche e quindi aile «sette » religiose, purche siano d'accordo su alcuni punti fondamentali. Dal punto di vista degli orientamenti culturali Ia filosofia di Locke e la scienza di Newton hanno assicurato piena egemonia aile tendenze liberali. Del resto, tra i primi scritti deisti, apparsi nell'ultimo decennia del '600, figurano un testo dello stesso Locke, La ragionevolezza del Cristianesimo (1695) e il Cristianesimo senza misteri (1696) di Toland, che di Locke si dichiara discepolo. Come abbiamo visto (6.22), Locke si preoccupa soprattutto della comprensibilita dell'insegnamento di Gesu da parte dei piu semplici e cerca in sostanza di armonizzare le due religioni, la naturale e la soprannaturale, sbarazzando il terreno dalle usurpazioni della teologia, gia presenti nelle epistole di Paolo, alla cui analisi dedica fra l'altro un'opera specifica, Saggio di comprensione delle epistole di San Paolo secondo San Paolo stesso, pubblicata nel 1705. Invece John Toland (1670-1722), nonostante le sue dichiarazioni, va ben oltre, in una direzione radicale e quasi irreligiosa, estranea a Locke. Come si intuisce dal sottotitolo del suo Cristianesimo senza misteri («un trattato che dimostra come niente nel Vangelo sia contrario o superiore alla ragione») l'inquieto intellettuale irlandese, di origine cattolica (rna a 16 anni era gHt un «fervente antipapista»), afferma decisamente il primato della ragione e della religione naturale. Abbandonando le cautele di Cherbury, che aveva criticato solo il clero pagano, e le posizioni moderate e ireniche di Locke e di quei teologi liberali, detti 'latitudinari', che alia rivelazione riconoscono la funzione di persuadere, con l'evidenza dei miracoli, Ia massa degli «illetterati» a seguire le leggi morali, Toland si rivolge direttamente alla > o che possa escludere dalla salvezza gli uomini vissuti prima di Gesu Cristo. La religione naturale e invece alla portata di tutti, perche a tutti Dio ha data la «ragione» («altrimenti Dio avrebbe annullato i propri scapi nel dare la legge, dal momenta che una legge cessa di essere tale se e incomprensibile>>) e questa e sufficiente per conoscere la sua legge, che e iscritta nell'ordine cosmico. Tale legge di natura, come quella del sole, e universale, e se gli uomini non chiudessero gli occhi dell'intelletto ne tollerassero che altri li accecassero, essa scioglierebbe ben presto ogni fumo o nebbia sorgente dalle false tradizioni o dalle false interpretazioni di tradizioni autentiche.
Che la verita originaria affidata a tutti gli uomini sia stata inquinata dalle religioni positive e attestato dal gran numero di religioni esistenti e dalle loro reciproche accuse di errori. Dinanzi al fatto «scandaloso» della pluralita religiosa, su cui la curiosita etnografica del secolo va accumulando informazioni sempre piu accurate, il cristianesimo perde di fatto il suo stato privilegiato; nonostante gli ossequi formali (presenti anche in Tindal) in sensa contrario, si relativizza come tutte le altre religioni. La ragione, infatti, e il «libero esame» mettono in dubbio l'autenticita storica del messaggio rivelato e l'attendibilita dei suoi depositari umani («Non dovremmo essere certi che i suoi primi propagatori non potessero ingannarsi, o non volessero ingannare gli altri ?>>) e denunziano, con i modi della critica libertina, il peso inutile e soffocante della diatribe dogmatiche e delle osservanze rituali, nonche gli «innumerevoli delitti che l'uomo, in nome della religione, ha compiuto contro se stesso e contra gli altri», dalla rigida precettistica della legge giudaica, alle ingiustificate penitenze degli asceti e al fanatismo delle persecuzioni religiose.
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La religione naturale implica invece la felicita: le azioni «che sono rivolte a promuovere la felicita umana sono sempre buone, e quelle che hanno una tendenza contraria sono sempre cattive >>; il peccato consiste nel deviare da questa > o «articoli di fede>>: 1) «Credo che una v.olonta muova l'universo e animi la natura>>, 2) «se la materia mossa mi mostra una volonta, la materia mossa secondo certe leggi mi mostra una intelligenza>>, 3) «l'uomo e libero nelle sue azioni e, come tale, animato da una sostanza immateriale>>. Da questi tre articoli di fede sene possono dedurre altri: la Provvidenza ha fatto l'uomo libero mettendolo in grado di scegliere tra il bene e il male; il male «che l'uomo fa ricade su di lui senza cambiar nulla nel sistema del mondo, senza impedire che la stessa specie umana si conservi a proprio dispetto». Dato che «!'anima e immateriale, essa puo sopravvivere al corpo>>, Ia sua immaterialita giustifica la Provvidenza: infatti quanta piu rientro in me, tanto piu mi consulto e tanto piu leggo queste parole scritte nella mia anima, ossia «sii giusto e sarai felice». Senza la speranza in una vita futura come potrei spiegare «il trionfo del cattivo e l'oppressione del giusto in questa mondo?>>. Il modo di procedere nel determinare ognuno di questi dogmi e conforme alla premessa e, pur riecheggiando e avendo presente l'intero dibattito filosofico del secolo, Rousseau si appella alla forza del «sentimento>>. Registriamo, a titolo esemplificativo, i passaggi dal prima al secondo dogma. Io esisto come essere senziente, la causa e l'oggetto delle mie sensazioni sono fuori di me, quindi esistono altri esseri o (come vuole Berkeley) altre idee che «non sono io>>; riflettendo sugli oggetti delle mie sensazioni «mi sento dotato di una forza attiva che non sapevo di avere prima>>. Passando a cio che e fuori dime e che chiamo «materia>>, mi accorgo che il suo «stato naturale» e «di essere in riposo>>: mentre infatti «i movimenti degli animali sono spontanei >> (se me ne domandate il perche «vi diro che lo so perche lo sento>>), il moto della materia e «comunicato>> e niente (ne l'intuizione lockiana della materia pensante, ne l'ipotesi dei biologi sulla molecola vivente, ne la nuova ipotesi materialistica sul mondo grande animale che si muove da se stesso) puo vincere la mia «persuasione interiore)) che Ia materia e «materia sparsa e morta>> che «riceve il niovimento e lo comunica, rna non lo produce>>. Tutto poggia, come poi nella kantiana Critica della ragion pratica (12.12-16), sulla forza dell'evidenza interiore, sui diritti di quella «Coscienza>> a cui Rousseau eleva, proprio in questa testa, un commosso inno di lode.
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Coscienza! coscienza! istinto divino, voce immortale e celeste; guida sicura di un essere ignorante e limitato, rna intelligente e libero; giudice infallibile del bene e del male che rendi l'uomo simile a Dio! Sei tu che fai l'eccellenza della sua natura e la moralita delle sue azioni; senza di te non sento niente in me che mi elevi al di sopra delle bestie, se non il triste previlegio di smarrirmi di errore in errore, con l'aiuto di un intelletto senza regola e di una ragione senza principio. Grazie al cielo, eccoci Iiberati da tutto questo spaventoso apparato di filosofia: dispensati dal consumare la nostra vita nello studio della morale, abbiamo con minima spesa una guida piu sicura in questo dedalo immenso delle opinioni umane.
Se oggi la coscienza non e intesa da molti europei, e perche «parla il linguaggio della natura» e i rumori della civilta hanna soffocato questa voce. Conforme ai principi della religione naturale, la religione del vicario non ammette i «dogmi particolari» introdotti in aggiunta dalle religioni storiche ne le lora sterili diatribe teologiche, cosi come esclude la mediazione ecclesiastica («Quanti uomini fra Dio e me! Io adoro la potenza suprema e mi intenerisco sui suoi benefici. Non ho bisogno che II"~;i si insegni questa culto, esso mi e dettato dalla natura stessa») e naturalmente il «vela» della sapienza consegnato ai libri («Ho dunque chiuso tutti i libri. Ce n'e uno solo, aperto agli occhi di tutti, ed e quello della natura»). Voi trovate in quanto ho detto solo una religione naturale. :E. molto strano che ce ne voglia un'altra!
Alla stregua del deismo piu aggressivo, Rousseau sviluppa in alcune pagine una serrata polemica contra il cristianesimo, contra i miracoli, contra l'intolleranza propria di qualsiasi religione che si crede privilegiata da una rivelazione. Cia nonostante, ad un certo punta, la professione del vicario diventa «cristiana». Vi confesso che la maesta della Sacra Scrittura mi lascia attonito, che la santita del Vangelo parla al mio cuore. Guardate i libri dei filosofi con tutta la loro pompa, come son piccoli al suo confronto! Puo un libro a un tempo cosi sublime e cosi semplice essere opera degli uomini? Puo colui di cui si narra essere egli stesso un uomo e nulla piu? (...) Si, se la vitae la morte di Socrate sono di un saggio, la vita e la morte di Gesu sono di un Dio (... )
Il Vangelo e Gesu possono frapporsi tra noi e Dio perche permettono di cogliere la verita in maniera immediata. Rousseau non accenna alla morte di Gesu per affermare, come fa la teologia cristiana, il valore di mediazione e di riparazione rappresentato dal Cristo nell'opera salvifica con cui Dio e voluto intervenire nella storia degli uomini. Non per nulla, il paragone e con Socrate: due morti esemplari e quella di Gesu e piu grande per la solitudine e la sofferenza che l'hanno segnata. Prima ch'egli (Socrate) avesse definito Ia virtu, Ia Grecia abbondava di uomini virtuosi. Ma dove Gesu aveva preso presso i suoi questa morale ele-
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vat a e pur a di cui egli solo ha dato le lezioni e l 'esenipio? Dal seno del piu furioso fanatismo, la piu alta s,aggezza si fece intendere e la semplicita delle piu eroiche virtu onorc) il piu vile di tutti i popoli. Lamorte di Socrate, filosofando tranquillamente con i suoi amici, e la piu dolce che si possa desiderare; quella di Gesu, spirante fra i tormenti, ingiuriato, deriso, maledetto da tutto un popolo, e la piu orribile che si possa temere.
Nella misura in cui e indifferente verso i dogmi della religione ufficiale ed accentua il carattere 'sentimentale' dell'adesione a Dio, avversando il clero e qualsiasi mediazione razionale, il neocristianesimo di Rousseau e piu vicino al pietismo e al metodismo che non aile tesi di Voltaire e del deismo moderati, colpevoli di troppi compromessi con la filosofia e con la scienza del tempo. Del resto, allo stesso Voltaire Rousseau aveva chiarito la peculiarita della sua posizione in una bella lettera scritta nel 1756 a proposito delle amare irrisioni con cui, dopa il disastro di Lisbona, Voltaire aveva attaccato l'ottimismo della teodicea leibniziana. Credo in Dio cosi fortemente come credo in ogni altra verita, perche credere e non credere sono le cose che meno dipendono da me: lo stato di dubbio e troppo insopportabile per lamia anima, e quando lamia ragione e indecisa, la mia fede non puo restare a lungo in sospeso, rna si decide senza di essa (... ) Tutte le sottigliezze della metafisica non mi faranno dubitare un istante dell'immortalita dell'anima e di una provvidenza benefica. La sento, la credo, la voglio, la spero e la difendero sino al mio ultimo respiro.
Non e forse paradossale che proprio mentre Voltaire attacca un elemento centrale del credo illuministico, Rousseau, cosi critico verso il suo tempo, si schieri dalla parte di chi non mette in dubbio la giustizia e la benevolenza di Dio? II paradosso e spiegato dallo stesso Rousseau verso la fine della letter a a Voltaire: Non posso evitare di notare, signore, un contrasto davvero singolare tra voi e me sull'argomento di questa lettera. Pieno di gloria ... voi vivete libero in mezzo all'abbondanza; certo della vostra immortalita andate tranquillamente filosofeggiando sulla natura dell'anima, e se il vostro corpo e il vostro cuore soffrono, avete Tronchin come medico e amico. Nonostante questo, voi vedete solo male sulla terra. Mentre io, un uomo oscuro, povero e tormentato da una malattia incurabile, medito felice nel mio ritiro e trovo che tutto e bene. Qual e la fonte di queste apparenti contraddizioni? Voi stesso avete dato la risposta: voi godete la vita, mentre io ;;pero, e la speranza abbellisce ogni cosa.
Tornando alla Professione, non possiamo tacere le affermazioni conclusive del vicario, la dove recupera il valore delle «religioni particolari» definite «istituzioni salutari che prescrivono in ogni paese una maniera uniforme di onorare Dio con un culto pubblico». Questa sensibilita verso gli aspetti istituzionali della religione e confermata d:Hl'ultimo capitola del Contratto sociale (11.10), dove Rousseau tratta dei rapporti tra religione e ordinamento politico. Egli distingue tre specie di religione: quella degli uomini («o il Cristianesimo,
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non quello d'oggi, rna quello del Vangelo, che e del tutto differente>~ perche e puramente interiore e non ha «alcuna relazione particolare col corpo politico»), quella dei cittadini (che «e buona in quanto riunisce il culto divino e l'amore delle leggi», rna «e cattiva in quanto essendo fondata sull'errore e sulla menzogna essa inganna gli uomini ») e quell a de if· preti (che > e della remunerazione nella vita futura. Nella terza fase, quella del «Vangelo eterno», trionfera la pura religione razionale: l'uomo cerchera il bene disinteressatamente, senza attendersi alcuna ricompensa ne terrena ne ultraterrena. Anche se non sapessimo da Jacobi che }'ultimo Lessing si dichiarava, in privata, spinoziano, vediamo bene come, a differenza di Rousseau e di Hamann, Lessing rimanga nell'orbita dei 'lumi'. Tuttavia la sua concezione di un emergere progressivo della verita attraverso il divenire storico, che permette di rivalutare (rna relativizzandole) le religioni positive e illoro compito pedagogico, smantella, di fatto, alcuni presupposti importanti del pensiero illuministico, anticipando il romanticismo.
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Sommario. La fortuna di un'opera come il Dizionario storico-critico di Bayle attesta I 'interesse profondo dei 'lumi' verso la storia. Alle radici di questo interesse sta una nuova coscienza antropologica, che riconosce, immanente a! processo storico, il cammino faticoso dei valori e della cultura umana (10.1). Ne e conferma il rilievo eccezionale che Ia storia assume nel pensiero di Vico: un pensiero che si pone consapevolmente in antitesi a! razionalismo meccanicistico e aile sue conseguenze perniciose sui piano etico e religioso (10.2). Dopo aver tentato di elaborare, con il De antiquissima /talorum sapientia. un sistema filosofico alternativo (10.3), Vi co si concentra tutto sulla Scienz.a nuova, a cui e approdato grazie a! criteria baconiano del verum-factum, applicato al mondo umano, aile sue istituzioni e produzioni culturali (10.4). La 'storia ideal eterna' scandisce, secondo un ritmo triadico, il cammino percorso dall'umanita per uscire dalla ferinita primitiva e, grazie all'aiuto della Provvidenza divina, organizzare Ia civilta (10.5), che non e comunque una conquista definitiva e che, secondo Ia teoria dei corsiricorsi, puo regredire a forme di barbarie (10.6). A questa figura ciclica della storia, i 'lumi' replicano con l'immagine lineare dell'indefinita perfettibilita umana. La tesi del cartesiano de Fontenelle sui progresso scientifico indefinito (10.7) e Ia fiducia utopica dell'abate di Saint Pierre nel progresso generate della societa umana (10.8) costituiscono illuogo di nascita della moderna idea di progresso. II disegno di una storia universale, vista come graduale progredire della ragione umana verso una sempre maggiore perfezione, ispira i lavori storici del giovane Turgot (10.9). Alia sua concezione si contrappone Ia filosofia della storia di Herder, che imbastisce Ia polemica anti-illuministica sulle intuizioni vichiane e sulle proposte dello Sturm und DranJ;, aperte all'irrazionalismo (10.10). All'indomani delle due grandi rivoluzioni politiche di tine secolo, l'Abbuzzo di Condorcet ripropone Ia tesi, cara ai philosophes, che il progresso storico coincide con la graduale rna ineluttabile vittoria dei 'lumi' sull'ignoranza e sulla disuguaglianza neUe !oro varie forme (10.11). II pregiudizio di origine idealistica, che contesta all'illuminismo Ia mancanza di senso storico, non appare fondato. II Settec_ento e caratterizzato in realta da una notevole rivalutazione della storia che, coadiuvata dalla filosofia, costituisce un campo di concreta applicazione dell'esigen.:>:a riformatrice dei 'lumi' (10.12). Le fortunate opere storiche di Voltaire, Montesquieu, Hume, Gibbon e Ferguson attestano, in misura diversa, l'abbandono della storia diplomatica e militare e Ia scelta di nuovi settori di indagine, quali !'esprit di un'epoca o di una nazione e Ia storia delle istituzioni e della societa civile (10.13). Anche sui piano della consapevolezza metodologica le scienze storiche compiano, specialmente in Germania, significativi progressi, assicurando aile singole discipline uno spessore piu consistente e nuove prospettive di sviluppo (10.14).
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10.1. La coscienza storica nel Settecento. Una nuova coscienza antropologica matura nel corso del Settecento: l'asse dell'esistenza individuale e collettiva, che finora era assicurato dal rapporto col divino, e sempre piu orientato verso la storia. II sensa dell'esistenza, finora collocato nell'aldila, e ormai posto nell'aldiqua. II destino dell'individuo e dell'umanita si gioca nella temporalita. Attenuatosi il riferimento alla trascendenza, immobile e definitiva, si tenta di ricostruire nell 'immanenza il cammino dei valori, si scopre anzi che i valori e le verita umane sono il frutto di un faticoso cammino storico, di una latta ingaggiata dall'uomo con la naturae con se stesso. Nella misura in cui si riconduce ogni individuo ed ogni popolo in seno all'umanita, l'epoca della filantropia e del cosmopolitismo coltiva e sviluppa la curiosita storica e colloca nella dimensione storica le linee dell'avvenire. Convinti che l'umanita abbia raggiunto l'eta della ragione, gli intellettuali vogliono prendere coscienza del cammino percorso. A conferma della fortuna della storia nel secolo dei 'lumi', si possono citare alcuni indizi 'esteriori'. L'andamento della produzione libraria registra un netto calo delle pubblicazioni teologiche ed un contemporaneo incremento dei libri di storia, che dal 10% della produzione complessiva dell'inizio del secolo passano al 15% circa di fine secolo (rna in Germania, trail 1769 e il 1771, rappresentano oltre un quinto dell'intera produzione). Oltre allo straordinario successo editoriale dei capolavori storiografici di Montesquieu, Voltaire, Hume e Gibbon, la prospettiva storica trionfa in qualsiasi trattazione; nell'Encyclopedie circa 6.000 articoli, un decimo del totale, si possono definire storici; nella Germania del 1780-90 circolavano 131 periodici di carattere storico. L'interesse del Settecento per la storia non e in contrasto con il culto illuministico della ragione. Non e forse vero che uno dei testi sacri dei 'lumi' e proprio il Dizionario Storico-critico di Pierre Bayle (9.2), l'opera che piu di ogni altra ha insegnato il primato dellibero esame nei confronti della tradizione? Progettato, fin dal 1690, come «dizionario critico che contenesse una raccolta degli errori commessi tanto da colora che han fatto dei dizionari quanta da altri scrittori», il capolavoro di Bayle fu pubblicato in due volumi a Rotterdam (1695 e 1697) e poi, con numerose aggiunte e correzioni, in tre volumi ad Amsterdam (1702). Trail 1684 e il 1686 Bayle aveva dichiarato piu volte che non e possibile districare la verita storica dal groviglio di passioni, di pregiudizi e di menzogne in cui qualsiasi avvenimento storico si trova avviluppato. Nonostante questa professione di pirronismo storico, che ricorda Montaigne e Charron, Bayle decide di dedicarsi, col suo Dizionario, all'impresa, forse impossibile, di accertare la verita dei fatti attraverso il vaglio delle fonti e l'adozione generalizzata di un metoda storico-critico rigoroso. Per non insospettire gli editori, affida quasi esclusivamente aile note l'energica requisitoria contra le illusioni, gli errori, le furbizie e i delitti di cui gli uomini (e non solo gli storici) si sono macchiati nella storia.
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Ne risulta un'opera che di fatto considera la storia umana un oggetto degno di indagine scientifica e contesta l'opinione, dominante nel Seicento, che riconosce solo alla matematica e alla fisica la dignita di scienze in grado di consegnare conoscenze certe. Come qualsiasi altra indagine razionale, la storia non tollera le interferenze delle preoccupazioni religiose ed estende il metodo storico-critico anche ai testi sacri. L'obiettivo e quello di disingannare gli uomini e di demolire i falsi edifici eretti sulle menzogne, pur sapendo che neppure cosi la contraddittorieta dell'esistenza umana e superabile: In breve, la sorte dell'uomo e cosi disgraziata che le cognizioni che lo liberano da un male lo precipitano in un altro. Cacciate l'ignoranza e la barbarie, distruggerete cosi le superstizioni e la stolta credulita del popolo, tanto utile ai suoi capi, i quali abusano del loro potere per sprofondarsi nell'ozio e nelle dissolutezze; rna, rivelando agli uomini tali disordini, ispirerete loro il desiderio di tutto esaminare; essi indagano e sottilizzano talmente, che non trovano piu nulla che appaghi la !oro miserabile ragione.
Pagato questo tributo al pirronismo, Bayle procede deciso nella sua opera di demolizione, convinto che valga comunque la pena, sia per amore della verita sia per il bene morale che la critica storica puo promuovere, conservando viva la «memoria di tutti gli spaventosi disordini (... ) e mali» che hanno afflitto il passato. Per cogliere il significato della lezione di Bayle e utile forse ricordare che il suo capolavoro e di poco posteriore al famoso Discours sur l'histoire universelle (1681) di J.B. Bossuet, l'opera che ha segnato l'apice e il tramonto della teologia della storia. Il precettore del Delfino aveva preteso di delineare la storia «universale>> in funzione del trionfo «universale» della chiesa cattolica, limitandosi alia storia del bacino del Mediterraneo (e poi a quella dell'Europa occidentale) e assumendo, come limite cronologico invalicabile, Carlo Magno, dato che la storia successiva (Islam, fallimento delle crociate, la Riforma) mal si concilia con le premesse. Non c'e dubbio che, agli occhi dei non pochi eredi settecenteschi di Bossuet, il Dizionario di Bayle dovesse apparire un pericolosissimo veicolo di 'incredulita'. 10.2. Vi co: Ia polemica antirazionalistica. E stato detto, e con fondatezza, che Bayle ha suscitato la Scienza nuova di Giambattista Vico*. Anche ammettendo che il filosofo napoletano non lo avesse letto direttamente, e fuor di dubbio che il sostenitore della 'repubblica degli atei' costituisce (insieme ad Epicuro, Machiavelli, Hob5es e Spinoza) uno degli obbiettivi polemici, dichiarati o sottintesi, di molte pagine della Scienza nuova. Anche per Vico, Bayle e, tutto sommato, il «porco dell'armento epicureo», come piu tardi lo definira Agatopisto Cromaziano, un singolare letterato (1716-93) a cui si deve, fra l'altro il primo tentativo italiano di scrivere una storia della filosofia. Del resto, per tutto il '700 Vico e quasi sempre citato in funzione anti-Bayle. La loro scelta di campo e in realta nettamente diversa: se si eccettua una sua breve giovanile deviazione «lucreziana», Vico si mantiene fedelissimo ai poteri costituiti e si considera sempre custode geloso dell'ortodossia cattolica.
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Giambattista Vico ha raccontato, «da filosofo» e non da storico, la sua vita. Modellata sul cartesiano Discorso del metodo, l'Autobiografia (1725, ma nel 1731 segue un'Aggiunta) presenta alcuni errori e diversi 'aggiustamenti' a posteriori. Terz 'ultimo di otto figli, Giambattista nasce a Napoli nel1668, nella famiglia di un povero libraio di origine contadina. Scolaro dei gesuiti, si dedica agli studi logici, metafisici e letterari. Il padre lo vuole uomo di legge e Giambattista si iscrive all'universita, ma preferisce studiare da se («autodidascalo») le istituzioni di diritto civile e canonico. Le precarie condizioni economiche della famiglia lo spingono ad accettare il posto di precettore presso una nobile famiglia (a Napoli, a Portici e, piu a lungo, a Vatolla, nel Cilento), dove rimane per nove anni, fino al 1695. Come attesta la canzone Affetti di un disperato (1692), il giovane Vico e influenzato dal pessimismo lucreziano e dalla tematica dell 'epicureismo, leg at a a Gassendi e alla nuova fisica, che proprio a Napoli stanno incontrando un terreno fecondo di sviluppi. Rimasto forse colpito dal processo intentato contra i· «novatori» e gli «ateisti», Vico chiude rapidamente su questa debolezza giovanile, di cui, non a caso, l'Autobiografia non fa parola. Rientrato a Napoli, si impegna in una attivita esclusivamente umanistica: da rlpetizioni di retorica e di grammatica, compone su commissione discorsi, orazioni ed epigrafi in latina, attivita che non abbandonera neppure dopa che, nel 1699, ottiene la cattedra di eloquenza all'universita di Napoli (la modesta retribuzione universitaria non gli bastera per mantenere la famiglia, nel frattempo messa su, che in breve tempo si popolera di ben otto figli). · Appartato ed estraneo alia cosa pubblica, Vico non abbandona comunque gli studi filosofici ed affida il frutto delle sue riflessioni alle orazioni inaugurali pronunciate all 'inizio dell'anno accademico: nell'unica da lui pubblicata, De nostri temporis studiorum ratione (1708), difende, contra cartesiani e portorealisti, i valori della poesia, della fantasia, dell'eloquenza e della retorica. Nel 1710 da alle stampe il De antiquissima Italorum sapientia, dove !a polemica contra il cogito cartesiano si traduce nell 'individuazione di un nuovo 'sistema'. Solo nella tarda maturita Vico si fa consapevole di avere scoperto, nel sapere storico, un mondo nuovo. Decisivo, in questa processo di maturazione, l'incontro con il De jure belli et pacis di Ugo Grozio, letto piu volte tra il 1714 e 1716. Oltre 20 anni dura la tormentata elaborazione della Scienza nuova: dal cosiddetto Diritto universale (1720-1) alia Scienza nuova in torma negativa (inedita ed ora perduta); dai Principi di una scienza nuova d'intorno alla natura delle nazioni, pubblicati a spese dell'autore nel 1725, alia cosiddetta Scienza nuova seconda, edita nel 1730, sempre a sue spese, e al costante lavoro di correzione e limatura, che approda alia Scienza nuova terza, apparsa pochi mesi dopa la morte di Vico (1744). L'unico segno di riconoscimento gli viene nel 1735, quando e nominata, dal nuovo re Carlo di Barbone, >. Fu la Provvidenza divina che risveglio in lora il timore di un nume superiore e desto cosi la lora umanita. lnsieme al sentimento religioso, che sotto le forme del politeismo dette vita agli altari, ai matrimoni e alle sepolture, nacque Ia societa, quello stadia delle «famiglie>> a regime patriarcale che caratterizza l'eta degli dei. Vico non manca di sottolineare come questa ricostruzione delle e qualificando come poetica la metafisica, la logica, Ia morale, l'«iconomia», la politica, la fisica, l'astronomia dei primitivi, Vico vuole cogliere ll tratto peculiare della cultura (in sensa antropologico) dei primitivi, ed imposta correttamente la ricostruzione delle 'origini' esaminando i «rottami» del passato, pervenutici come documenti di una umanita profondamente diversa da quella attuale. La tesi del carattere 'barbarico' della poesia sta a fondamento dell'esaltata ammirazione dei poemi omerici, della «discoverta del vera Omero>> (il terzo libra della Scienza nuova illustra la soluzione della questione america, indicando l'origine anonima e popolare dei due poemi nella «Sapienza volgare de' po-
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poli della Grecia, prima poeti teologi e poscia eroici »), delle considerazioni sulla poesia di Dante (espressione della «barbarie ritornata>> nel Medioevo) e del rifiuto nei confronti del classicismo e delle poetiche intellettualistiche del tempo. 10.6. I corsi e ricorsi della storia. La «storia ideal eterna>>, delineata dalla Scienza nuova come modello e norma ideale a cui necessariamente si uniforma il corso di ogni nazione, si articola nelle tre eta, o «tre speciali unita», che >) riescono a rendere canto della svolgimento storico. E grazie alla provvidenza divina che i vizi originari dell 'uomo («ferocia, avarizia, ambizione ») anziche distruggere «l'umana generazione sopra la terra» ne fanno «Ia civile felicita». La provvedenza divina (...) e una divina mente legislatrice la quale delle passioni degli uomini, tutti attenuti alle ]oro private utilita, per le quali viverebbono da fiere bestie dentro le solitudini, ne ha fatta gli ardini civili per li quali vivana in una umana sacieta (... ) Perche pur gli uamini hanna essi fatta questa manda di naziani (... )rna egli e questa manda, senza dubbia, uscita da una mente spessa diversa ed aile valte tutta cantraria e sempre superiare ad essi fini particalari ch'essi uamini si avevan prapasti; quali fini ristretti, fatti mezzi per servire a fini piu ampi, gli ha sempre adaperati per canservare I 'umana generaziane in questa terra.
In virtu di questa ruolo di guida che la Provvidenza svolge nei confronti delle azioni umane, la storia diventa «una teologia civile della provvedenza divina>>. · Se la «storia ideal eterna» si puc considerare un processo di ricongiungimento al divino, realizzato in virtu dell'aiuto della grazia divina, che soccorre il debole libero arbitrio dell'uomo, si tratta pur sempre di un processo non univoco ne lineare. II quadro della storia universale si puc condensare nella sintetica constatazione che «prima furono le selve, dopa i tuguri, quindi i villaggi, appresso fe citta, finalmente l'accademie>>. Questa «corso», inevitabile nelle sue fasi, non esclude l'eventualita di un «ricorso>>, la possibilita cioe che, una volta pervenuta all'eta adulta della ragione, una nazione precipiti di nuovo nella barbarie e debba ricominciare il cammino verso la civilta. Non e un destino ineluttabile, rna si verifica ogni volta che gli egoismi individuali disgregano il tessuto della comunita: come successe nel Medioevo. Senza dunque coincidere con il determinismo naturalistico, proprio, ad esempio, di Machiavelli, la dottrina v.ichiana dei ricorsi storici, che pur si ispira alia concezione
306 D 10 - L 'idea di p rag resso classica dei 'deli storici', intende sottolineare Ia fragilita dell'edificio civile e razionale (mai realizzato definitivamente) e conferma l'opportunita dell'intervento della Provvidenza, l'intrinseca banta dei suoi «consigli» e degli «ineffabili decreti della sua grazia». L'identita fra Iegge storica e divina provvidenza permette, comunque, a Vico di affidare agli uomini il compito eterno di instaurare un ordine temporale giusto. Nella misura in cui si propane di scoprire il sensa della storia e di enunciare le leggi da seguire per realizzare nel mondo il senna e la ragione (che non sono dati a priori, come per il deismo, ne tanto meno in modo definitivo), la Scienza nuova puo essere considerata la prima filosofia della storia. E vera che a volte, nel parlare della Provvidenza come della «regina delle. faccende degli uomini», Vico sembra indulgere alla propria fede religiosa che postula un fine di salvazione divina della storia, rna e altrettanto vera che altre volte sembra anticipare cio che Hegel chiamera «l'astuzia della ragione>>, e la sua Provvidenza appare piuttosto come la Iegge mediante cui gli uomini sono indotti a formare la societa e a produrre cultura. La singolarita del pensiero di Vico, che contrasta con i valori pili diffusi nel secolo dei 'lumi' rna ne condivide alcune aspirazioni fondamentali, che e legato ad una formulazione culturale prevalentemente arretrata ed isolata, eppure anticipa genialmente concezioni fatte proprie dai secoli successivi, e ampiamente confermata dalle vicende della sua fortuna. Anche per l'oscurita della stile, che raggiunge spesso una liricita superiore a gran parte della produzione poetica coeva, e per l'insopprimibile componente religiosa. che non puo essere considerata mero infingimenlo diplomatico, il pensiero di Vico (che pure fu ammirato da Goethe e da Herder) non si integra col patrimonio comune della cultura europea del Settecento. Recuperato nell'eta del romanticismo, da allora, tra entusiastiche rivalutazioni ed incomprensioni, fraintendimenti e vivaci polemiche, Vico sara considerato un precursore dai filosofi delle pili diverse tendenze.
L'idea di progresso 10.7. Fontenelle: il progresso della conoscenza. Lo schema vichiano dei corsi-ricorsi e diverso dalla concezione della storia come sviluppo progressivo che }'Europa illuminista sembra largamente prediligere. Alia figura circolare del ritorno, la nozione di progresso oppone l'immagine lineare dell'indefinita perfettibilita umana. L'eta dell'oro non e pasta pili aile origini, rna nel futuro che gli uomini so no chiamati a costruire. Se si eccettuano le posizioni di Epicuro e Lucrezio, che sostenevano il graduale perfezionamento dell'umanita, l'antichita greca e romana era stata dominata dalla concezione platonica della storia, considerata come un decadimento della perfezione originaria, e comunque era vissuta sotto la disciplina
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di un ordine statico, animato tutt'al piu dal divenire illusorio dell'eterno ritorno. Nell'eta medioevale il pensiero cristiano, erede della agostiniana Cittit di Dio, vide nella storia una successione di avvenimenti finalisticamente ordinati dalla provvidenza divina, rna, legato com'era alia dottrina del peccato originale e ad un sostanziale pessimismo sulle possibilita dell'uomo, non riusci a cogliere il carattere progressivo del divenire storico umano. Gli inizi dell'idea di progresso coincidono con la nascita della filosofia modema, con la Nuova Atlantide di Bacone (4.10) e le sue affermazioni circa la funzione pratica della scienza, strumento fondamentale dell 'ormai prossimo regnum hominis sulla natura. Nella misura in cui l'occidente prende coscienza del potere che l'uomo ha di trasformare l'ordine planetaria, si fa strada l'idea che l'umanita e in cammino e che il miglioramento delle sue condizioni di vita dipende dal progredire della conoscenza scientifica. · La prima formulazione moderna del concetto di progresso si trova, comunque, nella Digressione sugli antichi e sui moderni (1688) con cui Bernard LeBovier de Fontenelle (1657-1757) intervenne nella annosa 'querelle' sulla superiorita degli antichi o dei moderni. Questo opuscolo vuole dimostrare la superiorita dei moderni sulla base dei principi cartesiani dell'immutabilita dell'ordine naturale, non soggetto ad interventi provvidenziali, e della perenne identita della natura umana. Proprio perche la natura e sempre uguale a se stessa ed agisce con la stessa intensita in qualsiasi periodo storico, i moderni si possono solo avvantaggiare di quanto gli antichi hanno scritto e scoperto. Illuminati dalle loro opinioni giuste e da queUe sbagliate («siamo obbligati agli antichi per aver esaurito quasi tutte le false teorie che si potevano formulare>>), i moderni sono inevitabilmente superiori agli antichi negli studi scientifici. Lo stesso vale per Cartesio e gli scienziat'i del tempo, che, secondo Fontenelle, sono destinati ad essere superati dai posteri, e cosl. via, in un processo «che non ha fine». Diverso e invece il caso della poesia e dell'eloquenza, che dipendono dalla «vivacita dell'immaginazione». Rappresentando lo sviluppo dell'umanita alla stregua della vita di un individuo, Bacone e Pascal avevano definito i moderni come l'eta adulta dell'uomo e gli antichi la sua infanzia. Nel recuperare questa metafora, Fontenelle mette in guardia dall'inferenza baconiana che vede l'umanita contemporanea sulla soglia della vecchiaia: Quest'uomo non avra vecchiaia; sara sempre ugualmente capace delle cose aile quali era adatta Ia sua giovinezza e lo sara sempre di piu di quelle che convengono all'eta virile, cioe, per uscire dall'allegoria, gli uomini non degenereranno mai e le idee giuste di tutti gli spiriti colti si aggiungeranno sempre le une aile altre.
La Digressione di Fontenelle intende abbattere l'ossequio all'autorita della tradizione e vuole gettare le basi di una storia della ragione e delle sue conquiste, da contrapporre a una storia delle illusioni e degli errori dell'umanita (Fontenelle scrisse una Storia degli oracoli e un Dell'origine delle favole). Vi e infatti esposta una teoria che pone il progresso della conoscenza nella prospettiva di un futuro indefinito e lo considera come necessaria e certo. Nella con-
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sapevolezza (comune anche a Voltaire e Hume) cne !a pertettibilita della specie non coincide quasi mai con la perfettibilita degli individui, che anche nel futuro piu radioso continueranno a compiere errori, Fontenelle dispiega la sua fiducia ottimistica nelle possibilita conoscitive della specie umana. La scienza progredisce grazie a un'accumulazione di conoscenze che l'umanita ammassa nel tempo: un capitale che non dipende dalla genialita di particolari individui e che nessun evento potrebbe rimettere in discussione. Se Cartesio non fosse nato, qualcun altro avrebbe compiuto la sua opera: C'e un ordine che regola il nostro progresso. Ogni scienza si sviluppa dopo che si sono sviluppate altre scienze preliminari e non prima; per uscire dal guscio, deve aspettare il suo turno.
10.8. L'abate di Saint Pierre: il progresso generale dell'uomo. Alia stessa cerchia di intellettuali e di ferventi ammiratori di Cartesio (i salotti di famose nobildonne parigine) frequentata da Fontenelle, apparteneva anche l'abate di Saint Pierre (1658-1743). Scrittore politico autorevole, Saint Pierre dedico gran parte della sua vita a escogitare e ad illustrare progetti ingegnosi (schemi di riforma del governo, dell'economia, delle finanze, dell'istruzione ...) volti ad accrescere la felicita dell'uomo. Imbevuto delle idee di Bayle e influenzato dal deismo inglese, fu fermamente convinto che il governo e le leggi fossero onnipotenti nel form are o riformare un popolo, che Ia forza della ragione urn ana si imponesse di per se e che quindi i progetti di riforma, per il solo fatto di essere razionali, riuscissero a persuadere i governanti e a diventare operativi. Come ebbe a osservare Rousseau, Saint Pierre nutriva una fiducia ingenua, sapeva vedere bene i risultati dei suoi progetti, «rna la scelta dei mezzi da adottare per arrivare a quei risultati era infantile». II secolo di Luigi XIV, esaltato da Voltaire nei suoi splendori, gli apparve come un'epoca dominata dall'ambiziosa politica guerresca del re Sole e dalla miseria che sempre consegue dal male assurdo della guerra. Presente al congresso di Utrecht (1712) come segretario del Cardinale di Polignac, !'abate elaboro, per l'occasione, il famoso progetto di «pace perpetua» per l'Europa, che in seguito rimaneggio piu volte. Questo piano intendeva offrire garanzie agli Stati europei peril mantenimento dello status quo ed esigeva l'abbandono della guerra come mezzo per risolvere le controversie internazionali. A questo scopo, i sovrani europei dovevano dar vita ad una !ega che istituisse un tribunale a cui affidare la soluzione delle divergenze, un congresso permanente, ad Utrecht o in altra citta Iibera, che favorisse i contatti tra gli Stati membri della lega, ed una forza militare internazionale capace di piegare eventuali nazioni ribelli. II progetto non era il primo del genere. Quasi un secolo prima, l'oscuro monaco parigino Emeric Cruce (ca. 1590-1648) aveva elaborate un progetto simile su scala universale, esteso anche a turchi, persiani e tartari. Quello di Saint Pierre aveva comunque il pregio di concretizzare le aspirazioni pacifiste in una prospettiva di progresso generale, non circoscritto, come in Fontenelle, al settore scientifico-intellettuale. Come infatti si Iegge nelle Osservazioni sul continuo progresso della ragione universale (1737), lo sviluppo della «ragione
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umana universale» (l'espressione e di Cartesio) e un processo di lungo termine, costantemente in ascesa, verso l'obiettivo ultimo, che e il conseguimento della felicita privata e pubblica. Riprendendo il paragone tra storia dell'umanita e vita di un individuo, Saint Pierre sostiene che l'uomo attuale (che non ha forse pili di 7.000 - 8.000 anni di storia) e soltanto «nell'infanzia della ragione umana»; tra 5.000-6.000 anni entrera nella sua prima giovinezza e, quando sara nella vecchiaia, sara ancora (a differenza dell'individuo) pili saggio e pili felice. Negli ultimi due secoli il progresso della conoscenza ha subito un'accelerazione notevole, sia in virtu dell'espansione del commercio sui mari (che ha prodotto pili ricchezza, e pili ricchezza permette a un maggior numero di persone di dedicarsi agli studi), sia grazie alia fondazione delle accademie scientifiche, all'invenzione della stampa e all'uso crescente delle lingue nazionali, .che hanno favorito lo scambio delle scoperte e delle acquisizioni scientifiche. Allo sviluppo delle conoscenze non ha corrisposto un'analoga crescita nella morale e nella felicita generale: uomini di genio come Cartesio e Newton non vi si sono dedicati a sufficienza, nell'erronea convinzione che le scienze fossero pili utili dell'etica e della politica. Gli ostacoli che impediscono il cammino della umanita verso la felicita non sono, comunque, irremovibili: la superstizione e sempre pili abbandonata; le guerre potrebbero scomparire, se si adottasse il progetto di «pace perpetua>>; le incertezze e i timori dei governanti potrebbero esser superati, se si creassero accademie che facessero per la politica e l'etica quello che fa l'Accademia delle scienze per lo studio della natura. Nell'arco di un centinaio di anni si farebbero, anche in questa campo, visibili miglioramenti e si getterebbero le basi del «perpetuo e illimitato sviluppo della ragione », che w1 giorno non lontano avvicinera concretamente l'auspicata eta dell'oro. Non e improbabile che, se gli fosse stato possibile, il buon abate avrebbe riconosciuto i suoi sogni nel romanzo avveniristico L'anno 2440 (1770) scritto da Sebastien Mercier (1740-1814), suo fervente ammiratore. In questo testo appaiono con evidenza i limiti della posizione di Saint Pierre, che non riesce atener conto della forza delle passioni e degli interessi umani, cosi cari a Machiavelli e a Vico. Non a caso la storia vi e definita «la disgrazia dell'umanita, poiche le sue pagine sono piene di delitti e di £ollie»; >. 10.9. Turgot, ovvero l'esigenza di una nuova storia universale. Nel 1750, lo stesso anno in cui Rousseau presentava. il primo Discours all'Accademia di Digione, un giovane ecclesiastico tenne alla Sorbona due discorsi, uno sui >, specialmente di quello francese, hanna portato alla rivoluzione e ai «mali» presenti: (...) bisognava che il popolo instaurasse esso stesso quei principi della ragione e della natura che la natura aveva saputo rendergli cari; {... ) si dovevano acquistare la liberta e la felicita attraverso mali transitori (... ).
Partendo dalla rivoluzione in corso, Condorcet si volge a considerare la storia dell'umanita (suddivisa in nove > e stato sviluppato nel breve saggio La studio della storia (1741) di Hume (8.8): Gli storici sono stati, quasi senza eccezione, i veri amici della virtu. (... ) Che cosa ci puo essere di piu divertente per la mente che essere trasportata nelle epoche piu remote del mondo e osservare la societa umana nella sua infanzia, mentre fa i suoi primi deboli tentativi nelle arti e nelle scienze! Vedere quindi l'arte del governo e il gusto della conversazione raffinarsi gradatamente, e tutto cio che e un ornamento per la vita umana avvicinarsi sempre piu alia perfezione! Osservare la nascita, il progredire, il decadere e l'estinguersi degli imperi piu fiorenti, le virtu che contribuirono alla loro grandezza e i vizi che li trascinarono alla rovina! (...)Vi sono dei divertimenti, dei sensi o dell'immaginazione, che potrebbero venir paragonati a questo?
Il contributo della storia all'etica e sottolineato anche da Bonnot de Mably (11.11), che, rivolgendosi al principe di Parma, della cui educazione storica e responsabile, esclama: «La storia deve essere, durante tutta la vostra vita, la scuola in cui vi istruirete sui vostri doveri ». Sui val ore esemplare della storia, rna solo di quella antica e non senza perplessita, torna anche !'Emilio (11.7) di Rousseau, che, per le stesse ragioni etiche, bandisce lo studio della storia moderna e tiene a sottolineare le ambiguita e i >. Sono lora che hanna chiamato «vizio tutto cio che, senza nessun riguardo per cio che e pubblico, si fa per soddisfare un proprio appetitO>> e hanna data il nome di «virtu ad ogni azione con cui l'uomo, in contrasto con l'impulso naturale, tenta di beneficare gli altri o di vincere le proprie passioni per l'ambizione razionale di essere buono>>. A instaurare le categorie di vizio e di virtu e stata, insomma, quella logica di dominio che, come avevano insegnato anche Hobbes e Locke, ha permesso a un insieme di animali egoisti di costituirsi in societa.
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-II fondamento della morale
11.2. Shaftesbury e Hutcheson: l'autonomia del senso morale. Con il suo apologo, Mandeville prendeva a bersaglio non soltanto l'etica aristotelicoscolastica rna anche le posizioni, per pili versi nuove, di Shaftesbury (9.2). Pur facendo propria la tesi seicentesca sulla morale del piacere, fin dal giovanile Saggio sulfa virtue il merito (scritto frail 1690 e il 1695) il conte di Shaftesbury aveva infatti insistito sulla naturalita e spontaneita delle inclinazioni che inducono gli uomini al vivere sociale e al bene collettivo. Le raffinate analisi del dialogo I moralisti (1709) e delle Caratteristiche di uomini, costumi, opinioni, tempi (1711) mirano ad assicurare all'etica un fondamento naturale e autonomo sia dalla religione che dalla politica. Non e forse vero che persone, zelanti sui piano religioso, si rivelano spesso «sommamente degenerate e corrotte» ed altre, invece, ritenute atee, «agiscono in molte occasioni con cosi puri intenti e affetti verso l'umanita, che si deve riconoscere la loro virtu»? D'altra parte (in polemica con Hobbes), l'individuo sussiste solamente in seno- alia societa, o meglio, l'uomo ha una tendenza naturale alla collaborazione sociale che lo integra in un sistema pili ampio: L'uomo ed ogni altro animale, benche sia in se stesso un sistema autonomo di parti, non puo essere ugualmente autonomo rispetto a tutto il resto; rna bisogna osservare che e legato da ulteriori relazioni al sistema della sua specie; cosi pure il sistema della sua specie e legato al sistema animale; questo e legato al mondo, che e la nostra terra; e questa, a sua volta, e legata al piu ampio cosmo, l'universo,
Dall'istinto naturale alla socialita emerge il «senso morale» che risiede nel «cuore». «Atto riflessivo del sentimento», esso consente, per via intuitiva ed immediata, la percezione interna del bene e del male, dell'onesto e del disonesto, in relazione al «bene pubblico e al bene della specie». In opposizione al pessimismo angoscioso di Hobbes, l'umanesimo di Shaftesbury recupera Ia teoria classica della virtu come misura degli affetti e indica nell'ironia lo strumento pili valido per intervenire attivamente nel regolare Ia vita morale. Oltre che la scompostezza del fanatismo religioso l'ironia svela e ridic;olizza la disarmonia delle azioni moralmente sbagliate. Incline ad una riflessione varia e mobile, Shaftesbury non seppe ne voile ridurre le sue intuizioni in sistema. Il merito di aver dato veste formale e sistematica alla > implica «una compassione tenera, attiva per tutti i mali che affliggono la specie umana», una solidarieta generalizzata a tutti gli uomini, senza distinzione di razza, sesso, religione o istituzioni politiche, con particolare riguardo alla miseria, alia schiavitu e all'oppressione. 'Umanita', 'filantropia' e 'beneficenza' - questi ultimi due neologismi sono dovuti rispettivamente a Fenelon e all'abate di Saint-Pierre definiscono la nuova morale sostitutiva della carita cristiana, che era pur sempre una virtu teologale, finalizzata all'amore di Dio pili che all'amore del prossima. L'espressione pili significativa di questi valori-guida si trova nella ideologia della massoneria, che proprio sulla base del proprio contenuto etico rinnova profondamente le sue costituzioni e, a partire dalla grande assemblea organizzativa di Londra del giugno 1717, pone le premesse per la sua diffusione in tutta Europa. Quando siamo radunati - recita un testo massone del 1744 - diventiamo tutti fratelli, il resto dell'universo e estraneo: il principe e il suddito, il gentiluomo e l'artigiano, il ricco e il povero sono mescolati, nulla piu li distingue, nulla piu li separa.
Separati, grazie al segreto, dal resto del mondo, questi «fratelli» incamano bene la nuova elite emergente, composta di aristocratici e borghesi, che diventa consapevole della propria superiorita nella misura in cui esalta l'umanita, anzi si sente l'umanita. Secondo Diderot (9.9), la struttura morale e originaria e autonoma, e un dettame che la natura (e non Dio, come avrebbe detto Voltaire) rivolge direttamente alla ragione, al cuore e al sentimento. La natura - scrive nel 17 57 - ha fatto le buone leggi dal fondo dell'eternita; una forza legittima ne assicura l'esecuzione, e questa forza che
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tutto puo contro il cattivo non puo nulla contro I 'uomo per bene: io la cito al tribunale del mio cuore, della mia ragione, della mia coscienza, al tribunale dell'equita naturale.
Nonostante la sua evoluzione ideologica, Diderot si mantiene fedele a questa convinzione. Nel 1745 ha tradotto il Saggio sulla virtu e il merito di Shaftesbury; nel celebre romanzo La religiosa (1760) contrappone i valori della felicita naturale alle ipocrisie della morale religiosa; in Giacomo il fatalista (1771) difende il libero arbitrio dell'uomo dalle insidie del determinismo; nel 1773 non perdona ad Helvetius di aver sostenuto, nel suo Dell'uomo, ch~ tutte le nozioni morali derivano dal piacere e dal dolore sensibili. La convinzione che esista una «virtu naturale», o chela virtu vera non sia che il prolungamento della natura, e largamente condivisa dalla cultura dei 'lumi' ed e utilizzata per superare !'impasse a cui conduce l'apologo di Mandeville (la virtu ridotta a mera finzione sociale). Il presupposto sottinteso o esplicitato e, naturalmente, la fede nelle possibilita di restaurare l'ordine naturale nella societa, attraverso un'educazione razionale e grazie a una legislazione che mirino, appunto, a continuare nella societa l'opera clella natura. A'nche d'Holbach, (8.11 ), che pure propende pili di Diderot verso il determinismo (l'amore di se, che spinge l'uomo ad agire, e considerato come la forza di gravitazione nei rapporti interpersonali), nel Sistema sociale (1773) afferma che il prima e piu importante passo per realizzare la virtu naturale e combattere l'ignoranza e usare senza paura la ragione, che e «la conoscenza della vera felicita e dei mezzi capaci di procurarla». A un intervento attivo e determinante del legislatore pen sa P.L. Moreau de Maupertuis ( 1698-17 58) nel suo fortuna to Saggio di filosofia morale (1749). L'epicureismo e lo stoicismo hanna, secondo Maupertuis, affrontato correttamente la questione etica, partendo dall'assunto dell'universalita del «desiderio d'esser felice» e indicando come accrescere la somma dei beni e ridurre invece la somma dei mali, che la 'vita ordinaria' dimostra essere purtroppo superiore. E pertanto indispensabile un calcolo meditato nel dosare i beni e i mali (misurati in base all'intensita e alia durata e trattati come grandezze, rispettivamente, positiva e negativa) e nel cercare di procurare, anche a livello sociale, «la maggiore somma di felicita possibile» per il piu gran numero di persone possibile. Si possono considerare Ia felicita e l'infelicita cosi come i geometri considerano Ia quantita, ch'essi distinguono in positiva e negativa, e dire che Ia felicita reale della societa e Ia somma residua, detratti tutti i dolori particolari.
11.5. Dalla 'virtu morale' alia virtu politica. In un passo controverso della Spirito delle Leggi (incorso, non a caso, nella censura della Sorbona) Montesquieu (8.13) afferma che nelle monarchie e Ia politica, e non la virtu, «che fa compiere le grandi imprese». Lo Stato vive indipendentemente (... ) da tutte quelle eroiche virtu che troviamo fra gli antichi e delle quali abbiamo solamente udito parlare. Le leggi prendono il posto di tutte le virtu, di cui non c'e ormai alcun bisogno.
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Pur preferendo, in linea di princ1p10, la repubblica, per !'Europa del suo tempo Montesqueiu propane una monarchia moderata. Dunque nella Francia e nell'Europa del '700, non c'e piu bisogno della virtu, rna di leggi, che invece, come si e vis to, rispecchiano i «costumi » di un popolo. La virtu nei suoi riflessi pubblici appartiene al passato, aile societa del mondo greco e romano. La separazione, introdotta dal cristianesimo, tra morale privata e morale pubblica, o meglio tra moralita tout court e regale della vita politica e mondo del diritto, e diventata un tratto peculiare del mondo moderno. L'avanzata della societa borghese ne ha definitivamente sancito il successo. I politici greci, che vivevano in un governo popolare, riconoscevano nella virtu l'unica forza capace di sostenerlo. I politici oggi ci parlano di manifatture, di commercia, di finanze, di ricchezze, perfino di lusso. Quando viene a cessare questa virtu, entra l'ambizione nei cuori pronti a riceverla, e l'avidita in tutti. I desideri mutano di oggetto; cio che una volta si amava, non lo si ama pill; si era liberi con le leggi, si vuole esserlo contro di esse. Ogni cittadino pare uno schiavo fuggito dalla casa del padrone. (... )Prima i beni dei singoli formavano il tesoro pubblico; rna ora il tesoro pubblico diventa patrimonio dei singoli.
Un intellettuale come Montesquieu, che alia sua ricerca assegna l'obiettivo di determinare il sistema di leggi in grado di produrre, entro date circostanze storiche e ambientali, il massimo di liberta possibile, non ritiene che si possa parlare, oggi, di virtu, o meglio di virtu come sostegno e «molla» del governo. Nelle monarchie ben regolate, tutti saranno press'a poco buoni cittadini, rna un uomo virtuoso lo si trovera di rado. Infatti per essere un uomo virtuoso, occorre averne l'intenzione, ed amare lo Stato per se stesso, non per noi.
Le aggiunte e i chiarimenti, introdotti nell'edizione del 1757, per ovviare alIa censura della Sorbona e chiarire che si vuol parlare di 'virtu politica' e non di 'virtu morale' non sono convincenti e, caso mai, convincono che l'intenzione originaria di Montesquieu, vicina per realismo a quella di Machiavelli e Mandeville, fosse appunto di cantare la morte della virtu. Senza ambiguita si presenta invece l'epicedio della virtu pubblicato da La Mettrie (8.10), lo stesso anno in cui comparve lo Spirito delle leggi. AI di la della coincidenza cronologica, quasi niente accomuna due uomini e due filosofi cosi diversi. Studioso di medicina, La Mettrie stava pagando con l'esilio il materialismo a teo e senza cautela sostenuto nella Storia naturale dell 'anima (1745). Il-ragionamento proposto da La Mettrie nel suo Discorso sulla felicita (1748) e in breve il seguente. Come qualsiasi processo psichico, anche la felicita, a cui tutti, uomini ed animali, aspirano, e riconducibile ad un evento corporeo: I nostri organi sono suscettibili di un sentimento o di una modificazione che ci da piacere e ci fa amare Ia vita. Se l'impressione di questa sentimento e breve, si tratta di piacere; se e piu lunga, e volutta; se e permanente, si ha la felicita.
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La felicita consiste, dunque, nel seguire i dettami della propria natura, fisicamente intesa, e nell'evitare le intrusioni «spesso inutili e qualche volta funeste ed esiziali» della ragione, del sapere e di cio che tradizionalmente si intende con la parola virtu. Accanto a questa felicita 'naturale' sussiste una felicita 'artificiale', che «Consiste nel seguire i sentimenti impressi in noi dall'educazione», educazione necessaria per tenere insieme la societa e controllata da chi detiene il potere politico. La virtu e il vizio appartengono a questa tipo di felicita: non esistono quindi in assoluto, rna come nozioni «relative alla societa di cui costituiscono insieme l'ornamento e il sostegno». Passando a smontare il sistema etico costruito dall'educazione, La Mettrie mette in luce il ruolo svolto dalla vanita. e dall'esibizione nel motivare l'azione 'virtuosa', nonche le inibizioni e le tristezze causate, gia nell'infanzia, dai rimorsi e dagli scrupoli, che comunque nella societa moderna hanna una presa minore rispetto al peso crescente delle leggi e delle pene. Il caso di La Mettrie potrebbe far pensare che, a parte Montesquieu, lanegazione della virtu sia un tratto esclusivo del materialismo ateo. In realta non e cos!. Erede di Hobbes, Helvetius (8.13) identifica il bene e il male con «le sensazioni di piacere e di dolore fisici che riceviamo dagli oggetti esterni», quando i nostri bisogni ottengono soddistacimento; non ritiene il sensa morale innato e da grande importanza all'amore di se e all'amor di potere. Riconducendo i giudizi morali alia dinamica tra ricerca del piacere e ripulsa del dolore, Helvetius indica Ia sola molla dell'azione nell'interesse. Cio nono'stante, si schiera dalla parte di chi, come Diderot, difende la virtu, definita «il desiderio della felicita generale», e di chi, come Voltaire, esalta le virtu di pubblica utilita condannando > di Vico: «vagante nella foresta, senza occupazione, senza linguaggio, senza domicilio, senza guerre e senza legami, senza alcun bisogno dei suoi simili e senza alcun desiderio di far loro del male, forse anche senza riconoscerne mai nessuno individualmente>>. Questi primitivi, premorali e asociali, sono contrapposti a quelli immaginati dai giusnaturalisti e da Hobbes, che invece, volendo giustificare la societa presente, la proiettavano nello stato di natura: «parlavano dello stato selvaggio, e dipingevano l'uomo civilizzato». II passaggio dall'innocenza e dalla limitatezza dei primi tempi alla corruzione e alla infelicita della societa civilizzata implica il passaggio da un'economia di pura sussistenza a una economia produttiva, attraverso quella fase intermedia, che caratterizza i popoli 'selvaggi' di oggi, da non confondere quindi con gli uomini primitivi. Durante questo stadio di sviluppo, gli uomini sono riuniti in famiglie e nazioni, si dedicano a «lavori che possono essere fatti da una sola persona e ad arti che non hanno bisogno della collaborazione di parecchie mani>>, vivono «liberi, buoni, sani e felici». A questa societa «naturale>>, di tipo patriarcale, fondata su una economia quasi esclusivamente agricola
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(l'artigianato e ammesso solo come completamento necessaria dell'agricoltura), a questa epoca che e stata «la vera giovinezza del mondo», segue la nascita della « societa civile». II primo che, avendo cintato un terreno, penso di dire «questo e mio» e trovo delle persone abbastanza stupide da credergli, fu il vero fondatore della societa civile. Quanti delitti, quante guerre, quanti assassinii, quante miserie ed orrori avrebbe risparmiato al genere umano chi, strappando i piuoli o colmando il fossato, avesse gridato ai suoi simili: ::;,~£~:;i';{:fportato all'indolenza e, per altro verso, il lusso distoglie il proprietario dalle ·: J,/"':.:;~:attivita produttive. L'ideale sarebbe istituire la proprieta comune, l'unica in 41'.~-1~ ' · •!£rado di garantire lo sviluppo economico nel solo interesse della societa, rna il ' ~k·;~;;k,'\~.'~~,rischio dell'anarchia mette in guardia da simili tentazioni; meglio dunque limi·,Z,~f5:0.!f~¥;ia~e l'estensione della proprieta con leggi adeguate. f;~~;.,:. ;.i_ Nello scritto Sulla legislazione e sul commercia dei grani (1774), il banchie[;~-:~;;~):,C~';,~c~.re":di origine ginevrina Jacques Necker (1732-1804) critica le concezioni fisio~j,)jl~!0;:-!Y.~~:;cra!iche, difende le esigenze dell'industria nascente e denuncia le miserabili •· : •·:>;_, ·: (condizioni dovute all 'ineguale distribuzione delle ricchezze e alle leggi sulla . C•:}.proprieta che producono ingiustizia e violenza. Nonostante il suo indubbio ., '-< realismo, !'invito del Necker a porre urgentemente dei limiti ai privilegi della '~' ',';\~.:>:~:proprieta e destinato al fallimento, cosi come Ia sua azione di risanamento fi.1:· nanziario e di riforme tentata per ben quattro volte, tra il 1776 e il 1790, non ;., ,. ferinera l'incalzare della Rivoluzione.
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11.12. La nascita dell'economia politica. Il pensiero economico si e sviluppato in correlazione con il dibattito politico, rna con un certo ritardo rispetto a quest'ultimo. Se la politica si affranca, gia con Machiavelli, dalla tutela della religione, lo studio positivo dell'economia si impone nell'Inghilterra della seconda meta del '600, e soltanto nel corso del '700, precisandosi i problemi economici sempre piu come problemi di governo, diventa possibile una «storia naturale» delle realta economiche. L'ambizione di individuare anche nel mondo economico le leggi naturali che ne spieghino il funzionamento appartiene allo stesso orizzonte mentale del modello scientifico newtoniano della religione e della morale naturali. Nel suo L'ordine naturale ed essenziale delle societa politiche (1767), considerato il manifesto del movimento fisiocratico, Paul Pierre Mercier de Ia Riviere (1720-93) afferma: Esiste un ordine naturale per il governo degli uomini riuniti in societa, un ordine che ci assicura necessariamente tutta Ia felicita naturale a cui siamo destinati durante il nostro soggiorno sulla terra, tutti i godimenti che possiamo ragionevolmente desiderarvi e ai quali non possiamo aggiungere
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niente se non a nostro svantaggio; (... ) un ordine in cui tutto e bene, e necessariamente bene, in cui tutti gli interessi sono cosi perfettamente combinati, cosi inseparabilmente collegati fra di loro che, dai sovrani fino agli ultimi dei loro sudditi, la felicita degli urii non puo accrescersi che per la felicita degli altri; un ordine infine, la cui santita e utilita, manifestando agli uomini il Dio caritatevole, li prepara, li dispone, attraverso la riconoscenza, ad amarlo, ad adorarlo, a cercare per proprio conto lo stato di perfezione pili conforme alla sua volonta.
La stessa visione provvidenzialistica dell'ordine naturale caratterizza molte pagine della Rice rca sulla natura e sulle cause della ricchezza delle nazioni, il capolavoro di Adam Smith (11.3). Pubblicato nel 1776, quando inizia la guerra tra Inghilterra e colonie americane, quest'opera evidenzia il salto qualitativo compiuto, nella seconda meta del secolo, dalla scienza economica, che compone in un sistema coerente i dati raccolti e gli strumenti conoscitivi finora elaborati e definisce il proprio ambito disciplinare come teorizzazione dell'intero processo economico, non pili limitato a specifici settori, sui fondamento di principi razionali unitari. La fiducia nell'> dell'economia e del libero commercia. La peculiarita e il limite della fisiocrazia dipendono dal fatto che essa analizza il funzionamento di un sistema economico in condizioni statiche e non riesce a coglierne le tendenze evolutive. Non a caso, il settore produttivo in senso proprio e indicato nell'agricoltura e nell'attivita mineraria, rna non nell'industria e nel commercio, che non producono nuovo valore in assoluto, dato che si limitano a trasformare e a far circolare il prodotto precedentemente ottenuto. Come sottolineano anche Turgot e Condorcet, il settore agricolo-minerario e l'unico in grado di assicurare un'economia di sviluppo e di accumulazione, perche fornisce un'eccedenza, il >, che va inteso come la differenza trail prodotto lordo annua-
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le e i costi dei salari (i lavoratori devono' essere retribuiti secondo 'natura', sulla base dei loro bisogni necessari) e delle spese anticipate. Contro il fissismo dogmatico dei fisiocrati si pronuncia Ferdinando Galiani {1728-87) nei fortunati Dialoghi sui commercia dei grani (1770). La pretesa fisiocratica di stabilire norme sui dazi e sull'annona, valide per ogni luogo e tempo, nasce da una scarsa consapevolezza storica delle questioni economiche e dal misconoscimento del peso che hanno le condizioni geografiche e sociali nella configurazione dei singoli paesi. Nel trattato giovanile Della moneta ( 1751 ), il Galiani aveva dato una definizione del >. Secondo Smith, le richieste degli operai, di cui pure egli comprende Ia genesi (essi sono disperati e agiscono con l'aberrazione e il furore di chi, appunto, e stato condotto al limite della disperazione), sono destinate a provocare continue repressioni che non possono che approdare all'insuccesso. La teoria dello sviluppo e basata dalla Ricerca sull'ipotesi che i capitalisti non destinino tutti i loro redditi al consumo, rna ne destinino una parte all'accumulazione, per fissare quel capitale addizionale che permette di aumentare il numero dei lavoratori, di migliorare «macchine e strumenti" e di «realizzare una piu conveniente divisione e distribuzione del lavoro medesimo». Di qui l'esaltazione della parsimonia, che i percettori di rendite e profitti (gli operai, secondo Smith, consumano tutti i loro redditi!) sono tenuti a rispettare, per non danneggiare, oltre che loro stessi, l'intero corpo sociale. Se i proprietari terrieri e i capitalisti decidono di accumulare, automaticamente aumenta la domanda di lavoro e percio i salari. 11 maggior salario, caratteristica dei paesi «piu prosperosi, di quelli che con piu celerita progrediscono in ricchezza, (il riferimento e alle colonie inglesi d'America), aumenta la produttivita del lavoro: > e «un ideale angusto e banale (... ) semplicemente intollerabile per uno spirito filosofico >>. II cosmopolitismo giustifica, in molti casi, Ia condanna della guerra e l'esaltazione della coesisteriza pacifica fra i popoli. Mentre I viaggi di Gulliver ridicolizzano le giustificazioni correnti delle guerre, i vari progetti di «pace perpetua» - da quelli del quacchero William Penn e dell'abate di Saint Pierre (10.6) a quello di Kant (12.18)- cercano di dare corpo all'istanza cosmopolita propo-
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nendo vie di uscita utopiche rna razionali. La questione interessa naturalmente anche i giuristi che, sulla scia di Grozio, sviluppano riflessioni &istematiche intorno ai temi del diritto internazionale. La fortuna del trattato II diritto delle genti o i principi della Iegge naturale applicata alla condotta e agli affari delle nazioni e dei sovrani (1758), in cui lo svizzero Emeric de Vattel (1714-67) definisce le condizioni di possibilita di una comunita politica europea, dimostra quanta fosse avvertita l'esigenza di perseguire il superamento della «soyranita>> dei singoli stati. Chi fa professione di fede nella ragione, giudica la guerra «un frutto della depravazione dell'uomo; una malattia convulsiva e violenta del corpo politico», come si Iegge nell'articolo, non firmato, «Pace», dell'Encyclopedie. Per altri, le ragioni dell'industria e del commercia sono ancor piu persuasive. Il marchese di Chastellux ( 1734-88), convinto assertore del liberismo economico, scrive: Speriamo che, stanchi finalmente di tante inutili dispersioni e di tanti pericolosi malintesi, si cominci a vedere che gli interessi di tutte le nazioni sono identici e possono essere fra !oro conciliati (...). II primo di tutti i beni, cui un popolo deve aspirare, e la pace.
Se la guerra, dichiara Condorcet nel 1793, e «il peggiore dei crimini», sono proprio le nuove prospettive aperte dallo sviluppo economico a dimostrarne l'infondatezza e a spezzare le catene della sfruttamento che assoggetta i popoli coloniali, accelerando cosi «i progressi della fratellanza tra le nazioni ». Nonostante queste convinte asserzioni, l'ideale di una societa cosmopolita e entrato in crisi prima ancora che scoppiasse Ia Rivoluzione francese. Helvetius fa notare che, in assenza della societa internazionale necessaria per avere una morale universale, l'umanita e totalmente presa dal sentimento patriottico. Rousseau esalta la virtu del patriottismo civile, rifiutando esplicitamente le mistificazioni del cosmopolitismo: Ogni societa, quando e piccola e saldamente unita, si estranea dalla comunita piu vasta. Un patriota e sempre duro verso gli stranieri: sono soltanto uomini, nulla ai suoi occhi. Fuori della sua patria, lo spartano era ambizioso, rapace, ingiusto; rna il disinteresse, la giustizia e la pace regnavano fra le mura della sua citta. Guardatevi da quei cosmopoliti, che ricercano in remote questioni libresche i doveri che sdegnano di adempiere nel proprio ambiente.
Il pacifismo di Rousseau non si regge sui cosmopolitismo, rna sulla speranza che nei singoli stati si affermino delle costituzioni democratiche e che, riducendo a giuste dimensioni l'estensione degli stati, sia possibile un ordine internazionale non piu basato sulla guerra e sui giochi diplomatici. Le connessioni tra il concetto di volk, in Herder (10.10), e il recupero, compiuto dalla poesia tedesca (Klopstock, Kleist e lo stesso Goethe), della mitologia germanica, in esplicita polemica contra l'egemonia della romanita, attestano sia la crescita della Germania in autocoscienza culturale, sia la valenza anti-illuministica con cui si fa strada il concetto di nazione. Al declino del cosmopolitismo, maturate nel decennia anteriore al 1789,
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corrisponde la nascita di una nuova concezione, che assegna a ogni nazione un'indole propria ed esclusiva, fondata sulla consapevolezza della sua natura di entita che nel corso della storia si evolve e si realizza. La Rivoluzione francese contrappone drammaticamente le due concezioni e ne muta il segno e le conseguenze. Eredi del cosmopolitismo illuministico sembrano coloro che sottolineano la dimensione universalistica della Rivoluzione in marcia e proclamano, con il leader girondino Pierre-Jacques Brissot, l'avvento di «una nuova crociata, una crociata per la liberta universale». La guerra si giustifica in quanto strumento di liberazione dell'umanita oppressa dai tiranni e chiama tutti i francesi alla mobilitazione generale, a dare il proprio contribute per il successo dell'armata della Francia repubblicana. Erede di Rousseau e invece Maximilien Robespierre, che il 2 gennaio 1792 replica a Brissot: «Cominciate col riportare i vostri sguardi sulla vostra situazione interna; rimettete ordine in casa vostra pri!J1a di portare la liberta altrove»; voluta dagli «ambiziosi», dai «moderati» e dagli «agitatori», la guerra serve soltanto a distrarre il popolo con obiettivi che non lo riguardano. Lungi dal riprodurre la serena convivenza della comunita morale di Clarens, che tanto gli fa amare la Nuova Eloisa, Robespierre e il «partito della pace>> propugnano e combattono, perc, un'altra guerra, che deve eliminare .i nemici della rivoluzione, gli avversari dell'uguaglianza, della liberta e della fraternita. Giustificata come «1 'ultimo sacrificio sanguinoso >> richiesto ai francesi per «sigillare per sempre i diritti dell'umanita>> (l'espressione e del giacobino Billaud), la ghigliottina del Terrore sanziona anche la crisi del pacifismo rousseauiano e di fatto spiana la strada a chi, usando il concetto di nazione, preferira consegnare nelle mani di Napoleone Buonaparte le esigenze e i privilegi della borghesia.
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Sommario. Nel pensiero di Immanuel Kant confluiscono, accanto alla tradizione del pietismo protestante, la scolastica leibniziana di Wolff, il metodo di Newton, lo scetticismo empirista di Hume e la dottrina del sentimento di Rousseau (12.1). La prima fase della ricerca kantiana si svolge sui temi posti dal naturalismo del tempo, rna obbedendo a una precisa esigenza, quella di separare la fisica dalla metafisica (12.2). Col 1760 gli interessi di Kant si concentrano sulla questione della possibilita della fondazione di una nuova metafisica (12.3). La via da battere a questo scopo Kant la intui nel 1769: la separazione metodologica dei contenuti del mondo sensibile dai prindpi formali dell'esperienza, a cominciare dallo spazio e dal tempo (12.4). Nel 1781 appare la Critica della ragion pura, che imposta in modo critico il problema della metafisica a partire dall'ipotesi che siano gli oggetti a regolarsi sulla ragione e non viceversa (12.5). Questa ipotesi porta con se quella se i giudizi di .cui si serve la conoscenza scientifica non siano giudizi basati, si, sull'esperienza (sintetici) rna tali che il predicato sia gia presente nel soggetto indipendentemente dall'esperienza (a priori) (12.6). Kant verifica questa caratteristica del conoscere gia nella fase della sensibilita, dove le forme a priori sono lo spazio e il tempo (12.7). L'oggetto data dall'intuizione sensibile viene pe11satu dall 'intelletto mediante i suoi concetti puri (categorie), che divengono predicati del giudizio (12.8). Il centro di unificazione dell'attivita conoscitiva dell'intelletto, e cioe della costruzione della natura, e l"Io penso' (12.9). La corrispondenza tra le categorie e i fenomeni e assicurata dalla mediazione di schemi immaginativi che funzionano secondo precise regole dell'intelletto puro (12.10). La conclusione a cui Kant giunge e che i confini della conoscenza scientifica sono quelli del fenomeno sensibile e che dunque la metafisica non e scienza. E tuttavia, egli dice, ci sono nell'uomo esigenze metafisiche che si trasformano illusoriamente in oggetti: il mondo, !'anima, Dio. Kant confuta una dopo l'altra queste tre illusioni, concludendo che comunque esse esprimono irrinunciabili ideali regolativi della conoscenza (12.11). La metafisica trova il suo fondamento solo nell'ambito dell'esperienza morale, che Kant, nella Critica della ragion pratica, analizza col suo metodo critico, stabilendo che anche in essa si da un elemento a priori, la volonta pura (12.12). La volonta e pura quando e determinata dal dettame della ragione, l'imperativo categorico, distinto dagli imperativi ipotetici. In questa distinzione si svela la duplice appartenenza dell'uomo all'ordine fenomenico e all'ordine noumenico (12.13). In quanto causalita autonoma, la Iegge morale e istitutiva di un regno indipendente dalla natura fisica, il regno dei fini (12.14). Il regno dei fini e un orizzonte della fede morale che abbraccia tutte le condizioni che rendono possibile l'imperativo categorico. Tra queste condizioni vi sono proprio le tre certezze (postulati) che Kant aveva confutato nella sua prima Critica, relative al mondo in se, all'anima e a Dio (12.15). In ragione del suo primato, l'imperati\'o morale esige di ricondurre sotto di se tutti gli ordini dell'attivita pratica, a cominciare daHa religione, che deve essere risolta criticamente dentro i limiti della ragione e che ha come suo orizzonte Ia 'chiesa invisibile', di cui le chiese visibili sono anticipazioni e strumenti (12.16). Alla Iegge morale devono sottostare tutti i rapporti dell'uomo con se stesso e con gli altri, sia nella sfera etica che in quella giuridica, che hanno come fine comune Ia li-
362 0 12- Kant precritico berta (12.17). La liberta e il fine della storia umana, che procede verso la sua meta in modo conflittuale. II conflitto non e secondo natura rna e nato da una trasgressione originaria e trova espressione nella guerra, che dunque nemmeno essa e necessaria, rna puo essere superata nella 'pace perpetua', mediante opportuni ordinamenti cosmopolitici (12.18). L'analisi del conoscere e dell'agire ha condotto Kant alia determinazione di due mondi tra !oro contrapposti: il mondo della necessita meccanica e quello della liberta. Nella terza Critica, Kant ricerca l'anello di congiunzione nel sentimento, considerato come facolta fondamentale della ragione che si esprime nel giudizio riflettente (12.19). II giudizio riflettente puo essere estetico o teleologico. II giudizio estetico ha per suo contenuto non l'oggetto in se rna Ia sua rappresentazione come tale, in quanto essa entrain libero gioco con le facolta conoscitive. Quello estetico e un piacere disinteressato (12.20). La parentela tra il 'bello' e il 'buono' si rivela soprattutto nell'esperienza del sublime, che consiste nella sproporzione tra l'intuizione sensibile (finita) e !'idea della ragione (infinita), come pure si rivela nella essenza stessa della produzione dell'arte, possibile solo al genio, e cioe all'uomo che crea gli oggetti in modo disinteressato, alia maniera della natura: anche l'arte e un fine in se (12.21). L'idea di fine puo essere riferita all'ordine esterno dei fenomeni; allora essa permette di integrare anche Ia causalita meccanica in un finalismo che apparenta Ia natura e Ia liberta morale. E cosi Kant chiude Ia frattura tra i due mondi (12.22).
Kant precritico 12.1. I 'maestri'. Un tratto davvero eccezionale della filosofia di Immanuel Kant* e, per ripetere l'espressione che il suo contemporaneo Winckelmann usava a proposito della bellezza ellenica, «Ia grande tranquillita e la tranquilla grandezza». Le opere in cui essa si e tradotta sembrano partorite dalla ragione umana nel suo stato di piena maturita e di totale autonomia, governata solo dal rapporto con le esigenze interne della propria natura. Questa impressione e sostanzialmente giusta, rna va contenuta o corretta da due riserve. La prima e che per raggiungere la piena conformita con se stesso Kant ha dovuto attraversare un lungo periodo di ricerca - piu di un trentennio - che si e soliti chiamare il 'periodo precritico', del quale ci occuperemo in modo diffuso in Immanuel Kant nasce a Konigsberg (oggi Kaliningrad) nel 1724 da una modesta famiglia di artigiani. La madre, una fervente pietista, ottiene dall'amico pastore Albert Schultz che Immanuel entri nel collegia Fridericianum (1732), da lui diretto con metodi che lasceranno in Kant ricordi «di terrore e di angoscia>>. Nel1740 entra all'universita dove, piu che le lezioni di teologia, segue i corsi umanistici e scientifici di orientamento
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wolffiano. La morte del padre (1746) lo costringe a procurarsi il necessaria facendo l'istitutore: lontano da Konigsberg, ospite con tale mansione della Contessa Keyserling, sviluppa il gusto per la raffinatezza del vivere e della conversazione brillante che lo rende molto ricercato nella buona societa. Lo spettacolo della miseria contadina lo porta a far suoi gli ideali illuministici di riforma sociale. Nel 1755 torna a Konigsberg per iniziare, in quella universita, come Libera docente, Ia sua carriera di professore, che avra !ermine nel 1797. Solo nel 1770, a 46 anni, diviene titolare di cattedra, uscendo cosi dalle ristrettezze. Conduce le sue ricerche con rigoroso metoda: viene svegliato alle 5 del mattino e si corica regolarmente alle 22. La mattinata e dedit a all 'insegnamento e alia rice rca; a pranzo ama avere invitati con i quali conversare per alcune ore, fhJ.o alia sua passeggiata pomeridiana, che avviene in modo cosi regolare da far nascere l'aneddoto dei concittadini che rimettono gli orologi nel vederlo passare. Delle sue pubblicaziorii rendiamo canto analiticamente nel testa. Merita segnalare la data del 1769 come quell a dell 'an no in cui Kant intuisce la sua via filosofica. La farna di Kant si diffonde in Germania, anzi in Europa, quando, nel1781, esce Ia sua Critica della ragion pura. Nel 1788 esce Ia Critica della ragion pratica e nel 1790 la Critica del giudizio. L 'unico episodio che turba il tranquillo svolgimento della sua vita e la censura di Federico Guglielmo II contra la sua opera La religione nei limiti della semplice ragione (1793). Si impegna a non pubblicare altro sull 'argomento per lealta al sovrano, ma, quando questi muore, nel 1798, Kant riprende la sua liberta. Finito l'insegnamento, vive in solitudine e in lenta decadenza mentale, assistito da una sorella anch 'essa vecchia. Muore nel 1804 pronunciando le parole Es ist gut (E bene). La fine di Kant e cia che subito dopo avviene sembrano una riprova della sua dottrina sul 'male radicale'. Un nostro filosofo, tanto congeniale a Kant, Piero Martinetti, ha scritto a riguardo una pagina che mi piace riportare: «l discepoli sono scomparsi; i vecchi e provati amici sono morti. Questa mancanza di un amico affezionato e fedele si vede anche nel destino delle sue reliquie. Esse sono vendute ad alto prezzo, come curiosita: il suo berrettino da mattina e venduto per 10 sterline ad un inglese; dei suoi bianchi capelli si fanno anelli che sono venduti e in breve ci sono piit anelli di quanti capelli Kant avesse mai avuto; da ogni parte, anche dall 'estero, arrivano commissioni per 1'acquisto di qualcuna delle reliquie di Kant a qualunque prezzo. Ma intanto le sue carte manoscritte sono abbandonate al libraio Nicolovius e dopo Ia sua morte sono vendute, col resto, a peso ai bottegai di Konigsberg; e solo per un caso fortuito se ne salvo una parte. Un predicatore trovo presso un merciaio un esemplare delle Riflessioni sui bello e sul sublime con fogli e aggiunte di mano di Kant. E in mezzo a tanto entusiasmo nessuno si cura di salvare dalla profanazione la casa di Kant, che e trasformata in un caffe; la stanza dove aveva scritto la Critica della Ragion pura diventa una sala di bigliardo. E nel 1893 la sua casa e distrutta per rinnovamenti edilizi. Cosi la Germania ha saputo custodire le reliquie del piit glorioso dei suoi figli».
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questa prima parte del capitola. L'altra e che, mentre non ha mai approfondito la conoscenza del pensiero classico, Kant si e immerso, fin dagli inizi, con insaziabile curiosita, nella 'spirito del·tempo', accogliendo e filtrando criticamente le influenze che, passo dopa passo, lo andavano guidando verso Ia costruzione della propria identita. La potenza della sua ragione era tale che ogni apporto. veniva da lui rapidamente assimilato e tradotto in sostanza propria. Possiamo qui indicare sommariamente gli apporti piu importanti che si sono via via inseriti nel lungo itinerario da lui percorso prima che, nel 1769, si accendesse nella sua mente la «grande luce» di un pensiero totalmente autonomo. Tanto in famiglia come nel collegia, dove entro a otto anni, Kant si nutri di quel singolare sentimento religioso che il pietismo (9.12) aveva risvegliato nella Germania del Settecento, specie in Prussia. Nonostante la sua rivoluiione antimetafisica, egli rimarra sempre fedele, a suo modo, ad alcune caratteristiche del pietismo, quali il primato della coscienza nell'adesione aile verita religiose, Ia realta del male, anzi del «male radicale>>, Ia necessita della conversione del cuore. Un riflesso del pietismo infantile e facilmente riconoscibile in alcuni momenti chiave della sua filosofia, come nel 'formalismo' del pensiero e della vita morale e nel dualismo tra la liberta e la necessita delle leggi di natura e degli impulsi della sensibilita. Sia in collegia che nell'Universita di Konigsberg,· dominava all ora il pensiero di Christian Wolff (8.7), che aveva sostituito alia scolastica aristotelica una nuova scolastica derivata da Leibniz, dando cosi inizio a un illuminismo filosofico tedesco dagli esiti, tutto sommato, piuttosto moderati. II suo razionalismo infatti non era critico rna 'dommatico', nel sensa che, a partire dal principia di ragion sufficiente, equiparato al principia della semplice possibilita logica, egli riteneva che il mondo fosse, in tutte le sue parti, intelligibile. Kant ammirera sempre il rigore formale delle sue analisi, rna, come confessa nella prefazione alia seconda edizione della Critica della ragion pura, nel confutare le costruzioni arbitrarie degli · architetti di metafisica avra di mira soprattutto il dommatismo wolffiano. Come si e detto, il pensiero di Wolff era, almena in parte, una rielaborazione di stampo scolastico della metafisica di Leibniz, sicche di fatto l'irradiazion~ del filosofo delle monadi avveniva secondo i modi e i limiti del suo mediatore. Questa fino al 1765, quando vennero dati aile stampe, per la prima volta, i Nuovi saggi sull 'intellettv umano di Leibniz, rimasti sepolti per sessant 'anni nella biblioteca di Hannover. Ci fu allora una vera e propria 'rinascita' di Leibniz, che per la prima volta si presento nel suo profilo di teorico della conoscenza. Ed e con questa Leibniz gnoseologo, e piu precisamente con la sua dottrina delle idee «virtualmente innate>> (7.11), che Kant si misurera nel travaglio immediatamente precedente alia svolta del 1770, che potremmo considerare, vedremo perche, l'anno di nascita del 'kantismo'. Antica e costante fu invece la devozione di Kant per Newton, il cui metoda sperimentale gli fu di appoggio nella sua iniziale presa di distanza dalla metafisica deduttiva. I primi scritti kantiani, a carattere naturalistico, portano ancora i segni della confusione tipicamente newtoniana tra metafisica e fisica (6.14). E. proprio a riguardo della concezione della spazio quale condizione dell'esperienza umana che, come diremo tra poco, sorge in Kant l'esigenza del
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problema critico. Fin dal 1756 all'influenza di Newton si intreccia quella di David Hume, di cui Kant Iegge, in traduzione tedesca, la Ricerca sull'intelletto umano (8.8) e la Ricerca sui principi della morale (11.3). Venticinque anni dopo, nei Prolegomeni ad ogni metafisica futura, Kant confessed! che Hume lo aveva, molto tempo prima, «svegliato» dal suo «Sonno dommatico». L'incidenza di Hume impresse alia fase precritica di Kant una svolta di tipo scettico, che solo piu tardi egli superera, quando arrivera a convincersi che l'intelletto non e, nei suoi principi fondamentali come quello di causa, un prodotto dell'esperienza, al contrario ne e l'artefice, per mezzo delle forme universali che costituiscono la sua struttura. A quella di Hume si aggiunge, nel giro degli stessi anni, !'influenza di Jean Jacques Rousseau, di cui Kant Iegge il Discorso sulla diseguaglianza (11.6), I' Emilio (11. 7) e il Contralto sociale (11.10). Come la lettura di Hume aveva svegliato in lui un processo critico, che lo avrebbe condotto a superare il rischio dello scetticismo con la determinazione delle condizioni che danno universalita e necessita al conoscere, cosi la lettura di Rousseau (tanto appassionante da fargli rinunciare per piu giorni alia sua passeggiata quotidiana, eccezione che si ripetera solo quando arriveranno le notizie della rivoluzione francese) gli apre la via al riconoscimento del primato della ragion pratica. Sara Kant stesso a confessarlo: l'eloquenza di Rousseau valse a liberarlo dall'illusione che ci fosse per l'uomo altro autentico progresso che quello radicale della propria natura morale. Rousseau apparve a Kant come il Newton del mondo morale: quel che e la gravitazione nell'ordine cosmico e il sentimento nell'ordine del bene. Anticipando quanto dovremo dire diffusamente in seguito sulle origini e la formulazione del problema critico, possiamo cosi riassumere concisamente le 'influenze' ora ricordate: la scienza esiste, come ha provato Newton; Ia morale esiste, come ha stabilito Rousseau, e tuttavia Hume dimostra che la scienza non e certa, cosi come non lo e la morale. Di qui le grandi questioni: come e possibile la scienza? Come e possibile la morale? E come e possibile l'accordo tra scienza e morale? A questi interrogativi, che definiscono, nelloro insieme, Ia genesi logica del suo 'criticismo', Kant giunge con un lungo itinerario, scandito in due fasi fondamentali, quella naturalistica e quella metafisica. 12.2. La fase naturalistica. I primi passi Kant li muove sulla linea della filasofia dominante, quella wolff-leibniziana, in cui non si clava vera e propria distinzione tra metafisica e fisica, e li muove secondo interessi, divenuti di moda attorno alia meta del secolo, di carattere scientifico, fino a che, dopo il 1760, Ia questione piu direttamente metafisica non assorbi, in modo sempre piu imperioso, le sue ricerche. Questi gli scritti di maggior rilievo pubblicati in questo periodo:
1746 1755 1755 1755
Pensieri sulla vera rivoluzione delle forze vive Storia naturale universale e teoria dei cieli De igne Principiorum primorum cognitionis metaph_ysicae nova delucidatio (tesi di docenza universitaria)
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1756 1756 1756 1757 1759
I terremoti Teoria dei venti Monadologia fisica Progetti di un collegia di geografia fisica Sull'ottimismo
Fermiamo la nostra attenzione sulle due opere che pili direttamente affrontano la questione che, piu o meno consapevolmente, guida la riflessione di Kant, e cioe in che modo sia possibile separare la fisica dalla metafisica, e questa non in nome di una pregiudiziale scettica nei confronti della trascendenza, rna, al contrario, per assecondare un amore che, al dire di Kant, era il suo stesso destino: l'amore per la metafisica. Le due opere sono: la Storia universale della natura e teoria dei cieli e la Monadologia fisica. La Storia universale della natura, per quanta nel suo sottotitolo (ricerca inlorna alla costituzione e all'origine meccanica dell'intero sistema del mondo condotta secondo i principi newtoniani) si presenti come uno sviluppo dei Principi di Newton (6.13), e un tentativo di spiegare l'origine dell'universo con le leggi generali della natura, senza chiamare in causa, se non nel primissimo atto originario, la potenza del Creatore. Quello di Kant e quindi, nei confronti di Newton, un passo avanti nella laicizzazione della scienza e, piu precisamente, nella separazione delle spiegazioni scientifiche dal loro involucra metafisico. L'universo e per Kant un sistema di sistemi, i cui confini si estondono all'infinito, sorpassando «ogni potere degli umani concetti». E tuttavia, a presiedere allo svolgimento e all'ordinamento dei sistemi, compreso naturalmente quello solare, e una sola e medesima Iegge meccanica: a partire da una nebulosa originaria, composta di particelle di densita diversa, si sono generati, proprio in ragione della densita ineguale, diversi centri di attrazione e di repulsione. Come si vede, al meccanicismo di Cartesio, peril quale l'estensione e in ogni sua parte omogenea e priva di forze interne, si combina la legge newtoniana della gravitazione. La caduta verticale delle particelle da luogo a traiettorie curvilinee, distribuite tra loro in modo che le pili dense si avvicinano al centro di pili che non le particelle meno dense. Di qui, nel nostro sistema, come d'altronde in tutti gli altri, una gerarchia di carpi celesti, dai pili densi e percio pili vicini al sole, ai pili rarefatti e perdo pili remoti. Discutendo dell'ipotesi di abitanti in altri pianeti, Kant arriva a precisare che quelli di Mercurio (il pianeta pili vicino al sale) e quelli di Saturno (il pili lontano) sono gli uni e gli altri sgravati di responsabilita morali, per ragioni opposte e simmetriche: perche del tutto sopraffatti dalla materialita, i primi, e del tutto affrancati dall'obbligazione morale i secondi, data la lo" ro perfettissima costituzione materiale. I 'terricoli', invece, hanna, perche centrali nel sistema, la materialita dei primi e la spiritualita dei secondi: ecco perche conoscono il conflitto tra il bene e il male. A parte queste divagazioni ancora piuttosto arcaiche, l'ipotesi di Kant (rimasta senza grande eco quando apparve, anche perche, andato in fallimento l'editore, l'opera divenne introvabile}, proposta nel 1796 da Laplace ( e giusto dirlo: del tutto ignaro del precedente di quarant'anni prima}, merito di passare alia storia della scienza col nome di ipotesi Kant-Laplace.
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Il meccanicismo di Kant, in questa prima fase, ha il suo limite, oltre che nel riconoscimento di una forza immanente all'estensione, secondo i principi newtoniani, anche nel riconoscimento che esso vale a spiegare soltanto i corpi fisici e non quelli organici, il moto degli astri, rna non, ad esempio, la nascita di un filo d'erba. Questa impossibilita di ridurre i corpi alia geometria e ribadita anche nella Monadologia fisica, che e un tentativo di render conto di come nella natura si debbano distinguere e combinare l'estensione geometrica e le 'forze vive', di cui, secondo Leibniz, le monadi sono dotate. Siamo qui alle prime avvisaglie di quella che sara, nel Kant maturo, la distinzione tra fenomeno (l'estensione soggetta al meccanicismo) e noumeno (Ia forza viva non riducibile alia quantita). Il rapporto .tra le due prospettive, la scientifica e la metafisica, viene esemplificato nella spiegazione della natura dello spazio. Newton parlava di uno spazio assoluto, e cioe di uno spazio che resterebbe tale anche senza i corpi (6.13), mentre in Leibniz lo spazio e il prodotto dell'energia delle monadi che costituiscono i corpi (7.10). Ricordiamo qui, data la rilevanza che in Kant avra il problema, che riguardo allo spazio egli aveva dinanzi a se tre posizioni: per Cartesio, lo spazio e l'essenza dei corpi (senza corpi non si da spazio); per Newton, lo spazio e il luogo che contiene i corpi (senza corpi ci sarebbe lo spazio); per Leibniz, lo spazio non precede i corpi ne si identifica con loro, ne e un prodotto. Kant fa sua la concezione leibniziana della fenomenalita dello spazio, come dire, della sua relativitain rapporto alla sostanza. Nelle ultime righe della sua opera, Kant mostra di rendersi conto delle difficolta inerenti a questa concezione. Ad esempio: se e una proprieta dei corpi, nel senso che e un loro prodatto, lo spazio dovrebbe essere conosciuto solo con l'intuizione sensibile. E perche, allora, esso e oggetto della matematica che e una conoscenza a priori, del tutto indipendente dai contenuti sensibili? Come puo l'intuizione dello spazio star prima dell' esperienza sensibile? Come si vede, in un modo o in un altro, la questione metafisica risorge continuamente anche nel Kant naturalista. 12.3. La fase metafisica. Nel decennia che si apre col 1760, il pensiero di Kant si va rapidamente districando dalla problematica in uso negli ambienti universitari piu illuminati, per assumere via via tratti sempre piu originali, come dimostra la serie dei suoi scritti di questo periodo:
1763 17 63 1763 1764 1764
La falsa sottigliezza delle quattro figure sillogistiche
L'unico argomento possibile per dimostrare 1'esistenza di Dio Saggio per introdurre in metafisica il concetto di grandezze negative Osservazioni sur sentimento del bello e del sublime Ricerca sull 'evidenza dei principi della teologia naturale e della morale 1765 Notizia sull'indirizzo delle lezioni per il semestre invernale 17651766 1766 Sogni di un visionado chiariti coi sogni della metafisica 1770 De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis (con quest'opera Kant diviene professore ordinaria).
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II sensa unitario di questi scritti e la progressiva messa a fuoco di quello che sara in assoluto l'impegno speculativo di Kant: una nuova fondazione della metafisica. Finito il luminoso incantesimo wolffiano, la metafisica appare agli occhi di Kant tome un «Oceano tenebroso e senza sponde ne fari», «ancora non solcato» e reso infido da «inavvertite correnti marine>>, come egli scrive in una delle opere piu importanti di questa periodo, L'unico argomento possibile per una dimostrazione dell'esistenza di Dio (1763). Pur restando in un orizzonte metafisico ancora leibniziano, Kant compie un'analisi del concetto di esistenza che sara uno dei punti cardine del suo pensiero piu maturo. Nel prendere in esame i tradizionali argomenti a priori per la dimostrazione dell'esistenza di Dio (noti fra tutti quelli di Anselmo d'Aosta e di Cartesio), Kant nega che l'esistenza sia unci di quei predicati con i quali si aggiunge o si toglie qualcosa alla perfezione della cosa in esame, e la posizione delle cose pura e semplice. Tra una cosa pensata come possibile e la stessa cosa pensata come esistente non c'e nessuna differenza di qualita e di caratteri. Ma, pur scartando la via deduttiva dell'argomento ontologico (le prove induttive o cosmologiche egli le scarta tutte fin d'ora, senza perplessita), Kant ritiene che la certezza dell'esistenza di Dio e implicita nella teoria metafisica dei 'possibili', e cioe di quelle verita eterne che si basano sul principia di identita e di non contraddizione. Se non si desse in assoluto nessuna esistenza, scrive Kant, non si darebbe nemmeno il sistema delle verita possibili, dato che >. L'essere assoluto e dunque la condizione senza la quale non si darebbe il sistema delle verita possibili. E questa l'ultimo aggancio che lega Kant alla tradizione metafisica nella versione wolffiana. Ma e un aggancio esile, che si accompagna ormai a una convinzione che da la misura di quale fosse l'ardimento del suo impegno speculativo: >. Affermazione sconcertante, che si potrebbe anche dire presuntuosa, se non ci trovassimo dinanzi a uno spirito dotato della massima severita morale. E che. in attesa di una rifondazione della ricerca metafiska, le grandi costruzioni messe in piedi dai filosofi del passato, a questo punta appaiono a Kant come «diversi mondi campati in aria>>, in ciascuno dei quali abita tranquillamente il rispettivo architetto, poco o niente preoccupato di sapere se il suo «mondo campato in aria>> abbia o meno un rapporto con la realta. E quanta Kant dice in una sua singolare opera, apparsa anonima nel 1766, Sogni di un visionario chiariti coi sogni della metafisica. Gli estimatori di Kant, che erano gia molti e di alto livello, non potevano capacitarsi che un pensatore rigoroso come lui potesse davvero essere l'autore di pagine cosi abbandonate al gusto dello scherzo e della caricatura. Il «visionario>> era Emanuel Swedenborg (1688-1772), un ecclesiastico svedese che aveva dedicato al mondo sovrasensibile, popolato di spiriti, un'opera, Arcana coelestia (1756), in otto volumi in quarto, che Kant aveva attentamente letto, traendone una vivace eccitazione di quella vena ironica che per certi lati lo apparentava a Voltaire. La sbrigliata fantasticheria del visionario svedese gli sembro del tutto affine alla severa ragione degli architetti dei mondi immaginari. Un'idea si era fatta chiara in Kant: la metafisica e la piu importante delle scienze, rna essa non e niente altro che «la scienza dei limiti della ragione>>. II
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resto e fantasia. Ne vale 1'argomento che in tal modo si tolgono i fondamenti stessi della vita morale. Non puo dirsi virtuoso l'uomo che si abbandonerebbe ai vizi se non fosse certo dell'al di la. Hanno gia preso chiarezza, in Kant, temi fondamentali della sua futura costruzione: i limiti della 'ragione e l'autonomia della legge morale. 12.4. La 'grande luce'. «L'anno 1769 mi diede una grande luce», scrive Kant a J .H. Lambert, in una lettera del 2 settembre 1770. E spiega in che modo la «grande luce» gli fu data. Quasi a dimostrare che le costruzioni metafisiche equivalgono ai sogni di un visionario, egli si era esercitato nel formulare, attorno alle questioni centrali della metafisica, affermazioni tra loro antitetiche che, prese a coppie, sono l'una e l'altra dimostrabili con pari forza d'argomentazione. E questo esercizio Kant lo intraprese «non per costruire una dottrina scettica - cosi egli racconta - rna perche presumevo di scoprire un'illusione dell'intelletto e in che cosa essa stesse». E fu proprio nello sforzo di uscire dalla morsa della antitesi che egli intui, come «in un barlume crepuscolare>>, il nuovo concetto teorico: la separazione metodologica dei contenuti del mondo sensibile dai contenuti del mondo intelligibile. H criticismo kantiano, nella sua idea generativa, era gHt nato. Pochi giorni prima della lettera al Lambert, il 20 agosto 1770, nel prendere possesso della cattedra di Logica e Metafisica, Kant, gia quarantaseienne, aveva pronunciato la sua Prolusione (Dissertatio) sui principi e la forma del mondo sensibile e del mondo intelligibile, in cui offriva le linee di fondo della nuova metafisica, intesa come fondazione critica cl.elle possibilita e dei limiti della ragione. «Mi sembra, si legge ancora nella lettera citata, che una tale disciplina propedeutica, che preservi la metafisica da ogni mescolanza col sensibile, si potrebbe facilmente condurre, anche senza grandi fatiche, ad utile ampiezza ed evidenza». E qui Kant si ingannava. Gli ci vollero undici anni di intensa ricerca, contenuta nel pili totale silenzio (in questo periodo egli non pubblico quasi nulla), per svolgere con 'ampiezza' ed 'evidenza' il suo progetto. Sono gli anni che separano la Prolusione dalla Critica della Ragion pura (1781). Le tesi di fondo della Prolusione sono i presupposti della grande opera che avrebbe segnato, secondo un giudizio dello stesso Kant, la rivoluzione copernicana nel mondo del pensiero. 11 primo presupposto e la distinzione tra sensibilita e intelletto, dotati l'una e l'altro di «concetti puri», cioe di concetti che non sono veri e propri contenuti della mente, come le idee innate:;-ma leggi originarie mediante le quali il soggetto conoscente si rappresenta sia il mondo esterno che il mondo interno. Senza la sensibilita, nessun oggetto ci sarebbe dato, senza l'intelletto, nessun oggetto sarebbe pensato. La sensibilita ci da la materia del conoscere, l'intelletto la forma. 11 secondo presupposto e la concezione dello spazio e del tempo come forme a priori della sensibilita. Nella sua prima fase (12.2), Kant aveva inteso lo spazio come un prodotto della sostanza, alla maniera di Leibniz. Ora, esso e una intuizione pura, che non risultc:. da un aggregate di sensazioni rna e la condizione stessa perche nel soggetto le sensazioni si aggreghino secondo rapporti di contiguita. Lo spazio e, dunque, non una proprieta delle cose rna una esigenza del soggetto, che, nel momento in cui e modificato dall'oggetto; se lo rappre-
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senta necessariamente nelle forme dell'intuizione spaziale. Analogamente, il tempo e la condizione formale della rappresentazione degli eventi interiori e, per loro mediazione, anche di tutti i fenomeni esteriori: non tutto cio che e temporale e anche spaziale, rna tutto cio che e spaziale e anche temporale. Solo un 'intelletto archetipo', che sia non condizionato dalle forhle che invece determinano il funzionamento dell'intelletto dell'uomo, puo cogliere il mondo esterno come e in se. L'uomo conosce il mondo cosi come gli appare nella sintesi tra la materia fornita dalla sensazione e Ia forma che e Ia struttura innata della sensibilita e dell 'intelletto. La Prolusione ci mostra un Kant gHt in pieno possesso del proprio metodo e dei propri obiettivi. II metodo e quello dell'analisi trascendentale, e cioe della ricerca di quei principi formali, congeniti allo spirito umano, che sono condizione dell'esperienza e ne determinano attivamente l'esito, al punto che quella che noi chiamiamo Ia realta e, di fatto, a partire dal momento passivo della sensazione, un prodotto del soggetto conoscente. L'obiettivo di questa metodo e, in linea con gli esponenti piu autorevoli dell'epistemologia settecentesca (8.5-9), Ia delimitazione dei confini dell'umana conoscenza, una delimitazione che pero non e stabilita con l'intento scettico della squalifica di ogni verita che si pretenda universale, rna, al contrario, con l'intento di mostrare Ia potenza della ragione che, dentro i propri limiti da se stessa riconosciuti, non ha altra Iegge che se stessa. L'analisi cosi condotta si dice trascendentale, in quanta e volta a verificare non gia cio che sta al di Ia dell'esperienza- il trascendente -rna cio che e Ia condizione formale dell'esperienza e che dunque si realizza solo dentro i suoi confini. Nella Prolusione, questa analisi si limita a stabilire le condizioni formali del mondo sensibile, non quelle del mondo intellettuale, che in qualche misura rimane ancora soggetto ai principi della metafisica dommatica. Kant impiego undici anni per estendere l'analisi trascenden.tale a tutte le sfere dell'umana esperienza. In una lettera del 1771 scriveva: ' Sto lavorando ad un'opera la quale, sotto il titolo llimiti della sensibilita e della ragione, non solo deve trattare dei principi e delle leggi fondamentali che concernono il mondo sensibile rna deve anche essere un abbozzo di cio che costituisce la dottrina del gusto, della metafisica e della morale.
Come si vede, Kant ha gia posto, in modo chiaro, il tema centrale delle tre Critiche. In una lettera di otto mesi dopo si riteneva vicino alla meta: Io sono ora in grado di proporre una Critica della ragion pura che tratti della natura della conoscenza, sia teoretica che pratica, in quanta puramente intellettuale. Della prima parte, che tratta prima le fonti della metafisica e i suoi limiti, poi i principi puri della moralita, pubblichero cio che concerne il prima argomento fra circa tre mesi.
I tre mesi furono invece nove anni. La Critica della ragion pura apparve, infa tti, alia fine del 1781.
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Kant: Ia ragion pura 12.5. II problema critico. Quando l'editore Hartknock di Riga, il 1° maggio 1781, gli consegno Ia prima copia dell'edizione della Critica alia ragion puraun volume in ottavo di 856 pagine, piu 24 di introduzione - Kant era convinto di avere aperto al pensiero umano un nuovo sentiero che prima della fine del secolo sarebbe diventato una pacifica strada maestra. Ma le cose non andarono proprio cosi. La mole della sua opera, il suo linguaggio «spesso cos! fiacco e indeterminate, come scrive il Windelband, in strano contrasto con Ia sua solita pedanteria» e, insieme allinguaggio, quel suo periodare pesante, che «contribuisce tanto all'oscurita dei suoi scritti e da un'immagine evidente del faticoso e continuo lavorio del suo pensiero», favorirono una certa disattenzione da parte del mondo filosofico. Moses Mendelsshon, ad esempio, il Mentore della repubblica filosofica prussiana, al cui giudizio anche Kant teneva molto, mise !'opera da parte, senza curarsene. Altri che invece l'avevano letta, ne scrissero in modo da mostrare d'averla fraintesa. Per questo, Kant preparo e pubblico, nel 1783, una esposizione piu accessibile della sua Critica in un'opera piu snella, intitolata Prolegomeni a ogni futura metafisica che si vorrii presentare come scienza. Tre anni dopo, nel 1786, con I primi principi metafisici della scienza della natura, voile mostrare come Ia sua dottrina della conoscenza potesse applicarsi perfettamente alia fisica di Newton, e l'anno successive, nel 1787, pubblico Ia seconda edizione della Critica, in piu parti rimaneggiata e arricchita di una lntroduzione di fondamentale importanza per Ia comprensione della genesi del suo pensiero. E su queste opere che si basa Ia considerazione di Kant, nata in quegli anni, come di uno «sgretolatore di ogni cosa» - cos! l'aveva chiamato Mendelsshon- e piu precisamente come di colui che ha ritenuto di aver posto fine per sempre all'illusione di poter raggiungere la conoscenza valida della realta che sta oltre il sensibile. Dio, come causa prima di tutti gli esseri, !'anima, come sostanza spirituale dotata di immortalita, e la liberta, che consente all'uomo di porsi come soggetto di iniziative autonome di fronte aile leggi della necessita che governa Ia natura: questi i capisaldi della metafisica tradizionale che Kant avrebbe sgretolato. La verita - non solo negli intenti di Kant, rna anche in un sereno consuntivo che a noi, a due secoli di distanza, e possibile tracciare - e diversa. La verita e che, come dovrebbe aver messo in chiaro l'itinerario appena tracciato, le tre tendenze metafisiche sono ritenute da Kant inestirpabili (e gia in questo egli prende le distanze dagli indirizzi dominanti nell'illuminismo anglo-francese), perche inscritte nella natura umana a tal punto che anche se, per ipotesi, si tornasse alia piu assoluta barbarie, risorgerebbero per forza propria. Si e gia visto come, nel giudizio maturo di Kant, le costruzioni dei metafisici, tra le quali un tempo egli si era aggirato con ammirazione, avessero finito col rassomigliare ai sogni dei visionari. Una volta - cosl. egli scrisse nell'lntroduzione della sua Critica - Ia metafisica era detta Ia regina delle scienze, . E prosegue osservando
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Tav. 4 ·Schema sinottico I. ESTETICA TRASCENDENTALE
II. ANALITICA TRASCENDENTALE
Com 'e possibile Ia matematica pura?
Com 'e possibile Ia fisica?
LA SENSIBILIT A
L'INTELLETTO
pura ricettivita, fornisce le conoscenze che riguardano immediatamente gli oggetti che ci modificano: intuizioni empiri~ che.
conduce ad unita i fenomenj.(oggetti indeterminati delle intuizioni empiriche) per mezz.:, delle categorie.
1. SPAZIO: forma a priori della sensibilita esterna.
A. ANALITICA DELLE CATEGORIE a) Deduzione metafisica: determina, attraverso I 'analisi, i principi di ogni conoscenza a priori, cioe Ia 'metafisica della scienza '.
2. TEMPO: forma a priori della sensibili-
ta interna.
I giudizi
I. Quantita
2.Qualitii
3. Relazione
4. Modalita
I I I I
Le categorie
Universali Unita Particolari Pluralita Singolari Totalita
Affermativi Realta Negativi Negazione Limitativi Limitazione
Ipotetici Sostanza Categorici Causa Disgiuntivi Reciprocita
Problematici Possibilita Assertori Esistenza Apodittici Necessita
B. ANALITICA DEl PRINCIPI DELL'IN·
b) Deduzione tra- c) Schematismo tra.
scendentale; legittima le categorie nella !oro applica~io ne agli oggetti me'diante I 'unificazione del molteplice dell 'intuizione nell'unita dell'lo penso, che conferisee !oro l'oggettivita.
TELLETTO PURO
scendentale: unione dei concetti Sintesi a priori che regola l'uso. oggettivo delle categorie. semplici e universali con le intuizioni complesse e particolari, per mezzo degli schemi trascendentali dell'immaginazione e dell'intelletto puro, secondo Ia forma del tempo. 1. II numero
!. Assiomi dell 'intuizione. Tutte le intuizioni sono grandezze estensive.
2. La realta nel tempo
2. Anticipazione della percezione. In ogni fenomeno il reale oggetto della sensazione ha una grandezza intensiva e cioe un grado.
3. Permanenza successione simultaneita
3. Analogie dell 'esperienza. L'esperienza e possibile solo me· diante il nesso necessario delle percezioni (sostanza, causa/ita, reciprocita).
4. Esistenza dell'og- 4. Postulati del pensiero empirico getto nel tempo, sein generale: condo possibilita, a) Cio che si accorda 1'-•n••rh•n-.. dizioni form ali realta, necessitii. za (forme dell •;n,,,;,,;n~,e categorie) e possibile. b) Cioche si accordacon lecon· dizioni materiali dell 'esperienza (sensazione) e rea/e. c) Cio il cui accordo con il reale. e determinato secondo le condizioni generali dell 'espe· rienza, e necessaria.
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RAG/ON PURA
IIL DIALETTICA TRASCENDENTALE
A quali condizioni e possibile una metafisica? LARAGIONE
;"lenta di ricondurre a UI)ita Je regole dell'intelletto per mezw di certi principi che realizzano l'incondizionato forma di un oggetto determinato: Je idee, che mirano a cogliere iJ noumeno,le cose in se,le quali invece inconoscibili per mancanza di una corrispondente intuizione intellettuale. Di qui l'illusione metafisica, '{.confutabile in ciascuna delle sue specifiche ripartizioni. ' 'f~tto
~)sono
LL'IN·
)'J#.. PSICOLOGIA RAZIONALB
~dea dell'anima l'uso- ::;c" e. 'J'aralogismo ';,l'e cioe il falso sillogi·l~ino
con cui si intende :;'ilimostrare Ia sostan;alita dell'anima e che ·,:lnvece si basa sull'uso :'!!tdebito delle categoXrie Ia dove manca il ·supporto dell'intuizio:sne. delle ~;
!Zione.
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e ciof::
>lome· s:tanza,
lecon· peri en· ione e lecon· ll'espe· ·eale. il reale ndo le ll'espe·
B.
CosMOLOGIA RAZIONALB
C. TEOLOGIA RAZIONALE
Idea del mondo
Idea di Dio
Le antinomie
1. Argomento ontologico (Dimostra l'esistenza di Dio dall'analisi del suo concetto).
Assumendo come oggetto Ia rappresentazione del mondo ci si condanna a prendere per vere proposizioni tra !oro contraddittorie.
Tesi Antitesi I. II· mondo ha I. II mondo non un'origine nel ha origine nel tempo ed e litempo, ne nello mitato nello spazio. spazio. mondo II. Nessuna soII. Nel ogni sostanza stanza composta consta di consta di parti semplici o atoparti semplici, rna tutto e divimi. sibile, all'infinito. III. Oltre alia cau- III. Non vi e Iibersalita naturale ti!, tutto si svolvi e anche una ge per causaliIibera causalita naturale. ta. IV. All'inizio delle IV. Non vi e alcun cause agenti vi essere necessa· e un essere nerio, ne nel mondo, ne fuori: cessaria. tutto e contingente.
2. Argomento cosmologico (La dimostrazione si basa sulla
contingenza del mondo). 3. Argomento fisico-teologico (La dimostrazione si basa sull'or-
dine del mondo). II 2° e 3° argomento rimandano al I 0 che, scambiando iJ possibile per iJ reale, non e che una illusione trascendentale.
Conc/usione: le tre idee sopo dei possibili privi di contraddizione che riceveranno un contenuto
categorico dal !oro legame necessaria con l'esistenza della Ji. berta, i cui contenuti sono posti dalla forma a priori del dovere e sono dunque oggetti non di scienza rna di fede.
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che tra i matematici e i fisici nascono certo dei dissensi, rna prima 0 poi essi trovano un accordo sulla base di dimostrazioni, affidate, secondo i rispettivi metodi, al calcolo o all'esperimento. Al contrario, tra i metafisici le vertenze non finiscono mai, rna si trasmettono e si rinnovano di secolo in secolo, con grande profitto degli scettici. Situazione tanto piu intollerabile in quanta nell'area dei problemi metafisici, la ragione si trova, come in nessun altro luogo, a casa sua, nel sensa che quei problemi non le sono posti dall'esterno, dal caos delle case, rna dalle sue stesse intime leggi. La ragione del contrasto tra la solidita delle altre scienze e la sterilita e vacuita della metafisica non potrebbe nascondersi, si domanda Kant, nel fatto che, mentre matematici e fisici hanna compiuto in tempi diversi la !oro rivoluzione - quando si decisero, con l'antico Euclide e col moderno Galileo, a cercare i prindpi della conoscenza non nei lora oggetti, rna nella ragione stessa - la metafisica e rimasta ancorata ai pregiudizi dommatici della tradizione? II discorso metafisico ha sempre preso avvio dal suo proprio oggetto, e cioe dall'essere in se. Forse e venuto il momenta di compiere, anche in campo metafisico, la rivoluzione gia verificatasi in campo matematico e fisico, una rivoluzione che rassomigli a quanta fece Coperriico, «il quale, poiche non trovava conveniente procedere nella spiegazione dei moti celesti in base all'assunzione che l'intera volta stellare ruoti intorno all'osservatore, cerco se cio non poteva riuscirgli meglio facendo ruotare l'osservatore e all'incontro stare quiete le stelle>>. E cioe, non sarebbe opportuno fare l'ipotesi che, invece che la ragione sugli oggetti, siano gli oggetti a regolarsi sulla ragione, a ruotare attorno ad essa, ricevendone luce e ordine? Per rispondere all'interrogativo, invece che stare ferma alle apparenze, come fa nel realismo ingenuo, la ragione dovrebbe decidersi, in risposta aile esigenze maturate nel tempo, a «intraprendere a nuovo la conoscenza di se», istituendo «una corte di giustizia che l'assicuri delle sue giuste rivendicazioni », e >, quali sono le regale non arbitrarie secondo le quali va compiuta questa trasposizione dal soggetto all'oggetto? Com'e facile capire, e in gioco, a questa punta, la fondatezza della «rivoluzione copernicana>> di cui Kant si sente l'artefice. Mutuando il termine dal linguaggio giuridico (in cui significa ), Kant chiama deduzione l'insieme degli argomenti con cui e possibile fondare la legittimita della pretesa dei giudizi intellettivi di costruire l'oggettivita della scienza e cioe- le due case si equivalgono- l'ordine dell'universo. 12.9. La deduzione trascendentale. Nella metafisica classica, caratterizzata dal realismo ingenuo, i rapporti che danno carattere di necessita aile nostre conoscenze scientifiche hanna il lora fondamento nelle case a cui quelle conoscenze si riferiscono. Se a una data temperatura l'acqua bolle, e perche un fenomeno (la temperatura) ne produce un altro (l'ebollizione). La necessita del giudizio ha fondamento, dunque, secondo quella tradizione, nel rapporto fra le case in se considerate. Al contrario, nella tradizione empirica, almena nelle versioni piu recenti di Berkeley e di Hume (8.8), il giudizio scientifico non ha nessun carattere di necessita. Esso traduce la nostra attesa (generata, secondo Hume, dall'abitudine) che al fenomeno da noi osservato succeda l'altro fenomeno che per solito gli fa seguito: la legge, dunque, e solo una >. Per Kant, la connessione tra i due fenomeni e pasta dall'intelletto in modo necessaria, nell'atto stesso di pensarli. L'intuizione empirica ci da, ad esempio, la successione tra una determinata temperatura e l'ebollizione: l'intelletto trasforma la successione in necessita: a quell a temperatura, 1'acqua non puo non bollire. I fenomeni che, nel lora insieme, costituiscono la natura sono reali; hanna cioe un fondamento extrasoggettivo, perche traggono origine da una modificazione prodotta nel soggetto dall'esterno, mentre il sistema dei rapporti che li legano gli uni agli altri vierie posto dal soggetto nella sua attivita di giudizio. Vista dal lata delle 'case in se' (materialiter), la natura e, si, pensabile come esistente, rna non conoscibile, perche sta oltre la linea spaziotempo; vista come sistema di leggi che le danno intelligibilita e regolarita (formaliter), essa e prodotta dalla ragione mediante l'attivita delle categorie.
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Sorge a questo punto un problema, che ci conduce a una delle articolazioni portanti del sistema kantiano. Dire natura e dire ordine, e porre un orizzonte unitario di fenomeni, ciascuno dei quali ha senso in una totalita che, come tale, non puo essere oggetto di nessuna delle categorie. Ecco perche la coscienza individuale e portata a ritenere gli oggetti che costituiscono la natura come gia dati: che essi siano un prodotto delle categorie e un fatto che le sfugge. Ma la coscienza individuale, osserva Kant, non e la coscienza trascendentale; l'io empirico in cui l'individuo si identifica non e l'io trascendentale, che e il punto di riferimento unificante dell'attivita conoscitiva della ragione. A rigore, l'analisi dell'attivita delle categorie condotta finora ci permette di considerare il mondo come un insieme disorganico e molteplice, che ha i suoi confini, da un lato, nella linea delle intuizioni empiriche spaziali e temporali, dall'altro nel molteplice delle categorie. Dove trovare allora il fondamento dell'unita della natura? Nella sua analisi, Kant riconnette le forme pure dell 'intelletto a una forma generalissima, quasi categoria delle categorie, che e l"Io penso', e cioe una appercezione trascendentale che accompagna ogni giudizio particolare. Il giudizio «il sole scalda la pietra>> sottintende l'appercezione con cui il soggetto l'accompagna. Per esporre in esteso il giudizio, dovremmo dire: «lo penso che il sole scalda la pietra>>. Non si tratta dell'io inteso, come lo intendeva Cartesio, quale sostanza spirituale, come un io stabile e permanente che soggiaccia all'attivita conoscitiva, dato che la categoria di sostanza e una forma pura dell'intelletto che entra in sintesi con i contenuti empirici e non puo certo essere pensata come realta esistente indipendentemente da questa sintesi. E non e nemmeno l'insieme delle impressioni sensibili che fluiscono nel soggetto e che non hanno altra consistenza che quella psicologica: e proprio in questa stoffa fenomenica che l'individuo ritaglia Ia sua identita mutevole e provvisoria, prodotto, anche lui, della sintesi a priori e non suo artefice. L'Io penso non puo essere oggetto di percezione, perche assolutamente trascendentale, principio che sintetizza in se tutte le sintesi particolari operate dalle categorie e produce in tal modo l'unita della natura, non solo in quanto conosciuta rna anche in quanto conoscibile, e cioe in quanto orizzonte di tutte le possibili esperienze. Si tratta comunque, e bene ricordarlo, di una centralita meramente funzionale, che non comporta la dissoluzione del mondo esterno come dato indipendente. Quello di Kant, infatti, e un idealismo trascendentale, nel senso che ripone la legalita dell'universo (e cioe la sua conformita alle leggi) nelle forme a priori del soggetto e, in ultima istanza, nell'autocoscienza pura che e l"Io penso', rna non il vero e proprio idealismo che Fichte (III.l.S) credera di poter trarre dalla dottrina del maestro. Nella seconda edizione della Critica, Kant, a scanso di equivoci, aggiungera una dell'intelletto, le idee metafisiche, se rettamente intese, hanna una funzione illuminante. II loro valore non e costitutivo, nel sensa che esse non danno conoscenza di nuovi oggetti, rna e regolativo ed euristico, nel sensa che incitano l'intelletto a rapportare le sue conoscenze ai principi di unita sistematica che esse rappresentano. L'idea psicologica spinge a ricercare una sempre maggiore unita nei fenomeni interiori, come se davvero essi fossero Ia manifestazione di una sostanza semplice; analogamente, )'idea cosmologica spinge a raccordare fra !oro i fenomeni naturali, come se nel loro insieme essi costituissero un mondo unico; l'idea teologica, infine, sospingera l'intera esperienza umana verso una sempre piu perfetta organizzazione sistematica, come se davvero tutto dipendesse da un unico creatore e tutto volgesse a un medesimo fine. Ma il valore positivo delle idee, una volta liberate dalla loro degenerazione dogmatica, e soprattutto un altro: esse delimitano la sfera del fenomeno come inadeguata a esaurire la totalita delle esigenze dell'uomo in quanta natura razionale, e in tal modo rimandano, al di la del conoscere, all'attivita pratica della ragione, e cioe rimandano dalla sfera della necessita di natura, dominio della scienza, alla sfera della liberta, dominio della morale. E. quanta Kant dimostra ampiamente nella seconda parte della sua Critica. Se cornpreso nel suo significato soggettivo, dice Kant, ogni interesse della rnia ragione (sia lo speculativo che il pratico) si unifica nelle tre dornande: >; sovrana, perche esclude ogni determinazione estranea alla propria Iegge, fosse pure la volonta di Dio. Se un'azione di per se conforme alla Iegge fosse determinata, supponiamo, da una inclinazione istintiva, essa non potrebbe certo dirsi cattiva, rna nemmeno buona, appunto perche non determinata dalla volonta pura. Se, ad esempio, io restituisco un prestito solo per salvare la mia reputazione, la mia azione e, sl, conforme alla legge, rna non e pasta per il solo motivo della legge: essa e legale, non morale. La legalita e per Kant la qualita di un'azione conforme alia Iegge, rna compiuta per un motivo esterno alla Iegge; la moralita e la conformita alla Iegge in nome della Iegge e di niente altro. La Iegge. di cui qui si parla. e naturalmente Ia determinazione pratica della ragione, e il dovere. Come si vede, decisivo, per Ia moralita di un'azione, none il suo contenuto empirico, e il suo movente, la sua massima (cos1 Kant chiama il principia su cui si basa la scelta), che, quando l'azione e autenticamente buona, si identifica con la forma pura della volonta. Per questa la morale kantiana viene detta anche formale, mentre viene detta materiale la morale determinata dai suoi contenuti. Nel formalismo di Kant trovano attuazione e semplificazione razionale influssi di varia provenienza. Innanzi tutto, la tesi luterana (mediata dal soggettivismo pietista) che e sufficiente la sola fede per la giustificazione. In Secondo luogo, la dottrina di Rousseau, che ripone la bonta morale nel sentimento e non nel sapere, che invece e quasi sempre tramite di corruzione (9.13 e 11.6). lo sono uno studioso, cosi scrisse di se Kant, e sento tutta la sete di conoscere che puo sentire un uomo. Vi fu un tempo nel quale io credetti che questo costituisse tutto il valore dell'umanita: allora io sprezzavo il popolo che e ignorante. E Rousseau che mi ha disingannato. Quella superiorita illusoria e svanita; ho imparato che la scienza per se e inutile se non serve a mettere in valore l'umanita.
In terzo luogo, Kant da forma a un'esigenza mutuata dall'illuminismo, che e il ripudio dell'arroganza dell'uomo che osa sorpassare, con la metafisica, i limiti del conoscere umano e, col fanatismo morale, i limiti dell'umana condotta. 12.13. L'imperativo categorico. Abbiamo appena accennato alla differenza trail dovere e l'inclinazione. E proprio in questa differenza che prende luce la natura 'metafisica' della morale kantiana. Confrontando tra loro il dovere e
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l'inclinazione (l'impulso sensibile provocato da uno stimolo ad esso corrispondente), siamo condotti a constatare che nell'uomo ci sono due ordini di causalita. La causalita del dovere non trova limiti nella realta fenomenica, in quanto essa si esplica nel non-reale, addirittura nell'impossibile, se si desse retta al punto di vista empirico. La causalita degli impulsi appartiene, invece, all'ordine dei fenomeni. Anche dei fenomeni si dice che devono accadere, in quanto si raccordano tra loro secondo un rigido determinismo causale. Date certe circostanze (supponiamo, un fuoco acceso accanto alia cera), qualcosa deve accadere (la liquefazione della cera) e immancabilmente accade. A sua volta, il dovere si esprime in una norma secondo la quale, in ogni circostanza, qualcosa deve accadere (supponiamo la restituzione di un prestito) che non sempre, ed ecco la differenza, realmente accade. La legge di natura determina con necessita; la Iegge morale comanda con necessita, anche se non produce cio che comanda. Questa distinzione ci permette di comprendere la particolare natura degli imperativi della ragion pratica. In quanto e natura, I 'uomo rientra nella concatenazione delle cause e degli effetti. che e una concatenazione meccanica, non finalistica (tra le categorie non si da quella di 'fine'). E tuttavia, il meccanismo naturale delle inclinazioni istintive e attraversato dall'aspirazione alla felicita, che possiamo considerare come il fine supremo dell'attivita pratica dell'uomo. In concreto, i fini per cui l'uomo agisce sono molti, rna tutti hanno valore di mezzo in rapporto a que! fine supremo. Io posso impegnarmi allo studio in vista della promozione. E posso propormi Ia promozione come mezzo per una brillante carriera. E cosi, di fine in fine, le mie scelte mirano al fine di tutti i fini, che e appunto, la felicita. Ma l'aspirazione alia felicita, in quanto Iegge di natura, non puo far da fondamento alla legge morale. Se cosi fosse, la legge morale non sarebbe assoluta, rna condizionata dal raggiungimento di un fine, e dunque sarebbe ipotetica: «se vuoi esser promosso, devi studiare; se vuoi assicurarti la carriera, devi essere promosso», e cosi via. Cadendo l'ipotesi, cadrebbe il dovere. L'imperativo ipotetico non ha carattere di necessita: i fini sono tanti quanti sono gli individui. L'imperativo ipotetico e l'imperativo dell'abilita e della prudenza. La sua e la morale dei mezzi in rapporto a un fine, il suo orizzonte e, insomma, quello della natura, dove non c'e spazio per la liberta. Ma l'uomo non e solo natura, come si e detto. In quanto causalita non causata, egli appartiene al mondo sovrasensibile, noumenico, non soggetto alle determinazioni delle categorie dell 'intelletto, Ia cui stoffa e quell a dello spaziotempo. La 'ragion pura pratica' ha dinanzi a se solo se stessa ed ha in se Ia forma pura delle proprie determinazioni. Questa forma pura, e cioe questa categoria sgombra di ogni contenuto empirico, e l'imperativo del dovere, che appunto per questo si chiama categorico. Esso si potrebbe definire come «la Iegge della conformita alia Iegge». La Iegge e quella del «tu devi». La ragione del dovere. e il dovere stesso. Esso e, pertanto, una sintesi a priori pratica: a priori, perche non deriva da nessuna esperienza; sintetica, perche vincola direttamente la volonta alla Iegge della ragione. Dell'imperativo categorico Kant ha dato, a piu riprese, alcune formulazioni, che potremmo cosi disporre, in successione logica: ·
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1) «Agisci unicamente secondo quella massima in forza della quale tu puoi volere nello stesso tempo che essa divenga una Iegge universale>>. Da questa formula moho generale ne derivano altre tre, che ne mostrano in modo piu determinato Ia praticabilita. 2) «Agisci come se la massima della tua azione dovesse div~ntare per tua volonta una Iegge universale della natura»; l'imperativo categorico appare in questa formula nel suo rapporto diretto con la natura regolata da leggi. Violare I 'imperativo equivale a volere che sia distrutta Ia natura stessa in quanta regolata da leggi. Chi si toglie la vita, ad esempio, compie un gesto il cui significato e l'annullamento stesso dell'ordine della natura. 3) >, e cioe una deduzione dalla legge morale di quegli imperativi particolari dai quali devono essere regolati i rapporti dell'uomo con se stesso e con gli altri. Come si e visto (12.12), in rapporto all'imperativo categorico l'azione dell'uomo puo essere o morale o meramente legale. Da qui i due ambiti dell'analisi kantiana: quello dei doveri richiesti dalla virtu e quello dei doveri determinabili dal diritto.
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A determinare i comportamenti conformi a virtu c'e il principia della dignita umana, che illumina e discrimina i rapporti dell'uomo con se stesso e con gli altri. Ricordiamo che la terza formula dell'imperativo categorico impone il rispetto della dignita umana sia nella propria persona che in quella degli altri. La dignita dell'uomo consiste nel fatto che egli e, in un mondo di cose, un fine, e mai solo un mezzo. A questa dignita si ispirano tutti i doveri verso se stesso, dalla castita alia veracita. L'insistenza di Kant sulla veracita e rigorosa fino all'estremo: nemmeno per salvare la vita di un amico e lecito dire una bugia! A questa rigore si ispirano anche le implicazioni pedagogiche, tra le quali la regola principe e 1'educazione del fanciullo all a piu assoluta veracita: Non minore e il rigorismo kantiano riguardo ai doveri verso gli altri. Perfino le buone inclinazioni, come quella della pieta, sono per lui contaminazioni della piena moralita. Oltre a questa del rigorismo, l'etica kantiana mostra evidente un altro limite, che ne fa un'etica squisitamente borghese: i doveri morali toccano le relazioni tra individuo e individuo e non le istituzioni, che restano relegate nella sfera della semplice legalita. Certo, egli ha insistito come nessun altro, senza nessun compromesso con la logica di Machiavelli, sulla subordinazione delle istituzioni aile finalita morali imposte dalla dignita umana. Ma nessuna luce di moralita le illumina all'interno, Ia dove Ia pluralita degli individui da luogo a una comunanza di intenzioni e di responsabilita. Basti il caso del matrimonio, ridotto da lui alia semplice natura del contratto. La finalita morale, a cui le istituzioni, al pari degli individui, sono soggette, e la liberta: e qui il nesso che articola tra !oro la stera etica e quella giuridica, che e la sfera in cui vige il principia che la volonta dell'uno si accordi con la volonta dell'altro. Di questa principia Kant ci ha dato anche la formula, analoga a quella dell'imperativo categorico: «agisci esternamente in modo che illibero uso del tuo arbitrio possa coesistere con Ia liberta di ognuno, secondo una Iegge universale». Se gli uomini fossero in grado di servirsi della liberta per attuare la Iegge morale, la relazione tra i due arbitrii sarebbe tale che ciascuno realizzerebbe pacificamente il proprio fine. Ma quella degli uomini e, Secondo una felice espressione kantiana, una >. A questa ragione di fondo, e cioe a! fatto che Ia rivoluzione scientifica sia accaduta in occidente invece che nell'Islam, che pure durante il nostro medioevo aveva esercitato un certo primato nel campo delle matematiche, delle scienze naturali e della medicina, altre ragioni si aggiungono per spiegare il crescente divario tra i due mondi. Come dirnenticare chela scoperta dell'America sposto l'asse delle attivita economiche dal Mediterraneo all'Atlantico? I paesi della Umma divennero sempre piu marginali. Agli effetti negativi di questo spiazzamento si sommino quelli della frattura, interna alia Umma, tra un'area a predominio arabo e un'area a predominio persiano: la prima comprendente tutti i paesi di lingua araba, come l'Asia minore a ovest dei Due Fiumi, }'Africa settentrionale e la Spagna, ormai rientrata nella sfera dei Re cattolici; la seconda, l'antico Iran, i Turchi, i Mongoli islamizzati, }'India musulmana. Mancando ormai l'autorita suprema del Califfo (la carica fu attribuita nel 1517 al sultano di Bisanzio, rna non ebbe piu valore effettivo), la frattura interna si consolido sopratutto dal momento in cui la dinastia dei Safavidi, in Iran (1500-1722), ravvivo il culto degli Imam e Ia devozione ad All, tratti distintivi degli sciiti (1.9.13), considerati eretici dai seguaci della sunna (sunniti), e cioe della tradizione risalente allo stesso Maometto. Gli sciiti ritenevano chc Ia funzione di guida fra i musulmani toccasse al genero di Maometto, Ali, e ai suoi discendenti, il dodicesimo dei quali (ecco perche si parla di sciiti duodecimani), a loro giudizio, non era morto, rna soltanto scomparso per tornare come madhi, cioe come messia. La dinastia dei Safavidi, specialmente con Abbas il Grande (1587-1629), favon in ogni modo !'incremento della cultura, attrezzando a tale scopo di non poche strutture la capitale Isfahan, che divenne anche centro di una scuola filosofica di cui dovremo subito occuparci. La vita dell'Islam in questo periodo e dunque polarizzata da Bisanzio e dall'Iran: l'impero ottomano, con capitale Istambul, terrorizza !'Europa con incursioni che arrivano in Ungheria (1526) e perfino a Vienna (1687); !'Iran, tagliato fuori da contatti vivi con !'Europa, svolge tuttavia, sotto il regno sciita, una sua funzione culturale non indegna dell'antico splendore. 13.2. II ripiegamento esoterico. Come si e ampiamente mostrato nel I volume, quella che nelle nostre sistemazioni storiografiche noi chiamiamo filosofia musulmana, o anche piu semplicemente (e piu impropriamente) filosofia araba, non e che un episodio marginale nella complessa storia del pensiero islamico. Precisamente, e l'episodio dell'incidenza di Platone, rna soprattutto di Aristotele, iq alcuni pensatori dell'Islam, importanti fra tutti Avicenna e Averroe, detti dai loro correlegionari falasifa (1.10.10), con un termine evidentemente importato dalla lingua greca. Con la morte di Averroe (1198), l'episodio si chiude e il pensiero islamico, per opera soprattutto di Ibn Arabi (1.11.16) e Suhrawardi (1.12.18), rientra nell'asse suo proprio, che e quello centrato sui Libro sacro, il Corano. La diversita di orientamento fra le varie famiglie filosofiche e teologi-
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che, si misura, nell'Islam, sui loro modo di raccordarsi con il Libro sacro. I sunniti, ad esempio, e cioe la tendenza largamente maggioritaria nell'Islam, si rifanno direttamente al Libro sacro e aile regole di comportamento derivate per tradizione dal profeta. Gli sciiti invece, a parte la loro origine che li lega ad Ali, si differenziano dai sunniti perche ritengono che la veridt del Corano e una verita nascosta e non puo essere conosciuta senza la guida di un Imam, il cui tratto caratteristico e la walaya, e cioe l'amicizia di Dio, che lo rende capace di continuare la funzione della profezia. La conoscenza della verita e dunque esoterica, riservata a coloro che ne fanno esperienza interiore. In questo caso, gli sciiti sono molto affini ai sufi (!.9.13), e cioe ai monaci che, non di rado in comunita isolate, trasformano la. fede islamica in una rigorosa esperienza mistica. Anche nel periodo che corrisponde, ·nella nostra periodizzazione occidentale, all'eta moderna, sono tre le tendenze di pensiero che, con maggiore o minore fecondita, animano la meditazione e la riflessione filosofica dell'Islam: l.Il pensiero sunnita; 2. il sufismo; 3. il pensiero sciita, in questo periodo particolarmente fecondo. Nel loro contrapporsi l'una all'altra o nel loro intrecciarsi. queste tendenze disegnano un ventaglio di posizioni che vanno dal proseguimento tranquillo e piuttosto pedissequo della scolastica sunnita, cioe del Kalam (che vuol dire 'discorso', 'ragionamento'), fino alle identificazioni esoteriche della conoscenza con l'esperienza interiore, da custodire nella sua totale ineffabilita. Man mano che ci si sposta da un rapporto col Corano basato sulla ragione verso un rapporto basato sulla fusione mistica, si passa dalla teologia alla teosofia, dalla filosofia della storia a quella che Henri Corbin chiama storiosofia, e cioe conoscenza dei fatti storici non nel loro significato fenomenico, da vagliare con la ragione, rna nel loro significato simbolico, in quanto essi rimandano ad altro, e cioe all'azione di Dio. Usando un'immagine cara alla tradizione mistica dell'islamismo, nelle tendenze di tipo sapienziale (teosofia, storiosofia) l'uomo e visto come immagine di Dio, anzi come 'specchio' in cui si riflette la luce di Dio. Dal termine speculum deriva anche quello di speculazione; ebbene, nel Kalam la speculazione e, secondo un'accezione del termine ormai comune, una indagine discorsiva che l'uomo fa su Dio e su ogni altro tema di ricerca, rna nel linguaggio dei sufi e degli sciiti la vera speculazione e quella che si ha quando la luce divina si rifrange nello specchio umano. Essa e, dunque, una conoscenza esoterka, non diversa da quella che la gnosi, all'interno delle piu diverse giurisdizioni religiose, ha sempre contrapposto alla conoscenza concettuale e a quella immaginativa propria della massa. L'elemento gnostico ha stabilito non pochi intrecci tra sufismo e sciismo, intrecci che non e possibile districare, perche faceva parte della consegna esoterica tenere nascoste al gran pubblico le reali convinzioni e le appartenenze a questa o quella comunita. Nei tre secoli di cui stiamo tracciando il panorama, e proprio nell'area esoterica che 1'Islam mostra una qualche fecondita: accerchiato dalla crescente egemonia della cultura occidentale, il pensiero musulmano ritrova nell'Iran i richiami dell'anima contemplativa della tradizione e i supporti, anche geografici, di un ripiegamento su se stesso senza piu il gravame delle cure politiche e militari, sempre di piu monopolizzate dall'impero ottomano.
410 0 13- L'/slam nell'eta moderna 13.3. La scuola di Isfahan. Sadra Shirazi. Distrutta da Tarnerlano nel 1388, Isfahan, l'antica Apadara di Tolomeo, in Iran, fu ricostruita dai Safavidi che ne fecero la capitale della Persia. Raggiunse il suo massimo splendore con Abbas I il Grande, che non solo ricompose l'unita politica dell'Iran, rna fece della sua capitale, con 600.000 abitanti, un centro culturale di grande richiamo. Fu ad Isfahan che si formo Ia scuola filosofica piu importante dell'Islam moderno. L'orientamento caratteristico della scuola sciita di Isfahan sta nella sostituzione della metafisica dell'essenza con una metafisica dell'esistenza, nel senso che viene data priorita, come aveva fatto in occidente Tommaso d'Aquino, all'atto di esistere. Questa spostamento dell'asse metafisico dall'immutabilita delle essenze alia dinamica dell'esistere viene espresso e svolto in una grande varieta di posizioni, il cui comune denominatore e, appunto, l'aderenza ai moti concreti della storia, con quella sintesi tra particolare e universale che sara il fulcra delle storiografie idealistiche occidentali. Ma in oriente Ia comprensione della storia non si da secondo le proposte anticipatrici di Ibn Khaldun (1.12.17), cosi lucidamente Iaiche, rna secondo l'ispirazione sapienziale, cannessa con Ia dittatura dell'Iman, che sbocca, come si e detto, in una storiosofia. II primo maestro della scuola, sistemata nella Madras a Sadr, una specie di College dotato di un grande giardino, che e, a tutt'oggi, sia pure senza l'antico prestigio, la sede della 'scuola di Isfahan', fu Mir Damad (m. 1631), che gli alunni chiarnavano il 'terzo maestro' (la tradizione chiarnava Aristotele magister primus e al-Farabi magister secundus), un peripatetico su cui molto influi tuttavia il pensiero di Suhrawardi e che molto si occupo di esperienze mistiche. Fu lui a porre per primo la questione che stara al centro del dibattito della scuola: tra il mondo che e ab aeterno e cio che avviene nel tempo, si da l'idea eterna di cio che avviene nel tempo? una idea immutabile dell'evento nuovo? Accanto a Mir Damad insegno a Isfahan Mir Fendereski (m. 1640), anche lui peripatetico, a cui va soprattutto il merito d'aver incentivato lo scambio culturale tra l'Iran e l'India, con la traduzione di testi sanscriti in persiano. Nella scuola di Isfahan, le esplorazioni nelle culture non islamiche erano di regola. Non si dimentichi che la dottrina centrale dello sciismo, e cioe quella del ritorno dell'Imam, alimentava una tensione escatologica del tutto omogenea all'antico insegnamento di Zaratustra (1.1.24), mai del tutto estinto in Iran. Il pensatore che conduce a sintesi i contributi di maestri cosi diversi, e svolge, in un discorso suo fortemente originale, i fermenti piu vivi della scuola di Isfahan e Molla Sadra Shirazi (1572-1640), senza dubbio il piu importante filosofo dell'Iran dell'eta moderna, le cui opere, specie I quattro viaggi dello spiriLV {mille pagine in-lulw!), sunu ancora uggi oggettu di commento. Come lui stesso racconta, la sua ricerca filosofica divenne percezione intuitiva, visione diretta, durante dodici anni di ritiro nel deserto, alia maniera dei sufi. Della smisurata problematica affrontata da Sadra Shirazi, possiamo isolare alcune tesi, quelle che meglio ne riflettono l'originalita. 1. La prima riguarda il primato dell'esistenza sull'essenza: tema trattato con profondita dal maestro, Mir Damad. Non ci sono essenze immutabili, dato che ogni essenza e determinata e variabile in funzione del suo atto d'esistere. Ci sono tre livelli diversi di esistenza: quello del mondo sensibile; quello del 'mondo immaginale' (su questa punto Sadra dipende da Suhrawardi); quello del-
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le pure intelligenze. In base a questa ontologia gerarchica, l'immaginazione non e una facolta sensitiva, e percio non e mortale come lo e l'organismo sensibile. E come un sottile involucra dell'anima. Si sa l'importanza che Ia tradizione avicenniana aveva attribuito a questa immaginazione nelle funzioni profetiche. 2. L'universo delle essenze, proprio a causa di questi diversi gradi di essere, e un universo in perenne mutarnento, percorso da una specie di profonda inquietudine, che trova il suo vero senso nella trasformazione ascensionale, le cui tappe vanno dalla materia inorganica fino alia 'soglia' uomo, il quale, appunto, non e l'approdo ultimo dello slancio ascendente delle essenze, rna una soglia oltre la quale l'ascensione continua. 3. Essendo costituito di corpo, anima e spirito, l'uomo conosce tre diversi gradi di ascensione: questa mondo, l'intermondo, l'oltremondo. La nascita e una 'resurrezione' dell'uomo al mondo sensibile; la morte e Ia seconda resurrezione, nella quale !'anima entra nell'intermondo; la resurrezione maggiore, quella riservata all'uomo spirituale, introduce nell'oltremondo. 4. Anche il processo conoscitivo avviene in tre gradi, che corrispondono alIa scala ontologica appena descritta. I gradi sono: Ia sensazione, l'immaginazione, l'intelletto. 5. Di grande ricchezza e Ia dottrina sadriana della 'presenza'. ll grado di esistere e, nell'uomo, funzione del grado di presenza a se stesso, come dire noh solo a questa mondo terreno rna anche ai mondi che sono al di Ia della morte. Essere presente vuol dire non solo che uno e presente a una cosa, rna anche che la cosa e presente a causa di colui che le e presente. Insomma, la presenza ha una struttura di reciprocita. Qui si innesta la dottrina teologica dell'Imam: l'Imam e, nello stesso tempo, la presenza di Dio agli uomini e la presenza degli uomini a Dio. Questa dottrina dimostra che la tesi sciita dell'Imam (l'imamologia) non si basa tanto su genealogie storiche, quanta su di una struttura ontologica dell'atto di esistere, cioe dell'atto di presenza. I discepoli di Sadra Shirazi, dei quali il piu importante fu Rajah All Tabrizi (m. 1679), svilupparono,.con maggiore o minore originalita, l'insegnamento del maestro, rna la scuola di Isfahan ando verso un declino che divenne catastrofe nel 1772, quando la citta fu assediata, occupata e messa a ferro e fuoco dagli Afgani. L'occupazione afgana duro pochi anni, rna il ruolo di focolare culturale dell'Iran passo, sui finire del '700, a Teheran. E intanto qualcosa andava mutande> nei rapporti tra l'impero ottomano e l'occidente. Il tempo in cui Isfahan restO- occupata dagli Afgani e ricordato, nella storia dell'impero ottomano, come il periodo dei tulipani (1717-1730), per la mania che !'alta societa turca ebbe per i tulipani olandesi. Ma gli scambi con l'occidente non si limitarono all 'importazione di fiori. Nel 1727 un ungherese divenuto musulmano ottenne il permesso di stampare i libri dell'impero ottomano. La parete era caduta. La storia culturale dell'Islam, con l'introduzione della tecnica, diventa un capitola di una storia piu vasta, quella dell'espansione colonialistica dell'occidente.
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L'India nell'eta moderna 13.4. L'impero dei Mogol. Akbar. La storia politica dell'India, a partire dal sultanato di Delhi (1226-1398) e soprattutto dalla instaurazione dell'impero dei Mogol, nel 1526, fino all'occupazione del Bengala (1757) da parte della East India Company, potrebbe anche considerarsi, per certi versi, come un capitolo della storia dell'Islam. I sultani di Delhi si limitarono a dominare l'India col terrore e con le vessazioni fiscali, senza vera incidenza nella societa indu. Le cose cambiarono quando il turco Babur, discendente da Gengis Kan, con un esercito di turchi e di mongoli di fede musulmana, sbaraglio a Panipat, nel 1526, una coalizione di principi indiani e dette inizio al suo regno, che venne detto dei Mogol o Mogul (deformazione di Mongolo), anzi dei 'Gran' Mogol, per la munificenza che la dinastia raggiunse con Akbar (1542-1605), il vero costruttore dell'impero. Gia durante la sua vita, il suo nome correva in Europa con un alone di leggenda, a opera dei portoghesi che, da tempo installati a Goa, avevano ottenuto da lui il monopolio del commercio marittimo. Sebbene avesse costruito l'unita indiana attraverso guerre di conquista incredibilmente spietate e sebbene non sapesse ne leggere ne scrivere, egli e passato alia storia, alla pari del re buddista Asoka (I.6.21), non solo come sovrano dotato di straordinarie capacita organizzative (la struttura amministrativa che egli dette all'India duro per almeno un secolo dopo la sua morte) e di un singolare spirito di tolleranza, che lo rese odioso ai suoi correligionari, i musulmani (e ai missionari gesuiti, che in certi casi emulavano i musulmani nel fanatismo), rna come un filosofo e un mistico di profonda ispirazione. Un filosofo-re, e per di piu analfabeta, costituisce una tale anomalia che gia per questo merita la nostra attenzione. Oltretutto, l'evento, nella sua eccezionalita, traduce gli aspetti migliori dello spirito dell'India moderna, che difatti, sebbene Akbar fosse di altra razza e di altra provenienza religiosa, lo ha sempre considerato come uno dei suoi grandi modelli. A Kabul, prima delle sue imprese militari, Akbar aveva avuto contatto con i monaci sufi, movimento esoterico dell'islamismo ad alta tensione mistica, e in seguito, venuto a conoscenza, anche tramite le sue mogli indiane, del misticismo di ispirazione vedantica, aveva concepito l'idea che sotto le diverse forme religiose ci fosse una verita comune molto pili importante delle differenze. I musulmani dell'ambiente indiano, di obbedienza sunnita e cioe tradizionalisti, lo consideravano un traditore, rna in realta egli rimase sempre fedele al Corano, sia pure secondo l'interpretazione spiritualistica dei sufi. Raccolse una ricca biblioteca ed ebbe come ospiti permanenti molti filosofi, poeti e maestri di spirito, dai quali si faceva leggere, affidandosi a una sorprendente memoria, le opere classiche piu importanti. E cosl. sviluppo la sua intuizione universalistica in una sua religione di tipo eclettico, denominata Din-1-Ilahi (che potremmo tradurre con 'fede divina'), nella quale si ritrovavano armonizzate le verita fondamentali delle religioni da lui conosciute, a cominciare dal culto di Zaratustra per il sole. In questa sua impresa dottrinale non lo aiutarono soltanto i libri che si faceva leggere. In un 'tempio delle religioni', fatto appositamente costruire, egli era solito convocare teologi di ogni confessione, brahmani, mullah e gesuiti, per discutere con loro problemi di fi-
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losofia e di teologia, rna ben presto fu preso da sgomento per la loro angustia e litigiosita. AI suo sgomento fece riscontro l'irritazione risentita dei musulmani e dei gesuiti, che si erano riproposti di convertirlo. E vero che la 'fede divina', di cui egli era maestro, ebbe seguaci soltanto nell'ambito della sua corte e praticamente mori con lui, rna la sua magnanimita e la sua lungimiranza, affidate alla sua immagine mitica, hanno sicuramente iriciso nella storia spirituale dell 'India. Ai tempi dei Mogol, l'India, uscita da tempo dalla sua fase creativa, si era ripiegata in una religiosita ritualistica, dalle folte vegetazioni superstiziose, o nello sviluppo della bakti e cioe della devozione dominata dal sentimento. Una ragione di questo declino speculativo e da ricercare nel venir meno degli stimoli dialettici dopo che il buddismo era praticamente scomparso dalla penisola, per rifugiarsi e rinnovarsi in Cina e in Giappone, e dopo che la presenza dei nuovi dominatori, i musulmani, per lo pili sunniti, intenti all'esercizio del potere e allo sfruttamento, aveva costretto l'induismo a vivere appartato o immerso nella fede delle masse, di loro natura indifferenti aile speculazioni teoriche. I pensatori di cui stiamo per occuparci risentono di questo clima. 13.5. Tra induismo e islamismo. Il tentativo di Akbar non era isolato. Nel crogiuolo della religiosita popolare indiana la fusione delle due fedi, l'induista e l'islamica, era gia avvenuta per opera di due mistici la cui esperienza sconvolgente si pone al di fuori di ogni preciso confine confessionale. Il primo di essi, Kabir (1440-1418), pur essendo anche lui un illetterato, e ritenuto uno dei pili grandi lirici indiani, anzi il padre della letteratura hindi, come Lutero lo fu di quella tedesca. Era un povero tessitore di Benares, la citta santa dell'induismo. Di origine musulmana, come rivela il suo nome, rna accostatosi in seguito al vishnuismo di tendenza nirguna (da nir, prefisso negativo, e guna, qualita, attributo: tendenza ad adorare un Dio senza nessun attributo, che trascende ogni forma), Kabir e pili affine alia mistica sufi e al devozionalismo vishnuita (egli chiama Dio, di preferenza, col nome Ram) che non aile tradizioni ortodosse dell'Islam e dell'induismo. L'unicita assoluta di Dio, al di la dei nomi e delle forme attribuitigli dall'uomo, il primato della contemplazione e dello slancio devoto come via per l'esperienza del divino, inconoscibile razionalmente, sono i temi ricorrenti del suo pensiero, espresso in ardenti composizioni poetiche, che, trasmesse oralmente, vennero raccolte, in seguito, in tre distinte compilazioni e iinalmente edite in edizione critica, nel 1965. Il linguaggio di Kabir, che e mistico e poetico, resta concettualmente ambiguo nei suoi punti chiave, come il rapporto tra !'anima individuale e il Brahman e come la trascendenza e l'immanenza di Dio in rapporto al mondo. «Io sono divenuto folie e lamia anima si e disciolta nell'Assoluto», dichiarava Kabir. Mala sua follia mistica ha delle costanti dal significato molto preciso. Ad esempio, il suo rigetto, non di rado ironico, di ogni 'Scrittura', si tratti dei Veda o del Corano («a forza di leggere e di leggere, il mondo e morto e nessuno e diventato sapiente>>), o la sua condanna, anch'essa per lo pili sarcastica, contro ogni ritualismo. Ecco due frecce della sua faretra, una contro le pratiche musulmane, l'altra contro queUe brahmaniche:
I-
I~
414 D 13- L'lndia nell'eta moderna Se Dio voleva circoncidermi, non poteva farlo lui stesso? Se ripetendo Ram il mondo e salvo allora ripetendo 'zucchero' Ia bocca e zuccherata?
Per Kabir, l'unico maestro e quello interiore e l'unica rivelazione e la Parola silenziosa con cui il Maestro, arciere infallibile, trafigge l'anima nelle sue profondita. Solo allora si accende la conoscenza, che conduce di la da ogni percezione distinta e abolisce in un sol colpo ogni dualismo:
e vuotata, l'olio si e esaurito II tamburino tace, il danzatore dorme II fuoco e spento, nessun fumo si leva. L'anima si e assorbita nell 'Unico e non vi e piu dualita.
La lampada si
Due temi arricchiscono di vibrazioni esistenziali, sia pure in funzione metaforica, un cosi assoluto fervore mistico: la morte e l'amore. Il mondo e, agli occhi di Kabir, un immenso regno della Morte, un regno che egli descrive come una gigantesca altalena: Miriadi di esseri viventi oscillano mentre Ia Morte medita. Milioni di eta sono passati e mai essa ha subito una sconfitta!
L'unico metodo per vincere la morte e la 'morte vivente' («se io brucio la casa essa e salva, se la preservo essa e perduta»), e cioe lo svuotamento di se, condizione prima per quella contemplazione mistica che rende il discepolo una sola cosa con l'Altro, l'Assoluto. II discepolo era Ia ed teggiamento.
e scomparso:
solo le ceneri conservano il loro at-
Ciascun uomo e solo, nell'immenso ciclo delle trasmigrazioni, e deve da solo affrontare il suo destino. Puo affrontarlo, vincendo la legge del ciclo, solo se vive cosi come la sposa (nel costume indu il patto di matrimonio si celebrava anche nella primissima infanzia) attende la venuta dello Sposo. Essa trema, essa trema Ia mia piccola anima: io non so quel che il mio sposo fara di me ...
Un messaggio di tale intensita, ed espresso con immagini cosi calde, non poteva non guadagnare a Kabir molti seguaci, specie negli strati sociali piu umili a cui il tessitore-poeta apparteneva. E furono i Kabir-panthis ('coloro che seguono la via di Kabir') a raccogliere e trasmettere gran parte dei suoi poemi, che hanno arricchito di una vena di squisita liricita la tradizione filosofica indiana. Qualche incrocio con la 'via dei seguaci di Kabir' ebbe quella contemporanea dei sikh (discepoli), un movimento nato dall'insegnamento del guru Nanak
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(1469-1538), vissuto in quella parte del Punjab che ai nostri tempi doveva diventare il Pakistan. II movimento si sviluppo ad opera di una serie di dieci guru, l'ultimo dei quali, Govind Singh (1675-1708), impresse ai sikh quel carattere marziale (nel rita iniziatico si consegnava ai discepoli, uomini e donne, anche una spada) che ha segnato in piu momenti il destino dell'India. Indira Gandhi e stata uccisa nel 1984 da un sikh. Ma Govind Singh si occupo anche di redigere una raccolta unitaria, detta Adigranth, delle poesie di-Nanak e degli al- · tri ~uru, le sue comprese (in tutto ben 5894), che costituiscono ancora oggi il testa sacra dei sikh. Anche la dottrina di Nanak (che di origine era induista) e dei suoi seguaci e rigidamente monoteistica, con una oscillazione, che abbiamo vista anche in Kabir, tra le affermazioni della trascendenza di Dio e quelle della sua immanenza:
Tu hai migliaia di occhi, rna nessun occhio e tuo. Tu hai migliaia di forme, rna nessuna forma e tua. Tu hai migliaia di piedi, rna nessun piede e tuo. Senza alcun naso che sia tuo, Tu hai migliaia di nasi. Questo tuo gioco mi ha stregato! Per sottrarsi ai rischi di questa 'gioco di Dio', Nanak preferisce nominarlo col numerale 1: le parole sono ambigue, i numeri no. Del resto i nomi non importano: «credi in un'unica realta eterna e chiamala Dio, Allah o Rama». La componente islamica della fede sikh appare soprattutto nella insistenza sui rapporto tra Dio e mondo, che e di creazione, anche se si tratta di una creazione ripetuta infinite vulte, cus1 come iniinita e la serie dei cicli dell'universo. Ma come Dio e reale, cosi cio che Egli ha creato e reale. L'induismo, invece, torna in prima piano con la dottrina del samsara, dalla quale Nanak deriva, sviluppando il principia del karman, cioe della sedimentazione delle azioni umane, buone e cattive, una singolare visione dell'ego. L'ego e una malattia profondamente radicata ... le azioni basate sull'ego divengono un nodo scorsoio intorno alla nostra gola. Noi aderiamo al 'mio' e circondiamo di trappole i nostri piedi.
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L'uscita dalla prigionia del karman e possibile solo se si incontra un guru che, pur essendo uomo come gli altri, e giunto all'ultimo anello della catena delle trasmigrazioni. L'obbedienza al guru e obbedienza a Dio, anzi, il guru e il luogo della manifestazione di Dio. Mettendosi aile dipendenze del guru, il discepolo si libera totalmente dall 'ego ed esprime questa liberta nella dedizione al lavoro e nell'amore senza limiti peril prossimo. La combinazione tra totale spoliazione di se e to tale obbedienza al guru spiega in parte l 'impronta rigidamente militare, da puritani di Cromwell, che contraddistingue ancora oggi i discepoli di Nanak, che sono all 'incirca dieci milioni. 13.6. La terza fase del Vedanta: Vlllabha. Presso a poco nella stesso periodo in cui fiorirono, nella linea d'incontro tra islamismo e induismo, i poetifilosofi Kabir e Nanak, riprese vigore la scuola del Vedanta, su cui gravava,
416 0 13- L'lndia nell'eta moderna come inevitabile punta di riferimento, l'autorita del massimo filosofo induista, Shankara (!.9.15.). Quella del Vedanta era una delle sei scuole ortodsse (darsana) nate in epoca classica (!.7.26.) ed aveva come suo quadro di riflessione i temi metafisici dei libri vedici, e in particolare il tema dei rapporti tra brahman e at man, tra I 'anima universale e I 'anima individuale, che nelle Upanishad erano poste in piena equazione. Di qui la distinzione, all'interno del Vedanta, tra il dualismo (dvaita) e il non dualismo o monismo (advaita). II non dualismo pi.u rigoroso e quello di Shankara che, accogliendo in qualche modo il nichilismo dei buddhisti, poneva una totale identita tra Dio e il mondo, riducendo a pura illusione. dovuta all'ignoranza (avidva), Ia sfera dell'esperienza sensihile. Quattro secoli dopo, Ramanuja e Madhva (1.10.16), in opposizione a Shankara (Madhva lo accusava di essere un demonio ingannatore), avviarono Ia seconda fase del Vedanta, ispirata da una pro fonda devozione (bakti), nell 'in ten to di ristabilire il dualismo tra il Brahman e !'anima individuale. Ebbe cosi inizio il Vedanta vishnuita, nel quale vennero riconosciuti aile anime individuali come tali una esistenza e un destino eterno e il Brahman fu identificato con Vishnu, il Signore beato e misericordioso dalla cui grazia dipende Ia liberazione delle anime. II ritorno al non-dualismo di Shankara si ebbe con Villabha (1479-1531), predicatore e scrittore instancabile, di formazione vishnuita, attorno al quale nacque una scuola che sopravvive anche oggi. Viene detta Ia scuola del 'nondualismo puro', perche nega qualsiasi dualita tra il creatore e il cosmo, in quanta il Brahman e insieme realta trascenJente e unmanente, causa dticiente e materiale di tutto cia che esiste, e tuttavia, pur dispiegandosi nel cosmo, resta 'puro', non viene cioe contaminato dall'azione della maya. II mondo dunque non e, come voleva Shankara, pura illusione, e Ia volontaria manifestazione di Dio. A sorreggere questa sua testimonianza, Villabha chiama in causa i libri sacri, che invece Shankara subordinava alla ragione, e i libri sacri ci descrivono il Brahman sotto tre diverse forme: come principia supremo, trascendente e personale, identificato con Krishna; come principia cosmico, impersonale, che origina sia il mondo fisico, sia le anime; come essenza spirituale, che governa, risolvendo in se ogni contraddizione, tutto ·cia che esiste e si muove nel tempo e nello spazio. Molte di queste tesi le ritn)\'eremo, naturalmente in un quadro razionale molto diverso, nell'idealismo tedesco e in particolare nella dottrina di Friedrich Schelling sull'Indistinto (III.1.12), che in se risolve la dualita tra Natura e Spirito. Anche per Villabha, le anime e il mondo materiale sono della stessa essenza del Brahman, perche si identihcano con Ia sua autocreazione, in cui dunque \'anno distinti il supremo principio, di per se puro e indiviso, e il suo Se, e cioe Ia molteplicita del creato materiale e spirituale che egli emana e riassorbe, per il puro piacere del proprio gioco (lila). esprimendo in tal modo l'infinito potere della propria liberta. Il creato in quanta tale e dunque reale, e non un frutto illusorio della maya, Ia quale si limita a distorcere Ia percezione che del mondo hanno le singole anime, prigioniere dell'ignoranza, e percia incapaci di scorgere, al di la della molteplicita, il suo comune fondamento. La differenza tra il Dio supremo e il Dio creato consiste nel fatto che, mentre il primo possiede
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tutti gli attributi possibili, anche quelli contraddittorii, il secondo ne possiede solo alcuni e in modo parziale. II Dio supremo inchiude in se tre attributi fondamentali: l'essere (sat), Ia coscienza (cit) e Ia beatitudine (ananda), ed e per questa che nella tradizione vedantica viene detto Satcitananda. Nel generare da se stesso il mondo materiale, Egli ha volontariamente offuscato gli attributi della beatitudine e della coscienza, lasciando solo quello dell 'essere (sat), mentre nell 'em an are da se le anime ha preservato intatti in esse gli attributi di coscienza (cit) e di esistenza (sat), offuscando quello di beatitudine (ananda). Una volta raggiunto lo stato di suprema purezza, le anime ritrovano anche Ia beatitudine e diventano percio, in tutto e per. tutto, identiche all'essenza divina. Ma come raggiungere Ia totale liberazione? Oltre che Ia facolta di oscurare nelle anime Ia· beatitudine, Dio ha quella di donarla ]oro in misura sconfinata, a condizione che esse si rivolgano a Lui e lo amino incondizionatamente. La grazia divina si pub ottenere soltanto con questa assoluta devozione (bakti). Si danno, percio, diverse classi di anime, a secunda del livello di perfezione che riescunu a raggiungere: 1. quelle che si muovono senza meta nel mondo, seguendo gli impulsi delle passioni e senza mai pensare a Dio: sono Ia 'corrente del mondo', del tutto soggetta aile leggi del samsara; 2. quelle che, studiando le Scritture, ottengono una relativa conoscenza dell'essenza di l>iu e, osservandu le regale dei riti, lu aduranu in modo corretto: esse otterranno una provvisoria Jiberazione, per rientrare poi nel circolo delle reincarnazioni; 3. quelle che adorano Dio col massimo ardore e percio ricevono Ia sua grazie e alh1 morte ottengono una liberazione immediata e definiti\'a . .In Villabha si armonizzano, in qualche modo, la severa razionalita di Shankara e l'entusiasmo estatico di Ramanuja. Dopo di lui, il Vedanta non ebbe piu nessuna personalita creativa. 13.7. II vishnuismo bengalese: Caitanya. La corrente calda del devozionalismo, che aveva discioltGl, in Villabha, il monismo razionalistico shankariano in una proposta mistica dominata dalla Iegge del sentimento puro, prosperava, nelle estreme zone orientali dell 'India, in forme superstiziose e in abnormi combinazioni tra misticismo ed erotismo. Il Bengala era, da tempo, Ia roccaforte del vishnuismo, rna nell'epoca di cui stiamo trattando Ia tradizione vishnuita si era combinata con influssi del Tantrismo, che aveva dato, fra l'altro, sviluppi eccentrici al mito degli amori tra Krishna e Radha. Contra queste degenerazioni e allo scopo di mettere un argine aile sempre piu frequenti conversioni all'islamismo, specie negli strati sociali pili umili, i brahmani avevano stretto i freni, ristabilendo Ia rigida disciplina delle caste e polemizzando contra le deviazioni devozionali. Nella citta bengales~ di Navadvipa c'era una comunita vishnuita molto fervente, che resisteva ai nuovi indirizzi della disciplina brahmanica. In questa comunita fu maestro Caitanya (1485-1534). Egli non ha lasciato nulla di scritto, rna Ia sua dottrina ci e ampiamente nota grazie aile opere dei suoi seguaci. II suo luogo di insegnamento erano riunioni popolari in cui si alternavano i canti e le prediche e a cui partecipavano, senza distin-
418 0 13- L'lndia nell'eta moderna zione, donne e paria, brahmani e non-indu, soprattutto musulmani. II suo comportamento era stravagante: cadeva spesso in trance, esplodeva in accessi deliranti, non camminava se non danzando. Stravagante fu anche la sua morte: si annego in mare dinanzi ad un grande tempio vishnuita. 'Eretico' in tutto, dunque, e non solo nell'aprire le porte della sapienza aile donne e ai paria. Ma questa follia non era che un rifless.o della sua metafisica, un singolare innesto trail Vedanta e il vishnuismo, a cui si e dato il nome complicato di 'inconcepibile differenza differenziata'. E infatti la tesi di fondo della dottrina di Caitanya ('inconcepibile' perche non attingibile dal pensiero razionale) e che Dio, le anime e il mondo sono, nello stesso tempo, identici e diversi. L'intuizione di questa verita presuppone il dischiudersi nell'uomo di una superiore vista spirituale, che e il frutto di una corretta interpretazione delle sacre Scritture: soltanto i Veda, infatti, posseggono l'infallibile autorita circa la conoscenza del Brahman. Nella sua paradossale immanenza-trascendenza, l'assoluto si puo considerare, secondo Caitanya, sotto tre diversi punti di vista: 1. come assoluto impersonale e privo di qualita, fondamento metafisico di ogni essere (Brahman); 2. come supremo Se spirituale, che pervade ogni anima e ogni cosa (Paramatman); 3. come il Dio personale (Bhagavan), superiore ad ogni manifestazione dell'Assoluto: Caitanya lo identitica con Krishna. II Signore supremo, Krishna, manifesta se stesso tramite le sue 'potenze'(shakti), suddivise in tre principali categorie, a seconda che sono del tutto interne al principia divino, o a meta fra questo principia e il creato, oppure completamente proiettate nel creato. 1. La 'potenza della coscienza', del tutto intrinseca al principia divino, comprende, a sua volta, tre aspetti particolari, in corrispondenza con i tre attributi divini di cui abbiamo detto trattando di Villabha: l'essere (sat), la coscienza (cit) e la beatitudine (ananda); il primo, corrispondente all'essere, rappresenta l'essenza di Dio e il suo potere di conferire l'esistenza aile creature; il secondo, corrispondente alia coscienza, rappresenta l'onniscenza di Dio e il suo potere di conferire consapevolezza agli esseri; il terzo, corrispondente all a beatitudine, rappresenta Ia felicita di Dio e il suo potere di rendere felici gli esseri. 2. La 'potenza dell'anima vivente', che sta al confine tra Dio e il creato, genera le anime individuali. A causa della loro origine, queste ultime si trovano davanti a un bivio: possono, infatti, ascendere verso la piena e cosciente identita con JJw, uppure cadere nel completo oblio della propria origine divina e perdersi nelle tenebre del rnondo materiale. 3. La 'potenza della creazione magica' (maya) e completarnente esterna al principia divino trascendente, in quanto oggettivata nel mondo della molteplicita, di cui costituisce la causa materiale e strumentale. Per usare una nota metafora: se Dio e il vasaio, Ia 'potenza della creazione rnagica', cioe della maya, e insieme l'argilla e il tornio in cui si form"\ il vaso (= il mondo). La potenza della maya, dunque, si identifica con la natura materiale, col tempo e con la Iegge della causalita etica (karman) che presiede al ciclo delle rinascite. Nel grandioso quadro dell'universo, formato dall'eterno gioco delle potenze divine, le anime dipendono da Dio come le scintille dal fuoco e i raggi di luce dal sole. Immerse nel ciclo di nascita, morte e sofferenza (samsara), a causa dell'ignoranza che le fa illusoriamente apparire come tanti individui singoli e
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separati, le anime possono giungere alia liberazione soltanto col prendere coscienza- tramite i preliminari costituiti dalle buone opere e dalla conoscenza retta - della propria indivisibile connessione con Dio. La piu alta forma di pratica spirituale e, per Caitanya, la devozione (bhakti) a Krishna, dalla quale puo nascere quell'estasi suprema d'amore in cui l'individuo perde se stesso in una beatifica comunione con Dio. La metafora con cui Caitanya indica lo stato di suprema liberazione e quella delle pastorelle (gopi) che prendono parte ai mitici giochi di Krishna. L'anima del devoto si identifica con Radha, la pastorella che, rapita d'amore per Krishna, abbandona tutto per darsi completamente a lui, in una unione estatica nella quale essa e paradossalmente identica e diversa da Krishna, come identiche con lui e diverse da lui sono le sue tre potenze di cui abbiamo detto. La follia di cui Caitanya clava spettacolo nelle riunioni con i suoi discepoli era la stessa follia amorosa di Radha. 13.8. L'eclettismo. II declino del pensiero indiano. Nel panorama del pensiero indiana che abbiamo sommariamente tracciato, anche le menti piu vigorose, come quella di Villabha, obbediscono a un'esigenza sincretistica, come se, venuto meno lo slancio creativo, non resti che verificare la possibilita di ridurre a sintesi quanta nella tradizione si presentava con i tratti delle diversita. Si trattasse del Vedanta o della devozione vishnuita, o addirittura dell'induismo e dell'islamismo, il genio metafisico indiana, in questa fase di ripiegamento, tende a smussare i contrasti dialettici e a sottolineare i punti di contatto. Questa inclinazione sincretistica investe anche i rapporti interni delle sei scuole filosofiche classiche, tra le quali, da Shankara in poi, dominava il Vedanta. Come si e detto, l'incombenza minacciosa deli'Islam, che portava in prima piano, all'interno del mondo induista, le ragioni della bhakti, e l'allontanarsi del buddidismo dall'orizzonte indiana, che aveva tatto scomparire le provocazioni polemiche, concorrevano nell'incentivare, in seno aile scuole classiche, la ricerca della mutua comprensione sulla base di elementi comuni. restati nell'ombra ai tempi delle grandi dispute. Non e un caso che, nei secoli XVII e XVIII, prima del risveglio nell'eta coloniale (che sara un risveglio basato esclusivamente sulla riscoperta del Vedanta), le scuole filosofiche fossero in stato di letargo, lasciando libero campo allo spirito di devozione (bhaktz), che placa le inquietudini razionali col predominio del sentimento e dell'immaginazione. Un po' come era avvenuto in Grecia nell 'eta alessandrina, il declino dello slancio creativo alimenta il gusto della sistemazione enciclopedica e della armonizzazione eclettica delle diverse vie battute in precedenza dal pensiero speculativo. Il piu famoso fra gli eclettici che interpretarono, con questa spirito, i sei sistemi filosofici dell'ortodossia indu fu Vijana Bhiksu, un brahmano vissuto nel XVI secolo nella regione di Benares, che commento i sistemi filosofici (1.7 .26) disponendoli in una prospettiva evolutiva come gradini ascendenti di una visione sostanzialmente unitaria. La verita suprema, secondo Vijana Bhiksu, e compiutamente espressa soltanto dal Vedanta teista, cosi come compare nelle Upanishad, nella Bhagavad-Gita e nei Brahmasutra: oltre al supremo Dio Personale (identificato con Vishnu), fondamento di ogni essere, anche le anime individuali e il mondo materiale hanno esistenza effettiva e non illusoria. Jn
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questo contesto, il termine maya sta ad indicare non l'illusorieta del mondo differenziato (come nel Vedanta di Shankara) rna la natura primordiale, soggetta a continue trasformazioni. Secondo l'eclettismo sincretico di Vijana, non e da tutti cogliere nella sua pienezza questa verita, come dimostra la varieta e l'incompletezza dei sistemi filosofici che di quella verita hanno approfondito l'uno o l'altro aspetto, rna mai, come invece il Vedanta, la totalita. Come in occidente fara Hegel nella sua ricostruzione della storia della filosofia quale processo storico, e insieme logico, che solo nella sua filosofia dello Spirito trova il suo compimento, Vijana rivaluta i sistemi non vedantici come graduale approssimazione alia meta suprema. Cos!, ad esempio, le scuole nyaya e vaisheshika (nell'insegnamento brahmanico le due scu.ole venivano ridotte a una) hanno il pregio di aiutare il pensiero a distinguere il corpo materiale dall'anima spirituale, anche se attribuiscono a quest'ultima una serie di attivita mentali che, in realta, appartengono al mondo della materia. Un passo avanti e compiuto dalla filosofia samkhya, che nell'anima vede soltanto una pura coscienza passiva, Iibera da ogni attivita mentale, e su questo presupposto discrimina, con sottigliezza e profondita, lo spirito e la materia. Ma proprio per concentrarsi totalmente in questo compito, il samkhya trascura completamente di menzionare l'esistenza di Dio. Questa unilateralita, che ha fatto ritenere il samkhya come un sistema ateo, trova la sua integrazione e il suo riscatto nel Vedanta teista, in cui la centralita di un Dio supremo fa compiutamente brillare la luce della verita assoluta al di la delle formulazioni parziali. ·
L'Estremo Oriente nell'eta moderna 13.9. Sviluppi della 'Scuola deilo Spirito universale'. Mentre nell'Europa stava avviandosi a fioritura l'eta della scolastica, e cioe nel sec. XII, in Cina era nel vivo il dibattito tra le due scuole confuciane (I. 11.18), quella a tendenza materialistica, detta dei 'Prindpi universali', e quella detta dello 'Spirito universale', a tendenza idealistica. Secondo la prima, si da una netta differenziazione tra i prindpi universali (li) e la natura, intesa come natura naturans (ch'i), come energia che pervade tutte le cose. Sulla base di questa distinzione, si puo ulteriormente distinguere, nell'uomo, una natura umana (hsing), che rientra nella sfera dei principi universali, e quindi e di per se buona, e la coscienza (hsin), che risulta dall'incontro tra i prindpi (li) e l'energia universale (ch 'i), e pertanto puo essere buona o cattiva. Era la posizione difesa in quel periodo da Chu Hsi (I, 12.20-23), il piu grande filosofo del neoconfucianesimo, che sarebbe diventato l'autorita somma per la Cina dei secoli successivi, fino all'inizio del nostro secolo. Le posizioni della scuola dello Spirito universale vennero difese, contro di lui, anche in pubblici dibattiti, da Lu Chu-yiian (1139-1193), accusato da Chu-
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Hsi di essere un buddista zen camuffato. Esse richiamano alla mente in modo irresistibile l'idealismo europeo dei primi del secolo scorso. Infatti, secondo Lu Chu-yiian, l'unica vera realta e lo Spirito (hsin), che abbraccia tutto l'universo e contiene in se i principi universali delle cose (li) come categorie soggettive attraverso cui crea, modella e conosce la realta. I principi non sono dunque intesi qui come forme a priori di ogni realta, sia fisica che mentale, rna come idee connaturate allo Spirito (o Coscienza) universale che tutto abbraccia. Tale Spirito e l'eterno creatore e sostenitore dei due diversi ordini di realta, quello universale incorporeo (li) e quello contingente corporeo (ch'i). Al dualismo ontologico della Scuola dei Principi universali - che, come si e appena ricordato, amm.ette due distinti ordini di realta, uno universale incorporeo (li) e uno contingente corporeo (ch 'i), dal cui intersecarsi nasce il campo della mente umana - viene contrapposto il monismo di un'unica realta, lo Spirito Universale (hsin), che ha connaturati in se sia i principi formali universali (li), sia il dispiegarsi materiale della sostanza-energia (ch'i). Ne consegue che per Lu Chu-yiian la pluralita delle menti individuali non ha reale esistenza: esiste solo lo Spirito Universale, unico e indiviso, che si rifrange in molteplici apparenze diverse, di consistenza meramente illusoria. Percio il cammino verso l'illuminazione non partira - come per Chu Hsi - dall'investigazione delle singole cose, classificate secondo categorie diverse, rna implichera una progressiva presa di coscienza della natura illusoria di qualsiasi individuazione contingente, fino a risalire verso la sorgente unica di ogni manifestazione fenomenica, verso il Grande Spirito Universale che tutto contiene in se, sfondo immoto di ogni realta. Scrive Lu Chu-yiian: Lo Spirito e solo Uno. Il mio spirito, quello del mio amico o quello di un saggio di mille generazioni fa (... ) tutti sono soltanto uno (... ). Se posso sviluppare completamente il mio spirito, vengo percio ad identificarmi con il cielo (...). Concentriamo il nostro spirito e agiamo da padroni di noi stessi. Dacche 'tutte le cose sono complete dentro di noi', che cosa mai ci potra mancare? Quando sia tempo per compassione, manifesteremo spontaneamente compassione; quando sia tempo per vergogna (... ), manifesteremo spontaneamente vergogna; (...) quando sia tempo per dolcezza (... ) manifesteremo spontaneamente dolcezza; quando sia tempo per forza, (... ) manifesteremo spontaneamente forza.
Percorrere la via della saggezza significa dunque, per Lu Chu-yiian, trascen-. dere gli strati superficiali della illusoria mente individuale (con i suoi desideri e le sue paure) per calarsi nelle profondita dello Spirito Universale indiviso, che e uno e tutto allo stesso tempo, fonte perenne di ogni realta visibile e invisibile, lasciando poi che le azioni quotidiane si facciano veicolo di questa intelligenza originaria ed eterna. 13.10. L'idealismo di Wang Shou-jim. Dopo il sec. XII, a differenza della Scuola dei Principi uniyersali - che con la grande sistematizzazione di Chu Hsi si era cristallizzata in una struttura immutabile, rappresentante dell'ortodossia ufficiale - la Scuola dello Spirito universale aveva invece continuato a -
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422 D 13- L'Estremo Oriente nell'eta moderna evolversi liberamente, attraverso formulazioni originali che culminarono nel pensiero di Wang Shou-jen* (1472-1528). Secondo la visione filosofica di Wang, esiste un'unica indivisibile realta, costituita dall'universo nella sua globalita. Anche i li (ossia i principi universali astratti delle cose) vi sono contenuti, e non risiedono in un empireo a parte, come affermavano Chu Hsi e la Scuola dei Principi universali. Questa grande unita di tutte le cose e anche concepita come una mente cosmica universale, in cui soggetto e oggetto coincidono. Infatti, l'esperienza comune insegna che non puo esistere una coscienza di se senza la presenza di uno specifico contenuto di consapevolezza: quando c'e coscienza, si e sempre coscienti di qualcosa. D'altra parte, ogni oggetto per noi esiste soltanto quando ne siamo consapevoli, ossia quando entra nel campo della nostra coscienza. Quindi, coscienza e contenuto, soggetto e oggetto costituiscono due facce della stessa realta, che Wang Shou-jen vede come un grande Spirito universale, una coscienza cosmica capace di abbracciare ogni cosa. E scritto nella Raccolta delle lstruzioni: Mentre il Maestro era in vacanza a Nan-chen, uno dei nostri amici, indicando dei fiori e degli alberi su un picco, gli disse: - Tu affermi che sotto il cielo nulla esiste che sia estraneo allo Spirito. Ma quale rapporto c'e fra il
Wang Shou-jen, piit conosciuto col nome di Wang Yang-ming che gli dettero gli scolari, nasce nel 1472. In gioventit aderisce alia Scuola dei Principi Universali e, volendo sperimentare Ia validita dell'assunto secondo cui una qualsiasi cosa particolare, se investigata a fonda, dovrebbe rive/are non solo il proprio astratto principia universale (li), ma anche il Supremo Li comune a tutti gli esseri, tenta di contemplare illi di un bambit, senza pero ottenere alcun risultato. Abbandonata quindi la Scuola dei Principi Universali, dopa una maturazione speculativa, stimolata anche da incontri con esponenti del taoismo e del buddismo, giunge infine a elaborare un pensiero originale che si inserisce perfettamente - rinnovandola - nella tradizione della Scuola della Spirito universale. La maturazione filosofica di Wang Shou-jen culmina in una esperienza di illuminazione improvvisa, avvenuta di notte, in una regione selvaggia e montagnosa, dove egli era stato esiliato per motivi politici (1508). L'intuizione che lo illumina e questa: «Per attingere il Tao dei Saggi, la mia propria natura e sufficiente, ed e errata andare a cercare i li fuori di me in avvenimenti e case». A partire da questa germe speculativo, Wang Shou-jen elabora, negli anni successivi, una nuova sintesi originale della Scuola della Spirito Universale che ci e stata tramandata da opere come Questioni Relative al Grande lnsegnamento- attribuite a lui stesso- o Raccolta di Istruzioni - compilata da un suo discepolo. Alla morte di Wang, nel1529, l'imperatore proibisce di insegnare la sua dottrina perche sovversiva, ma cinquant'anni dopa le sue opere verranno deposte religiosamente, insieme a quelle di Chu Hsi, nel tempio di Confucio.
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mio spirito e questi fiori e alberi d'alta montagna, che da soli fioriscono e cadono? II Maestro rispose: - Quando non guardate questi fiori, essi e il vostro spirito sono in quiete; quando li guardate, il loro colore si fa d'un tratto evidente. Da questo fatto potete capire che quei fiori non sono estranei al vostro spirito (... )
Il fulcro germinale di tutto il sistema filosofico di Wang Shou-jen si puo sintetizzare nelle seguenti affermazioni tratte dalle sue opere: Nulla vie di estraneo allo Spirito o Coscienza; esso contiene i prindpi di tutte le cose, poiche i caratteri delle cose si rendono evidenti allorche vengono toccati dallo Spirito 0 coscienza. L'uomo e lo Spirito del Cielo, della terra e di tutte le cose; il suo spirito o coscienza e consapevolezza universale, dalla quale l'uomo si e separato a causa della sua forma corporea. Se non ci fosse lo spirito o coscienza, non ci sarebbero i li.
Questa ultima affermazione getta luce sui punto di maggiore divergenza tra le due scuole neo-confuciane. Per Chu Hsi e la Scuola dei Principi universali, i li trascendono la realta empirica, come le idee platoniche, sussistendo in una dimensione spirituale che costituisce la vera realta: la coscienza non e che un epifenomeno generato dall'interagire dei li con l'energia del mondo materiale (ch'i), e come tale deve la propria esistenza ai li, che la trascendono. Per Wang Shou-jen e la Scuola dello Spirito universale, invece, la vera realm consiste nello Spirito o Coscienza universale, che contiene in se ogni cosa: anche i li, dunque, sussistono interamente entro lo Spirito e da esso traggono tutta la propria esistenza in qualita di idee universali, cosi come, nelle tarde correnti filosofiche ellenistiche d'ispirazione neo-platonica, le idee di Platone divennero semplici contenuti della divina mente universale (nous o logos). Da queste basi metafisiche Wang Shou-jen deriva la propria concezione etico-sapienziale. La via verso la saggezza procede lungo le linee di un'originale riformulazione dello schema contenuto nel Grande lnsegnamento (Ta Hsueh), che si articola secondo le «Tre Corde Maggiori» (1. Manifestare la virtu illustre; 2. Amare il prossimo; 3. Dimorare nel bene supremo) e gli «Otto Fili Minori» (1. Estensione della conoscenza; 2. Osservazione delle cose; 3. Sincerita del pensiero; 4. Rettificazione dell'intelletto; 5. Educazione di se stessi; 6. Ordine nella propria famiglia; 7. Ordine nello Stato; 8. Pace nel mondo). Le 'Tre Corde Maggiori' costituiscono per Wang Shou-jen i cardini dell'educazione spirituale, talmente interconnessi l'uno con l'altro da diventare aspetti diversi di un'unica essenza. Per rendere palese il significato della prima corda ('manifestare la virtu illustre'), Wan Shou-jen scrive: L'uomo superiore e una unita onnipervadente; uno con il cielo, Ia terra e tutto cio che esiste. Coloro che evidenziano troppo Ia separazione delle forme corporee e distinguono se dagli altri, sono uomini dappoco. II motivo per cui l'uomo superiore e capace di essere uno con il cielo, Ia terrae tutte Je cose, non sta nel fatto che egli sia cosi di proposito, rna perche tale lo
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rende l'innata sensibilita (o amore) del suo spirito. 'Manifestare Ia virtu illustre' significa allontanare da se i desideri egoistici che ci rendono divisi dal mondo e ritornare all'originario stato di unione con il cielo, Ia terra e tutte le cose. Nulla e possibile aggiungere allo stato originario.
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E sulla seconda corda maggiore (amare il prossimo): Se 'manifestare Ia virtu illustre' significa stabilire Ia natura dell'unita del cielo, della terra e di tutte le cose, allora 'amare il prossimo' significa esercitare e mettere in funzione questa unita. La manifestazione della virtu illustre consiste quindi nell'amare il prossimo e amare il prossimo significa manifestare Ia virtu illustre. Se io amo mio padre, i padri di alcuni altri uomini e i padri di tutti gli uomini, il mio amore diverra veramente piu vasto attraverso l'amore per tali padri (... ). A partire da tutte queste relazioni umane per giungere poi ai monti, ai fiumi, agli spiriti e agli dei, agli uccelli e agli altri animali, aile erbe e agli alberi, tutto dovrebbe essere amato per poter rendere piu vasto il nostro amore. In tal modo non v'e nulla che non si renda manifesto attraverso Ia nostra virtu illustre e noi allora siamo tutt 'uno con il cielo, Ia terra e tutte le cose.
E infine, sulla terza corda maggiore (dimorare nel bene supremo):