ABRAHAM MERRITT BRUCIA, STREGA, BRUCIA (Burn Witch Burn, 1932) PRESENTAZIONE A. Merritt, nato nel 1884 nei pressi di Fil...
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ABRAHAM MERRITT BRUCIA, STREGA, BRUCIA (Burn Witch Burn, 1932) PRESENTAZIONE A. Merritt, nato nel 1884 nei pressi di Filadelfia, morto in Florida nel 1943, dopo avere iniziato gli studi di legge passò al giornalismo fino a giungere alla direzione di uno dei più importanti settimanali americani. Giornalista di professione, scrittore per diletto e senza finalità economiche (a differenza di molti suoi colleghi scrittori, primo fra tutti E.R. Burroughs che confessava candidamente di avere scritto i primi romanzi «per fame»), la sua produzione è relativamente limitata: una decina di opere, ma è stata sufficiente a farlo considerare uno dei classici del romanzo fantastico del primo dopoguerra. La fama di Merritt è sorta da alcune opere scritte tra il 1919 e il 1934, quando gli impegni giornalistici lo constringeranno a rinunciare a scrivere romanzi, e il suo esordio seguiva il filone avventuroso di H. Rider Haggard e di E.R. Burroughs, ambientato in lontani paesi dove sopravvivono antichissime civiltà sconosciute. A questo tipo di storie egli fu probabilmente portata da una serie di avvenimenti di cui era stato protagonista in gioventù, quando ai suoi inizi come giornalista, era stato testimone di un fatto scottante (che non volle mai rivelare, ma che evidentemente coinvolgeva qualche importante personalità) e perché mantenesse il silenzio furono esercitate pressioni su di lui per convincerlo a prendersi una lunga vacanza all'estero, tutte le spese pagate. Merritt così trascorse tutto l'anno seguente in Messico e nell'America centrale, vivendo tra gli indigeni ed esplorando le rovine Maya. Questo interesse per le civiltà perdute e per le leggende, le religioni e i riti primitivi sarebbe poi apparso nelle sue opere sotto forma romanzesca: in Through the Dragon Glass un gioiello sottratto dal palazzo imperiale di Pechino è la chiave per passare in un altro mondo; in People of the Pit un esploratore scopre in Alaska un cratere vulcanico abitato da una razza extraumana; in The Moon Pool una misteriosa sorgente di forza trasporta il protagonista in un fantastico regno sotterraneo abitato da sapienti immortali, bellissime sacerdotesse, creature preumane; in The Ship of Ishtar un gioiello a forma di nave è l'inizio di un'avventura negli antichi regni babilonesi, in mezzo alle lotte di sacerdoti di due divinità opposte.
Queste opere compaiono su una pubblicazione avventurosa popolare : «Argosy All Story», la stessa che alcuni anni prima aveva lanciato Burroughs con Tarzan delle scimmie e con i romanzi interplanetari del personaggio John Carter, e rispettano i canoni dello Scientific Romance, caratterizzato dal presentare avventure con componenti amorose (il Romance) in ambienti ricchi di spunti fantastico-scientifici. Nello Scientific Romance la storia d'amore è ottocentesca, le eroine sono «donne eterne» alla Haggard, principesse alla Burroughs, sacerdotesse demoniache o angeliche tutte aggettivi, e il termine «scientifico» è da prendersi nel senso più ampio, perché copre anche fantasie a sfondo archeologico, mesmerico, esoterico, preadamitico. Verso la fine degli anni venti però il gusto del pubblico cambia: sorgono le riviste specializzate che pubblicano ciascuna un ben definito genere di storie, e lo Scientific Romance diventa fantascienza accentuando la componente scientifica (e in molti romanzi scomparirà la parte Romance, sopraffatta dal gusto per il meraviglioso scientifico). Questo cambiamento nei gusti del pubblico non tocca né Burroughs né Merritt, che continuano a riscuotere un notevole successo tra il pubblico vecchio e nuovo, e che ancor oggi mantengono immutato il loro richiamo, ma in quegli anni Merritt lascia lo Scientific Romance per un altro genere di opere: le civiltà perdute scompaiono, l'ambientazione si sposta al mondo contemporaneo, ma il carattere fantastico è ancora presente sotto forma di sinistre potenze che agiscono sconosciute. È questo il periodo delle opere di massimo successo di Merritt: il romanzo Seven Footprints to Satan, imperniato sulla figura di un uomo che si chiama Satana e che tiene in potere un gruppo di criminali, desta subito l'interesse del monto cinematografico e ne viene tratto un film ; qualche anno dopo, un secondo film è tratto dal presente Burn Witch Burn!, con Lionel Barrymore nel ruolo di Madame Mandilip. Con Burn Witch Burn! (1932) la produzione di Merritt si avvicina però alla conclusione. Nel 1934 comparirà ancora un romanzo, e successivamente egli si dedicherà solo più alla revisione dei romanzi precedenti per le edizioni in volume, ma per la sua carica di suspence, per l'abilità con cui riesce a creare una atmosfera di allucinante meraviglia, Burn Witch Burn! resta uno dei capolavori di Merritt in assoluto. Riccaro Valla
INTRODUZIONE Sono un medico specialista di neurologia e malattie mentali. Nel mio campo specifico, la psichiatria, sono considerato un'autorità, e svolgo mansioni professionali presso due primari ospedali di New York. Ho avuto riconoscimenti in patria e all'estero. Ma se scrivo questo, a rischio di far capire chi sono, non è per vanagloria; mi serve solo a dimostrare che possedevo, in presenza dei fatti straordinari che sto per riferire, la competenza occorrente a osservarli e sottoporli a un giudizio scientifico sperimentato. Ho detto che «rischio» di farmi riconoscere. Lowell, infatti, non è il mio vero nome, è uno pseudonimo, come lo sono i nomi di tutti gli altri personaggi di questa storia, e i motivi di tale occultamento risulteranno chiari in seguito. D'altra parte, sono profondamente persuaso che i fatti e le osservazioni, conservati nel mio schedario sotto la voce «Le bambole di Madame Mandilip» debbano essere chiariti, esposti in ordinata successione e resi noti. A tale scopo, naturalmente, potrei presentare una relazione a una delle società mediche di cui faccio parte; ma so quale accoglienza le riserverebbero i miei colleghi e come, da allora in poi, mi considererebbero con sospetto, commiserazione o addirittura orrore, dato che molti fatti, in essa esposti, contrasterebbero completamente con l'idea acquisita di causa ed effetto. D'altro canto, per quanto io sia un medico ligio ai concetti classici, mi sto chiedendo se non ci possano essere delle «cause» diverse da quelle che riconosciamo. Forze ed energie, che sconfessiamo tenacemente, poiché non trovano spiegazione nei limiti angusti del nostro sapere. Energie, che il folclore e le antiche tradizioni di tutti i popoli considerano reali e che noi, per giustificare la nostra ignoranza a loro riguardo, poniamo sotto l'etichetta di miti e superstizioni. È una sapienza, o scienza, antichissima, nata prima della storia, e tuttavia mai tinta né del tutto perduta; una sapienza segreta, ma che ha sempre avuto sacerdoti e sacerdotesse che ne hanno custodito la fiamma misteriosa e l'hanno tramandata di secolo in secolo. Fiamma tenebrosa di un sapere proibito, che ardeva in Egitto, ancor prima che si costruissero le Piramidi, e nei templi che ora si sgretolano sotto le sabbie del Gobi; nota ai figli di Ad, che Allah, come dicono gli Arabi, tramutò in pietra a causa dei loro sortilegi diecimila anni prima che Abramo percorresse le strade di Ur dei Caldei; nota in Cina, ai lama del Tibet, non meno che agli sciamani dei
Buriat delle steppe e allo stregone dei Mari del Sud. È la fiamma tenebrosa di una sapienza malvagia, che incupiva le ombre degli incombenti menhir di Stonehenge; alimentata poi per mano dei legionari di Roma; rinvigorita, nessuno sa perché, nell'Europa del Medioevo... e che arde tuttora, sempre viva, sempre forte. Ma basta con i preamboli. Comincio dal momento in cui questa sapienza misteriosa (se di ciò si trattava) gettò la sua ombra su di me per la prima volta. I. La morte sconosciuta Mentre salivo i gradini dell'ospedale udii battere l'una all'orologio. Avrei già dovuto essere a letto e addormentato; ma c'era un caso che mi interessava molto, e Braile, il mio assistente, mi aveva riferito per telefono certi sviluppi che desideravo esaminare. Era una notte di novembre. In cima alla gradinata, sostai un attimo ad ammirare lo splendore delle stelle. In quell'istante un'automobile si arrestò davanti all'ingresso. Mentre mi chiedevo che cosa significasse l'arrivo di un'auto a quell'ora, ne sgusciò fuori un uomo. Scrutò in lungo e in largo la strada deserta, quindi spalancò la portiera. Ne uscì un altro. I due si chinarono e sembrarono armeggiare all'interno. Poi si raddrizzarono, e allora vidi che avevano serrato le braccia intorno alle spalle di un terzo. Avanzarono, non solo sostenendo l'altro corpo, ma reggendolo di peso. Il suo capo era chino sul petto, e il corpo ciondolava del tutto inerte. Un quarto uomo scese dall'auto. Lo riconobbi. Era Julian Ricori, pezzo grosso della malavita, un perfetto prodotto della Legge del Proibizionismo. Me l'avevano additato parecchie volte, e comunque si erano incaricati i giornali di renderne familiari la fisionomia e la persona. Lungo e magro, capelli bianco-argentei, sempre impeccabilmente vestito, aveva esteriormente l'aspetto di un ricco sfaccendato più che di un uomo a capo di attività come quelle che gli si imputavano. Nell'ombra, ero rimasto inosservato. Ne uscii; pronti come segugi, i due uomini col carico si fermarono. La mano libera di ciascuno piombò nella tasca del cappotto, con una mossa piena di minaccia. — Sono il dottor Lowell — mi affrettai a dire. — Sono dell'ospedale. Avanti, entrate. Non mi risposero. Non distolsero lo sguardo da me, né si mossero. Rico-
ri si portò davanti a loro. Anch'egli teneva le mani in tasca. Mi esaminò, quindi annui agli altri; sentii allentarsi la tensione. — Io la conosco, dottore — disse con affabilità, in un inglese stranamente accurato. — Ma ha corso davvero un bel rischio. Se me lo consente, non fa bene a muoversi così in fretta quando giungono persone che non conosce. Specialmente di notte. E in questa città. — Ma anch'io conosco lei, signor Ricori — replicai. Fece un debole sorriso. — Allora il suo giudizio era doppiamente errato. E il mio consiglio doppiamente appropriato. Ci fu un imbarazzante attimo di silenzio. Ricori lo ruppe. — E dato che son chi sono, mi sentirò molto meglio all'interno di quella porta che all'esterno. Aprii la porta. Passarono per primi i due uomini col fardello; poi Ricori e io. Una volta dentro, obbedii all'impulso professionale e mi avvicinai all'uomo che i due stavano reggendo. Questi lanciarono una rapida occhiata a Ricori, che annui. Sollevai il capo dell'uomo. Ne ebbi un lieve shock. Aveva gli occhi sbarrati. Non era né morto né svenuto, ma sul suo volto c'era la più straordinaria espressione di terrore che avessi mai visto nella mia lunga esperienza di gente sana di mente, pazza, o così così. Non era paura pura, bensì mista a un orrore altrettanto inquietante. Gli occhi, azzurri e con le pupille dilatate, erano come i punti esclamativi delle emozioni espresse da quel viso. Si posarono su di me, mi penetrarono, mi trapassarono; e tuttavia sembrava che guardassero in dentro, come se la visione da incubo che vedevano, qualunque fosse, si trovasse sia dietro che davanti a loro. — Proprio così. — Ricori mi aveva osservato con estrema attenzione. — Proprio così, dottor Lowell; che cosa può aver visto il mio amico, o che cosa possono avergli dato, che spieghi questo aspetto? Sono estremamente ansioso di saperlo, e sono anche disposto a spendere molto denaro. Voglio che sia curato, sì; ma... sarò franco con lei, dottor Lowell. Darei il mio ultimo centesimo per avere la certezza che quelli che l'hanno conciato così non possano fare lo stesso a me. Che non possano rendermi come lui. Che non possano farmi vedere quello che lui sta vedendo. Che non possano farmi provare quel che lui sta provando. A un mio cenno si erano avvicinati degli infermieri: presero il paziente e lo adagiarono su un carrello. Nel frattempo era arrivato il medico interno. Ricori mi toccò il gomito. — So molte cose su di lei, dottor Lowell — disse. — Vorrei proprio che
si incaricasse lei di questo caso. Esitai. Ricori continuò, con ardore: — Potrebbe lasciar perdere ogni altra faccenda e dedicare tutto il suo tempo a questo caso? Faccia venire degli altri per un consulto se lo desidera. Non pensi alla spesa... — Un momento, signor Ricori — lo interruppi. — Ho dei pazienti, che non posso trascurare. Riserverò a questo caso tutto il tempo che potrò, e lo stesso farà il mio assistente, il dottor Braile. Qui il suo amico sarà tenuto costantemente sotto osservazione da persone che godono di tutta la mia fiducia. Vuole che mi occupi del caso a queste condizioni? Ricori, anche se non era troppo persuaso, acconsenti. Io feci portare il paziente in una stanza privata, isolata dalle altre, e sbrigai le inevitabili formalità ospedaliere. Ricori dichiarò che l'uomo si chiamava Thomas Peters, affermò di non essere a conoscenza di alcun parente stretto, si fece registrare egli stesso come il più intimo amico di Peters, si assunse ogni responsabilità, ed estratto un rotolo di banconote ne tolse un biglietto da mille dollari e lo allungò sul banco come «anticipo spese». Chiesi a Ricori se desiderava assistere all'esame del paziente; rispose di sì. Disse qualcosa ai suoi due uomini, che si misero di guardia ai lati della porta dell'ospedale; poi ci recammo, lui e io, nella stanza assegnata al paziente. Gli infermieri l'avevano svestito, e ora, coperto da un lenzuolo, giaceva sul lettino regolabile. Braile, che avevo mandato a chiamare, era chino su di lui, con lo sguardo fisso sul suo volto, e chiaramente perplesso. Vidi con piacere che a questo caso era stata assegnata l'infermiera Walters, una giovane donna eccezionalmente abile e scrupolosa. Braile mi guardò. — Evidentemente qualche droga — disse. — Forse — risposi. — Ma se è così... si tratta di una droga che non ho mai incontrato. Guardi gli occhi. Chiusi le palpebre di Peters. Appena sollevai le dita, cominciarono a salire lentamente, finché non furono di nuovo spalancate. Tentai di chiuderle più volte, ma si riaprivano sempre: il terrore, l'orrore negli occhi non diminuiva. Cominciai l'esame. L'intero corpo, muscoli e articolazioni, era inerte. Era floscio (la similitudine mi si presentò spontaneamente), come una bambola. Era come se tutti i nervi motorii si fossero messi in sciopero. Non c'era nessuno degli usuali sintomi della paralisi, ma il corpo non rispondeva ad alcuno stimolo sensorio. L'unica reazione che ottenni fu una leggera contrazione delle pupille dilatate ogni volta che le sottoponevo a
una luce fortissima. Hoskins, il patologo, entrò per effettuare i prelievi per gli esami del sangue. Quando ebbe terminato esaminai il corpo minuziosamente. Non riuscii a trovare una sola puntura, ferita, contusione o abrasione. Peters era peloso. Con l'autorizzazione di Ricori lo feci radere tutto: petto, spalle, gambe, perfino il capo. Non trovai nulla che indicasse che potevano avergli somministrato una droga per via ipodermica. Feci svuotare lo stomaco e prelevai dei campioni dagli organi escretorii, compresa la pelle. Esaminai le mucose di naso e gola: sembravano sane e normali, tuttavia feci prelevare dei campioni anche da queste. La pressione del sangue era bassa, la temperatura lievemente al di sotto della norma: ma ciò poteva non significare nulla. Praticai un'iniezione di adrenalina: non ci fu assolutamente alcuna reazione. Questo poteva significare molto. — Povero diavolo! — dissi tra me. — Tenterò di liberarti di quell'incubo, a qualunque costo. Gli praticai un'ipodermica con la dose minima di morfina. Per l'effetto che fece, avrebbe potuto essere acqua. Allora aumentai la dose fino al massimo che osai raggiungere: gli occhi rimasero spalancati, terrore e orrore non diminuirono. E ritmo cardiaco e respiratorio non si modificarono. Ricori aveva osservato queste operazioni con profondo interesse. Per il momento avevo fatto tutto quello che potevo, e glielo spiegai. — Non posso fare altro — dissi — finché non riceverò i risultati degli esami. Francamente sono in alto mare. Non conosco alcuna malattia o droga che produca queste condizioni. — Ma il dottor Braile — replicò — ha accennato a una droga... — Soltanto un suggerimento — intervenne subito Braile. — Come il dottor Lowell, non conosco alcuna droga che provochi tali sintomi. Ricori gettò un'occhiata al volto di Peters e rabbrividì. — Ora — dissi — devo farle delle domande. È stato malato quest'uomo? Se sì, ha ricevuto cure mediche? Se non è stato proprio malato, ha parlato di qualche disturbo? O lei ha notato qualcosa di insolito nei suoi modi o nel suo comportamento? — No a tutte le domande — rispose Ricori. — La settimana scorsa Peters è rimasto in strettissimo contatto con me. Non stava affatto male. Stasera eravamo nel mio appartamento per una cenetta di mezzanotte, e parlavamo. Era di buon umore. Nel bel mezzo di una parola si è fermato, ha girato a metà il capo come per ascoltare, quindi è scivolato a terra dalla sedia. Quando mi sono chinato su di lui aveva l'aspetto che vedete ora. Era
esattamente mezzanotte e mezzo. L'ho portato subito qui. — Bene — dissi. — Questo ci dà almeno l'ora esatta dell'attacco. Non serve che lei rimanga, signor Ricori, a meno che lo voglia. Si esaminò le mani per qualche istante, strofinando le unghie perfettamente curate. — Dottor Lowell — disse alla fine. — Se quest'uomo muore senza che lei scopra che cosa l'ha ucciso, pagherò a lei la parcella d'uso e all'ospedale le abituali spese, e niente più. Se muore e lei fa questa scoperta dopo la sua morte, darò centomila dollari a un'istituzione benefica che lei indicherà. Ma se fa la scoperta prima che Peters muoia, e lo rimette in salute... darò a lei la stessa somma. Io e Braile lo fissammo, e quando il significato di quella notevole offerta si chiari, trovai difficile reprimere la mia ira. — Ricori... — dissi. — Lei ed io viviamo in mondi diversi, perciò le rispondo con gentilezza, benché mi riesca difficile. Farò tutto quanto è in mio potere per scoprire cosa c'è che non va nel suo amico e per curarlo. Lo farei anche se lui e lei foste poveri. Lui mi interessa soltanto come un problema che sfida le mie capacità di medico. Ma lei non mi interessa nel modo più assoluto. Né mi interessa il suo denaro. Né la sua offerta. La consideri respinta in modo definitivo. Ha capito bene? Ricori non manifestò la minima irritazione. — A tal punto che desidero più che mai che lei si occupi personalmente del caso — rispose. — Benissimo. Allora, dove posso trovarla se voglio farla venire qui in fretta? — Col suo permesso — disse — vorrei avere... be', dei fiduciari sempre presenti in questa stanza. Ce ne saranno due. Se mi vuole lo dica a loro, e io sarò subito qui. Io sorrisi, ma lui no. — Mi ha rammentato — disse — che noi viviamo in mondi diversi. Lei prende le sue precauzioni per muoversi al sicuro nel suo mondo... e io regolo la mia vita per ridurre al minimo i pericoli del mio. Neppure per un attimo avrei la presunzione di darle consigli sul modo di muoversi tra i pericoli del suo laboratorio, dottor Lowell. Io sono circondato da pericoli analoghi, perciò mi difendo da essi come meglio posso. Era una richiesta irregolare al massimo, naturalmente. Ma proprio allora mi accorsi di provare quasi simpatia per Ricori, e capii con chiarezza il suo punto di vista. Lui lo intuì e approfittò del vantaggio.
— I miei uomini non daranno noia — soggiunse. — Non la ostacoleranno in alcun modo. Se ciò che sospetto è vero... saranno una protezione anche per lei e per i suoi assistenti. Ma i miei uomini, e quelli che daranno loro il cambio, devono rimanere qui giorno e notte. Se Peters viene trasferito da questa stanza devono accompagnarlo, dovunque sia condotto. — Posso sistemare la cosa — dissi. Poi, dietro sua richiesta, mandai giù all'ingresso un inserviente. Questi tornò con uno degli uomini che Ricori aveva lasciato di guardia. Ricori gli bisbigliò qualcosa, e l'uomo uscì. Dopo un attimo salirono altri due uomini. Nel frattempo avevo spiegato la particolare situazione al medico interno e al direttore, e mi ero procurato il permesso necessario per la permanenza degli uomini di Ricori. I due uomini erano ben vestiti, garbati, e completamente all'erta, bocca chiusa e sguardo gelido. Uno di essi lanciò un'occhiata a Peters. — Cristo! — disse tra i denti. Quella era una camera d'angolo, con due finestre, una sul Drive («la passeggiata») e l'altra su una via laterale. Non c'erano altre aperture verso l'esterno, tranne la porta sul corridoio; al bagno privato, senza finestre, si accedeva soltanto dalla stanza stessa. Ricori e i due ispezionarono minuziosamente il locale, tenendosi lontani, come notai, dalle finestre. Poi Ricori mi chiese se si poteva spegnere la luce. Annuii, incuriosito. Spente le lampade, i tre andarono alle finestre, le aprirono, e scrutarono con cura lo strapiombo di sei piani su entrambe le strade. Dinanzi a quella sul Drive c'era solo lo spazio vuoto del parco; di fronte all'altra, una chiesa. Udii che Ricori diceva: — È questa la parte che devi tener d'occhio — additando la chiesa. E poi: — Ora può accendere la luce, dottore. S'incamminò verso la porta, quindi si voltò. — Ho molti nemici, dottor Lowell. Peters era il mio braccio destro. Un nemico può averlo colpito per indebolirmi, o perché non poteva colpire me. Se guardo Peters, io, Ricori, per la prima volta in vita mia, ho paura. Non voglio essere il prossimo, non voglio... vedere l'inferno! Feci un borbottio d'assenso. Aveva tradotto in parole il mio stesso sentimento. Ricori stava per aprire la porta, ma indugiò. — Un'altra cosa. Se qualcuno telefona per informarsi sulle condizioni di Peters, lasci che rispondano questi uomini o quelli che daranno loro il cambio. Se qualcuno venisse a chiedere notizie di persona, lo lasci salire. Ma uno alla volta, se sono più di uno. E anche se arriva qualcuno dicendo di essere un parente, lasci che lo ricevano e lo interroghino questi uomini.
Mi strinse la mano, poi aprì la porta della stanza. Sulla soglia lo aspettavano altre due energiche guardie del corpo dall'aria efficiente, che prontamente gli si misero una davanti e l'altra dietro. Mentre si allontanava, vidi che si faceva vigorosamente il segno della croce. Chiusi la porta e tornai nella stanza. Abbassai gli occhi su Peters... Se fossi stato religioso mi sarei fatto anch'io il segno della croce. L'espressione sul volto di Peters era cambiata. Il terrore e l'orrore se n'erano andati. Sembrava ancora che Peters guardasse al tempo stesso attraverso di me e dentro di sé; ma ora lo sguardo era di malvagia aspettativa: così malvagia che, involontariamente, mi lanciai un'occhiata alle spalle per vedere qual orrendo essere stesse per aggredirmi furtivamente. Non c'era nulla. Uno degli uomini di Ricori sedeva nell'angolo della finestra, al coperto, e teneva d'occhio il cornicione del tetto della chiesa di fronte; l'altro sedeva imperturbabile accanto alla porta. Braile e l'infermiera Walters erano dall'altra parte del letto. I loro occhi fissavano il volto di Peters, affascinati e atterriti. Poi vidi Braile girare uno sguardo scrutatore per la stanza, come avevo fatto io. D'improvviso gli occhi di Peters sembrarono mettersi a fuoco, accorgersi di noi tre, accorgersi dell'intera stanza. Lampeggiarono di una orrenda allegria. Non era l'allegria di un pazzo. Era diabolica. Era lo sguardo di un demone a lungo esiliato dal suo amato inferno, e d'improvviso invitato a tornare. O invece somigliava all'allegria di un diavolo sguinzagliato dall'inferno per esercitare il proprio volere su chiunque potesse? So benissimo che simili paragoni sono fantastici e assolutamente non scientifici, tuttavia non posso descrivere in altro modo quello strano mutamento. A questo punto, bruscamente come il chiudersi di un otturatore fotografico, quell'espressione svanì e tornarono il terrore e l'orrore di prima. Trassi un involontario sospiro di sollievo, perché era proprio come se una presenza malvagia si fosse allontanata. L'infermiera tremava; Braile chiese, con una voce tesa: — Che ne dice di un'altra ipodermica? — No — risposi. — Le chiedo di continuare a osservare, senza droghe, lo sviluppo di questo... di questa cosa, qualunque sia. Io scendo in laboratorio. Non lo perda d'occhio fino al mio ritorno. Scesi in laboratorio. Hoskins sollevò lo sguardo. — Finora niente di anormale. Salute notevole, direi. Naturalmente ho solo i risultati degli esami più semplici.
Annuii. Avevo la spiacevole sensazione che anche gli altri esami non avrebbero rivelato nulla, ed ero rimasto scosso più di quanto non volessi confessare da quell'avvicendarsi di una paura, di un'ansiosa attesa e di un'allegria infernale nel volto e negli occhi di Peters. L'intero caso mi preoccupava, mi dava la sensazione angosciosa di trovarmi davanti a una porta, e che l'aprirla fosse d'importanza vitale, ma non soltanto non avevo la chiave: non trovavo neppure la toppa. Ho scoperto che, se lavoro al microscopio, la concentrazione mi permette spesso di pensare più liberamente ai miei problemi; perciò presi alcuni campioni del sangue di Peters e cominciai ad esaminarli, non perché mi aspettassi di trovare qualcosa ma per allentare i freni di un'altra parte del mio cervello. Ero al quarto vetrino quando di colpo mi resi conto che stavo guardando l'incredibile. Avevo appena mosso il vetrino che un globulo bianco scivolò nel campo visivo. Soltanto un semplice globulo bianco... ma dentro c'era un lampo di fosforescenza, splendente come una minuscola lampada! Dapprima pensai che si trattasse di qualche effetto di luce, ma nessuna regolazione dell'illuminatore modificò quel lampo. Mi strofinai gli occhi e guardai di nuovo. Poi chiamai Hoskins. — Mi dica se vede qualcosa di strano qui dentro. Guardò attentamente nel microscopio. Trasalì; quindi, come avevo fatto io, manovrò la sorgente luminosa. — Che cosa vede, Hoskins? Sempre scrutando attraverso l'oculare, rispose: — Un leucocita all'interno del quale c'è un globo fosforescente. Il suo splendore non si affievolisce quando metto al massimo l'illuminazione, né aumenta quando la diminuisco. Il leucocita sembra normale in tutto, eccetto il globo fagocitato. — E tutto ciò — dissi — è assolutamente impossibile. — Assolutamente — convenne Hoskins, rizzando la schiena. — Tuttavia, eccolo lì. Trasferii il vetrino sul micromanipolatore sperando di isolare il globulo bianco, e lo toccai con la punta dell'ago dello strumento. A quel contatto, sull'attimo, il globulo sembrò scoppiare. Il globo fosforescente parve affievolirsi, e qualcosa di simile a un lampo di calore in miniatura invase la porzione visibile del vetrino. E questo fu tutto : la fosforescenza era sparita. Preparammo ed esaminammo un vetrino dopo l'altro. Altre due volte trovammo un minuscolo globo splendente, e ogni volta con lo stesso risultato: il globulo che scoppiava, lo strano guizzo di debole luminosità... e poi
più nulla. Il telefono del laboratorio squillò. Hoskins rispose. — È Braile. La vuole. Subito. — Continui qui, Hoskins — dissi, e mi affrettai alla stanza di Peters. Entrando, vidi l'infermiera Walters che stava di spalle al letto, col viso cinereo e gli occhi chiusi. Braile, chinato sul paziente, gli teneva lo stetoscopio sul cuore. Guardai Peters e impietrii, provando quasi una stretta istintiva di panico. Sul suo volto c'era quell'espressione di demoniaca attesa, ma più intensa. Mentre guardavo, lasciò il posto alla gioia diabolica, e anche questa era più forte. Il volto mantenne la seconda espressione per non molti secondi. Tornò l'attesa; poi subito l'orrenda allegria. Le due espressioni si avvicendavano rapide. Guizzavano sul volto di Peters come... come i minuscoli lampi nei globuli del suo sangue. Braile mi disse, quasi con sforzo: — Il cuore si è fermato tre minuti fa. Dovrebbe essere morto. Eppure, ascolti... Il corpo di Peters si tese e si irrigidì. Dalle labbra uscì un suono... un suono chiocciante, basso ma singolarmente penetrante, inumano: un cachinno diabolico. L'uomo di guardia alla finestra balzò in piedi, rovesciando rumorosamente la sedia. La risata rimase strozzata e si spense, e il corpo di Peters divenne inerte. Sentii aprire la porta, e la voce di Ricori disse: — Come sta Peters, dottor Lowell? Non riuscivo a dormire... Vide il volto di Peters. — Madre di Cristo! — lo udii sussurrare. Cadde in ginocchio. Lo scorgevo indistintamente, poiché non potevo staccare gli occhi dal volto di Peters. Era la faccia di un diavolo sogghignante e trionfante, senza più traccia di umanità: un volto demoniaco, tolto pari pari dal folle inferno di un pittore medioevale. Gli occhi azzurri, ora estremamente maligni, fissarono Ricori con odio e disprezzo. E mentre guardavo, le mani forti si mossero; lentamente gli avambracci si sollevarono, mentre le dita si contraevano come artigli; il corpo morto cominciò ad agitarsi sotto il lenzuolo... A questa vista l'angoscioso incantesimo si infranse. Per la prima volta dopo tante ore, mi trovavo su un terreno che conoscevo: quello era il rigor mortis, l'irrigidimento della morte. Tuttavia si manifestava più presto e procedeva più velocemente di quanto avessi mai visto. Mi avvicinai a Peters e abbassai le palpebre sugli occhi sbarrati. Poi coprii il volto terrificante.
Guardai Ricori. Era ancora in ginocchio, si segnava e pregava. E inginocchiata accanto a lui, con un braccio intorno alle sue spalle, c'era l'infermiera Walters, e anche lei stava pregando. Da qualche parte un orologio batté le cinque. II. Il questionario Offrii a Ricori di accompagnarlo a casa. Con mia grande sorpresa, accettò prontamente. Era molto scosso. Compimmo tutto il tragitto in silenzio, con i suoi uomini vigili e muti. Continuavo ad avere il volto di Peters davanti agli occhi. Diedi a Ricori un forte sedativo, e lo lasciai addormentato, sotto la guardia dei suoi uomini. Gli avevo detto che intendevo eseguire un'autopsia completa. Tornato all'ospedale con la sua auto, seppi che il corpo di Peters era stato portato nella camera mortuaria. Braile mi informò che il rigor mortis era diventato completo in meno di un'ora: un periodo sorprendentemente breve. Feci i necessari preparativi per l'autopsia, poi andai a casa per schiacciare un pisolino di qualche ora, portando con me Braile. È difficile tradurre in parole l'impressione particolarmente spiacevole che l'intera faccenda mi aveva prodotto. Posso dire solo che fui grato a Braile per la sua compagnia. Lui sembrava esserlo altrettanto per la mia. Quel senso angoscioso di oppressione, sia pure meno intenso, persisteva al mio risveglio. Cominciammo l'autopsia circa alle due. Con visibile esitazione sollevai il lenzuolo dal corpo di Peters. Stupefatto, fissai il suo volto: l'espressione diabolica era del tutto svanita. Era un volto sereno e disteso, il volto di un uomo spentosi tranquillamente, senza sofferenze di corpo o di spirito. Alzai la sua mano: era inerte. Tutto il suo corpo era cedevole, il rigor mortis era scomparso. Fu allora, credo, che per la prima volta ebbi la piena convinzione di trovarmi di fronte a una causa di morte completamente nuova, o almeno sconosciuta, di natura virale o altro. Di regola il rigor mortis sopraggiunge dopo sedici-ventiquattro ore, secondo le condizioni del paziente prima della morte, la temperatura, e una dozzina di altri fattori; e, sempre di norma, non scompare se non dopo quarantotto o settantadue ore. Per solito una veloce comparsa dell'irrigidimento significa un'altrettanto celere scomparsa, e viceversa. Il corpo di un diabetico si irrigidisce più in fretta; un'improvvisa lesione cerebrale, quale un colpo d'arma da fuoco, produce un effetto
ancora più rapido. Nel caso di Peters il rigor mortis aveva avuto inizio nell'istante stesso della morte, e doveva aver completato il ciclo nel periodo incredibilmente breve di cinque ore scarse: infatti l'inserviente mi riferì che aveva osservato il corpo alle dieci circa, e che aveva ritenuto che l'irrigidimento non si fosse ancora prodotto. In pratica, era comparso e sparito. Il risultato dell'autopsia può essere espresso in due frasi. Non c'era alcun motivo accertabile per cui Peters non dovesse essere vivo. E invece era morto! Anche in seguito, quando Hoskins comunicò le sue risultanze, queste due proposizioni così profondamente antietiche continuarono entrambe a essere vere. Non c'era motivo che Peters fosse morto; ma era morto. Delle misteriose luci, da noi osservate, ammesso che c'entrassero in qualche modo con la sua morte, non ne era rimasta traccia. I suoi organi erano in condizioni perfette, e tutto il resto era come doveva essere: Peters aveva goduto davvero di eccezionale salute. Né Hoskins, dopo che l'avevo lasciato, era riuscito a individuare altri globuli contenenti la fosforescenza. Quella sera, stesi una breve lettera che descriveva per sommi capi i sintomi osservati nel caso Peters. Non mi soffermavo sui cambiamenti dell'espressione ma accennavo cautamente a «insolite smorfie» e ad uno «sguardo terrorizzato» . Braile e io provvedemmo a tirarne delle copie e a spedirle a tutti i medici di New York e dintorni. Condussi anche un'indagine discreta negli ospedali. Nella lettera chiedevo se i medici avessero avuto in cura dei pazienti con sintomi analoghi, pregando, nel caso affermativo, di comunicarmi i particolari con nome, indirizzo, occupazione e interessi speciali del soggetto, beninteso sotto il vincolo del segreto professionale. Mi lusingavo che, data la mia reputazione, nessuno dei destinatari del questionario avrebbe attribuito la mia richiesta a vana curiosità né a motivi minimamente contrari all'etica. Ricevetti, in risposta, sette lettere e la visita personale del mittente di una di esse. Tutte, tranne una, mi davano in varie sfumature di riserbo medico, le notizie che chiedevo. Risultava, in modo indiscutibile, che in un periodo di sei mesi sette persone, di caratteristiche e posizione sociale stranamente dissimili, erano morte nello stesso modo di Peters. I casi, in ordine cronologico, erano i seguenti. 25 maggio: Ruth Bailey, zitella, cinquantenne; discretamente ricca, caritatevole e affezionata ai bambini, appartenente a una delle migliori famiglie della città e fornita di ottima reputazione. 20 giugno: Patrick Mcllraine, muratore, moglie e due bambini. 1° agosto: Anita Green, ragazzina di
undici anni, genitori di condizioni modeste ma istruiti. 15 agosto: Steve Standish, acrobata, trent'anni, moglie e tre bambini. 30 agosto: John J. Marshall, banchiere, sessant'anni, interessato ai problemi di assistenza all'infanzia. 10 settembre: Phineas Dimott, trentacinque anni, trapezista, moglie e un bambino piccolo. 12 ottobre: Hortense Darnley, circa trent'anni, senza occupazione. Gli indirizzi di queste persone, tranne due, erano sparpagliati a grande distanza da un capo all'altro della città. Tutte le lettere sottolineavano l'improvvisa apparizione del rigor mortis e la sua rapida scomparsa; tutte riferivano che la morte era sopraggiunta approssimativamente cinque ore dopo l'attacco iniziale. Cinque accennavano a cambiamenti di espressione identici a quelli che mi avevano tanto turbato, e nel tono circospetto in cui lo facevano lessi lo sbigottimento del mittente. «Gli occhi del paziente rimanevano aperti», riferiva il medico curante della zitella Bailey. «Erano fissi, ma non davano alcun segno di riconoscere né di guardare, tanto meno di vedere, gli oggetti tenuti davanti ad essi. L'espressione era di profondo terrore, e a mano a mano che la morte si avvicinava si mutò in altre, particolarmente inquietanti per l'osservatore. L'ultima di esse si intensificò dopo che la morte fu sopraggiunta. Nel giro di cinque ore il rigor mortis si produsse completamente e quindi scomparve.» Il medico che si era occupato di Mcllraine, il muratore, non parlava dei fenomeni antecedenti la morte, ma si diffondeva un poco in merito all'espressione del volto del suo paziente dopo il decesso. «Non aveva nulla in comune», riferiva, «con la contrazione muscolare della cosiddetta "faccia ippocratica", né presentava minimamente gli occhi sbarrati e la bocca contratta di ciò che viene chiamato comunemente "riso sardonico". Dopo il decesso, nulla indicava sofferenza: se mai, il contrario. Dovendo dare una definizione, direi che era una espressione di eccezionale cattiveria». Il referto del medico che aveva assistito Standish, l'acrobata, era superficiale, ma precisava che «dopo la manifesta morte del paziente, la sua gola emise dei suoni assai sgradevoli» . Mi chiesi se si fosse trattato delle stesse manifestazioni diaboliche uscite da Peters, nel qual caso la reticenza del mio corrispondente non mi stupiva affatto. Il medico che aveva avuto in cura il banchiere lo conoscevo. Dogmatico, pieno di sé: il tipico medico degli straricchi.
«Non può esserci alcun mistero riguardo alla causa della morte», scriveva. «Si trattava senz'altro di trombosi: un embolo in qualche punto dell'encefalo. Non annetto alcuna importanza alle contrazioni facciali né al fattore tempo connesso col rigor.» In tono paternalistico aggiungeva: «Come lei sa, caro Lowell, in medicina legale è assiomatico che si può dimostrare qualunque cosa basandosi sul rigor mortis». Mi sarebbe piaciuto rispondergli che la diagnosi di trombosi è altrettanto utile, in un caso dubbio, per nascondere l'ignoranza dei medici; ma questo non avrebbe sgonfiato la sua boria. La lettera relativa a Dimott era una semplice segnalazione, senza il minimo commento circa smorfie o suoni. Ma il medico che aveva assistito la piccola Anita non aveva avuto la stessa reticenza. «Era una bella bambina», scriveva; «non sembrava che soffrisse, ma nella prima fase del male fui colpito dall'intenso terrore presente nei suoi occhi sbarrati. Era come un incubo in stato di veglia: infatti è indiscutibile che Anita conservò la piena conoscenza fino alla morte. Dosi quasi letali di morfina non produssero alcun cambiamento in questo sintomo, né parvero avere alcun effetto sul cuore o sulla respirazione. In seguito il terrore scomparve, cedendo il posto ad altre emozioni che esito a descrivere in questa nota, ma che spiegherò a voce se lei desidera. L'aspetto della bambina, dopo la morte, era del tutto sconvolgente, ma anche di ciò preferirei parlare che scrivere». C'era un poscritto, scarabocchiato frettolosamente; e mi parve di vedere il mio corrispondente, che, vincendo l'esitazione, cedeva infine al bisogno di togliersi un peso dalla mente, buttando giù quel poscritto e spedendo subito la lettera, prima di avere il tempo di ripensarci... «Ho scritto che la bambina conservò la conoscenza fino alla morte. Mi ossessiona però la convinzione che fosse senziente dopo la morte fisica! Mi consenta di parlargliene a voce». Annuii, soddisfatto. Non avevo osato includere questa osservazione nel mio questionario, e, se la cosa (come ora credevo) si era manifestata anche negli altri casi, tutti i medici, tranne quello di Standish, si erano evidentemente lasciati trattenere dallo stesso mio riserbo... o timore. Telefonai subito al medico della piccola Anita. Era fortemente agitato. Il caso che avevo avuto sott'occhio corrispondeva punto per punto a quello di Peters. Il medico ripeteva in continuazione: «La bambina era dolce e buona come un angelo, e si mutò in un diavolo!»
Gli promisi d'informarlo se scoprivo qualcosa. Poco dopo quella conversazione venne a trovarmi il giovane medico che aveva assistito Hortense Darnley. Il dottor Y., come lo chiamerò, non aggiunse nulla a ciò che già sapevo, sul piano medico; ma la sua narrazione suggerì la prima direzione pratica in cui si poteva considerare il problema. Il suo studio, disse, si trovava nello stesso stabile in cui abitava Hortense Darnley. Aveva lavorato fino a tardi, e alle dieci era stato chiamato in casa di lei dalla cameriera, una ragazza di colore. Aveva trovato la paziente stesa sul letto, ed era stato subito colpito dall'espressione di terrore sul suo volto e dalla singolare fiacchezza del corpo. Descrisse la donna come una bionda dagli occhi azzurri, «il tipo bambola». Nell'appartamento c'era un uomo. Costui, richiesto del nome, aveva dapprima nicchiato, dicendo di essere soltanto un amico. Alla prima occhiata il dottor Y. aveva pensato che la donna avesse subito qualche maltrattamento; ma la visita non rivelò né ecchimosi né altre lesioni. L'«amico» gli aveva detto che stavano cenando quando «la signorina Darnley cadde di peso a terra come afflosciata, e non riuscimmo a cavarle una parola». La cameriera aveva confermato queste parole. Sul tavolo c'era un pasto consumato a metà, e sia l'uomo, sia la cameriera avevano dichiarato che Hortense era di ottimo umore e che non c'era stata lite. Con una certa riluttanza l'«amico» aveva ammesso che l'attacco si era verificato tre ore prima, e che loro due avevano tentato di far tornare in sé la donna da soli, decidendosi a chiamare il medico solo quando avevano cominciato ad apparire i cambiamenti di espressione cui ho accennato nel caso di Peters. Con l'aggravarsi dell'attacco, la cameriera atterrita, aveva avuto una crisi isterica ed era fuggita. L'uomo, di tempra più resistente, era rimasto sino alla fine. Era stato molto scosso, così come lo stesso dottor Y., dai fenomeni successivi al decesso. Dopo che il medico ebbe annunciato che quel caso doveva essere affidato al coroner, aveva abbandonato ogni reticenza e comunicato spontaneamente il proprio nome (James Martin), dichiarando di desiderare che fosse compiuta un'autopsia completa. Era stato del tutto schietto circa il motivo: la Darnley era stata la sua amante, e lui aveva «già abbastanza guai, non ci mancava che essere incolpato della sua morte». L'autopsia aveva indagato a fondo ma non si era trovata alcuna traccia di malattie o di veleno. A parte un leggero disturbo valvolare al cuore, Hortense Darnley era stata perfettamente sana. Il verdetto fu di morte causata da disfunzione cardiaca, ma il dottor Y. era assolutamente convinto che il cuore non c'entrasse per nulla.
Era più che ovvio, invece, che Hortense Darnley era morta per lo stesso motivo o fattore di tutti gli altri; ma il particolare più significativo era per me il fatto che il suo appartamento si trovasse a un tiro di fionda dall'indirizzo di Peters che Ricori mi aveva dato. Inoltre, se l'impressione del dottor Y. era esatta, Martin faceva parte dello stesso ambiente di Ricori. Fra il caso Peters e quello della Darnley pareva esistere una connessione che non si trovava negli altri. Decisi di chiamare Ricori, per mettere le carte in tavola e, se possibile, ottenere il suo aiuto. La mia indagine aveva preso circa due settimane, e durante quel periodo ero entrato in familiarità con Ricori. Da una parte quell'uomo mi interessava enormemente quale prodotto dei tempi; dall'altra mi piaceva, nonostante la sua reputazione. Era fornito di notevole cultura e di un alto grado di intelligenza del tutto priva di senso morale, ed era sagace e superstizioso: in un'epoca antica sarebbe stato con probabilità un capo di uomini di ventura, con ingegno e spada a disposizione di un compratore. Mi chiedevo che cosa avessero fatto i suoi antenati. Ricori era venuto a trovarmi parecchie volte dopo la morte di Peters, ed era evidente che la mia simpatia era ricambiata. In queste visite era protetto dall'uomo taciturno che era stato di guardia alla finestra dell'ospedale. Seppi che costui si chiamava McCann. Era la più fidata delle guardie del corpo di Ricori, e chiaramente devoto anima e corpo al suo padrone dai capelli d'argento. Anche McCann era un tipo interessante, e io gli andavo a genio. Aveva la parlantina cantante dei meridionali, e, come lui stesso diceva, aveva fatto la «governante di vacche» nell'Arizona, fino a quando non era diventato un po' troppo conosciuto sulla «frontiera» . — Io sono dalla sua parte, dottore — mi disse. — Lei va bene senz'altro per il capo: gli fa dimenticare un po' gli affari. Quando vengo qui posso tenere le mani fuori delle tasche. Se qualcuno minaccia la sua mandria, me lo faccia subito sapere. Chiederò un giorno di permesso. E a questo punto aggiunse, come per caso, che era capace di «fare sei buchi in cerchio in una moneta da 25 cents, alla distanza di trenta metri». Non so se l'avesse detto per scherzo o sul serio; a ogni modo, Ricori non andava mai in nessun posto senza di lui, e l'averlo lasciato di guardia nella camera d'ospedale, dimostrava quanto avesse tenuto a Peters. Mi misi in contatto con Ricori e lo invitai a cena per quella sera a casa mia. Arrivò alle sette, e disse all'autista di ripassare alle dieci. Ci sedemmo a tavola, lui, io e Braile, mentre McCann, rimasto come al solito di guardia nel vestibolo, procurava sicuramente alle mie due infermiere (ho una pic-
cola clinica privata contigua all'abitazione) un piacevole brivido, dandosi delle arie da «gorilla-pistolero» cinematografico. Finita la cena, congedai il cameriere e passai agli affari. Misi Ricori al corrente del questionario, e osservai che grazie ad esso avevo scovato sette casi simili a quello di Peters. — Può togliersi dalla mente l'idea che la morte di Peters sia dovuta al rapporto che aveva con lei, Ricori — dissi. — Con una possibile eccezione, nessuna delle sette persone coinvolte in questa faccenda appartiene a quello che lei ha definito «il suo mondo» . Se quest'unica eccezione dovesse risultare all'interno della sua sfera di attività, ciò non modificherebbe l'assoluta certezza che lei non è coinvolto in nessun modo. Ha mai conosciuto o sentito nominare una certa Hortense Darnley? Ricori scosse il capo. — Abitava — spiegai — quasi di fronte a Peters, secondo l'indirizzo che lei stesso mi ha dato. — Ma Peters non abitava lì — disse Ricori con un mezzo sorriso di scusa. — Lei mi capisce, allora non la conoscevo bene come ora. Questo, lo riconosco, mi faceva fare qualche passo indietro. — Be', — continuai — conosce un certo Martin? — Sì, lo conosco — rispose. — In realtà conosco parecchi Martin. Può descrivere quello di cui parla lei? O meglio, sa come si chiama di nome? — James. Ricori scosse di nuovo il capo, aggrottando le sopracciglia. — Forse lo sa McCann — disse alla fine. — Vuole farlo chiamare, dottor Lowell? Suonai per il cameriere e lo mandai a cercare McCann. Ricori gli chiese: — McCann, conosci una certa Hortense Darnley? — Certo — rispose quello. — Una bambola bionda... È l'amica di «Butch» Martin. L'ha pescata alle Vanities. — Peters la conosceva? — chiesi. — Oh, certamente — disse McCann. — Lei conosceva Mollie... voglio dire, capo, la sorellina di Peters. Sarà un tre anni che Mollie ha lasciato il varietà, e lui ha incontrato Horty da Mollie. Horty e Peters andavano matti tutti e due per la bambina di Mollie: me l'aveva detto lui. Ma non c'era niente tra loro, se è questo che intende dire. Diedi un'occhiataccia a Ricori, ricordando benissimo che mi aveva detto che non c'erano parenti vivi di Peters. Ricori non parve per nulla imbarazzato.
— Dov'è adesso Martin, McCann? — chiese. — Su in Canada, l'ultima volta che ne ho sentito parlare — rispose McCann. — Vuoi che lo scovi? — Te lo farò sapere più tardi — disse Ricori, e McCann tornò nel vestibolo. — Martin per lei è un amico o un nemico? — chiesi a Ricori. — Né l'uno né l'altro — rispose. Rimasi in silenzio per alcuni istanti, rivolgendo nella mente le sbalorditive informazioni date da McCann. La connessione che avevo vagamente sperato di trovare nella presunta vicinanza delle abitazioni di Peters e della donna era stata annullata, ma McCann l'aveva sostituita con una più forte. Hortense Darnley era morta il 12 ottobre, e Peters il 10 novembre. In che data Peters aveva visto la donna per l'ultima volta? Se il morbo misterioso era causato da qualche organismo sconosciuto, naturalmente nessuno era in grado di affermare quale fosse il suo periodo di incubazione. Forse Peters era stato infettato dalla Darnley? Alla fine dissi: — Ricori, stasera ho constatato per due volte che lei mi ha ingannato a proposito di Peters. Ho intenzione di passarci sopra, poiché non credo che lo farà ancora. E ho anche intenzione di fidarmi di lei, al punto di infrangere il segreto professionale. Legga queste lettere. Gli diedi le risposte al mio questionario. Lui le scorse in silenzio, e quando ebbe finito gli riferii tutto quello che il dottor Y. mi aveva detto sul caso Darnley. Aggiunsi anche i particolari delle autopsie, compresi i minuscoli globi luminosi nel sangue di Peters. A questo punto Ricori divenne bianco in volto e si fece il segno della croce. — La strega! — mormorò in italiano. — La strega! Il fuoco della strega! — Sciocchezze, caro mio! — replicai. — Dimentichi le sue maledette superstizioni! Io voglio aiutarla. — Lei ha l'ignoranza scientifica! Ci sono certe cose, dottor Lowell... — cominciò accalorandosi; poi si dominò. — Che cosa vuole che faccia? — In primo luogo — risposi — esaminiamo questi otto casi, analizziamoli. Braile, lei è giunto a qualche conclusione? — Sì — rispose Braile. — Credo che tutte e otto quelle persone siano state assassinate! III. La morte e l'infermiera Walters
Mi irritò il fatto che Braile avesse dato forma verbale al pensiero che stava celato nella mia mente, e per di più, per quanto ne sapeva, senza un briciolo di prova a suo sostegno. — Lei è più bravo di me, Sherlock Holmes! — commentai con sarcasmo. Braile arrossi, ma ripeté ostinatamente: — Sono state assassinate. — La strega! — mormorò Ricori. Gli lanciai un'occhiataccia. — Smetti di menare il can per l'aia, Braile. Che prova hai? — Lei è stato lontano da Peters almeno due ore; io sono rimasto con lui praticamente dall'inizio alla fine. Mentre lo esaminavo, ebbi la sensazione che l'intero guasto stesse nella mente, che non fossero il corpo, i nervi, il cervello, a rifiutarsi di funzionare, ma la volontà. E c'è di più. Oserei dire che la sua volontà aveva cessato di preoccuparsi del buon funzionamento del corpo, ed era tesa a ucciderlo! — Quello che sta descrivendo non è assassinio, ma suicidio. Certo, è già accaduto: ho visto alcuni morire perché avevano perso la volontà di vivere... — Non intendevo così — interruppe Braile. — Quello è un atteggiamento passivo. Nel caso di Peters era attivo... — Dio buono, Braile! — Francamente ero sbigottito. — Non vorrà dirmi che, secondo lei, tutte e otto quelle persone sono passate a miglior vita solo desiderandolo? Una di loro era soltanto una ragazzina di undici anni! — Non ho detto questo — replicò Braile. — La sensazione che ho avuto era che non fosse esattamente la volontà di Peters a comportarsi così, ma quella di un altro: una volontà che aveva sopraffatto la sua, le si era avvolta intorno, l'aveva compenetrata. La volontà di un altro, alla quale Peters non poté, o non volle, resistere: almeno verso la fine. — La maledetta strega! — bisbigliò di nuovo Ricori. Dominai la mia irritazione e mi misi a riflettere: dopotutto, avevo il massimo rispetto per Braile. Era troppo bravo e sensato perché si potesse respingere a priori qualsiasi ipotesi da lui espressa. — Ha qualche idea sul modo in cui questi assassinii, se di assassinii si tratta, sarebbero stati compiuti? — chiesi cortesemente. — Neanche la più pallida — rispose Braile. — Esaminiamo l'ipotesi dell'assassinio. Ricori, lei ha più esperienza di noi in questo campo, perciò ascolti attentamente e dimentichi la sua strega — dissi con una certa brutalità. — In ogni assassinio si trovano tre fattori essenziali: modo, occasione, movente. Esaminiamoli nell'ordine. Primo: il
modo. Ci sono tre vie attraverso le quali una persona può essere uccisa mediante veleno o infezione: naso (quindi anche con i gas), bocca e pelle. Ci sarebbero altre due o tre vie: leggiamo, per esempio, che il padre di Amleto fu avvelenato attraverso gli orecchi, benché io abbia sempre avuto dei dubbi in proposito. Per seguire l'ipotesi di un assassinio, credo che dobbiamo escludere tutte le vie d'accesso tranne bocca naso e pelle; per quanto riguarda quest'ultima, poi, l'introduzione nel sangue può avvenire mediante assorbimento o penetrazione. C'era una qualunque prova di qualcosa del genere sulla pelle, sulle mucose dei canali respiratori, nella gola, nei visceri, nello stomaco, sangue, sistema nervoso, encefalo? — Sa bene che non c'era — rispose Ricori. — Proprio così. Perciò, a parte gli enigmatici globuli illuminati, non c'è assolutamente alcuna prova relativa al modo: quindi non possediamo assolutamente nulla per quanto riguarda il fattore numero uno su cui basare l'ipotesi di assassinio. Passiamo al numero due: l'occasione. Abbiamo una donna di facili costumi, un gangster, una zitella rispettabile, un muratore, una scolaretta di undici anni, un banchiere, un acrobata, e un trapezista. Bisogna riconoscere che questo è un gruppo quanto mai eterogeneo. Per quel che ne sappiamo nessuna di queste persone ha qualcosa in comune, eccetto eventualmente i due uomini del circo, e Peters e la Darnley. Uno che avesse avuto l'occasione di entrare in rapporti abbastanza stretti con Peters, da riuscire a ucciderlo, come avrebbe potuto avere l'occasione di fare altrettanto con Ruth Bailey? L'uno appartenente all'ambiente del contrabbando di liquori e l'altra una zitella dell'alta società? E qualcuno che avesse trovato il modo di avvicinare il banchiere Marshall, che contatto poteva avere con l'acrobata Standish? E così via... Comprende la difficoltà? La somministrazione della sostanza ignota che causò la morte, sempre che si sia trattato di assassinio, non poteva essere affidata al caso: richiedeva un certo grado di intimità. È d'accordo? — In parte — concesse Ricori. — Se gli indirizzi di quelle persone si trovassero tutti nella stessa zona, potremmo presumere che esse siano entrate per motivi naturalissimi nel campo d'azione dell'ipotetico assassino. Ma invece non... — Mi scusi, dottor Lowell — interruppe Ricori. — Supponiamo che quelle persone avessero un interesse comune che le abbia portate in tale campo d'azione. — Ma quale interesse in comune poteva esserci, in un gruppo così eterogeneo?
— Uno lo si deduce chiaramente da quelle relazioni e da quanto ci ha riferito McCann. — Che cosa intende dire, Ricori? — Bambini — rispose. — O almeno ragazzini. Braile annui. — Me n'ero accorto. — Consideri le relazioni — continuò Ricori. — La signorina Bailey è descritta come caritatevole e affezionata ai bambini. Le sue opere di carità, presumibilmente, consistevano in assistenza all'infanzia. Anche Marshall, il banchiere, era interessato a questi problemi. Il muratore, l'acrobata, e il trapezista avevano bambini. Anita era una bambina. Peters e la Darnley, per usare l'espressione di McCann, «andavano matti» per una bambina. — Ma — obiettai — se si tratta di assassinii devono essere opera della stessa mano. Non è materialmente possibile che tutti e otto fossero interessati a un unico neonato, un unico bambino, o un unico gruppo di bambini. — Verissimo — disse Braile. — Però potevano essere tutti interessati, in particolare, a un oggetto che ritenevano utile o dilettevole per il bambino o i bambini cui erano affezionati. E può darsi che questo particolare oggetto fosse reperibile soltanto in un luogo. Se riusciamo a scoprire che è proprio così, questo luogo richiede senz'altro un'indagine.. — Nessun dubbio — replicai — che valga la pena di dargli un'occhiata. Tuttavia mi sembra che l'ipotesi di un interesse in comune possa funzionare anche in senso opposto. Le abitazioni di quei morti, cioè, possono avere avuto tutte qualcosa che rientrava nel campo di attività di una determinata persona. L'assassino, ad esempio, potrebbe essere un radioriparatore. O un idraulico. O un esattore, un elettricista, e così via. Braile alzò le spalle. Ricori non rispose: era profondamente assorto nei suoi pensieri, forse non mi aveva udito. — Scusi, Ricori — dissi. — Stia a sentire. Siamo giunti a stabilire questo. Modo di esecuzione dell'assassinio, sempre che di assassinio si tratti: sconosciuto. Occasione di uccidere: trovare una persona la cui attività, professione, o altra cosa, costituisse un motivo d'interesse per ciascuno di quegli otto, e che essi visitassero o da cui ricevessero visita; tale attività, se possibile, dovrebbe avere a che fare in qualche modo con bambini o ragazzini. Veniamo ora al movente. Vendetta, lucro, amore, odio, gelosia, legittima difesa... Nessuno di questi sembra adattarsi al caso, perché, ancora una volta urtiamo contro l'ostacolo della diversa condizione sociale. — E la soddisfazione di una bramosia di morte? — suggerì Braile con una voce strana. — Questo per lei non sarebbe un movente? — Ricori irri-
gidì la schiena e lo fissò con una singolare attenzione; poi si rilassò di nuovo, ma mi accorsi che rimaneva vigile. — Ero sul punto di esaminare la possibilità di un maniaco omicida — dissi, un po' impermalito. — Non è esattamente quello che intendo. Ricordi i versi di Longfellow? Nell'aria ho lanciato uno strale, Non so dove a terra ricadde. Non ho mai accettato l'idea che questo fosse uno squarcio poetico ispirato e riferito all'invio di un mercantile in qualche porto sconosciuto e all'attesa del suo ritorno con un carico a sorpresa di avorio, pavoni, scimmie, e pietre preziose. Ci sono delle persone che non possono stare in cima a un grattacielo, né davanti a una finestra che domina una strada piena di traffico, senza provare il desiderio impellente di gettare giù qualcosa: provano un fremito di piacere chiedendosi chi o che cosa ne sarà colpito. È una sensazione di potere: un po' come essere Dio e rovesciare un flagello, indiscriminatamente, sui giusti e sugli iniqui. Longfellow deve essere stato come quelle persone. In cuor suo provava il desiderio di lanciare una freccia autentica e poi rimuginare nella fantasia se era caduta nell'occhio di qualcuno, o aveva colpito un cuore, oppure semplicemente, mancato un bersaglio umano, aveva trafitto un cane randagio. Spingiamo la cosa un po' più in là. Diamo a uno di costoro la possibilità e l'occasione di seminare la morte a casaccio, con la certezza che la causa non può essere scoperta. Costui rimane rintanato al sicuro, simile a un dio di morte. Forse non ha neppure una particolare intenzione malevola contro questo o quello: è una cosa del tutto impersonale. Semplicemente, lancia le sue frecce nell'aria, come l'arciere di Longfellow, per il solo gusto di farlo. — E uno così, lei non lo chiamerebbe maniaco omicida? —. chiesi, asciutto asciutto. — Non necessariamente. Lo giudicherei soltanto privo di inibizioni contro l'atto dell'assassinio. Potrebbe non avere la minima consapevolezza di commettere un atto illecito. Noi tutti giungiamo su questa terra con una sentenza di morte, ma ignorando il momento e metodo dell'esecuzione. Bene, il nostro assassino potrebbe ritenere di far parte della natura come la morte stessa. Nessuno di quelli che credono che gli eventi del mondo sono governati da un Dio onnisciente e onnipotente. Lo giudica un maniaco omicida: eppure semina guerre, flagelli, infelicità, malattie, inondazioni, ter-
remoti, sia sui credenti che sui miscredenti. Se tu ritenessi che gli eventi sono nelle mani di ciò che viene vagamente definito Fato, chiameresti il Fato un maniaco omicida? — Il suo ipotetico arciere — replicai — lancia una freccia particolarmente sgradevole, Braile. Inoltre la conversazione si sta facendo fin troppo metafisica per un semplice scienziato come me. Ricori, io non posso riferire questa faccenda alla polizia. Mi ascolterebbero educatamente, e una volta che me ne fossi andato riderebbero di gusto. Se esponessi alle autorità mediche tutto ciò che ho in mente, quelle deplorerebbero il declino di un intelletto fino a ieri onorato. Inoltre, preferirei non mettere di mezzo un'agenzia di investigazioni private per la prosecuzione delle indagini. — Cosa desidera che faccia? — chiese Ricori. — Lei possiede delle risorse fuori del comune — risposi. — Desidero che lei passi al setaccio ogni movimento di Peters e di Hortense Darnley negli ultimi due mesi, e che faccia lo stesso, fin dove possibile, per gli altri sei casi... — Esitai un istante. — Desidero che lei scopra il posto dove ciascuno di quei poveretti fu attirato a causa del proprio amore verso i bambini. Benché la ragione mi dice che lei e Braile non avete la minima prova concreta su cui basare i vostri sospetti, le confesso a malincuore di avere la sensazione che abbiate ragione voi. — Lei fa dei progressi, dottor Lowell — commentò Ricori in tono cerimonioso. — Prevedo che fra non molto ammetterà, altrettanto a malincuore, la mia ipotesi della strega. — Con la mia attuale credulità mi sono abbassato a tal punto — replicai — che non negherei neppure questo. Ricori scoppiò a ridere, e poi si affrettò a copiare i dati essenziali dalle relazioni dei medici. Suonarono le dieci. McCann venne di sopra per dire che l'auto era pronta, e Braile e io accompagnammo Ricori alla porta. Era già sui gradini quando mi venne in mente una cosa. — Da chi comincerà, Ricori? — Dalla sorella di Peters. — E questa sa che Peters è morto? — No — rispose Ricori con riluttanza. — Crede che sia via. Lui stava spesso lontano per lunghi periodi e, per motivi che sua sorella sa benissimo, non poteva comunicare con lei direttamente. In questi casi la tenevo informata io. La ragione per cui non le ho ancora detto della morte di Peters è che lei gli voleva un gran bene, e ne sarebbe molto addolorata... E poi, fra un mese o giù di lì, avrà un altro bambino.
— Ed è al corrente della morte della Darnley? — Non lo so. È probabile, benché a quanto pare McCann non lo sappia ancora. — Be', non so come farà lei, Ricori, a tenerle nascosta più a lungo la morte di Peters — dissi. — Ma questo è affar suo. — Per l'appunto — replicò, e raggiunse McCann nell'auto. Braile e io non eravamo ancora tornati in biblioteca che il telefono si mise a squillare. Rispose Braile. Lo sentii imprecare, e vidi che la mano che reggeva il ricevitore tremava. — Veniamo subito — disse. Depose lentamente il ricevitore, poi si voltò verso di me col volto contratto. — L'infermiera Walters l'ha presa anche lei! . Avvertii un chiaro tuffo al cuore. La Walters non solo era un'infermiera perfetta, come ho già detto, ma anche una giovane donna davvero assai attraente. Sì, spiccatamente attraente: un tipo gaelico puro, con capelli di un nero brunito, occhi azzurri con ciglia straordinariamente lunghe, e pelle d'un bianco-latte. Dopo un attimo o due di silenzio dissi: — Bene, Braile: la tua accuratissima argomentazione se ne va a pallino, e così pure la tua ipotesi di assassinio. Dalla Darnley a Peters alla Walters. Non c'è più dubbio che abbiamo a che fare con qualche malattia infettiva. — Davvero? — replicò Braile con la faccia scura. — Non sono pronto ad ammetterlo. Per un caso, so che la Walters spende quasi tutti i suoi soldi per una nipotina inferma che vive con lei, una bambina di otto anni. L'ipotesi di Ricori, quella dell'interesse comune, si adatta anche a lei. — Ciononostante — dissi con la faccia altrettanto scura — intendo controllare che sia presa ogni precauzione contro un'eventuale malattia infettiva. Il tempo di metterci cappotto e cappello, e la mia auto ci attendeva già. L'ospedale distava solo due isolati, ma non volevo perdere un solo istante. Ordinai che la Walters fosse trasferita in un padiglione di isolamento, usato per l'osservazione di malattie sospette. La esaminai, riscontrando l'identica inerzia delle membra che avevo osservato nel caso Peters. Però vidi che occhi e volto, diversamente da Peters, mostravano ben poco terrore. C'era orrore, e una grande ripugnanza: ma niente panico. Anche lei mi diede l'impressione che guardasse verso l'esterno e l'interno al tempo stesso. Mentre l'osservavo scorsi con chiarezza, nei suoi occhi, un barlume, come se mi avesse riconosciuto e mi rivolgesse un muto appello. Gettai un'oc-
chiata a Braile, che annui: anche lui l'aveva visto. Le ispezionai il corpo centimetro per centimetro. Non c'era alcun segno, tranne una macchia rosea sul tarso del piede destro. Un esame più attento mi fece ritenere che si fosse trattato di una lesione superficiale, come un'irritazione o una piccola bruciatura o scottatura. Se lesione era stata, a ogni modo, era guarita del tutto; infatti la pelle era intatta. Per il resto, il suo caso era identico a quello di Peters e degli altri. L'infermiera mi riferì che la Walters era crollata a terra d'improvviso mentre si cambiava per andare a casa. Un'esclamazione di Braile interruppe le mie indagini: mi girai verso il letto e vidi che la mano della Walters si sollevava lentamente, tremando come se quel suo movimento fosse dovuto a un enorme sforzo di volontà. L'indice era semiteso: seguii la sua direzione, che conduceva alla macchia sul piede destro. E quindi vidi gli occhi della donna mettersi a fuoco su quel punto, grazie al medesimo enorme sforzo di volontà. Ma lo sforzo fu troppo grande: la mano ricadde, gli occhi tornarono due pozze d'orrore. Era chiaro comunque che aveva cercato di trasmetterci un messaggio, qualcosa che aveva a che fare con la lesione guarita. Chiesi all'infermiera se la Walters avesse parlato di una ferita al piede: rispose che a lei non aveva detto nulla e che non ne aveva sentito parlare dalle altre colleghe. L'infermiera Robbins, a ogni modo, divideva l'appartamento con Harriet e Diana. Chiesi chi fosse Diana, e lei spiegò che si trattava della nipotina della Walters. Quella notte la Robbins era in turno di riposo, mi dissero; perciò diedi istruzioni affinché si mettesse in contatto con me appena rientrava. Nel frattempo Hoskins stava effettuando i prelievi per gli esami del sangue. Lo pregai di eseguire per prime le prove al microscopio, e di avvisarmi immediatamente se avesse scoperto dei globuli luminosi. Nell'ospedale si trovavano per caso Bartano, un eminente esperto di malattie tropicali, e Somers, uno specialista in patologia cerebrale in cui riponevo molta fiducia. Li feci venire per un consulto, senza far cenno ai casi precedenti. Mentre stavano esaminando la Walters, Hoskins telefonò per informarmi che aveva isolato uno dei globuli illuminati: allora li pregai di andare da Hoskins e riferirmi il loro parere su quello che egli avrebbe mostrato. Dopo non molto tornarono, un po' seccati e perplessi. Hoskins, disse, aveva parlato di un «leucocita che conteneva un nucleo fosforescente». Loro avevano guardato il vetrino ma non erano riusciti a trovarlo. Somers, con molta serietà mi consigliò di insistere affinché Hoskins si facesse esa-
minare la vista; Bartano osservò sarcasticamente che l'avrebbe stupito, di trovare una cosa del genere, stupito come se avesse visto una sirena in miniatura che nuotava lungo un'arteria. Questi commenti mi confermarono la saggezza del mio silenzio. I cambiamenti che mi attendevo nell'espressione della Walters non sopraggiunsero. Persistevano l'orrore e la ripugnanza: Bartano e Somers li definirono «insoliti», e diagnosticarono entrambi che tale condizione doveva dipendere da qualche lesione cerebrale. Non ritenevano esistesse alcuna prova né di infezione virale né di assunzione di droghe o veleno. Ammisero che si trattava di un caso interessantissimo, mi pregarono di tenerli al corrente degli sviluppi e dell'esito, e se ne andarono. All'inizio della quarta ora ci fu un cambiamento nella espressione; ma non quello che aspettavo. Ora negli occhi e nel volto della Walters c'era solo ripugnanza. Mi parve a un certo punto di scorgerle sul viso un guizzo di quella tal brama diabolica; ma, se così fu, venne rapidamente dominato. A metà circa della quarta ora vedemmo tornare negli occhi un lampo di conoscenza; al tempo stesso il cuore, che batteva sempre più piano, ebbe una ripresa sensibile. Avvertii che si stava accumulando una notevole quantità di energia nervosa. Ed ecco che le palpebre presero a sollevarsi e ricadere: lentamente, come in virtù di uno sforzo colossale. Il movimento era ritmico. E intenzionale. Si alzarono e abbassarono quattro volte; poi ci fu una pausa; poi salirono e scesero nove volte; di nuovo una pausa, quindi si chiusero e riaprirono una volta. E da capo... — Sta cercando di comunicare — bisbigliò Braile. — Ma che cosa? Le palpebre dalle lunghe ciglia si sollevarono e ricaddero di nuovo. Quattro volte. Pausa. Nove volte. Pausa. Una volta... — Sta morendo — mormorò Braile. Mi inginocchiai, lo stetoscopio già infilato negli orecchi. Più lento... più lento il battito del cuore... ancora più lento. .. e si fermò. — È morta — dissi, e mi rialzai. Ci chinammo su di lei, aspettando quell'ultimo orribile spasmo o convulso, o quel che era. Non venne. Sul volto morto era impressa la ripugnanza, e soltanto quella. Nessuna traccia della gioia demoniaca. Né dalle labbra morte uscì alcun suono. Toccando il braccio bianco sentii che cominciava a irrigidirsi. La morte sconosciuta aveva ucciso l'infermiera Walters: non c'era alcun dubbio. Ma non so bene come, in modo oscuro e vago, sentii che non l'aveva sconfitta.
Il corpo, sì; ma non la volontà! IV. La «cosa» nell'auto di Ricori Tornai a casa con Braile, profondamente depresso. È difficile descrivere l'effetto che questa serie di fatti ebbe sulla mia mente, dal principio alla fine, e dopo. Era come se mi muovessi quasi costantemente nell'ombra di un mondo estraneo, con i nervi disturbati dall'impressione di una sorveglianza da parte di cose invisibili appartenenti a una vita diversa dalla nostra, mentre il subcosciente, facendosi strada fino alla soglia del mio io cosciente, batteva alla porta di comunicazione e mi gridava di stare in guardia, di stare in guardia ogni istante. Frasi strane per un medico ligio ai precetti classici? Accettatele per quel che valgono. Braile era così penosamente scosso che mi chiesi se c'era stato qualcosa di più di un interesse professionale, tra lui e la ragazza morta. Se c'era stato, Braile non me lo confidò. Erano quasi le quattro del mattino quando arrivammo a casa mia, e insistetti perché Braile rimanesse con me. Prima di andare a letto chiamai l'ospedale, ma l'infermiera Robbins non si era fatta viva. Dormii poche ore, e malissimo. Poco dopo le nove la Robbins mi chiamò al telefono. Era quasi isterica per l'angoscia. La pregai di venire nel mio studio, e quando fu arrivata Braile e io l'interrogammo. — Circa tre settimane fa — disse — Harriet portò a casa per sua nipote Diana una graziosissima bambola. La bambina rimase incantata. Chiesi a Harriet dove l'avesse presa, e lei mi rispose: «In una curiosa botteguccia, nella città bassa». «"Sai, Job? " mi disse (il mio nome è Jobina) "c'è lì la donna più strana che abbia mai visto. Ho quasi paura di lei, Job." «Non prestai molta attenzione a queste parole. Inoltre, Harriet era alquanto riservata: ebbi l'impressione che si fosse un po' pentita di avermi detto quelle cose. «Tuttavia, ora che ci penso, da allora Harriet si comportò in un modo piuttosto curioso. Un momento era allegra, e il momento dopo era... be', diciamo pensierosa. Circa dieci giorni fa tornò a casa con un piede fasciato. Il piede destro? Sì. Disse che stava bevendo il tè con la donna dalla quale aveva preso la bambola di Diana. La teiera si era rovesciata e il tè bollente le era caduto sul piede. Subito la donna le aveva messo un un-
guento, e ormai la scottatura non le doleva neanche un po'. "Ma penso che ci metterò qualcosa che conosco" mi disse. «Quindi si sfilò la calza e cominciò a togliersi la fasciatura. Io ero andata in cucina, e lei mi gridò di correre a vedere il piede. "È strano," disse "era una brutta scottatura, Job. Tuttavia è praticamente guarita. E quell'unguento non è rimasto su più di un'ora." «Guardai il piede. C'era una grossa chiazza rossa all'altezza del tarso. Ma la pelle non era ulcerata, per cui le dissi che il tè non poteva essere stato bollente. "Ma mi sono scottata davvero, Job" mi disse. "Voglio dire che c'era la vescica." Rimase seduta per un bel po' a guardare la benda e il piede. L'unguento era bluastro e aveva una strana luminosità. Non avevo mai visto niente di simile prima d'allora. No, non avvertii alcun odore. Harriet abbassò la mano, prese la benda, e disse: "Job, gettala nel fuoco." «Gettai la benda nel fuoco. Ricordo che fece uno strano tremolio. Non sembrò bruciare: semplicemente tremolò... e poi non c'era più. Harriet l'osservò e impallidì un poco, quindi si guardò di nuovo il piede. «"Job," mi disse "non ho mai visto nulla guarire tanto in fretta. Quella donna deve essere una strega! " «"Che diamine dici, Harriet? " le chiesi. «"Oh, niente" rispose. "Soltanto vorrei avere il coraggio di squarciarmi il piede in quel punto... e frizionarvi sopra un antidoto contro i morsi di serpente! " Poi rise, e pensai che avesse scherzato. Ma lo pennellò con tintura di iodio e in più lo fasciò mettendo un antisettico. Il mattino seguente mi svegliò e disse: "Guarda adesso questo piede. Ieri gli si è rovesciata sopra una teiera piena di tè bollente, e ora non mi duole neanche un po'. E la pelle dovrebbe essere tutta ustionata. In nome di Dio, Job, vorrei che lo fosse! " «È tutto, dottor Lowell. Non disse altro sulla faccenda, e neppure io. Sembrò proprio dimenticarla completamente. Sì, le chiesi dov'era il negozio e chi era la donna, ma non me lo volle dire. Non so perché. «Dopo di ciò fu allegra e spensierata come non l'avevo mai vista. Felice, noncurante... Oh, perché è morta, perché? Non capisco, non capisco.» Braile chiese: — Le cifre 491 le dicono qualcosa, Robbins? Le può collegare a qualche indirizzo che Harriet conosceva? La donna rifletté, quindi scosse il capo. Le parlai degli occhi che la Walters apriva e chiudeva ritmicamente. — È chiaro che cercava di trasmettere un messaggio in cui comparivano queste cifre. Ci pensi ancora. D'improvviso raddrizzò la schiena e prese a contare sulle dita. Annui.
— Non avrà tentato di sillabare qualcosa? Se fossero lettere corrisponderebbero a d, i, e a. Sono le prime tre lettere del nome di Diana. Era la spiegazione più naturale. Poteva darsi che la Walters avesse cercato di chiederci di aver cura della bambina. Lo suggerii a Braile, ma lui scosse il capo. — Sapeva che l'avrei fatto io — disse. — No, era qualcos'altro. Poco dopo che la Robbins se ne fu andata telefonò Ricori. Gli comunicai la morte della Walters: rimase molto commosso. Quindi ci fu il triste compito dell'autopsia. Il risultato fu tale e quale come in quella di Peters: non c'era assolutamente nulla che indicasse perché la ragazza era morta. Verso le quattro dell'indomani Ricori mi chiamò di nuovo al telefono. — Dottor Lowell, sarà a casa tra le sei e le nove? — Nella sua voce c'era un'ansia trattenuta. — Se è cosa importante, senz'altro — risposi, dopo aver consultato l'agenda degli appuntamenti. — Ha scoperto qualcosa, Ricori? Esitò. — Non so. Credo forse... di sì. Non tentai neppure, da parte mia, di nascondere l'ansia. — Vuol dire... l'ipotetico luogo di cui abbiamo parlato? — Forse. Lo saprò più tardi. Ora vado dove può darsi che sia. — Mi dica, Ricori: che cosa si aspetta di trovare? — Bambole! — rispose. E come per evitare ulteriori domande riappese prima che potessi parlare. Bambole! Rimasi lì a riflettere. La Walters aveva comprato una bambola, e nello stesso luogo sconosciuto dove era avvenuto l'acquisto aveva subito l'infortunio di cui si era tanto preoccupata; o piuttosto, del cui seguito innaturale si era tanto preoccupata. Dopo il racconto della Robbins, ero certo che la Walters avesse attribuito l'attacco a quell'infortunio, e che avesse tentato di dircelo. Non ci eravamo sbagliati nella nostra interpretazione, che ho riferito sopra, di quel primo disperato sforzo di volontà. Poteva darsi, naturalmente, che la ragazza fosse in errore. Forse la scottatura, o piuttosto l'unguento, non aveva avuto assolutamente niente a che fare col suo stato. Tuttavia la Walters si era occupata moltissimo di una bambina. I bambini erano l'interesse comune a tutti quelli che erano morti come lei. E senza dubbio l'unico grande interesse comune ai bambini sono le bambole. Che cosa aveva scoperto, Ricori? Chiamai Braile, ma non lo trovai. Telefonai alla Robbins e le dissi di
portarmi subito la bambola. Lei lo fece. La bambola era particolarmente bella. Intagliata nel legno, e quindi ricoperta di gesso, sembrava stranamente viva. Aveva l'aspetto di una bambina e un visino da elfo. Il vestito, squisitamente ricamato, era il costume popolare di un paese che non riuscii a identificare. Era quasi un pezzo da museo, pensai. Difficilmente l'infermiera Walters avrebbe potuto pagarne il prezzo. Non aveva nessuna etichetta da cui si potessero riconoscere il fabbricante o il venditore. Dopo averla esaminata con molta cura la riposi in un cassetto, e attesi con impazienza di ricevere notizie da Ricori. Alle sette il campanello della porta suonò con uno squillo prolungato e imperioso. Aprendo l'uscio dello studio udii la voce di McCann nel vestibolo, e gli gridai di salire. Alla prima occhiata capii che qualcosa non andava. Il suo volto abbronzato e dalla bocca dura era d'un color giallo terreo, gli occhi avevano uno sguardo stupefatto. A labbra strette disse: — Venga giù alla macchina. Credo che il capo sia morto. — Morto! — esclamai, e in un soffio fui giù dalle scale e fuori, accanto all'auto. L'autista era in piedi vicino alla portiera. L'apri, e vidi Ricori pigiato in un angolo del sedile posteriore. Non riuscii ad avvertire alcuna pulsazione, e quando gli sollevai le palpebre gli occhi mi fissarono senza vedere. Tuttavia il corpo non era freddo. — Portatelo dentro — ordinai. McCann e l'autista lo portarono in casa e l'adagiarono sul lettino dell'ambulatorio. Gli denudai il petto e applicai lo stetoscopio: non captai il minimo battito, né il minimo movimento di respirazione. Feci alcune altre rapide prove. All'apparenza Ricori era proprio morto, e tuttavia... non ero convinto. Feci ciò che si fa di solito nei casi dubbi, ma senza risultato. McCann e l'autista mi stavano molto vicino, e mi lessero in volto il verdetto. Li vidi scambiarsi una strana occhiata e notai in entrambi un'evidente sfumatura di panico, più accentuata nell'autista che in McCann. Quest'ultimo chiese con voce piatta e uniforme: — Potrebbe essere stato veleno? — Sì, potrebbe. Mi interruppi. Veleno! E quella misteriosa commissione di cui Ricori mi aveva detto per telefono! E l'impossibilità che si trattasse di veleno negli altri casi! Ma quella morte (provai di nuovo il dubbio) non era stata come le precedenti. — McCann... — dissi. — Quando e dove si è accorto per la prima volta
che qualcosa non andava? Rispose, ancora con quella voce uniforme: — Per strada, a circa sei isolati da qui. Il capo era seduto accanto a me. Tutto di colpo dice «Gesù!», come spaventato. Si porta le mani al petto. Butta fuori una specie di gemito e si irrigidisce. Io gli dico: «Che c'è, capo, stai male?» Non mi risponde e poi quasi mi cade addosso e vedo che ha gli occhi sbarrati. Mi sembra morto. Allora grido a Paul di fermare la macchina e tutti e due lo esaminiamo. Poi filiamo qui di furia. Andai a un armadietto e versai due energici bicchieri di brandy. Ne avevano bisogno. Gettai un lenzuolo su Ricori. — Sedetevi — ordinai. — E lei, McCann, mi racconti per filo e per segno quello che è successo, dal momento in cui siete partiti col signor Ricori per il luogo in cui è andato. Non tralasci un solo particolare. McCann prese a dire: — Verso le due il capo va da Mollie, cioè la sorella di Peters; si ferma un'ora, esce, va a casa e dice a Paul di tornare alle quattro e mezzo. Ma fa un sacco di telefonate, così fino alle cinque non partiamo. Dice a Paul dove vuole andare, un posto in una stradetta giù vicino a Battery Park. Dice a Paul di non infilare la strada, ma di parcheggiare prima, vicino alla Battery. «E dice a me: "McCann, ho intenzione di andare lì da solo. Non voglio che sappiano che non sono da solo." Dice: "Ho i miei motivi. Tu gira intorno e ogni tanto da' un'occhiata dentro, ma non entrare a meno che io ti chiami." Io dico: "Capo, credi che sia prudente? " E lui: "So quello che faccio e tu fa' quello che ti dico". Così non c'era da discutere. «Arriviamo a quel posto e Paul fa come gli è stato detto, e il capo va su per la strada e si ferma davanti a una piccola bottega che ha in vetrina un mucchio di bambole. Io passo oltre e do un'occhiata dentro. Non c'è molta luce ma vedo un mucchio di altre bambole all'interno e una ragazza al banco. Mi sembra bianca come il ventre di un pesce, e il capo, dopo essere stato davanti alla vetrina per un po', entra, e io passo accanto adagio per guardare ancora la ragazza perché di sicuro sembra più bianca di tutte le ragazze che ho visto camminare con le proprie gambe. Il capo sta parlando alla ragazza che gli sta mostrando delle bambole. Quando passo davanti un'altra volta, nella bottega c'è una donna. È tanto grossa che mi fermo un attimo alla vetrina per guardarla perché non ho mai visto nessuno come lei. Ha una faccia scura e sembra quasi un cavallo, e ha dei baffetti e dei bitorzoli, ed è buffa da guardare come la ragazza bianca come un pesce. Grossa e grassa. Ma le vedo per un attimo gli occhi... Cribbio, che occhi! Grossi e
neri e brillanti, e per qualche motivo non mi piacciono proprio più del resto. La volta seguente che passo di lì, il capo è in un angolo con la grossa signora. Ha in mano un rotolo di banconote e vedo che la ragazza guarda quasi come spaventata. La volta successiva che faccio il mio giretto non vedo né il capo né la donna. «Allora mi fermo a guardare attraverso la vetrina perché non mi piace perdere di vista il capo in quella bottega. E la prima cosa che vedo è il capo che rientra dalla porta del retro. È più furioso dell'inferno e ha in mano qualcosa, e la donna è dietro di lui e i suoi occhi sputano fuoco. Il capo sta brontolando ma non posso sentire quello che dice, e la signora brontola anche lei e gli fa degli strani trucchi. Strani trucchi? Sì, degli strani movimenti con le mani. Ma il capo va verso la porta e quando è vicino vedo che si ficca nel cappotto quello che ha in mano e gli abbottona il cappotto intorno. «È una bambola. Vedo le gambe che dondolano giù prima che il capo la metta sotto il cappotto. E grossa anche, perché fa proprio un bel gonfio...» McCann si interruppe, cominciò automaticamente ad arrotolare una sigaretta, quindi lanciò un'occhiata al corpo coperto e la gettò via. Continuò: — Mai visto il capo così arrabbiato. Borbottava da solo in italiano e continuava a dire qualcosa che mi sembra strega. Vedo che non è il momento di parlare e allora cammino con lui e basta. «Una volta mi dice: "La Bibbia dice che non bisogna permettere a una strega di vivere" e lo dice più come parlando da solo che a me, se lei capisce quello che voglio dire. Poi continua a borbottare e tiene sempre un braccio fermo sopra quella bambola dentro al cappotto. «Arriviamo alla macchina e il capo dice a Paul di filare dritto da lei e all'inferno il traffico; giusto, eh, Paul? Sì. Quando saliamo in macchina il capo smette di borbottare e si mette lì tranquillo, senza dirmi niente finché lo sento dire "Gesù! ", come le ho detto. E questo è tutto, vero, Paul?» L'autista non rispose. Sedeva fissando McCann con una specie di supplica nello sguardo. Vidi distintamente McCann scuotere il capo. L'autista, con un accento marcatamente italiano, disse esitando: — Non ho visto il negozio, ma tutto il resto che McCann ha detto è vero. Mi alzai, avvicinandomi al corpo di Ricori. Stavo per sollevare il lenzuolo quando qualcosa attirò la mia attenzione. Una chiazza rossa grossa circa come un nichelino: una macchia di sangue. Tenendola ferma con un dito, sollevai con cautela l'orlo del lenzuolo. La macchia di sangue era esattamente all'altezza del cuore.
Presi una grossa lente e una sonda sottilissima. Attraverso la lente potei vedere sul petto di Ricori una minuscola puntura, non più grande di quella prodotta da una siringa ipodermica. Introdussi con cura la sonda. Scivolò dentro con facilità, finché toccò la parete del cuore. Non andai oltre. Uno strumento appuntito come un ago ed estremamente sottile era stato conficcato nel petto di Ricori, fin dentro il cuore! Guardai quell'uomo, dubbioso: non c'era alcun motivo perché una puntura tanto minuscola avesse dovuto provocare la morte. A meno che, naturalmente, l'arma che l'aveva prodotta fosse stata avvelenata, o ci fosse stato qualche altro violento shock che avesse rafforzato quello della ferita stessa. Ma in una persona iperemotiva come Ricori, questo o questi shock potevano benissimo aver causato un singolare stato mentale, producendo un'apparenza quasi perfetta di morte. Avevo sentito di simili casi. No, malgrado gli esami effettuati non ero sicuro che Ricori fosse morto. Ma non lo dissi a McCann. Vivo o morto, c'era un fatto sinistro che McCann doveva spiegare. Mi girai verso i due uomini, che mi stavano guardando attentamente. — Voi dite che nell'auto c'eravate soltanto voi tre? Di nuovo li vidi scambiarsi un'occhiata. — C'era una bambola — disse McCann in tono un po' provocante. Ignorai quella risposta, con impazienza. — Ripeto: c'eravate soltanto voi tre nell'auto? — Tre... uomini, sì. — Allora — continuai con voce dura — voi due dovete spiegare un mucchio di cose. Ricori è stato pugnalato. Dovrò chiamare la polizia. McCann si alzò in piedi e si avvicinò al corpo di Ricori. Raccolse la lente e osservò la minuscola puntura. Poi guardò l'autista, esclamando: — Te l'avevo detto che era stata la bambola, Paul! V. La «cosa» nell'auto di Ricori (continuazione) Sbigottito, dissi: — McCann, non si aspetterà certo che io creda a una cosa del genere, eh? McCann non rispose, e si arrotolò un'altra sigaretta che questa volta non gettò via. L'autista si avvicinò con passo malfermo al corpo di Ricori; si gettò in ginocchio e prese a litaniare preghiere intervallate da implorazioni. McCann, strano a dirsi, era tornato quello di prima. Era come se l'eliminazione dei dubbi relativi alla causa della morte di Ricori avesse ripristinato
tutta la sua fredda sicurezza abituale. Accese la sigaretta, e in tono quasi allegro disse: — Cerco di farglielo credere. Mi diressi al telefono. McCann mi balzò davanti e rimase con la schiena contro l'apparecchio. — Aspetti un momento, dottore. Se sono il tipo di verme che ficca un coltello nel cuore dell'uomo che mi ha assunto per proteggerlo... non le è passato per la mente che lei non è tanto al sicuro? Cosa impedisce a me e a Paul di farle la pelle e poi fuggire? Per essere sincero, questo non mi era venuto in mente. Ora mi resi conto in quale posizione davvero pericolosa mi trovassi. Guardai l'autista. Si era messo in piedi e stava lì, fissando intensamente McCann. — Vedo che capisce. — McCann sorrise, senza allegria. Si avvicinò all'italiano. — Passami le tue pistole, Paul. Senza una parola l'autista ficcò le mani in tasca e gli porse un paio di rivoltelle automatiche. McCann le appoggiò sul mio tavolo, poi portò la mano sotto il braccio sinistro e depose un'altra pistola accanto a quelle; mise la mano in tasca e ne aggiunse una quarta. — Sieda lì, dottore — disse, e indicò la mia sedia davanti al tavolo. — Questa è tutta la nostra artiglieria. Metta le mani sulle pistole. Se facciamo qualche irregolarità, spari. Le chiedo solo di non fare nessuna telefonata prima di avere ascoltato. Mi sedetti, avvicinando a me le rivoltelle automatiche ed esaminandole per assicurarmi che fossero cariche. Lo erano. — Dottore... — disse McCann. — Ci sono tre cose che deve considerare. Primo, se c'entravo in qualche modo con quella macchia di sangue, le darei un'occasione simile? Secondo, io ero seduto alla destra del capo. Lui aveva addosso un cappotto pesante. Come potevo sporgermi e far passare qualcosa di sottile, come dev'essere stato quello che l'ha ucciso, attraverso il cappotto, e attraverso la bambola, e attraverso i vestiti, e attraverso lui senza che lui non muovesse neanche un dito per difendersi? Diavolo, Ricori era un uomo forte. Paul ci avrebbe visti... — Che differenza farebbe questo — lo interruppi — se Paul fosse un complice? — Giusto — ammise McCann. — È così. Paul è impantanato come me. Non è così, Paul? — Diede un'occhiata penetrante all'autista, che annui. — Bene, mettiamo da parte l'argomento con un punto interrogativo. Prenda il terzo argomento: se avevo ucciso il capo a quel modo, e Paul era d'accordo con me, lo portavamo dall'unico uomo che poteva capire come era stato
ucciso? E poi quando lei l'ha scoperto, come c'era da aspettarsi, le davamo un alibi come questo? Cristo, dottore, non sono così pazzo! Il volto gli si contrasse. — Che motivo potevo avere di ucciderlo? Sarei andato all'inferno e ritorno, per lui; e lui lo sapeva. Lo stesso avrebbe fatto Paul. Riconobbi la validità di quelle argomentazioni. Nel mio profondo ero conscio di una tenace convinzione: che McCann stesse dicendo la verità, o almeno la verità come lui la vedeva. Non aveva pugnalato lui Ricori, tuttavia attribuire quell'azione a una bambola era troppo fantastico. E nell'auto c'erano soltanto quei tre uomini. McCann mi stava leggendo i pensieri con una precisione misteriosa. — Potrebbe essere stata una di quelle bambole meccaniche — disse. — Costruita per pugnalare. Era una spiegazione razionale. — McCann, scenda e me la porti su — dissi bruscamente. — Non c'è più — replicò McCann, e di nuovo mi sorrise senza allegria. — È saltata fuori! — È assurdo... — cominciai. L'autista mi interruppe. — È vero. Qualcosa è saltato fuori quando ho aperto la porta. Io penso a un gatto; un cane, forse. Dico «Cosa diavolo...» poi la vedo. Corre come una furia. Si curva. Si abbassa improvvisamente nell'ombra. La vedo ancora per un istante e poi più. Dico a McCann: «Cosa diavolo...» McCann sta frugando sul pavimento. Mi fa: «È la bambola. Ha spacciato il capo!». Io gli faccio: «Bambola! Cosa vuoi dire con "bambola"?». Lui me lo dice. Prima non sapevo di nessuna bambola. Avevo visto, sì, che il capo portava qualcosa nel cappotto; ma non sapevo che cosa. Ma ho visto, sì, un maledetto affare, che non sembra un gatto o un cane. Salta fuori dell'auto, attraverso le mie gambe. Dissi ironicamente: — Lei ritiene, McCann, che quella bambola meccanica fosse congegnata in modo da correre via, oltre che pugnalare? McCann arrossi, ma rispose con calma: — Non sto dicendo che era una bambola meccanica. Ma qualunque altra cosa sarebbe... be', abbastanza pazzesca, non è vero? — McCann, che cosa vuole che faccia? — gli chiesi di colpo. — Dottore, quando stavo in Arizona capitò che un ranchero morì. Morì d'improvviso. C'era un taglialegna che sembrava che c'entrasse un bel po'. Lo sceriffo dice: «Hombre, non penso che l'hai fatto tu, ma la giuria sono solo io. Che cosa dici?» L'hombre dice: «Sceriffo, lei mi dà due settimane,
e se non porto qui l'uomo che l'ha fatto, mi impicca». Lo sceriffo dice: «Abbastanza onesto. Il verdetto provvisorio è morte per shock». Ed era proprio shock, no? Shock da pallottola. Benissimo, prima della fine delle due settimane arriva questo taglialegna con l'assassino legato alla sella come un maiale. — Capisco quello che intende, McCann. Ma qui non siamo in Arizona. — Lo so. Ma non potrebbe certificare che era mal di cuore? Provvisoriamente? E darmi una settimana? Se poi non ci riesco, spari le sue cartucce. Non scapperò. La cosa sta così, dottore: se lei spiffera tutto ai piedipiatti, tanto vale che prenda una di quelle pistole e ci faccia fuori subito me e Paul. Se raccontiamo della bambola, quelli crepano dal ridere e ci mandano a friggere a Sing Sing. Se non parliamo, ci mandano lo stesso. Se per miracolo i piedipiatti ci lasciano andare... tra gli amici del capo c'è chi provvederà a rimediare. Le dico, dottore, che ucciderà due innocenti. E quel che è peggio, non scoprirà mai chi ha ucciso il capo, perché quelli non andranno a cercare più in là di noi. Perché dovrebbero? Una nube di sospetto si addensò intorno alla mia convinzione dell'innocenza di quei due. La proposta, benché apparisse ingenua, era ingegnosa. Se l'approvavo, il gangster e l'autista avrebbero avuto tutta una settimana per fuggire, se questo era il loro piano. Se McCann non fosse tornato, e io avessi detto la verità sulla faccenda, sarei divenuto un complice dopo il fatto: in pratica, un correo. Se sostenevo di aver avuto soltanto qualche lieve sospetto, nel migliore dei casi venivo dichiarato colpevole di ignoranza della legge. Se i due venivano catturati, e svelavano il nostro accordo, di nuovo potevo essere accusato di complicità. Mi venne in mente che la consegna delle rivoltelle da parte di McCann era stata una mossa straordinariamente abile: non avrei potuto dire che il consenso mi era stato strappato con le minacce. Però, poteva anche essere soltanto una mossa astuta per conquistare la mia fiducia, per fiaccare la mia resistenza alla sua proposta. Come facevo a sapere che quei due non avevano ancora altre armi, pronte per l'uso se rifiutavo? Sforzandomi di trovare una via d'uscita dalla trappola, mi avvicinai a Ricori, e intanto, per precauzione, mi feci scivolare in tasca le rivoltelle automatiche. Mi chinai su Ricori. Il corpo era freddo, ma privo del gelo caratteristico della morte. Lo esaminai ancora, minuziosamente: e questa volta riuscii a cogliere una debolissima pulsazione del cuore. Una bolla prese a formarsi all'angolo delle labbra. Ricori era vivo. Rimasi chino su di lui, riflettendo più in fretta di quanto avessi mai fatto
prima di allora. Ricori viveva, benissimo: ma questo non eliminava il mio pericolo. Anzi lo accresceva. Perché se McCann l'aveva pugnalato, se quei due avevano agito in collusione, e ora venivano a sapere che il colpo non era riuscito, non avrebbero condotto a termine quello che avevano ritenuto già concluso? Con Ricori vivo e in grado di parlare e di accusarli... li aspettava una morte più sicura di quella comminata dalla legge, cioè la morte per ordine di Ricori e per mano dei suoi amici. E se avessero finito Ricori sarebbero stati costretti al tempo stesso a uccidere anche me. Rimanendo chinato feci scivolare una mano in tasca, strinsi una rivoltella, e quindi mi girai verso di loro con l'arma spianata. — Mani in alto! — esclamai. — Tutti e due! Sul volto di McCann apparve lo stupore, terrore su quello dell'autista. Ma le mani si alzarono. Dissi: — Non c'è alcun bisogno di quel piccolo e astuto accordo, McCann. Ricori non è morto. Quando sarà in grado di parlare spiegherà che cosa gli è accaduto. Non ero preparato all'effetto di quell'annuncio. Se McCann non era sincero, era un attore eccezionale. Il suo corpo allampanato s'irrigidì. Poche volte avevo visto un sollievo felice come quello stampato sul suo volto. Lacrime gli rigarono le guance abbronzate. L'autista cadde in ginocchio, singhiozzando e pregando. I miei sospetti furono spazzati via: impossibile che stesse recitando. Mi vergognai un po' di me stesso. — Può abbassare le mani, McCann — dissi, e feci scivolare di nuovo in tasca la rivoltella. — Vivrà? — chiese McCann con voce fioca. — Credo che abbia ogni probabilità — risposi. — Ne sono sicuro, purché non ci sia infezione. — Dio lo voglia! — mormorò McCann, ripetutamente. — Dio lo voglia! Proprio allora entrò Braile, e rimase a guardarci sbalordito. — Ricori è stato pugnalato — gli dissi. — Ti spiegherò più tardi tutta la faccenda. Una piccola puntura all'altezza del cuore, e che probabilmente l'ha trafitto. Risente soprattutto delle conseguenze dello shock, ma ora ne sta uscendo. Portalo su alla clinica e abbi cura di lui finché arrivo io. Gli riferii in breve quello che avevo fatto e suggerii il trattamento immediato da praticare a Ricori. Quando questi fu portato via mi rivolsi ai due gangster. — McCann... — dissi. — Non ho intenzione di dare spiegazioni. Non ora. Ma ecco le sue rivoltelle e quelle di Paul. Vi do la vostra opportunità.
McCann prese le rivoltelle, guardandomi con un curioso barlume negli occhi. — Non dico che non mi piacerebbe sapere cosa le ha preso, dottore — replicò. — Ma qualunque cosa lei fa, per me va bene: basta solo che faccia tornare il capo in salute. — C'è senza dubbio qualcuno che deve essere avvertito del suo stato — dissi. — Lascio a lei questo incarico. Tutto quello che so è che stava venendo da me. Ha avuto un attacco cardiaco in auto. Lei l'ha portato qui. Ora lo sto curando, per un attacco cardiaco. Se dovesse morire, McCann... be', sarà un'altra faccenda. — Farò la comunicazione — replicò. — C'è soltanto un paio di uomini che dovrà vedere. Poi ho intenzione di andare in quel negozio di bambole a far uscire la verità da quella megera. Gli occhi erano fessure, la bocca anch'essa una fessura. — No — dissi in tono reciso. — Non ancora. Sorvegli il posto. Se la donna esce, scopra dove va. Sorvegli la ragazza con la stessa attenzione. Se sembra che una di loro o tutte e due si stiano allontanando, o fuggendo, le lasci fare. Ma le segua. Non voglio che siano infastidite e neppure spaventate finché Ricori non potrà dire quello che è accaduto là. — Benissimo — disse, ma con riluttanza. — Per la polizia — gli rammentai con sarcasmo — la sua storia della bambola non sarebbe convincente come per la mia mente un po' credulona. Non corra il rischio che ficchino il naso nella faccenda. Fintanto che Ricori è vivo, non c'è alcun bisogno che ci ficchino il naso. Lo presi da parte. — Può fidarsi che l'autista non parli? — Paul è fidato — rispose. — Bene: nell'interesse di tutti e due, sarà meglio che lo sia — l'avvertii. Si congedarono. Io salii nella camera di Ricori. La pulsazione era più sostenuta, la respirazione debole ma incoraggiante. La temperatura, benché ancora pericolosamente sotto il livello normale, era migliorata. Se, come avevo detto a McCann, non c'erano infezioni, e se non c'era stato alcun veleno né droga sull'arma con la quale era stato trafitto, Ricori avrebbe dovuto vivere. Quella sera, più tardi, mi fecero visita due uomini assolutamente compiti: ascoltarono i miei ragguagli sulle condizioni di Ricori, chiesero se potevano vederlo, lo videro, e se ne andarono. Mi assicurarono che, «vincere o perdere», non dovevo avere alcuna apprensione circa i miei onorari, né al-
cuna esitazione a far venire a consulto gli specialisti più cari. In cambio li assicurai che, secondo me, Ricori aveva ottime probabilità di guarire. Mi pregarono di non permettere a nessuno di vederlo, tranne che a loro due e a McCann. Mi dissero anche che mi sarei risparmiato dei fastidi avendo lì un paio di uomini, mandati da loro, che si mettessero di guardia alla porta della camera: naturalmente all'esterno, nel corridoio. Risposi che ne sarei stato ben contento. Dopo un periodo estremamente breve, due uomini tranquilli ma vigili erano di guardia alla porta di Ricori, proprio come avevano fatto per Peters. I miei sogni, quella notte, furono pieni di bambole che mi danzavano intorno, mi inseguivano, mi minacciavano. Il sonno non fu piacevole. VI. Quello che accadde all'agente Shevlin Il mattino portò un sensibile miglioramento nelle condizioni di Ricori. Il coma profondo persisteva, ma la temperatura era quasi normale e il funzionamento di cuore e polmoni del tutto soddisfacente. Braile e io ci dividemmo i compiti in modo che uno dei due potesse costantemente essere a portata di mano delle infermiere. Gli uomini di guardia furono sostituiti dopo colazione da altri due. Uno dei miei tranquilli visitatori della notte precedente fece il suo atto di presenza, guardò Ricori, e ascoltò con vero piacere le mie notizie rassicuranti. Dopo essere andato a letto mi era venuta in mente l'ovvia idea che Ricori potesse aver preso qualche appunto relativo alla sua ricerca; però avevo provato riluttanza a frugargli nelle tasche. Ora quella sembrava l'occasione buona per accertarmi se l'avesse preso o no. Suggerii al mio visitatore che forse desiderava esaminare gli eventuali documenti che Ricori aveva addosso, aggiungendo che ci eravamo occupati insieme di una certa faccenda, e che stava venendo da me per discuterne quando era stato colto dall'attacco, e che probabilmente aveva qualche appunto interessante per me. Il mio visitatore fu d'accordo; mandai a prendere il cappotto e l'abito di Ricori e li frugammo. C'erano alcuni documenti, ma niente che riguardasse la nostra indagine. Nel taschino del cappotto, però, c'era un oggetto strano: una funicella lunga una ventina di centimetri circa in cui erano stati fatti nove nodi, disposti a intervalli irregolari. Anche quei nodi erano strani: erano assolutamente diversi da qualunque nodo potessi ricordare di aver visto. Esaminai
la funicella con un inesplicabile ma preciso senso di ansia. Lanciai un'occhiata al mio visitatore e notai nei suoi occhi uno sguardo perplesso; poi mi rammentai della superstizione di Ricori, e pensai che la funicella annodata era con tutta probabilità un talismano o amuleto di qualche tipo. La rimisi nel taschino. Quando fui di nuovo da solo, la ripresi e la esaminai con maggior cura. La funicella era di capelli umani, strettamente intrecciati: capelli di un color cenere particolarmente pallido, e senza dubbio femminili. Mi accorsi ora che ogni nodo era fatto in modo differente, e che la struttura generale era complessa. La diversità fra l'uno e l'altro, e gli intervalli irregolari, davano la vaga impressione che formassero una parola o una frase, ed esaminando i nodi ebbi la stessa sensazione che avevo provato mentre osservavo Peters morire: quella di stare davanti a una porta sbarrata, e che l'aprirla fosse d'importanza vitale. Obbedendo a un oscuro impulso non rimisi la funicella nel taschino, ma la gettai nel cassetto in cui c'era la bambola che l'infermiera Robbins mi aveva portato. Poco dopo le tre mi telefonò McCann. Fui ben contento di sentirlo: alla chiara luce del giorno la sua versione dei fatti accaduti nell'auto di Ricori era divenuta incredibilmente fantastica, e tutti i miei dubbi erano riapparsi. Avevo perfino ricominciato a considerare la mia non invidiabile posizione nel caso che egli se la fosse squagliata. La cordialità del mio saluto doveva aver tradito questo stato d'animo, perché McCann rise. — Mi credeva scappato dal pascolo, eh, dottore? Invece non potrà più liberarsi di me. Mi aspetti e vedrà cos'ho trovato. Attesi il suo arrivo con impazienza. Comparve accompagnato da un uomo robusto e rosso in volto, che teneva in mano un grosso sacco di carta per la biancheria: non era in divisa, ma riconobbi in lui un poliziotto che di tanto in tanto avevo incontrato sul Drive. Dissi ai due di accomodarsi, e l'agente si sedette sul bordo di una sedia serrando con grande precauzione il sacco tra le ginocchia unite. Interrogai McCann con lo sguardo. — Shevlin — indicò con la mano l'agente — ha detto che la conosceva, dottore. Ma l'avrei portato con me lo stesso. — Se non conoscevo il dottor Lowell qui non ci venivo, caro il mio McCann — disse Shevlin con fare imbronciato. — Ma quello che ha nella testa il dottore è cervello, e non una rapa cotta come quel maledetto tenente. — Bene — replicò McCann con malignità. — Allora il dottore ti prescriverà un rimedio, Tim.
— Non ho bisogno di rimedi — urlò Shevlin. — L'ho vista con i miei occhi, ti dico. E se il dottor Lowell mi dice che avevo bevuto o che sono pazzo gli dico di andare all'inferno, come ho detto al tenente. E lo dico anche a te, McCann. Ascoltavo con crescente sorpresa. — Su, su, Tim, — lo calmò McCann. — Io ti credo. Tu non sai quanto voglio crederti, e neanche perché. Mi diede una rapida occhiata, e dedussi che qualunque fosse il motivo per cui aveva portato da me il poliziotto, non gli aveva parlato di Ricori. — Vede, dottore: quando le ho detto di quella bambola che si è alzata ed è saltata fuori dalla macchina, lei ha pensato che ero pazzo. Benissimo, mi sono detto, forse non è andata lontana. Forse era una bambola meccanica perfezionata, ma anche se lo era deve scaricarsi presto o tardi. Così vado in cerca di qualcun altro che può averla vista, e stamattina trovo Shevlin. E lui mi dice... Avanti, Tim, racconta al dottore quello che hai raccontato a me. Shevlin ammiccò, spostò il sacchetto con circospezione, e cominciò. Aveva il contegno ostinato di chi ripete una storia che ha già detto e ridetto molte volte, e sempre ad ascoltatori poco benevoli: infatti, mentre raccontava, o mi guardava con aria di sfida o alzava la voce bellicosamente. — Era l'una di stanotte. Ero di servizio nella mia zona quando sento qualcuno che grida come un disperato. «"Aiuto! " grida. "All'assassino! Portatela via! " grida. Mi precipito, e là in piedi su una panchina c'è un tizio in abito da sera e con un cilindro calcato sugli orecchi, e picchia a destra e a sinistra con il bastone, e saltella su e giù, ed è lui che sta gridando. «Mi avvicino e gli batto sugli stinchi con lo sfollagente, e lui guarda giù e poi si lascia cadere proprio tra le mie braccia. Sento una zaffata del suo alito e credo di capire cos'ha che non va. Lo metto in piedi e gli dico: "Su, avanti; fra un po' gli elefanti rosa se ne andranno", gli dico. "È 'sto liquore clandestino figlio del Proibizionismo che li fa sembrare così grossi" gli dico. "Dimmi dove abiti e ti metterò in un taxi, o vuoi andare all'ospedale? ", gli dico. «Lui sta lì aggrappato a me e trema, e mi dice: "Crede che sia ubriaco? ". E io comincio a dirgli "Eccome...", quando lo guardo, e non è ubriaco. Può darsi che lo fosse prima. Ma adesso non è ubriaco. E tutto d'un colpo si lascia cadere sulla panchina e tira su i pantaloni e giù i calzini, e io vedo scorrere sangue da una dozzina di forellini, e lui dice: "Vuole dire forse
che sono stati gli elefanti rosa? " «Io guardo quei forellini e li tocco, ed è proprio sangue, come se qualcuno avesse bucherellato quell'uomo con uno spillone...» Involontariamente fissai McCann; ma non potei incontrare il suo sguardo. Lui, imperturbabile, stava arrotolando una sigaretta. — E io dico: «Chi diavolo è stato?». E lui dice: «È stata la bambola!». Un piccolo brivido mi percorse la schiena, e guardai di nuovo il gangster. Questa volta mi diede un'occhiata ammonitrice. Shevlin mi fissò con occhio torvo. — «È stata la bambola!», mi dice — gridò Shevlin. — Mi dice che è stata la bambola! McCann ridacchiò, e Shevlin spostò lo sguardo truce su di lui. Mi affrettai a intervenire. — Capisco, agente. Quell'uomo le disse che era stata la bambola a ferirlo. Un'affermazione sbalorditiva senza dubbio. — Vuol dire che non ci crede? — chiese Shevlin in tono furioso. — Sono convinto che quell'uomo le abbia detto così — risposi. — Ma continui. — Be', non starà mica dicendo che ero ubriaco anch'io se gli ho creduto, eh? Perché questo è proprio quello che ha detto quel tenente col cervello di rapa. — No, no — mi affrettai a rassicurarlo. Shevlin si rilassò, e continuò. — Allora interrogo l'ubriaco. «"Come si chiama? " gli dico. "Come si chiama chi? " dice lui. "La bambola" dico io. "Ci scommetto che era una bambola bionda" dico "e vuole il suo ritratto sui giornali. Le brunette non usano spilloni," dico "adorano il coltello". «"Agente," dice lui tutto solenne "era una bambola. Un bambolotto d'uomo. E quando dico bambola intendo bambola. Stavo passeggiando" dice "per prendere un po' d'aria. Non nego che avevo bevuto qualche bicchiere" dice "ma non più di quanto posso sopportare. Stavo frustando l'aria col mio bastone, quando mi è caduto accanto a quel cespuglio" dice indicandolo. "Mi chino per raccoglierlo" dice "e vedo là una bambola. È una grossa bambola ed è tutta raggomitolata in qualche modo, come se qualcuno l'avesse lasciata cadere così. Allungo una mano per raccoglierla. Appena la tocco, quella salta via come se avessi toccato una molla. Mi salta di colpo oltre la testa" dice. "Io rimango sbalordito" dice "e notevolmente spaventato, e sono lì carponi, cercando dove è andata a finire la bambola, quando sento un dolore d'inferno nel polpaccio," dice "come se mi avesse-
ro pugnalato. Salto su, ed ecco lì la bambola con un grosso spillo in mano già pronta a pungermi di nuovo." «"Forse," dico io all'ubriaco "forse era un nano quello che hai visto." "Nano un corno! " dice lui. "Era una bambola, e mi stava pungendo con uno spillone. Era alta circa sessanta centimetri" dice. "Aveva occhi azzurri. Mi sorrideva in un modo che mi ha fatto raggelare il sangue. E mentre ero lì paralizzato mi ha punto di nuovo. Sono saltato sulla panchina" dice "e quella continuava a ballarmi intorno, ed è saltata su e mi ha punto, Ed è saltata giù e poi di nuovo su e mi ha punto ancora. Ho pensato che volesse uccidermi, e ho lanciato un grido d'inferno" dice l'ubriaco. "E chi non l'avrebbe fatto? " mi chiede. "E poi arriva lei" mi dice "e la bambola si ficca in quei cespugli. Per amor di Dio, agente, venga con me finché non riesco a trovare un taxi per andare a casa," dice "perché non esito a dirle che sono spaventato fino al midollo! " mi dice. «Così prendo l'ubriaco per un braccio» continuò Shevlin «pensando: "Povero ragazzo, guarda un po' che cosa ti fa vedere questa sbornia di alcool clandestino" ma mi rompevo ancora la testa per capire come si era procurato quei fori nelle gambe. Usciamo sul Drive. L'ubriaco sta ancora tremando e io aspetto che arrivi un taxi, quando tutto d'un tratto l'ubriaco si lascia sfuggire uno strillo: "Eccola là! Guardi, eccola là! " «Io seguo il suo dito, e vedo proprio qualcosa che scappa giù dal marciapiede e attraversa di corsa la strada. L'illuminazione non è per niente buona, e io penso che sia un gatto o forse un cane. Poi vedo che c'è un piccolo coupé fermo davanti al marciapiede di fronte. Sembra che il gatto, o cane che sia, corra in quella direzione. L'ubriaco sta ancora gridando, e io sto cercando di capire cos'è quella cosa quando giù dal Drive viene a tutta velocità una grossa auto, che la prende in pieno e non si ferma. È già fuori di vista prima che io possa tirar su il fischietto. Credo di vedere la cosa dimenarsi, e ancora credendo che sia un gatto o un cane penso: "Ti darò il colpo di grazia", e corro lì con la mia pistola. Allora il coupé che stava aspettando parte di colpo, anch'esso a tutta velocità. Raggiungo la cosa investita dall'altra auto, e la guardo...» Shevlin prese il sacchetto che teneva tra le ginocchia, lo pose accanto a sé sul pavimento e ne slegò l'estremità superiore. — Ed ecco cos'era. Dal sacchetto estrasse una bambola, o ciò che ne rimaneva. L'auto investitrice l'aveva presa all'altezza della vita, schiacciandola: Una gamba mancava; l'altra era appesa per un filo. L'abito era stracciato e annerito dal-
lo sporco della strada. Era una bambola, ma aveva l'aspetto irreale di un pigmeo mutilato. Il collo le pendeva inerte sul petto. McCann si avvicinò e le sollevò il capo... Io fissai e fissai... e mi sentii quasi rizzare i capelli e il cuore rallentare le pulsazioni. Perché quel volto che mi guardava, con truci occhi azzurri, era il volto di Peters! E su di esso, come un velo sottilissimo, c'era l'ombra di quell'esultanza demoniaca che avevo visto diffondersi sul volto di Peters dopo che la morte aveva acquietato i battiti del suo cuore. VII. La bambola Peters Mentre fissavo la bambola, Shevlin mi osservava, soddisfatto dell'effetto. — Diavolo se è una cosa da guardare, eh? — disse. — Il dottore la guarda, McCann. Te l'avevo detto che ha cervello! — Si sbatté la bambola sulle ginocchia e rimase lì seduto e rosso in volto come un ventriloquo alle prese con un fantoccio particolarmente maligno. Non mi sarei sorpreso se un cachinno fosse uscito dalla bocca lievemente sogghignante della bambola. — Dunque, dottor Lowell, — continuò Shevlin — guardo per un po' la bambola, e poi la raccolgo. «"Qui c'è sotto qualcosa, Tim Shevlin", mi dico. E cerco che fine ha fatto l'ubriaco. Sta dove l'ho lasciato, e io lo raggiungo e lui mi dice: "Era una bambola come le avevo detto? Ah, ah! Gliel'avevo detto che era una bambola! Ah, ah! È proprio questa! " dice, dando una sbirciatina alla cosa che ho in mano. Allora gli dico: "Giovanotto, ragazzo mio, qui c'è qualcosa che non va. Adesso vieni con me alla centrale e racconti al tenente quello che hai detto a me e gli fai vedere le gambe e tutto" gli dico. E l'ubriaco dice: "È giusto, ma non tenga quella cosa fra noi due: la prenda con l'altra mano". Così andiamo alla centrale. «C'è il tenente e il sergente e un paio di piedipiatti. Io vado avanti e schiaffo la bambola sopra il tavolo davanti al tenente. «"Che cos'è? " chiede lui ridacchiando. "Un altro kidnapping? " «"Mostragli le gambe" dico all'ubriaco. "No, a meno che siano degne di una ballerina" ridacchia quello scimmione dal cervello di rapa. Ma l'ubria-
co arrotola su i pantaloni e giù le calze e mostra le gambe. «"Chi diavolo l'ha fatto? " dice il tenente alzandosi in piedi. «"La bambola" dice l'ubriaco. Il tenente lo guarda e si rimette a sedere ammiccando. E io gli riferisco che ho risposto alle grida dell'ubriaco, e quello che lui mi ha detto, e quello che ho visto. Il sergente ride e i piedipiatti ridono, ma il tenente diventa rosso in faccia e dice: "Stai cercando di prendermi in giro, Shevlin? " E io dico: "Le sto dicendo quello che lui mi ha detto e quello che io ho visto, e lì c'è la bambola." E lui dice: "Questo liquore clandestino è forte, ma non ho mai saputo che fosse contagioso". E mi fa segno col dito e dice: "Vieni qui: voglio annusarti l'alito". E allora ho capito che era la fine, perché per dire la verità l'ubriaco aveva una fiaschetta e avevo bevuto un sorso con lui. Solo uno, e l'unico che avevo bevuto. Ma mi era rimasto l'odore in bocca. E il tenente dice: "Lo pensavo. Vai". «E poi comincia a strillare e urlare all'ubriaco:. "Tu, col tuo abito da sera e col tuo cilindro, dovresti essere un onore per la tua città, e invece cosa diavolo pensi di poter fare, di corrompere un buon agente e di prendere in giro me? Ne hai fatta una, ma non farai la seconda" sbraita. "Sbattetelo dentro" sbraita. "E sbattete dentro con lui la sua dannata bambola, così gli terrà compagnia! " A queste parole l'ubriaco butta fuori un grido e cade a terra. È proprio svenuto del tutto. E il tenente dice: "Povero dannato stupido... Perdio, crede davvero alla sua storiella! Fatelo rinvenire e lasciatelo andare". E dice a me: "Se tu non fossi così un brav'uomo, Tim, ti avrei già fatto rapporto per questo. Prendi la tua bambola degenere e Vattene a casa" dice. "Manderò un sostituto nella tua zona. E domani prenditi una giornata di libertà e fatti passare la sbronza" dice. E io gli dico: "Benissimo, ma ho visto quello che ho visto. E voialtri andate tutti all'inferno! " dico ai piedipiatti. E tutti ridono a crepapelle. E io dico al tenente: "Che mi degradi o no, vada all'inferno anche lei". Ma quelli continuano a ridere, così prendo la bambola e me ne vado.» Shevlin fece una pausa. — Porto a casa la bambola — continuò. — Racconto tutto a Maggie, mia moglie. E cosa mi dice, quella? «Pensare che finora eri stato lontano dall'alcool, o quasi» dice. «E ora guardati!» dice. «Con questa storia di bambole che pugnalano, e poi ti metti a insultare il tenente, e forse ti mandano a Staten Island» dice. «E Jenny che comincia proprio adesso il liceo! Va' a letto» dice. «E dormici su, e butta la bambola nella spazzatura» dice. Ma a questo punto sto infuriandomi per davvero, e non la butto nella spazzatura ma la prendo con me. E poco fa incontro McCann, e in qualche mo-
do lui sa qualcosa; io gli racconto la faccenda e lui mi porta qui. E per cosa, proprio non so. — Vuole che parli io col tenente? — chiesi. — Che cosa potrebbe dirgli? — replicò giustamente Shevlin. — Se gli dice che l'ubriaco non si sbagliava, e che anch'io non mi sono sbagliato e ho visto davvero la bambola correre, cosa penserà? Penserà che lei è pazzo come lo devo essere io. E se spiega che forse ero un po' sfasato solo in quel momento, è all'ospedale che mi manderanno. No, dottore. Le sono molto grato; ma l'unica cosa che posso fare è di non dire più niente e stare sulle mie e magari distribuire un occhio nero a due se diventano troppo sgarbati. Le sono grato di avermi ascoltato così gentilmente. Mi fa sentire meglio. Shevlin si alzò in piedi, con un sospiro profondo. — E lei che cosa pensa? — chiese in tono un po' nervoso. — Voglio dire, di quello che l'ubriaco ha detto di aver visto e di quello che ho visto io? — Riguardo all'ubriaco non posso pronunciarmi — risposi prudentemente. — Per quanto riguarda lei... be', potrebbe essere che la bambola si trovasse in mezzo alla strada, e che un gatto o un cane abbia attraversato proprio mentre passava l'auto. Il cane, o gatto che fosse, è fuggito, ma la scena ha attirato la sua attenzione sulla bambola e lei ha pensato... Shevlin mi interruppe con un gesto della mano. — Benissimo, benissimo. Basta così. Le lascerò la bambola per pagare la diagnosi, signore. Con notevole dignità e colorito sensibilmente più intenso Shevlin uscì a grandi passi dalla stanza. McCann era scosso da una risata silenziosa. Presi la bambola e la misi sul tavolo. Guardai il piccolo volto sottilmente maligno... e non mi sentii molto disposto a ridere. Per un oscuro motivo estrassi dal cassetto la bambola della Walters e la posi accanto all'altra, poi presi la funicella dagli strani nodi e la sistemai in mezzo a loro. McCann stava al mio fianco, e osservava. Lo sentii emettere un lieve fischio. Indicò la funicella. — Dove l'ha trovata, dottore? — Glielo spiegai, e lui fischiò di nuovo. — Il capo non sapeva certo di averla, questo è sicuro — disse. — Vuole sapere chi gliel'ha ficcata addosso? Quella megera, naturalmente. Ma come? — Di che sta parlando? — chiesi. — Be', della «scala della strega» — rispose indicando di nuovo la funi-
cella. — È così che la chiamano giù nel Messico. È magia nera. La strega la ficca addosso a uno e poi ha potere su di lui... — Si chinò sulla funicella. — Sì, è la «scala della strega» : i nove nodi e i capelli di donna... E proprio nella tasca del capo! Rimase a fissare la funicella, e mi accorsi che non accennava a raccoglierla. — La prenda e la guardi più da vicino, McCann — dissi. — Io no! — Fece un passo indietro. — Le ripeto che è magia nera, dottore. In quei giorni mi aveva preso un'irritazione crescente per la nebbia di superstizione che mi si addensava intorno sempre più fitta: a questo punto persi la calma. — Senta, McCann — dissi con veemenza. — Sta forse cercando, per usare l'espressione di Shevlin, di prendermi in giro? Tutte le volte che la vedo mi trovo di fronte qualche nuova offesa alla credibilità. Prima la sua bambola nell'auto. Poi Shevlin. E ora la «scala della strega». Ma che cosa ha in mente? Mi guardò con gli occhi stretti, mentre un leggero rossore gli colorava gli alti zigomi. — Ho in mente di vedere il capo in piedi, nient'altro. — Replicò cantilenando più del solito le parole. — E di mettere le mani su chi gli ha fatto lo scherzetto. E a proposito di Shevlin: lei non pensa che stava inventando, vero? — Non lo penso — risposi. — Ma rammento quando Ricori fu pugnalato lei gli era accanto. E non posso non chiedermi come abbia fatto oggi a scoprire così in fretta Shevlin. — Con questo, che vuole dire? — chiese. — Voglio dire — risposi — che il suo ubriaco è scomparso. Voglio dire che poteva benissimo essere un suo complice. Voglio dire che l'episodio che ha tanto colpito quel rispettabile Shevlin può benissimo essere stato soltanto un'abile montatura, e la bambola nella strada, insieme all'auto opportunamente accelerata, una manovra progettata con cura per conseguire l'esatto risultato che ha prodotto. Dopotutto ho solo la sua parola e quella dell'autista che la bambola non è rimasta giù in auto per tutto il tempo che siete stati qui ieri sera. Voglio dire insomma che... Mi fermai, rendendomi conto che in sostanza stavo soltanto sfogando su di lui il cattivo umore generato dalla mia perplessità. — Finirò io per lei — disse McCann. — Lei vuole dire che dietro all'in-
tera faccenda ci sono solo io. Era bianco in volto, e aveva i muscoli tesi. — Buon per lei, dottore, che mi è simpatico — continuò. — E ancora meglio che so che si comporta onestamente col capo. E la cosa migliore di tutte, forse, è che lei è l'unico che può aiutarlo, se può essere aiutato. Ecco tutto. — Mi dispiace, McCann — dissi. — Mi dispiace profondamente. Non per quello che ho detto, ma per averlo dovuto dire. Dopotutto, il dubbio c'è. Ed è un dubbio ragionevole, lo deve ammettere. Meglio manifestarglielo che tenerlo nascosto. — Quale potrebbe essere il mio movente? — Ricori ha degli amici potenti, ma anche potenti nemici. Per i suoi nemici sarebbe molto conveniente poterlo togliere di mezzo senza sospetti, inducendo poi un medico della massima reputazione e di indiscutibile integrità a redigere per il decesso un certificato di morte naturale. Non è per mia autocompiacenza che dico di essere quel tipo di medico, McCann; lo sono davvero, ed è mio orgoglio professionale esserlo. McCann mosse il capo in segno di assenso. Il volto gli si addolcì, e vidi la pericolosa tensione rilassarsi. — Non "posso obiettare niente, dottore. Né per questo né per tutto il resto che ha detto. Ma la ringrazio per l'alta opinione che ha del mio cervello. Occorrerebbe certo un uomo piuttosto intelligente per progettare l'intero piano a quel modo. Un po' come una di quelle vignette dove si vedono settantacinque gingilli regolati in modo da far cadere un mattone sulla testa di un uomo esattamente venti minuti e sedici secondi dopo le due del pomeriggio. Sì, devo proprio essere in gamba! Sussultai a questo pesante sarcasmo, ma non replicai. McCann prese la bambola Peters e cominciò a esaminarla. Io andai al telefono per informarmi sullo stato di Ricori. Fui fermato da un'esclamazione del gangster. Questi mi richiamò con un cenno, e tendendomi la bambola indicò il colletto del vestito. Tastai la zona. Le mie dita avvertirono qualcosa che sembrava la capocchia tonda di uno spillone. Estrassi, come da un fodero di stiletto, un sottilissimo ago metallico lungo un po' più di venti centimetri. Era rigido, acuminato, e più sottile di uno spillone di misura media. Capii all'istante che stavo osservando lo strumento che aveva trafitto il cuore di Ricori! — Un altro delitto — disse McCann con voce cantilenante. — Magari l'ho messo lì io, dottore!
— Potrebbe darsi, McCann. Rise. Io esaminai lo strano pugnale, poiché di pugnale si trattava senz'altro. Sembrava del più puro acciaio, ma non avevo la certezza che fosse proprio questo metallo in quanto non conoscevo una rigidità così assoluta. Il piccolo pomo della capocchia aveva il diametro di un centimetro, ed era più simile all'impugnatura di uno stiletto che alla testa di uno spillone. Sotto la lente d'ingrandimento mostrava piccole scanalature, come per rendere sicura la presa di una mano... di una mano di bambola. Uno stiletto di bambola! Sopra c'erano delle macchie. Scossi il capo con impazienza, e misi da parte l'oggetto decidendo di esaminare più tardi quelle macchie. Era sangue, lo sapevo, ma dovevo assicurarmene. E inoltre, anche se lo era, non poteva essere una prova sicura dell'incredibile: cioè che la mano di una bambola aveva usato quella cosa mortale. Presi la bambola Peters e cominciai a esaminarla con cura. Non riuscii a stabilire di cosa fosse fatta. Non era di legno come l'altra bambola: il materiale somigliava più che altro a qualcosa come gomma e cera fuse insieme. Non conoscevo nessun composto del genere. Le tolsi l'abito. La parte intatta della bambola era anatomicamente perfetta. I capelli, conficcati con cura nella cute, erano umani. Gli occhi erano due cristalli azzurri. Gli abiti rivelavano la stessa straordinaria abilità di lavorazione di quelli della bambola di Diana. A questo punto vidi che il filo che sosteneva la gamba penzolante era di metallo, non di refe o altro. Evidentemente la bambola era stata modellata su una struttura di filo metallico. Mi diressi all'armadietto dei ferri e presi una sega chirurgica e alcuni bisturi. McCann aveva seguito i miei movimenti. — Aspetti un momento, dottore. Ha intenzione di aprire quella cosa? Annuii. McCann si ficcò una mano in tasca e ne estrasse un grosso coltello da caccia. Prima che potessi fermarlo abbatté la lama sul collo della bambola Peters, come una scure. Lo tagliò di netto. Afferrò la testa e la torse: un filo metallico si spezzò con un colpo secco. Il gangster lasciò cadere la testa sul tavolo, e mi gettò il corpo. La testa rotolò, andando a fermarsi contro la funicella che McCann aveva chiamato la «scala della strega». Sembrava che la testa si torcesse e guardasse in su verso di noi. Per un attimo credetti che gli occhi avvampassero di rosso, i lineamenti si contraessero, la malvagità si intensificasse, come l'avevo vista intensificarsi sul
volto vivo di Peters. Mi frenai subito, con rabbia: era stato naturalmente un effetto di luce. Mi girai verso McCann e imprecai. — Perché l'ha fatto? — Lei vale più di me, per il capo — rispose enigmaticamente. Non replicai, e aprii il corpo decapitato della bambola. Come avevo sospettato, era stato costruito su una struttura di filo metallico. Tagliando via il materiale di rivestimento, scoprii che quella struttura era un unico filo metallico, piegato e ripiegato fino a formare un abbozzo dello scheletro umano con la stessa abilità con cui era stato modellato il corpo stesso della bambola! Naturalmente non con minuziosa fedeltà, ma tuttavia con sorprendente precisione. Non c'erano giunture né articolazioni. La sostanza di cui era fatta la bambola era straordinariamente malleabile. Le piccole mani erano flessibili. Sembrava di dissezionare più un manichino vivente che una bambola. E ciò era piuttosto... piuttosto terrificante. Lanciai un'occhiata verso la testa staccata... McCann, chinato su di essa, la fissava negli occhi, con i propri a non più di qualche centimetro di distanza dai luccicanti cristalli azzurri. Le sue mani stringevano convulsamente il bordo del tavolo, e vidi che erano contratte e tese come se egli stesse facendo uno sforzo violento per staccarsi. Quando aveva gettato sul tavolo la testa della bambola, quella era andata a fermarsi contro la funicella. Ma ora la funicella era attorcigliata intorno al collo reciso e alla fronte, come un serpentello! E vidi distintamente che il volto di McCann si avvicinava, lentamente si avvicinava, alla faccia minuscola, come se questa lo stesse attirando... e che nella piccola faccia era concentrata una malvagità viva... e che il volto di McCann era una maschera di orrore... — McCann! — gridai, e gli cacciai un braccio sotto il mento spingendogli indietro la testa con uno strattone. Avrei giurato che mentre facevo così gli occhi della bambola si fossero girati verso di me e le sue labbra si fossero contratte. McCann retrocesse barcollando. Mi fissò per un attimo e quindi si scagliò sul tavolo. Raccolse la testa della bambola, la scaraventò in terra, e vi abbatté sopra il tallone ripetutamente, quasi avesse voluto uccidere a colpi di scarpa un ragno velenoso. Prima che smettesse, la testa era già un ammasso informe, sgretolata, senza più sembiante umano o altro. Ma in quella massa, i due cristalli azzurri degli occhi luccicavano ancora, e, intorno, era ancora avvolta la funicella annodata, la «scala della strega».
— Dio! Stava... Mi stava attirando... Con mano tremante McCann accese una sigaretta, gettando poi via il fiammifero. Questo cadde sulla massa informe che era stata la testa della bambola. Ne uscirono simultaneamente un lampo brillante, uno sconcertante gemito, e un'ondata di intenso calore. Sul legno lucido, dove prima si trovava la testa spappolata, rimaneva soltanto una chiazza carbonizzata irregolarmente, e all'interno di questa si vedevano i cristalli azzurri che erano stati gli occhi della bambola, ora privi di splendore e anneriti. La funicella annodata era svanita. E anche il corpo della bambola era svanito. Sul tavolo c'era una poltiglia disgustosa di liquido nero e simile a cera, da cui spuntava l'ossatura dello scheletro di filo metallico! Il telefono della clinica squillò; risposi automaticamente: — Pronto. Che c'è? — Il signor Ricori, signore. È uscito dal coma. È sveglio! Mi girai verso McCann. — Ricori ha superato la crisi! McCann mi afferrò le spalle, poi si allontanò di un passo, con un'ombra di sbigottimento sul viso. — Sì... — bisbigliò. — Si: ha superato la crisi quando sono bruciati i nodi! Questo l'ha liberato! Ora siamo lei e io, a dover stare attenti. VIII. Il diario dell'infermiera Walters Portai McCann con me al capezzale di Ricori. Ritenevo che il confronto col suo capo sarebbe stato la prova decisiva per risolvere in un modo o nell'altro tutti i miei dubbi riguardo alla sua sincerità. Infatti mi ero reso conto quasi subito che gli eventi che ho appena descritto, per strani che fossero, potevano far parte tutti e ciascuno del complesso imbroglio di cui avevo cercato di accusare il gangster. La decapitazione della bambola poteva essere stata un gesto drammatico compiuto con l'intento di colpire la mia fantasia. Era stato McCann a richiamare la mia attenzione sulla fama sinistra della funicella annodata, e a scoprire lo spillone. Poteva aver finto di essere attirato dalla testa recisa, e aver gettato intenzionalmente il fiammifero per distruggere ogni prova. Non me la sentivo di attribuire validità alle mie impressioni soggettive. Tuttavia era difficile attribuire a McCann doti di attore così consumato,
di cospiratore così machiavellico. Già, ma non era da escludere che seguisse le istruzioni di un'altra mente capace di simili sottigliezze. Io però desideravo poter credere a McCann, e speravo che avrebbe potuto superare la prova. Lo speravo con tutte le forze. Ma la prova era destinata a non aver luogo. Ricori aveva ripreso del tutto conoscenza, era completamente sveglio, e con grande probabilità la sua mente era vigile ed equilibrata come sempre. Ma il sistema nervoso era ancora bloccato. La mente era stata liberata, ma non il corpo. La paralisi era rimasta, e impediva ogni movimento muscolare, fatta eccezione per i riflessi inconsci radicati nel profondo che presiedevano alle funzioni vitali. Ricori non poteva parlare. I suoi occhi, l'unica cosa viva e che desse segno di intelligenza nel volto privo di espressione, si posarono su di me, quindi su McCann, con la stessa fissità. McCann bisbigliò: — Può udire? — Credo di sì, ma non ha modo di dircelo. Il gangster si inginocchiò di fianco al letto e prese le mani di Ricori nelle sue; poi disse, pronunciando le parole con chiarezza: — Va tutto bene, capo. Ci stiamo dando da fare tutti quanti. Non erano certo le parole e il comportamento di un colpevole... Già, ma gli avevo pur detto che Ricori era nell'impossibilità di rispondere. Dissi a Ricori: — Si sta rimettendo magnificamente. Ha subito un grave shock, di cui conosco la causa. Preferirei che rimanesse così per un giorno o due piuttosto che tornare presto in grado di muoversi: c'è un'ottima ragione di natura medica. Non si preoccupi, non si agiti, e cerchi di non pensare a cose sgradevoli. Rilassi la mente. Ora le farò una leggera ipodermica: non reagisca, si abbandoni al sonno. Gli praticai l'ipodermica, e osservandone con soddisfazione il rapido effetto mi convinsi che Ricori mi aveva udito. Mentre tornavo nel mio studio con McCann, la mente mi lavorava a tutt'andare. Non c'era alcun modo di sapere per quanto tempo Ricori sarebbe rimasto nella morsa della paralisi: poteva svegliarsi dopo un'ora, del tutto ristabilito, oppure restare in quelle condizioni per giorni. Nel frattempo c'erano tre cose che sentivo la necessità di sistemare. Primo, sapere se avevano fatto buona guardia alla bottega in cui Ricori aveva preso la bambola. Secondo, scoprire tutto il possibile sulle due donne descritte da McCann. Terzo, trovare il motivo per cui Ricori era andato là. Avevo deciso di prendere per buona, almeno per il momento, la versione del gangster circa i fatti accaduti in quel negozio; ma al tempo stesso non desideravo fidarmi
più del necessario. Gli chiesi: — McCann, ha provveduto a far tenere sotto costante sorveglianza il negozio di bambole, come ci siamo messi d'accordo ieri sera? — Ci può scommettere. Una mosca non potrebbe volarci dentro o fuori senza essere vista. — Ha già ricevuto qualche rapporto? — I ragazzi hanno circondato la bottega un po' prima di mezzanotte. Davanti è tutto buio. Dietro c'è un edificio, e c'è un po' di spazio libero tra questo edificio e il retro del negozio. C'è una finestra con una tapparella pesante, ma sotto si vede una riga di luce. Verso le due quella ragazza bianca come un pesce arriva sgattaiolando su per la strada e entra in casa. I ragazzi dietro sentono un can-can d'inferno, e poi la luce si spegne. Questa mattina la ragazza apre il negozio, e dopo un po' compare anche la vecchia. Sono sempre sotto sorveglianza, stia tranquillo. — Cos'ha scoperto sul loro conto? — La vecchia si fa chiamare Madame Mandilip. La ragazza è sua nipote, così dice. Sono arrivate lì circa otto mesi fa, nessuno sa da dove. Pagano i conti regolarmente. Sembra che abbiano un sacco di soldi. La nipote fa tutti gli acquisti: la vecchia non esce mai. Stanno appartate come due ostriche. Con i vicini non hanno nessunissimo rapporto. La vecchia ha un gruppo di clienti particolari, e molti sembrano gente ricca. Ha due tipi di articoli, sembra: bambole normali, con tutti gli accessori, e bambole speciali, e dicono che in queste qua la vecchia è un portento. I vicini non hanno neanche un po' di simpatia per le due donne, e qualcuno dice che fanno il contrabbando di stupefacenti. Questo è tutto, per adesso. Bambole speciali? Gente ricca? Gente ricca come la zitella Bailey e il banchiere Marshall? Bambole normali per clienti come l'acrobata e il muratore? Ma forse anche queste erano state «speciali», in un modo che McCann non poteva sapere. — In quanto al negozio, — continuò McCann — ha un retro di due o tre stanze. Di sopra c'è uno stanzone, una specie di magazzino. La vecchia e la ragazza hanno preso in affitto tutto quanto, e vivono nelle stanze dietro il negozio. — Ottimo lavoro! — dissi per elogiarlo; poi, dopo un attimo di esitazione, aggiunsi: — McCann, la bambola le ricordava qualcuno? Mi fissò socchiudendo le palpebre. — E a lei? — disse alla fine, asciutto asciutto.
— Be'... ho pensato che somigliava a Peters. — Ha pensato che somigliava! — ruggì McCann. — Somigliava! Per l'inferno, era Peters fatto e sputato! — E tuttavia lei non mi ha detto nulla. Perché? — chiesi insospettito. — Be', che io sia dannato... — cominciò; poi si trattenne. — Sapevo che se n'era accorto, ma ho pensato che non lo voleva dire perché c'era Shevlin, e allora ho seguito il suo esempio. Dopo, lei è stato così occupato a farmi il terzo grado che non ho più avuto l'occasione. Lasciai perdere la frecciata e continuai. — Chiunque abbia fabbricato quella bambola, doveva conoscere molto bene Peters. Peters deve aver posato come per un pittore o uno scultore. Perché l'avrà fatto? E quando? E perché qualcuno ha desiderato fabbricare una bambola somigliante a lui? — Mi lasci lavorare la vecchia per un'ora e glielo dico — rispose McCann con la faccia scura. Scossi il capo. — No, nulla del genere finché Ricori non potrà parlare. Ma forse possiamo fare un po' di luce in altro modo. Ricori aveva un buon motivo per andare in quel negozio. Io so qual era questo motivo, ma non so che cosa abbia attirato la sua attenzione proprio su quella bottega. Ho motivo di credere che sia stato a causa delle informazioni ottenute dalla sorella di Peters. Lei la conosce abbastanza da andarla a trovare e tirarle di bocca quello che ha detto ieri a Ricori? Ma con molto tatto, eh? Come per caso, senza raccontare che Ricori non sta bene. McCann, rudemente, rispose: — No, se non mi dà qualcosa di più di un suggerimento. Mollie non è una sciocca. — Benissimo. Non so se Ricori gliel'ha detto, McCann, ma la Darnley è morta. Riteniamo che ci sia un nesso tra la sua morte e quella di Peters, e che entrambe abbiano a che fare con l'affetto di tutti e due per la bambina di Mollie. La Darnley è morta esattamente come Peters... McCann bisbigliò: — Vuol dire con gl'identici annessi e connessi? — Sì. Abbiamo motivo di ritenere probabile che tutti e due abbiano preso la... la malattia nello stesso luogo. Ricori pensava che Mollie potesse sapere qualcosa che avrebbe permesso di identificare il luogo: un luogo dove Peters e la Darnley siano andati, non necessariamente insieme, e abbiano contratto la... l'infezione. Forse addirittura un'infezione intenzionale da parte di qualche malvivente. È chiaro che quanto Ricori ha appreso da Mollie l'ha fatto andare dalla Mandilip. A ogni modo, McCann, deve fare attenzione a una cosa: a meno che Ricori gliel'abbia detto ieri, Mollie non sa che il fratello è morto.
McCann annui. — Esatto. Ha dato lui quest'ordine. — Allora, se lui non l'ha messa al corrente, non lo deve fare neanche lei. McCann si alzò per andarsene. — Lei dottore si è tenuto per sé un sacco di cose, eh? — Sì — risposi con franchezza. — Ma le ho detto abbastanza. — Ah sì? Be', forse. — Mi rivolse uno sguardo cupo. — In ogni modo saprò presto se il capo ha dato la notizia a Mollie. Se l'ha fatto, avrò la scusa per attaccare discorso. Se non l'ha fatto... Be', dottore, appena ho finito di parlare con la ragazza le telefono. Hasta luego! Si congedò con questo saluto semiserio. Io tornai ai resti della bambola sopra il tavolo. La disgustosa poltiglia si era indurita, prendendo al tempo stesso la forma approssimativa di un corpo umano schiacciato. Con le costole in miniatura, e il filo troncato della colonna vertebrale che luccicava al di sopra, aveva un aspetto particolarmente sgradevole. Stavo vincendo la mia riluttanza a raccogliere quella porcheria per analizzarla, quando entrò Braile. A tal punto il mio pensiero era rivolto al risveglio di Ricori e agli altri eventi, che passò un po' di tempo prima che mi accorgessi del pallore e della serietà del mio assistente. Interruppi di colpo l'elenco dei miei dubbi su McCann per chiedergli cosa fosse successo. — Stamane mi sono svegliato pensando a Harriet — rispose. — Sapevo che le cifre 4 - 9 - 1, se erano un codice, non potevano significare Diana. Di colpo mi è venuto in mente che forse significavano «diario». L'idea ha continuato ad assillarmi: appena possibile, ho preso con me la Robbins e siamo andati nel suo appartamento. Ci siamo messi a cercare, e abbiamo trovato il diario di Harriet. Eccolo. Mi tese un libretto rilegato in rosso. — L'ho già sfogliato — disse. L'aprii. Trascrivo qui la parte riguardante i fatti che sto narrando. 1 novembre — Oggi mi è successa una cosa stranissima. Ero andata a Battery Park per vedere i nuovi pesci dell'Acquario; mi avanzava ancora un'oretta o giù di lì, e mi sono messa a gironzolare per le vecchie strade, cercando qualcosa da portare a Diana. Ho trovato un negozietto singolarissimo: vecchio e caratteristico all'aspetto, con le più deliziose bambole e i più bei vestitini per bambola che abbia mai visto. Mi sono fermata a guardare, e a sbirciare all'interno attraverso la vetrina. Nel negozio c'era una ragazza, che mi voltava la schiena. D'improvviso si è girata e mi ha guardata, causandomi uno stranissimo turbamento. Aveva la faccia bianca, ma proprio senza il minimo colorito, e gli occhi spalancati e un po' come fissi e terro-
rizzati. Aveva una gran quantità di capelli color biondo cenere, tutti raccolti all'insù. Credo che sia la ragazza dall'aspetto più strano che abbia mai visto. Mi ha fissata per un minuto intero, mentre anch'io la fissavo a mia volta. Poi ha scosso il capo con violenza e ha fatto dei gesti con le mani perché andassi via. Ero così sbalordita che a malapena credevo ai miei occhi. Stavo per entrare e chiederle che cosa le era preso, quando ho dato un'occhiata all'orologio e ho visto che avevo appena il tempo di tornare all'ospedale. Ho guardato ancora all'interno del negozio e ho visto la porta del retro cominciare ad aprirsi lentamente. La ragazza mi ha fatto un ultimo cenno, che mi è sembrato quasi di disperazione. C'era qualcosa in quel gesto che mi ha fatto venire d'improvviso voglia di correre. Non ho corso, ma comunque mi sono allontanata. Per tutto il giorno ho rimuginato la faccenda. E poi, oltre a essere curiosa, sono un po' arrabbiata. Le bambole e i vestitini sono meravigliosi. Cos'ho che non va, come cliente? Voglio scoprirlo. 3 novembre — Questo pomeriggio sono tornata al negozio di bambole. Il mistero s'infittisce, solo che non credo che ci sia molto mistero: credo che la poverina sia un po' pazza. Non mi sono fermata a guardare la vetrina, ma sono entrata direttamente. La ragazza pallida era dietro un piccolo banco, sul fondo: quando mi ha scorta i suoi occhi mi sono parsi più terrorizzati che mai, e ho potuto vedere che tremava. Mi sono avvicinata e lei ha bisbigliato: — Oh, perché è tornata? Le avevo detto di andar via! — Non ho potuto fare a meno di ridere, e le ho detto: — Lei è la più singolare negoziante che io abbia mai incontrata. Non vuole che la gente compri la sua merce? — La ragazza ha replicato, a voce bassa e molto in fretta: — Troppo tardi! Ora non può più andare! Ma non tocchi nulla. Non tocchi nulla di quello che lei le dà. Non tocchi nulla di quello che lei le indica. — E subito dopo, con voce molto chiara e in tono assolutamente normale, ha aggiunto: — Le posso mostrare qualcosa? Abbiamo tutto per le bambole. — Il cambiamento era così repentino che sono rimasta sbigottita: poi ho visto che nel retro si era aperta una porta, la stessa porta che avevo visto aprirsi l'altro giorno, e che una donna stava sulla soglia guardandomi. L'ho fissata a bocca aperta non so per quanto tempo. Era davvero straordinaria. Dev'essere alta almeno un metro e ottanta, ed è massiccia, con un petto enorme. Non è grassa; è robusta. Ha la faccia lunga e la pelle scura. Ha visibilmente dei baffi, e una zazzera di capelli grigio-ferro. Ma sono stati gli occhi ad affascinarmi: sono semplicemente enormi! Neri, e così
pieni di vita! Deve avere una vitalità tremenda. O forse è il contrasto con la ragazza pallida, alla quale sembra che abbiano succhiato via la vita. No, sono sicura che quella donna ha una vitalità straordinaria. Mentre mi guardava ho provato uno stranissimo brivido. Ho pensato, scioccamente: «Che grossi occhi hai, nonna!» «Per vederti meglio, bambina mia!» «Che grossi denti hai, nonna!» «Per mangiarti meglio, bambina mia!». (Non sono proprio certa che fosse un pensiero sciocco.) Ha davvero dei denti grossi, forti e giallastri. Le ho detto, proprio stupidamente: — Fortunatissima! — Lei ha sorriso e mi ha toccata con una mano, e io ho sentito un altro strano brivido. Ha le mani più belle che abbia mai visto. Così belle da essere irreali. Lunghe, con dita affusolate, e bianchissime. Come le mani delle donne del Greco o di Botticelli. Credo che siano state loro a darmi quello strano brivido: non sembra per nulla che facciano parte di quell'enorme corpo grossolano. Be', ma neanche gli occhi. Le mani e gli occhi sono dello stesso genere, proprio così. La donna mi ha sorriso e ha detto: — Lei ama le cose belle. — La sua voce è dello stesso genere di mani e occhi. Una voce di contralto, profonda, piena, brillante. Ho sentito che scendeva in me come un accordo di organo. Ho fatto segno di sì con la testa. Lei ha detto: — Allora deve vederle, mia cara. Venga. — Si è diretta di nuovo alla porta, senza prestare attenzione alla ragazza, e io l'ho seguita. Mentre superavo la soglia mi sono girata per dare un'occhiata alla ragazza. Sembrava più terrorizzata che mai, e ho visto distintamente le sue labbra formare la parola «Ricordi!». La stanza in cui la donna mi ha portata era... be', non riesco a descriverla. Era come gli occhi e le mani e la voce di lei. Quando ci sono entrata ho avuto la strana sensazione di non essere più a New York, né in America. Neanche in nessun posto sulla Terra, se è per questo: ho avuto la sensazione che l'unico posto reale che esistesse fosse quella stanza. Ne sono rimasta spaventata. La stanza era più grande di quanto sembrasse possibile a giudicare dalle dimensioni del negozio. Forse era la luce che la faceva apparire così. Una luce morbida, calda, cupa. L'intera stanza, soffitto compreso, aveva un raffinato rivestimento di pannelli, e su una delle pareti non c'erano altro che questi splendidi e antichi pannelli scuri coperti di bassorilievi appena appena sporgenti. C'era poi un caminetto, col fuoco acceso. Faceva un caldo insolito, ma la temperatura non era opprimente. C'era una lieve fragranza, probabilmente prodotta dal legno che stava bruciando. Anche i mobili erano antichi e raffinati, ma di aspetto strano. C'erano alcuni arazzi, senz'altro antichi. È curioso, ma mi riesce difficile ricordare con
chiarezza quello che c'era nella stanza; invece mi è rimasta impressa la sua insolita bellezza. Ricordo bene un enorme tavolo, che mi ha fatto venire in mente il tavolone da pranzo di un castello. E ricordo benissimo lo specchio tondo, e non mi piace pensarci. A un certo punto mi sono resa conto che stavo raccontando alla donna tutto quanto di me e di Diana, e le dicevo quanto Diana ami le cose belle. Lei mi ha ascoltata, e poi, con quella voce dolce e profonda, ha detto: — Allora bisogna che Diana ne abbia una, mia cara. — È andata a un armadietto ed è tornata da me con la più deliziosa bambola che abbia mai visto. Ho trattenuto il respiro pensando quanto sarebbe piaciuta a Diana. Una bambola con le sembianze di un neonato, e così somigliante e ben fatta! — Piacerà a Diana? — mi ha chiesto la donna. Io ho risposto: — Ma non potrei mai permettermi una simile meraviglia. Sono povera. — Lei ha riso, e poi ha detto: — Ma io non sono povera. Quando avrò finito di vestirla, questa bambola sarà sua. — Non ho potuto fare a meno, anche se mi comportavo da ineducata, di replicare: — Dev'essere molto, molto ricca per avere tutte queste cose deliziose. Mi chiedo perché tiene un negozio di bambole. — Lei ha riso di nuovo e ha detto: — Solo per incontrare persone simpatiche come lei, mia cara. È stato a questo punto che mi è accaduta la strana faccenda dello specchio. Era rotondo, e l'avevo guardato più volte perché mi sembrava simile alla metà di un'enorme goccia di acqua cristallina. La cornice era di legno scuro pieno di intagli complicati, e di tanto in tanto il riflesso degli intagli sembrava danzare nello specchio come la vegetazione sull'orlo di uno stagno della foresta, quando la brezza lo increspa. Mi era subito venuta voglia di mettermi davanti allo specchio, e d'improvviso il desiderio è diventato irresistibile. Sono andata allo specchio, e dentro ho visto riflessa l'intera stanza: proprio come se ci fosse stata non la sua immagine, e la mia, ma un'altra stanza identica con un'altra me stessa che guardasse fuori. A questo punto c'è stato un tremolio, e l'immagine della stanza è divenuta confusa mentre la mia rimaneva perfettamente distinta; poi ho potuto vedere soltanto la mia immagine, che sembrava farsi sempre più piccola finché non è arrivata alle dimensioni di una grossa bambola. Ho avvicinato di più la faccia, e la faccina riflessa è venuta avanti. Ho scosso il capo e ho sorriso, e quella ha fatto altrettanto. Era la mia immagine: ma così piccola! Di colpo ho avuto paura e ho chiuso forte gli occhi, e quando ho guardato di nuovo nello specchio tutto era tornato come prima. Ho dato una sbirciatina al mio orologio, e sono rimasta sgomenta veden-
do quanto tempo era trascorso. Mi sono alzata per andar via, provando di nuovo quella sensazione di spavento. La donna ha detto: — Mia cara, venga a trovarmi ancora, domani. Le darò la bambola finita. — L'ho ringraziata e le ho detto che sarei tornata. Lei mi ha accompagnata alla porta del negozio, e mentre passavo la ragazza non mi ha guardata. La donna si chiama Madame Mandilip. Non intendo tornare da lei né domani né mai. Mi attira, ma anche mi fa paura. Non mi piace la sensazione che ho provato davanti allo specchio tondo. E quando ho guardato dentro la prima volta, e ho visto riflessa l'intera stanza, perché non c'era l'immagine della donna? Non l'ho proprio vista! E benché la stanza fosse illuminata, non riesco a ricordare di aver visto nessuna finestra © lampada. E quella ragazza, poi! Ma la bambola piacerebbe talmente a Diana! 5 novembre — Strano come mi sia difficile mantenere la decisione di non tornare da Madame Mandilip. Mi rende così irrequieta! La notte scorsa ho fatto un sogno spaventoso. Credevo di essere di nuovo in quella stanza: la potevo scorgere distintamente. E d'improvviso mi sono accorta che stavo guardando nella stanza dall'esterno, e che mi trovavo dentro lo specchio!. Ho capito che ero piccola, piccola come una bambola. Ero terrorizzata: picchiavo sullo specchio, e continuavo a buttarmici contro come una falena sul vetro di una finestra. Poi ho visto tendersi verso di me due bellissime mani, lunghe e bianche. Hanno aperto lo specchio e mi hanno afferrata, mentre io mi dibattevo e lottavo e cercavo di liberarmi. Mi sono svegliata col cuore che batteva così forte che quasi soffocavo. Diana ha detto che continuavo a gridare: — No! No! Non voglio! No, non voglio! — Mi ha gettato un cuscino, e credo che sia stato questo a svegliarmi. Oggi ho lasciato l'ospedale alle quattro, decisa a tornare dritto e filato a casa. Non so a che cosa stessi pensando; ma, qualunque cosa fosse, dovevo essere molto assorta. Quando mi sono scossa ho visto che mi trovavo alla stazione della metropolitana, in attesa del treno per Bowling Green, che conduce alla Battery. Suppongo di aver preso distrattamente la strada per Madame Mandilip. Ho avuto un tale spavento che sono scappata quasi di corsa fuori della stazione e su in strada. Penso che mi sto comportando come una vera stupida: eppure sono sempre stata orgogliosa del mio buon senso. Credo che dovrò consultare il dottor Braile e scoprire se sto diventando nevrotica. Non c'è nessuna ragione al mondo perché non debba andare a trovare Madame Mandilip. È una donna estremamente interessante, e ha dimostrato senza dubbio di avermi presa in simpatia. È stato così cari-
no, da parte sua, di offrirmi quella bambola deliziosa. Deve pensare che io sia ingrata e villana. E la bambola piacerebbe talmente a Diana... Quando penso a quello che mi sono messa in mente riguardo allo specchio, mi sento puerile come Alice nel paese delle meraviglie. Gli specchi e qualunque altra superficie riflettente fanno vedere talvolta strane cose. Probabilmente il calore e il profumo della stanza hanno avuto la loro parte. Non sono davvero sicura che Madame Mandilip non fosse riflessa: ero troppo intenta a guardare la mia immagine. È troppo assurdo scappar via e nascondersi come un bambino davanti alla strega, e tuttavia questo è proprio ciò che sto facendo. Se non fosse per quella ragazza... Ma è senz'altro nevrotica! Desidero tornare là, e proprio non capisco perché mi stia comportando così. 8 novembre — Bene, sono contenta di essermi liberata da quell'idea assurda. Madame Mandilip è meravigliosa. Naturalmente ci sono alcune cose strane che non comprendo, ma questo avviene perché lei è così differente da qualunque altra persona io abbia mai incontrata, e perché quando entro in quella stanza tutto diventa diverso. Quando me ne vado è come se da un castello incantato uscissi nel più banale dei mondi. Ieri pomeriggio ho deciso di andarla a trovare appena uscita dall'ospedale. Nell'attimo in cui ho preso questa decisione mi sono sentita come se una nube mi fosse scomparsa dalla mente. Sono divenuta allegra e contenta come non ero più da una settimana. Quando sono entrata nel negozio, la ragazza pallida (si chiama Laschna) mi ha fissata come se fosse sul punto di piangere. Con una stranissima voce strozzata mi ha detto: — Ricordi che ho cercato di salvarla! La frase mi è apparsa così buffa che ho riso a lungo. Poi Madame Mandilip ha aperto la porta, e quando ho guardato i suoi occhi e udito la sua voce ho capito perché ero così spensierata: era come tornare a casa dopo un terribile attacco di nostalgia. L'incantevole stanza mi ha dato il benvenuto. Proprio così. È l'unica espressione adatta che riesco a trovare. Ho la strana sensazione che la stanza sia altrettanto viva di Madame Mandilip, che sia una parte di lei, o meglio di quella parte di lei che comprende gli occhi e le mani e la voce. Lei non mi ha chiesto perché non ci fossi andata. Ha tirato fuori la bambola: era più splendida che mai. Ancora qualche ritocco, ed è finita. Ci siamo sedute a chiacchierare, poi lei ha detto: — Mi piacerebbe fare di lei una bambola, mia cara. — Queste sono state le sue precise parole, e per un brevissimo istante ho avuto una sensazione di ter-
rore, ricordando il sogno e vedendomi di nuovo mentre mi dibattevo all'interno dello specchio e cercavo di uscirne. Poi ho capito che quell'espressione dipendeva solo dal suo modo di parlare, e voleva solo dire che le sarebbe piaciuto fare una bambola che avesse il mio aspetto. Allora mi sono messa a ridere e ho detto: — Ma certo che può fare di me una bambola, Madame Mandilip. — (A proposito: chissà di che nazionalità è? ) Lei ha riso insieme a me, con gli occhi più grandi che mai e luminosissimi. Ha preso un po' di cera e ha cominciato a riprodurre la mia testa. Quelle dita lunghe e splendide lavoravano così in fretta che ciascuna sembrava da sola un artista in miniatura. Io le osservavo, affascinata. Poi mi è venuto sonno, e mi sono sentita assopire sempre più. Lei ha detto: — Mia cara, vorrei proprio che si spogliasse e mi lasciasse riprodurre tutto il suo corpo. Non si scandalizzi: sono solo una vecchia. — A me non importava nulla, e piena di sonno le ho detto: — Ma certo che la lascio. — Sono salita su uno sgabellino e ho guardato la cera prendere forma sotto quelle bianche dita finché è divenuta un mio piccolo e perfettissimo duplicato. Sapevo che era perfetto, benché fossi così assonnata da poterlo vedere a stento. Così assonnata, addirittura, che Madame Mandilip ha dovuto darmi una mano per rivestirmi; poi devo essere piombata nel sonno, perché mi sono accorta, svegliandomi di soprassalto, che mi dava dei colpetti sulla mano e diceva: — Mi dispiace di averla fatta stancare, bambina mia. Se lo desidera rimanga pure, ma se deve andare si sta facendo tardi. — Ho guardato l'orologio; ma ero così assonnata che non riuscivo quasi a vederlo; però sapevo che era spaventosamente tardi. Allora Madame Mandilip ha appoggiato le mani sui miei occhi e di colpo mi sono trovata del tutto sveglia. Mi ha detto: — Venga domani a prendere la bambola. — Le ho risposto: — Voglio pagarla, nella misura che mi è possibile. — Lei ha replicato: — Ha già pagato tutto, mia cara, permettendomi di fare di lei una bambola. — Abbiamo riso tutt'e due, poi mi sono affrettata a uscire. La ragazza pallida era impegnata con qualcuno, ma le ho mandato lo stesso un au revoir. Forse non mi ha sentita, perché non mi ha risposto. 9 novembre — Ho la bambola, e Diana ne va pazza. Come sono contenta di non aver ceduto a quella sciocca sensazione morbosa! Diana non ha mai avuto niente che la rendesse così felice. Addirittura adora quella bambola. Oggi pomeriggio avevo posato ancora da Madame Mandilip per gli ultimi ritocchi della mia bambola. Quella donna è un genio, un vero genio. Sono più che mai curiosa di sapere perché si accontenta di mandare avanti un
negozietto: potrebbe invece prendere il posto che le spetta fra i più grandi artisti. La bambola è me, alla lettera. Madame mi ha chiesto se poteva tagliarmi un po' di capelli per farle la parrucca, e naturalmente le ho detto di sì. Mi ha spiegato che quella non è la vera bambola che intende fare con le mie sembianze: questa sarà molto più grande. Quella è solo il modello su cui lei lavorerà. Le ho detto che secondo me la piccola è perfetta, ma ha replicato che l'altra sarà di materiale meno deteriorabile. Forse mi darà la piccola quando non le servirà più. Ero così ansiosa di portare a Diana l'altra bambola, quella destinata a lei, che non mi sono trattenuta a lungo. Uscendo ho rivolto a Laschna un sorriso e un saluto, e lei m'ha fatto un cenno col capo, benché non molto cordiale. Chissà se è gelosa? 13 novembre — Solo ora mi sento di riprendere il diario dopo l'orribile caso del signor Peters, la mattina del 10. Avevo appena finito di scrivere della bambola di Diana quando mi hanno telefonato dall'ospedale per dirmi che c'era bisogno di me. Naturalmente ho detto che andavo, ma vorrei non averlo fatto. Non dimenticherò mai quell'orribile morte. Mai! Non voglio neanche scriverne né pensarci. Quella mattina, tornata a casa, non sono riuscita a prendere sonno: continuavo a rigirarmi nel letto cercando di allontanare quella faccia dalla mente. Credevo di essere allenata a non impressionarmi; ma là c'era qualcosa... Poi mi è venuto in mente che se esisteva una persona in grado di aiutarmi a dimenticare, questa era Madame Mandilip. Perciò, verso le due sono andata a trovarla. Era in negozio insieme a Laschna, ed è sembrata sorpresa di vedermi così presto. Mi è parso anche che non fosse contenta come al solito, ma forse me lo sono messo in mente io a causa del mio nervosismo. Appena sono entrata nella deliziosa stanza ho cominciato a sentirmi meglio. Madame aveva sul tavolo un lavoro cominciato, qualche cosa di filo metallico; ma non ho potuto vedere di che si trattasse, perché mi ha fatta sedere in una poltrona grossa e comoda, dicendomi: — Mi sembra stanca, bambina mia. Si sieda qui e si riposi finché ho finito. Ecco un vecchio libro illustrato che la terrà occupata. — Mi ha dato uno strano libro antico, lungo e stretto, che doveva essere davvero vecchio perché era di pergamena o qualcosa di simile, e lo stile e i colori delle illustrazioni ricordavano quei libri dipinti dai monaci, che ci sono giunti dal Medioevo. Erano tutte illustrazioni di foreste o di giardini, e i fiori e gli alberi erano stranissimi. Non c'erano, lì, né persone né altro; ma avevo la curiosa sensazione che, con una vista migliore, dietro a quelli si sarebbero potute scorgere delle persone o degli esseri viventi. Voglio dire
che era come se questi esseri si fossero nascosti in mezzo agli alberi e ai fiori, oppure dietro, sbirciando in direzione dell'osservatore. Non so per quanto tempo ho esaminato le illustrazioni, cercando e ricercando di scovare gli esseri nascosti, ma alla fine Madame mi ha chiamata. Mi sono avvicinata al suo tavolo tenendo il libro in mano. Lei ha detto: — Questo è per la bambola che sto facendo con le sue sembianze. Lo prenda, guardi con che abilità è eseguito. — E così dicendo ha indicato sul tavolo una cosa fatta di filo metallico. Ho allungato la mano per prenderla, e d'improvviso ho visto che era uno scheletro. Era piccolo come lo scheletro di un bambino, e di colpo mi è tornata in mente la faccia del signor Peters: in un attimo di panico completamente folle ho strillato, gettando indietro le mani. Il libro mi è sfuggito ed è andato a cadere sul piccolo scheletro: ho udito un acuto suono metallico, e mi è parso che lo scheletro rimbalzasse. Mi sono subito ripresa e ho visto che l'estremità del filo si era allentata e aveva tagliato la legatura del libro, rimanendovi conficcata. Per un attimo Madame è stata in preda a un'ira spaventosa. Mi ha afferrato il braccio, stringendolo tanto da farmi male, e addirittura mi ha scossa; aveva gli occhi pieni di collera, e con una voce stranissima mi ha gridato: — Perché l'ha fatto? Mi risponda! Perché? — Pensandoci, ora, non la posso biasimare, benché mi abbia spaventata davvero: infatti deve aver creduto che avessi agito così intenzionalmente. Poi ha visto come tremavo; occhi e voce le sono tornati normali, e mi ha detto: — Qualcosa la turba, mia cara. Me lo confidi: forse posso aiutarla. — Mi ha fatta sdraiare su un divano e si è seduta accanto a me accarezzandomi capelli e fronte. Io non ho mai parlato con nessuno delle faccende dell'ospedale, ma senza accorgermi le ho scodellato tutta la storia del signor Peters. Lei mi ha chiesto chi era l'uomo che l'aveva portato all'ospedale, e io ho risposto che il dottor Lowell lo chiamava Ricori e che ritenevo che fosse il famigerato pezzo grosso della malavita. Le sue mani mi facevano sentire calma, docile, assonnata, e le ho parlato del dottor Lowell, e le ho detto che bravo medico è, e come io sia, in segreto, terribilmente innamorata del dottor ***. Mi dispiace di averle raccontato del caso Peters. Non ho mai fatto una cosa simile, ma ero così scossa! E una volta cominciato, mi è parso che dovessi dirle tutto quanto. Ogni cosa mi si era alterata nella mente, tanto che a un certo momento, quando ho sollevato la testa per guardare Madame, ho pensato proprio che stesse gongolando. Questo dimostra a che punto non ero più padrona di me stessa! Quando ho finito di parlare mi ha detto di rimanere sdraiata lì e di dormire, e all'ora che volevo mi avrebbe svegliata lei. Le ho risposto che
dovevo andar via alle quattro e mi sono addormentata subito, svegliandomi poi riposata e in forma. Quando mi sono congedata, il piccolo scheletro e il libro erano ancora sul tavolo; allora le ho detto che mi dispiaceva tanto per il libro. Lei ha replicato: — Meglio il libro che la sua mano, mia cara. Il filo poteva scattare mentre lei lo toccava, e farle un brutto taglio. — Poi mi ha chiesto di portarle una mia uniforme da infermiera per poterne fare un duplicato più piccolo per la nuova bambola. 14 novembre — Vorrei non essere mai andata da Madame Mandilip, così non mi sarei scottata il piede. Ma non è questa la vera ragione per cui me ne rammarico. Non riuscirei a tradurla in parole neanche se cercassi, ma vorrei proprio non esserci mai andata. Oggi pomeriggio le ho portato l'uniforme da infermiera, e in pochissimo tempo ne ha ricavato un modellino. Era allegra, e mi ha cantato alcune canzoncine dal motivo assolutamente indimenticabile, di cui però non sono riuscita a capire le parole. Quando le ho chiesto che lingua era, ha riso, e poi ha risposto: — La lingua degli esseri che sbirciavano verso di lei dalle illustrazioni del libro, mia cara. — Che risposta strana! Come faceva a sapere che avevo pensato che nelle illustrazioni ci fossero degli esseri nascosti? Vorrei davvero non essere mai andata in quel posto. Madame ha poi preparato un po' di tè e ha riempito due tazze, e mentre mi porgeva la mia ha urtato la teiera col gomito, rovesciandola, e il tè bollente mi è caduto in pieno sul piede destro. Mi ha fatto un male tenibile. Lei mi ha tolto la scarpa, ha strappato via la calza, e ha spalmato sulla scottatura una specie di unguento. Ha detto che questo avrebbe fatto passare il dolore e guarire subito la bruciatura. Infatti il dolore è scomparso, e quando sono arrivata a casa quasi non credevo ai miei occhi. Anche Job non voleva credere che mi fossi scottata davvero. Madame Mandilip era terribilmente dispiaciuta, o almeno sembrava che lo fosse. Poi l'ho salutata, e lei è rimasta nella stanza: chissà perché non mi ha accompagnata fino in strada come fa di solito? Quando sono passata nel negozio, vicino alla porta c'era Laschna, la ragazza pallida. Ha guardato la fasciatura sul mio piede, e io le ho spiegato che mi ero scottata e che Madame mi aveva bendata. Lei non ha detto neanche che le dispiaceva. Mentre uscivo dal negozio l'ho guardata e le ho detto arrivederci, in tono un po' seccato. I suoi occhi si sono riempiti di lacrime, poi lei mi ha guardata in un modo stranissimo e scuotendo la testa ha detto: — Au revoir! — L'ho guardata di nuovo mentre chiudevo la porta: le lacrime le rigavano le guance. Chissà perché?
Vorrei non essere mai andata da Madame Mandilip! ! ! ! 15 novembre — Il piede è guarito del tutto. Non ho il minimo desiderio di tornare da Madame Mandilip. Non ci tornerò mai più. Vorrei poter distruggere la bambola che mi ha dato, ma spezzerei il cuore a Diana. 20 novembre — Ancora nessun desiderio di rivederla. Mi accorgo che sto dimenticando tutto di lei. La penso soltanto quando vedo la bambola di Diana. Sono felice! Così felice che sento il desiderio di cantare e ballare. Non la rivedrò mai più. Ma, Dio buono, come vorrei non averla mai vista! E tuttavia non so perché. Questo era l'ultimo riferimento a Madame Mandilip nel diario dell'infermiera Walters, che era morta la mattina del 25 novembre. IX. Fine della bambola Peters Braile mi osservava attentamente. Incontrai il suo sguardo interrogativo, e cercai di celare il turbamento provocatomi dal diario. — Non ho mai saputo che la Walters avesse una così notevole fantasia — dissi. Braile arrossi, e con voce seccata mi chiese: — Crede che abbia «romanzato»? — Non esattamente. Diciamo meglio, osservato una serie di fatti normali attraverso l'incanto di una vivida immaginazione. Braile, incredulo, replicò: — Non capisce che quanto la Walters ha scritto è una descrizione autentica, anche se inconsapevole, di uno sbalorditivo esempio di ipnosi? — Ho pensato anch'io a questa possibilità, — risposi in tono un po' acre — ma non ho trovato alcuna prova concreta a suo sostegno. Mi sono reso conto, invece, che la Walters non era equilibrata come la ritenevo. Ho scoperto infatti che era sorprendentemente emotiva, e che in almeno una delle sue visite a quella Madame Mandilip era decisamente sovraeccitata e in uno stato di estrema instabilità nervosa. Mi riferisco alla sua assoluta mancanza di discrezione nel divulgare il caso Peters, dopo che le avevo raccomandato, come lei ricorderà, di non dirne nulla a nessuno. — Lo ricordo così bene — replicò Braile — che quando sono giunto a
questo punto del diario non ho più avuto dubbi che fosse stata ipnotizzata. Ma continui, la prego. — Se per un certo evento si prendono in esame due possibili cause, è consigliabile accettare la più ragionevole — dissi seccamente. — Consideri i fatti concreti, Braile. La Walters sottolinea la stranezza del comportamento e degli avvertimenti della ragazza, e ammette che sia nevrotica. Bene, il comportamento che descrive è proprio quello che ci aspetteremmo da una persona nevrotica. La Walters è attratta dalle bambole ed entra nel negozio per sentire i prezzi, come farebbe chiunque. Non agisce sotto la minima costrizione. Incontra una donna le cui caratteristiche fisiche stimolano la sua fantasia ed eccitano la sua emotività. Si confida con lei. Questa donna, evidentemente anch'essa di temperamento emotivo, prova simpatia per la Walters e le regala una bambola. La donna è un'artista, e vede nella Walters una modella di suo gradimento. Le chiede di posare (una richiesta naturale, e, anche in questo, nessuna costrizione) e lei acconsente. La donna ha una propria tecnica, come ogni artista, e questa tecnica prevede la costruzione di scheletri che servono da struttura portante per le sue bambole: un procedimento intelligente e più che naturale. La vista degli scheletri richiama alla mente della Walters la morte, e per associazione d'idee l'immagine di Peters che si è profondamente impressa nella sua fantasia. La Walters soggiace a una momentanea crisi isterica (altra prova del suo stato di esaurimento). Poi piglia il tè con la donna, e accidentalmente riporta una scottatura. Questo, come ovvio, desta la premura della sua ospite, che spalma sulla pelle ustionata un unguento della cui efficacia è convinta. Null'altro. Ora, in questa sequenza di eventi del tutto ordinari, dov'è la prova che la Walters è stata ipnotizzata? E infine, supponendo che lo sia stata, quale prova c'è del motivo? — La dà la stessa Walters — rispose Braile. — Ricorda? Mi piacerebbe fare di lei una bambola, mia cara. Ero quasi riuscito a convincermi del mio ragionamento, e questa osservazione mi irritò. — Lei — dissi — mi vorrebbe far credere che la Walters, una volta attirata nel negozio, sia stata costretta con arti occulte a tornare ancora, finché quella Madame Mandilip non ha portato a termine i suoi disegni diabolici. Che la commessa compassionevole avesse cercato di salvarla da quello che i vecchi melodrammi chiamavano «un fato peggiore della morte», benché non intendessero precisamente il fato. Che la bambola promessa per sua nipote fosse l'esca sull'amo di una fattucchiera. Che occorreva che si scot-
tasse per rendere possibile l'applicazione dell'unguento stregato. Che questo unguento sia stato il veicolo della morte sconosciuta. Che, non essendo scattata la prima trappola, quella del filo metallico, sia stato escogitato l'incidente della teiera che ebbe pieno successo. E che ora l'anima della Walters svolazzi dentro lo specchio stregato, proprio come nel sogno che aveva fatto. E tutto ciò, mio caro Braile, è vergognosa superstizione. — Ah, dunque anche lei — osservò Braile, indirettamente — ha pensato a queste possibilità, in fin dei conti! Allora la sua mente non è fossilizzata come ho ritenuto pochi minuti fa. Mi irritai ancora di più. — Secondo la sua ipotesi, ogni fatto descritto nel diario, dal momento in cui la Walters è entrata nel negozio, era preordinato allo scopo di consentire a quella Madame Mandilip di impossessarsi della sua anima, scopo raggiunto poi con la morte della Walters? Dopo un attimo di esitazione Braile rispose: — In sostanza... sì. — L'anima! — commentai con sarcasmo. — Ma io non ho mai visto un'anima, e non mi risulta che nessuno abbia mai fornito le prove concrete di averla vista. Che cos'è un'anima, sempre che esista? È ponderabile? È materiale? Dovrebbe esserlo, se la sua ipotesi è giusta. Come ci si potrebbe impossessare di una cosa imponderabile e immateriale? Come facciamo a sapere di averla, se non la possiamo vedere, né pesare, né avvertire, né misurare, né udire? Se non è materiale, in che modo può essere forzata, guidata, imprigionata? Appunto la cosa che quella fabbricante di bambole, secondo la sua ipotesi, Braile, avrebbe fatto con l'anima della Walters. E se invece è materiale, in che parte del corpo ha sede? Nel cervello? Ho eseguito interventi su centinaia di cervelli, ma non ho mai trovato un loculo segreto occupato da questa misteriosa entità. Cellule microscopiche, dal funzionamento di gran lunga più complesso di quello di qualsiasi macchina mai progettata, cellule che modificano mentalità, umore, modo di ragionare, stato emotivo, e personalità del loro possessore, a seconda che funzionino bene o male: ecco che cosa ho trovato, Braile. Ma l'anima, mai! Altri chirurghi hanno esplorato a fondo il resto del corpo umano, e neppure loro vi hanno trovato un tempio segreto. Mi mostri un'anima, Braile, e crederò in... in Madame Mandilip. Braile mi osservò in silenzio per qualche istante, poi annui. — Adesso capisco. Anche per lei è stato un grosso colpo, vero? E ora sta picchiando a sua volta contro lo specchio, non è così? Bene, anch'io ho dovuto lottare per mettere da parte quella che, secondo quanto mi hanno
insegnato, è la realtà, e per ammettere che può esistere qualcos'altro di ugualmente reale. Questa faccenda, Lowell, supera i confini della medicina e della scienza così come noi le conosciamo: finché non l'ammettiamo non possiamo approdare a nulla. Ci sono ancora due cose che vorrei sottolineare. Peters e la Darnley sono morti allo stesso modo. Ricori scopre che entrambi hanno avuto a che fare con una certa Madame Mandilip, o così possiamo presumere. Va da lei, e sfugge alla morte per un pelo. Ci va anche Harriet, e muore come la Darnley e Peters. Non è logico, allora che tutto ciò indichi Madame Mandilip come la possibile causa del male che ha travolto queste quattro persone? — Certo — risposi. — Ne consegue allora che la paura e i presentimenti di Harriet possono aver avuto una base reale, e che può esserci stata una causa diversa dall'emotività e dalla fantasia troppo fervida, anche se Harriet non era al corrente delle circostanze. Mi accorsi troppo tardi dell'alternativa di fronte alla quale mi aveva posto la mia ammissione; ma non potei far altro che dare ragione a Braile. — La seconda cosa che vorrei sottolineare è la perdita di ogni desiderio da parte di Harriet di tornare da quella donna dopo l'incidente della teiera. Non le è parsa curiosa? — No. Ammettendo la sua instabilità emotiva, lo shock subito avrebbe dato origine automaticamente a un'inibizione, a una barriera inconscia. A meno che siano masochiste, tali persone non gradiscono tornare sulla scena di un'esperienza sgradevole. — Ha fatto caso all'osservazione di Harriet, sul fatto che la donna, dopo la scottatura, non l'ha accompagnata alla porta del negozio? E che quella è stata la prima volta che trascurava l'abituale gesto di cortesia? — Non particolarmente. Perché? — Ecco. Se l'applicazione dell'unguento costituiva la fase finale, dopo di che la morte diveniva inevitabile, per Madame Mandilip poteva essere assai imbarazzante che la sua vittima andasse e venisse nel negozio durante il periodo necessario affinché il veleno facesse effetto. L'attacco avrebbe anche potuto verificarsi lì, dando luogo a pericolose indagini. La soluzione più astuta, perciò, sarebbe stata di far sì che la vittima ignara perdesse ogni interesse nei suoi confronti: anzi, provasse repulsione verso di lei o addirittura, forse, la dimenticasse. Ciò poteva essere facilmente ottenuto mediante suggestione post-ipnotica, e a Madame Mandilip non ne mancava certo l'opportunità. Questa spiegazione dell'improvvisa antipatia di Harriet non è
forse altrettanto logica della fantasia o dell'emotività? — Sì — ammisi. — Allora — continuò Braile — abbiamo scoperto perché quel giorno la donna non ha accompagnato Harriet alla porta. La sua trama ha funzionato, lo scopo è raggiunto, e lei ha indotto la suggestione postipnotica: non c'è più bisogno di ulteriori contatti con Harriet. Perciò la lascia andare, e da sola: significativo indizio di conclusione del piano, direi! Braile tacque, immerso nei suoi pensieri. — Nessun bisogno di vedere ancora Harriet — mormorò a mezza voce — fino a dopo la sua morte. Si diresse al punto del pavimento in cui si trovava la chiazza carbonizzata e raccolse i due cristalli danneggiati dal calore. Erano grandi circa il doppio di un nocciolo d'oliva, e sembravano fatti di un materiale composto. Braile si avvicinò al tavolo e osservò la grottesca sagoma da cui spuntava lo scheletro. — Pensa che l'abbia fuso il calore? — chiese, e allungò la mano per prendere lo scheletro. Quello non si spostò, e allora lui gli diede un forte strattone. Si produsse un sibilo lacerante, e Braile lo lasciò andare imprecando per lo spavento. Lo scheletro cadde a terra, e prese a sussultare a mano a mano che il singolo filo da cui era composto si svolgeva. Questo, svolgendosi, ondeggiò sul pavimento come un serpente; poi, con un ultimo fremito, si immobilizzò. Riportammo lo sguardo sul tavolo. La sostanza che aveva avuto l'aspetto di un corpo allargato, appiattito, privo di testa, era scomparsa. Al suo posto c'era un velo di sottile polvere grigia, che roteò e turbinò per un istante in una corrente invisibile... e poi scomparve anch'essa. X. La cuffietta dell'infermiera e la scala della strega — Quella donna sa sbarazzarsi delle prove! Braile rise, ma la sua risata era priva di allegria. Non dissi nulla. Avevo avuto lo stesso pensiero nei confronti di McCann quando la testa della bambola era svanita. Ma McCann non poteva essere sospettato di quest'altro fatto. Evitando ogni ulteriore discussione sulla faccenda, passammo nella dipendenza, alla clinica, per vedere Ricori. C'erano due nuovi uomini di guardia alla porta; si alzarono educatamente e ci parlarono con affabilità. Entrammo silenziosamente. Ricori era scivolato dall'assopimento del farmaco a un sonno naturale. Sprofondato in
quel sonno salutare, respirava con facilità e con calma. La sua stanza era tranquilla: situata nella parte posteriore dell'edificio, dava su un giardinetto cintato. Sia l'abitazione sia la clinica sono all'antica, risalendo a un'epoca in cui New York era meno turbolenta; vigorose viti vergini rampicanti si abbarbicavano sulla facciata e sul retro di entrambi gli edifici. Raccomandai all'infermiera di mantenere la massima quiete, e regolai la sua lampadina da tavolo in modo che proiettasse su Ricori soltanto un fioco barlume. Uscendo, feci la stessa raccomandazione alle guardie, e dissi loro che la rapida guarigione del capo poteva dipendere dal silenzio. Erano le sei passate. Chiesi a Braile di restare a cena, e di fare poi una breve visita ai miei pazienti all'ospedale telefonandomi se lo riteneva necessario. Desideravo rimanere a casa ad aspettare l'eventuale risveglio di Ricori. Avevamo quasi terminato di cenare quando il telefono squillò. Rispose Braile. — McCann — disse. Andai all'apparecchio. — Pronto, McCann. Parla il dottor Lowell. — Come sta il capo? — Meglio. Mi aspetto che si svegli da un momento all'altro e sia in grado di parlare — risposi, aguzzando l'orecchio per cogliere l'eventuale reazione di McCann a tale notizia. — Che bellezza, dottore! — Nella sua voce non riuscii a notare altro che la più profonda soddisfazione. — Senta, dottore. Ho visto Mollie e ho delle notizie. Ho fatto un salto a casa sua subito dopo essermene andato. Gilmore, cioè suo marito, era a casa. Ciò mi ha fornito un'occasione. Ho detto che avevo fatto una capatina per invitarla a fare un giretto in macchina, se ne aveva voglia. L'idea l'ha solleticata e abbiamo lasciato a casa Gil con la bambina. — Sa della morte di Peters? — lo interruppi. — No, non gliel'ho detto. Ora ascolti. Le ho già detto che Horty... Come? Ma sì, la signorina Darnley, la ragazza di James Martin. Mi vuol lasciar parlare, per favore? Le ho già detto che Horty andava matta per la bambina di Mollie. Ai primi del mese scorso, Horty arriva con una magnifica bambola per la piccola. Ha anche la mano piagata e dice che l'ha avuta dove ha avuto la bambola. È un regalo, dice, della donna da cui ha avuto la bambola... Come? No, le ha regalato la bambola, non la mano. Ma dica un po', dottore, che non parlo chiaro? Sì. Si è fatta male alla mano nel luogo
in cui ha preso la bambola. È appunto quel che ho detto. La donna gliela cura. Le dà la bambola per niente, dice Horty a Mollie, perché trova Horty così graziosa, e perché Horty ha accettato di posare per lei. Sì! Far da modella. Per una statua o non so che. La cosa ha entusiasmato Horty, che non si giudica brutta e trova che quella donna è una cannonata. Ma sì! Una cannonata, un fenomeno, uno schianto. «Circa una settimana dopo, Tom, cioè Peters, capita in casa mentre c'è Horty e vede la bambola. Tom è un briciolino geloso di Horty per via della piccola, e le chiede dove l'ha presa. Lei gli dice da una certa Madame Mandilip, e dove, e allora Tom dice che quella è una bambola-femmina che ha bisogno di compagnia, così lui andrà a prendere una bambolamaschio. Circa una settimana dopo, Tom arriva con una bambola-maschio e fatta e sputata quella di Horty. Mollie gli chiede se l'ha pagata come Horty. Loro non gli avevano detto che Horty non l'aveva pagata niente o che aveva pagato posando. Mollie mi ha detto che Tom sembrava un po' impacciato, ma tutto quello che dice è... be', che non si è certo rovinato per averla. Lei sta per prenderlo in giro chiedendogli se la donna delle bambole l'ha trovato così grazioso da volerlo far posare; ma la bambina si mette a strillare di gioia per la bambola-maschio e Mollie non ci pensa più. Tom non si fa più vedere circa fino al primo di questo mese. Ha una mano fasciata e Mollie, scherzando, gli chiede se si è fatto male nel posto dove ha preso la bambola. Tom sembra sorpreso e dice: "Sì, ma come diavolo lo sai? " Sì... Sì, lei dice che lui le ha detto così. Che cosa si è fatto? Gli ha fatto la Mandilip la fasciatura? Come diavolo... Non so. Credo di sì, può darsi. Mollie non l'ha detto e io non gliel'ho chiesto. Senta, dottore, le ho detto che Mollie non è scema. Ci ho messo due ore per tirarle fuori quello che le sto raccontando. Parla di questo, parla di quello, e torna indietro come per caso a quello che stavo cercando di scoprire. Avevo paura di fare troppe domande. Cosa? No, no, dottore, okay: nessun rancore. Sì, dico anch'io che sarebbe ridicolo. Ma come le stavo dicendo avevo paura di andare troppo in là. Mollie è troppo furba. «Bene, quando Ricori è andato là ieri ha usato la mia stessa tattica, credo. Comunque ha ammirato le bambole e ha chiesto a Mollie dove le ha prese e quanto costano e così via. Si ricorda, dottore, che le ho detto che ero rimasto fuori in auto mentre il capo era là? È stato dopo questo che è andato a casa e ha fatto le telefonate e poi è filato da quella megera della Mandilip. Sì, è tutto. Significa qualche cosa? Sì? Allora benissimo.» McCann rimase zitto per qualche istante, ma non avevo sentito lo scatto
del ricevitore. Chiesi: — È lì, McCann? — Sì. Stavo solo pensando. — Nella voce risuonò una nota di ansia. — Mi piacerebbe proprio essere con lei quando il capo rinviene. Ma sarà meglio che vada giù a vedere come vanno le cose con quelle due vacche delle Mandilip. Magari le telefono se non è troppo tardi. Arrivederci. Tornai a passo lento da Braile cercando di riordinare le idee sconnesse. Gli ripetei punto per punto la parte finale della conversazione con McCann. Braile non mi interruppe. Quando ebbi finito, disse tranquillamente: — Hortense Darnley va dalla Mandilip: qui riceve una bambola, le viene chiesto di posare, si ferisce, viene medicata. E muore. Peters va dalla Mandilip; qui riceve una bambola e si ferisce, e presumibilmente viene medicato anche lui. E muore come Hortense. Lei, dottor Lowell, ha visto una bambola per la quale, evidentemente, ha posato Peters. Harriet passa attraverso la stessa trafila. E muore come Hortense e Peters. Che ne dice? D'improvviso mi sentii piuttosto vecchio e stanco. Non è precisamente incoraggiante veder crollare quello che si è ritenuto a lungo un mondo abbastanza ben ordinato dove ogni effetto ha la sua brava causa nota. Con voce stanca risposi: — Non so. Braile si alzò e mi batté sulla spalla. — Si faccia una dormitina. L'infermiera la chiamerà se Ricori si sveglia. Andremo in fondo a questa faccenda. — Anche a costo di rimetterci la pelle — dissi, con un sorriso. — Anche a costo di rimetterci la pelle — ripeté, ma senza sorridere. Dopo che Braile se ne fu andato, rimasi a lungo a pensare. Poi, deciso ad allontanare i miei pensieri, cercai di leggere. Ero troppo irrequieto, e poco dopo smisi. Come la stanza in cui era Ricori, il mio studio si trova nella parte posteriore dell'edificio, e dà sul giardinetto. Andai alla finestra e guardai fuori, senza vedere. Provavo più vivida che mai quella sensazione di stare davanti a una porta chiusa che bisognava assolutamente aprire. Tornai nello studio e fui sorpreso di vedere che erano quasi le dieci. Abbassai la luce e mi adagiai sul comodo divano. Mi addormentai quasi subito. Mi risvegliai da quel sonno di soprassalto, come se qualcuno mi avesse parlato nell'orecchio. Mi misi a sedere, in ascolto. Intorno a me c'era il silenzio più assoluto. E d'improvviso mi resi conto che era un silenzio strano, inconsueto e opprimente. Un silenzio cupo e completo che riempiva lo studio, e attraverso il quale nessun suono penetrava dall'esterno. Balzai in piedi e accesi tutte le lampade. Il silenzio indietreggiò, sembrò riversarsi
fuori della stanza come qualcosa di tangibile. Ma con lentezza. Udii l'orologio: si era messo a ticchettare di colpo, come se gli fosse stato tolto un silenziatore. Scossi il capo con impazienza, e andai alla finestra. Mi sporsi per respirare la fresca aria notturna. Mi sporsi ancora di più, in modo da poter vedere la finestra della stanza di Ricori, e appoggiai la mano al tronco della vite. Lo sentii tremare come se qualcuno l'avesse scosso con delicatezza. O come se un animaletto vi si stesse arrampicando. La finestra della stanza di Ricori divenne un quadrato di luce. Dietro di me sentii il suono acuto del campanello d'allarme della clinica, che significava la necessità di accorrere d'urgenza. Mi precipitai fuori dello studio e su per le scale. Mentre mi affrettavo lungo il corridoio vidi che gli uomini di guardia non erano alla porta, e che questa era aperta. Rimasi immobile sulla soglia, incredulo. Una guardia era rannicchiata vicino alla finestra, con la rivoltella in mano, e l'altra inginocchiata accanto a un corpo sul pavimento, con la pistola puntata verso di me. L'infermiera sedeva al suo tavolo, col capo reclinato sul petto, svenuta o addormentata. Il letto era vuoto. Il corpo sul pavimento era Ricori! La guardia abbassò la rivoltella. Mi lasciai cadere accanto a Ricori. Giaceva lungo e disteso a faccia in giù, a pochi passi dal letto. Lo girai supino: il volto aveva il pallore della morte, ma il cuore batteva. — Mi aiuti a rimetterlo sul letto — dissi alla guardia. — Poi chiuda la porta. Eseguì, in silenzio. L'uomo alla finestra, senza smettere di sorvegliare l'esterno, chiese torcendo di lato la bocca: — Il capo è morto? — Non del tutto — risposi, imprecando poi come faccio di rado: — Diavolo e dannazione! Ma che razza di guardie siete? L'uomo che aveva chiuso la porta fece una risatina triste: — Ce lo chiederà anche qualcun altro, dottore. Lanciai un'occhiata all'infermiera. Era ancora raggomitolata nella posizione inerte di chi ha perso i sensi o giace in un sonno profondo. Tolsi il pigiama a Ricori e ne esaminai il corpo: non c'era alcun segno. Mandai a prendere l'adrenalina, gli feci un'iniezione, poi passai all'infermiera e la scossi. Non si svegliò. Le sollevai le palpebre. Le pupille erano contratte. Vi proiettai dentro una luce, senza esito. Ritmo respiratorio e cardiaco erano lenti ma non in modo allarmante. La lasciai per un attimo e mi girai verso le guardie.
— Che cosa è accaduto? Si scambiarono un'occhiata inquieta. La guardia alla finestra fece un gesto con la mano come per invitare l'altra a rispondere. Questa disse: — Eravamo seduti là fuori. Tutto di colpo la casa diventa maledettamente silenziosa. Io dico a Jack: «Sembra che abbiano messo un silenziatore sull'edificio». Lui risponde: «Sì». Stiamo in ascolto. Poi tutto d'un tratto sentiamo un tonfo qui dentro, come qualcuno che cade dal letto. Sfondiamo la porta, C'è il capo sul pavimento come l'ha visto lei. C'è l'infermiera addormentata come la vede ora. Vediamo l'allarme e lo tiriamo. Poi aspettiamo che arrivi qualcuno. Questo è tutto, eh, Jack? — Si — rispose l'uomo alla finestra con voce inespressiva. — Si, credo che sia tutto. Lo fissai, insospettito. — Crede che sia tutto? Che cosa significa, «crede»? Di nuovo i due si scambiarono un'occhiata. — Meglio vuotare il sacco, Bill — disse la guardia alla finestra. — Diavolo, non lo crederà — replicò il compagno. — Come nessun altro. Comunque diglielo. La guardia Bill disse: — Quando abbiamo sfondato la porta abbiamo visto qualcosa come un paio di gatti che si azzuffavano là, vicino alla finestra. Il capo giaceva sul pavimento. Avevamo le rivoltelle spianate ma avevamo paura di sparare per via di quello che lei ci aveva detto. Poi abbiamo sentito uno strano rumore di fuori come qualcuno che suonava un flauto. Le due cose hanno smesso di lottare, sono balzate sul davanzale della finestra, e sono saltate fuori. Ci siamo precipitati alla finestra, ma non abbiamo visto niente. — Avete visto le cose alla finestra. Allora, com'erano? — chiesi. — Diglielo tu, Jack. — Bambole! Un brivido mi percorse la schiena. Era la risposta che mi aspettavo. E che temevo. Fuori della finestra! Rammentai il tremito della vite quando l'avevo afferrata. L'uomo che aveva chiuso la porta mi fissò, e lo vidi spalancare la bocca per la meraviglia. — Gesù, Jack! — boccheggiò. — Ci crede! Mi sforzai di parlare. — Che genere di bambole? Rispose l'uomo alla finestra, con maggior sicurezza. — Una non l'abbiamo potuta vedere bene. L'altra sembrava una sua infermiera che si fosse rimpicciolita fino a circa sessanta centimetri!
Una mia infermiera. La Walters... Avvertii un'ondata di debolezza e mi lasciai cadere sul bordo del letto di Ricori. Qualcosa di bianco sul pavimento, all'altezza della testata del letto, richiamò la mia attenzione. Lo fissai attonito, poi mi chinai e lo raccolsi. Era una cuffietta da infermiera, un minuscolo duplicato di quelle che indossano le mie infermiere. All'incirca grande abbastanza da adattarsi alla testa di una bambola di sessanta centimetri. Dove avevo trovato la cuffietta c'era ancora qualcosa. Lo raccolsi. Era una funicella annodata di capelli. Capelli color cenere chiaro. Nove strani nodi, a intervalli irregolari. La guardia di nome Bill mi fissava con ansia. Chiese: — Vuole che chiami qualcuno dei suoi dipendenti, dottore? — Cerchi di rintracciare McCann — gli dissi; quindi mi rivolsi all'altra guardia. — Chiuda le finestre, le spranghi, e abbassi le tendine. Poi chiuda la porta a chiave. Bill cominciò a telefonare. Ficcandomi in tasca la cuffietta e la funicella annodata, mi avvicinai all'infermiera. Si stava riprendendo in fretta, e dopo un minuto o due riuscii a farla rinvenire. In principio i suoi occhi indugiarono su di me, perplessi; videro la stanza illuminata e i due uomini, e la perplessità si mutò in agitazione. Balzò in piedi. — Non l'avevo vista entrare! Mi sono addormentata... Che cos'è accaduto? — Si portò una mano alla gola. — Spero che lei ce lo possa dire — risposi, con gentilezza. L'infermiera mi fissò senza capire. Con aria confusa disse: — Io non so. Tutto è diventato spaventosamente silenzioso. Mi è parso di vedere qualcosa che si muoveva, alla finestra, poi ho sentito una strana fragranza... e poi ho aperto gli occhi e ho visto lei, chino su di me. Le chiesi: — Riesce a ricordare qualcosa di quello che ha visto alla finestra? Il minimo particolare, la più piccola impressione. Per favore, si sforzi. Con voce esitante mi rispose: — C'era qualcosa di bianco. Mi è parso che qualcuno, qualcosa, mi stesse osservando; poi è arrivata quella fragranza, come di fiori. Questo è tutto. Bill riattaccò il telefono. — Tutto a posto, dottore. Lo stanno cercando. E adesso? Mi rivolsi all'infermiera. — Signorina Butler, la sostituirò io per il resto della notte. Vada a letto. E voglio che dorma. Le prescrivo... — le dissi che cosa.
— Non è arrabbiato? Non pensa che sono stata negligente? — No a tutte e due le domande. — Sorrisi e le battei sulla spalla. — Il caso ha preso una svolta inaspettata, ecco tutto. Ora non faccia altre domande. Mi avviai con lei alla porta, e aprii. — Faccia esattamente come le ho detto. Quando fu uscita richiusi la porta a chiave. Mi sedetti accanto a Ricori. Lo shock che aveva subito, qualunque fosse stato, avrebbe dovuto guarirlo o ucciderlo, pensai con freddezza. Mentre lo guardavo, un tremito gli attraversò il corpo. Lentamente un braccio cominciò a sollevarsi, col pugno serrato. Le labbra si mossero. Ricori parlò, in italiano e tanto in fretta che non riuscii ad afferrare una parola. Il braccio ricadde. Mi alzai dal letto. La paralisi se ne era andata, Ricori poteva muoversi e parlare: ma ne sarebbe stato di nuovo in grado una volta ripresa conoscenza? Ce l'avrebbero detto le prossime ore. Io, non potevo fare niente. — Ora, ascoltatemi attentamente — dissi alle due guardie. — Anche se quanto sto per dire vi sembrerà strano, dovete obbedirmi in ogni particolare: ne va della vita di Ricori. Voglio che uno di voi si sieda al mio fianco a questo tavolo. Voglio che l'altro si sieda accanto a Ricori, alla testata del letto e fra lui e me. Se sono addormentato e lui dovesse destarsi, svegliatemi. Se vedete qualche cambiamento nel suo stato, svegliatemi immediatamente. È chiaro? I due risposero: — Okay. — Benissimo. Ecco adesso la cosa più importante. Voi dovete sorvegliare ancora più attentamente me. Quello di voi che si siede al mio fianco non deve distogliere lo sguardo da me. Se mi avvicino a Ricori dev'essere soltanto per fare una di queste tre cose: auscultare cuore e polmoni; sollevargli le palpebre; misurargli la temperatura. Questo, naturalmente, se rimane nelle condizioni attuali. Se sembra che io mi sia svegliato e voglia fare qualunque altra cosa diversa da quelle tre, fermatemi. Se oppongo resistenza, immobilizzatemi, legatemi e imbavagliatemi... No, non imbavagliatemi: ascoltate quello che dico e tenetelo a mente. Poi telefonate al dottor Braile: ecco il suo numero. Lo scrissi su un foglietto, che tesi ai due uomini. — Non fatemi male più di quanto sia necessario — dissi ridendo. I due, chiaramente perplessi, si scambiarono un'occhiata. — Se lei dice così, dottore... — cominciò la guardia Bill, in tono dubbioso.
— Dico proprio così. Non esitate. Se sbagliate, non ve ne farò una colpa. — Il dottore sa quel che dice, Bill — replicò la guardia Jack. — Allora okay — disse Bill. Spensi tutte le luci tranne quella accanto al tavolo dell'infermiera. Mi allungai nella sua sedia e regolai la lampada in modo che mi si potesse vedere chiaramente il volto. Quella piccola cuffietta bianca che avevo raccolto dal pavimento mi aveva scosso: e maledettamente, anche! Me la tolsi di tasca e la deposi in un cassetto. La guardia Jack prese posto accanto a Ricori. Bill avvicinò una sedia e si mise di fronte a me. Ficcai la mano in tasca e strinsi la funicella; chiusi gli occhi, liberai la mente da tutti i pensieri, e mi rilassai. Rinunciando, almeno temporaneamente, alla mia concezione di un universo equilibrato, avevo deciso di dare a quello di Madame Mandilip ogni possibilità di operare. Sentii debolmente un orologio battere la una. Scivolai nel sonno. Da qualche parte mugghiava un vento impetuoso. Volteggiò e si abbatté su di me. Mi portò via. Sapevo di non avere corpo, né addirittura immagine: tuttavia ero. Un'impalpabile sensibilità turbinava in quel forte vento. Mi portò a distanza infinita. Benché sapessi di essere privo di corpo e intangibile, tuttavia quella riversò in me una vitalità non terrena. Mugghiavo col vento in un'esultanza sovrumana. Il vento impetuoso volteggiò e mi riportò indietro da uno spazio immenso... Mi sembrò di svegliarmi, con quella pulsazione di strana esultanza che ancora mi fluttuava dentro. Ah! Ecco là quello che dovevo distruggere. Là, sul letto. Devo uccidere, affinché questa esultanza non cessi. Devo uccidere, affinché il vento impetuoso mi raccolga ancora e mi porti lontano e mi nutra con la sua vita. Ma attento... attento... Là, là nella gola proprio sotto l'orecchio... è là che devo conficcarlo... poi di nuovo via col vento... là, dove c'è la pulsazione... Che cosa mi trattiene? Cautela, cautela... «Gli voglio misurare la temperatura»... Proprio così, attento... «Gli voglio misurare la temperatura»... E ora, un rapido balzo, poi nella gola dove c'è la pulsazione... «Non con quello, no!» Chi ha parlato? Ancora mi trattengono... Furia, devastatrice e spietata. Oscurità e il suono di un impetuoso vento che continua a mugghiare... Udii una voce. — Schiaffeggialo ancora, Bill, ma non tanto forte. Sta rinvenendo. — Sentii in volto un colpo cocente. I vapori che danzavano davanti ai miei occhi scomparvero. Ero a metà strada fra il tavolo dell'infermiera e il letto di Ricori. La guardia Jack mi teneva le braccia immobi-
lizzate lungo i fianchi. La mano di Bill era ancora sollevata. La mia serrava strettamente qualcosa. Guardai: era un grosso bisturi, affilato come un rasoio! Aprii le dita, e il bisturi cadde a terra. Con calma dissi: — Ora va tutto bene, potete lasciarmi. La guardia Bill non disse nulla. Il compagno non allentò la presa. Girai la testa e vidi che il volto di tutti e due era di un pallore terreo. Dissi: — È accaduto quello che mi aspettavo. Per questo vi avevo istruito prima. Adesso è finito. Potete tenere puntate su di me le rivoltelle, se vi fa piacere. La guardia che mi teneva mi liberò le braccia. Mi toccai la guancia con cautela. Dissi in tono gentile: — Deve avermi colpito piuttosto forte, Bill. Quello rispose: — Se avesse potuto vedersi la faccia, dottore, si chiederebbe perché non gliel'ho fracassata. Annuii, ormai chiaramente consapevole della natura demoniaca di quella furia. — Che cosa ho fatto? — chiesi. La guardia Bill rispose: — Si è svegliato ed è rimasto seduto là per un minuto a fissare il capo. Poi ha tirato fuori qualcosa da quel cassetto e si è alzato. Ha detto che voleva prendergli la temperatura. È arrivato a metà strada prima che vedessimo quello che aveva in mano. Io ho gridato: «Non con quello, no!», Jack l'ha afferrata. Poi lei è... è impazzito. E ho dovuto prenderla a schiaffi. Questo è tutto. Annuii di nuovo. Presi dalla tasca la funicella annodata fatta di biondi capelli femminili: la tenni sospesa su un piatto e le avvicinai un fiammifero. La funicella cominciò a bruciare contorcendosi come una minuscola serpe, mentre i nodi complessi si slegavano al contatto della fiamma. Lasciai cadere sul piatto l'ultimo pezzetto e lo guardai diventare cenere. — Credo che questa notte non ci saranno altri guai — dissi. — Però mantenete la sorveglianza esattamente come prima. Mi rimisi a sedere e chiusi gli occhi... Bene, Braile non mi aveva fatto vedere un'anima. Ma ora credevo in Madame Mandilip. XI. Una bambola uccide Per il resto della notte dormii profondamente e senza sognare. Mi svegliai come al solito alle sette. I due uomini erano sempre all'erta. Chiesi loro se si era saputo niente di McCann, e mi risposero di no. Mi meravigliai un poco, ma quelli non sembrarono ritenerla una cosa inconsueta. Presto sarebbero venute altre due guardie a dare il cambio, e io raccomandai loro
di non parlare con nessuno fuorché con McCann degli eventi di quella notte, osservando che se l'avessero fatto probabilmente nessuno li avrebbe creduti. Si affrettarono ad assicurarmi che sarebbero stati zitti. Ordinai che da quel momento le guardie, finché erano necessarie, rimanessero dentro la stanza. Passai a esaminare Ricori, e vidi che dormiva di un sonno profondo e naturale. Sotto tutti i punti di vista le sue condizioni erano molto soddisfacenti. Conclusi che il secondo shock, come a volte succede, aveva neutralizzato gli effetti postumi di quello iniziale. Quando si fosse svegliato sarebbe stato in grado di parlare e di muoversi. Diedi alle guardie queste notizie rassicuranti: vidi che morivano dalla voglia di far domande, ma non le incoraggiai minimamente a pormele. Alle otto comparve l'infermiera diurna di Ricori, chiaramente molto sorpresa di aver trovato a letto la Butler e di trovare me al suo posto. Non le diedi alcuna spiegazione: mi limitai a dirle che ora le guardie si sarebbero fermate all'interno della stanza invece che fuori della porta. Alle otto e mezzo giunse Braile per la colazione e per fare rapporto. Lo lasciai terminare prima di informarlo di quello che era accaduto. Però non gli dissi nulla della cuffietta da infermiera, né della mia esperienza personale. Avevo taciuto per dei buoni motivi. Primo: Braile avrebbe tratto tutte le spaventose deduzioni relative alla presenza della cuffietta. Avevo il sospetto che fosse stato innamorato della Walters, e non avrei potuto impedirgli di andare dalla fabbricante di bambole. Braile, che di solito era tetragono, in questa faccenda era fin troppo suggestionabile. Recandosi là, avrebbe corso un pericolo, e le sue osservazioni non sarebbero state per me di alcun valore. Secondo: se avesse saputo quel che mi era accaduto, avrebbe senza dubbio rifiutato di perdermi di vista. Terzo: entrambe queste eventualità avrebbero fatto fallire il mio piano, cioè andare da Madame Mandilip assolutamente da solo (fatta eccezione per McCann, di guardia fuori del negozio). Non potevo prevedere che cosa sarebbe uscito da tale incontro; ma ovviamente quello era l'unico modo per conservare il mio amor proprio. Ammettere l'intervento della magia, della stregoneria, del soprannaturale, significava arrendersi alla superstizione. Nulla può essere soprannaturale. Tutto ciò che esiste deve esistere nell'osservanza delle leggi della natura. I corpi materiali devono obbedire alle leggi della materia. Può trattarsi di leggi che non conosciamo, tuttavia esistono. Se Madame Mandilip posse-
deva le chiavi di una scienza segreta, era doveroso che io, quale rappresentante della scienza ufficiale, scoprissi quello che mi era possibile dell'altra. Soprattutto dopo averla fronteggiata, di recente, in modo così completo. Il pensiero di essere riuscito a battere in astuzia quella donna nel suo stesso campo (se di questo si era trattato, e non di un'illusione autoindotta) mi dava una piacevole sensazione di sicurezza. Comunque, dovevo conoscerla. Quello era però uno dei miei giorni di consultazione, per cui non potei allontanarmi prima delle due. Poi chiesi a Braile di sostituirmi, per qualche ora. Intorno alle dieci l'infermiera mi telefonò per dirmi che Ricori era sveglio e in grado di parlare, e aveva chiesto di me. Quando entrai nella stanza, egli mi sorrise. Mentre mi chinavo su di lui e gli prendevo il polso mi disse: — Credo che lei abbia salvato qualcosa di più della mia vita, dottor Lowell! Ricori la ringrazia. Non dimenticherà mai! Frasi alquanto pompose, ma del tutto in stile con lui. Questo dimostrava che la sua mente era in condizioni normali. Mi sentii sollevato. Gli diedi un colpetto sulla mano. — La vedremo in piedi in un batter d'occhio. Ricori bisbigliò: — Ci sono state altre... morti? Mi ero già chiesto se avesse serbato qualche ricordo degli avvenimenti notturni. Risposi: — No. Ma lei ha perso molte energie da quando McCann l'ha portata qui. Non voglio che parli troppo, oggi. — E soggiunsi, come per caso: — No, non è accaduto nulla. Oh, sì. Questa mattina lei è caduto dal letto. Ricorda? Lanciò un'occhiata alle guardie. Poi mi guardò di nuovo e disse: — Sono debole. Molto debole. Deve farmi tornare forte in fretta. — Fra due giorni potrà mettersi a sedere, Ricori. — In meno di due giorni devo essere in piedi e in grado di uscire. C'è una cosa che devo fare. Non posso aspettare. Non volevo che si agitasse. Rinunciai all'idea di chiedergli cosa fosse accaduto nell'auto. Con voce ferma gli dissi: — Questo dipenderà interamente da lei. Non si deve eccitare. Deve fare come le dico io. Adesso la lascio e vado a dare ordini per la sua alimentazione. Inoltre voglio che le guardie rimangano nella stanza. Ricori replicò: — E tuttavia mi dice che non è successo niente. — Non voglio che accada nulla. — Mi chinai su di lui e gli sussurrai: — McCann ha messo delle guardie dalla Mandilip. Non può più scappare.
Ricori disse: — Ma i servitori di quella donna sono più efficienti dei miei, dottor Lowell! Gli lanciai un'occhiata indagatrice, ma il suo sguardo era impenetrabile. Immerso in profondi pensieri tornai nell'ambulatorio. Che cosa sapeva, Ricori? Alle undici McCann mi telefonò. Fui così contento di sentirlo che mi arrabbiai. — Dove diamine è stato... — cominciai. — Senta, dottore — mi interruppe. — Sono da Mollie, la sorella di Peters. Venga subito qui. Quella richiesta perentoria accrebbe la mia irritazione. — Non adesso — risposi. — È ancora orario di visita: non sarò libero prima delle due. La sua voce era disperata. — Non può piantar lì tutto? È successo qualcosa. Non so che cosa fare! — Che cosa è successo? — chiesi. — Non posso raccontarglielo... — La voce si calmò, divenne cortese; sentii che McCann diceva: — Sta' calma, Mollie. Non può servire a niente! — Quindi, rivolto a me: — Be', venga prima che può, dottore. Aspetterò. Prenda l'indirizzo. — Poi, quando me l'ebbe dato, lo sentii di nuovo parlare con qualcun altro: — Smettila, Mollie! Non ho intenzione di lasciarti. Bruscamente riappese. Tornai alla mia sedia, preoccupato. McCann non mi aveva chiesto notizie di Ricori. Questo fatto era di per sé inquietante. Mollie? Ma certo, Mollie: aveva saputo della morte del fratello e le era venuto un collasso; Ricori infatti, come rammentai, aveva detto che le mancava poco alla nascita del secondo figlio. Eppure no: sentivo che il panico di McCann era dovuto a qualcosa di più. Divenivo sempre più inquieto. Diedi un'occhiata agli appuntamenti: non ce n'erano di importanti. Prendendo un'improvvisa decisione, dissi alla mia segretaria di telefonare per rimandarli. Feci preparare l'auto, e mi avviai all'indirizzo che McCann mi aveva dato. McCann mi venne incontro alla porta dell'appartamento. Aveva il volto tirato e lo sguardo stralunato. Mi trascinò dentro senza dire una parola, e mi condusse attraverso il vestibolo. Oltrepassai una porta aperta e scorsi una donna, con una bimbetta in braccio che piangeva. McCann mi portò in una camera e indicò il letto. Sopra era disteso un uomo, con le coperte tirate su fino al mento. Mi avvicinai, gli diedi un'occhiata, lo toccai: era morto. Era morto da ore.
McCann disse: — Il marito di Mollie. Lo visiti come ha fatto col capo. Ebbi la sensazione stranamente spiacevole che una mano inesorabile mi avesse fatto girare su un tornio da vasaio: da Peters, alla Walters, a Ricori, al corpo davanti a me... Il tornio si sarebbe fermato lì? Spogliai il cadavere. Tolsi dalla valigetta una lente d'ingrandimento e alcune sonde. Esaminai il corpo centimetro per centimetro, cominciando dalla regione cardiaca. Niente lì, niente in nessun posto. Capovolsi il corpo... Vidi subito una minuscola puntura alla base del cranio. Presi una sonda sottile e l'introdussi. La sonda - e di nuovo provai quella sensazione di ripetizione infinita - scivolò nel forellino. La manipolai, con delicatezza. Qualcosa come un lungo ago sottile era stato conficcato proprio in quella parte vitale in cui il midollo spinale si unisce al cervello. Per caso, o forse perché l'ago era stato torto tanto selvaggiamente da ledere i centri nervosi, si erano verificate la paralisi respiratoria e la morte quasi istantanea. Estrassi la sonda e mi girai verso McCann. — Quest'uomo è stato assassinato — dissi. — L'hanno ucciso con lo stesso tipo di arma con la quale hanno colpito Ricori. Ma chiunque sia stato, ha fatto un lavoro migliore. Quest'uomo non tornerà più in vita, come ha fatto invece Ricori. — Si? — disse McCann con voce tranquilla. — E con Ricori c'eravamo solo io e Paul quando è successo. E qui con quest'uomo, dottore, c'erano solo la moglie e la bambina! Adesso che cos'ha intenzione di fare? Dire che quelle due l'hanno fatto fuori... come pensava che avevamo fatto noi col capo? — Che cosa sa di questa faccenda, McCann? — chiesi. — E come mai lei si trovava qui, così... così opportunamente? In tono di sopportazione McCann rispose: — Non ero qui quando è stato ucciso, se è a questo che allude. Se vuole sapere l'ora, erano le due. Mollie mi ha telefonato circa un'ora fa e io sono venuto subito. — È stata più fortunata di me — dissi, asciutto asciutto. — È dall'una di stanotte che gli uomini di Ricori cercano di rintracciarla, McCann. — Lo so. Ma l'ho saputo solo un attimo prima che Mollie mi telefonasse. Stavo venendo da lei, dottore. E se vuole sapere che cos'ho fatto tutta la notte, glielo dirò. Ero in giro per gli affari del capo, e suoi. In primo luogo cercavo di scovare dove teneva il coupé quella strega della nipote. L'ho scoperto. Ma troppo tardi. — Ma gli uomini che dovevano essere di guardia...
— Senta, dottore, adesso non vuole parlare con Mollie? — mi interruppe McCann. — Ho paura per lei. L'ha tenuta su soltanto quello che le ho detto di lei, dottore, e il fatto che le ho detto che lei stava venendo. — Mi conduca da Mollie — dissi subito. Andammo nella stanza dove avevo visto la donna con la bambina che piangeva. La donna non aveva più di ventisette o ventott'anni, pensai, e in circostanze normali sarebbe stata insolitamente attraente. Ora invece aveva il volto tirato ed esangue, e gli occhi pieni d'orrore e di una paura che rasentava la soglia della pazzia. Mi fissava con aria assente; continuava a sfregarsi le labbra con la punta degli indici, fissandomi con quegli occhi attraverso i quali guardava una mente svuotata di tutto tranne che della paura e dell'angoscia. La piccola, una bimbetta di quattro anni, non cessava di singhiozzare. McCann scosse la donna per una spalla. — Dài, Mollie — disse con una certa rudezza mista a compassione. — C'è qui il dottore. Di colpo la donna si accorse di me. Mi guardò per un lungo istante con occhio fermo; quindi chiese, non tanto in tono di domanda quanto col tono di chi abbandona l'ultimo esile filo di speranza: — È morto? Mi lesse la risposta in volto. Gridò: — Oh, Johnnie, Johnnie-Boy! Morto! Prese in braccio la piccola e le disse, con voce quasi tranquilla: — Johnnie-Boy è andato via, tesoro. Il paparino ha dovuto andar via. Non piangere, tesoro, lo vedremo presto! Avrei voluto che si sfogasse, che piangesse; ma quella profonda paura che non abbandonava i suoi occhi era troppo forte, e sbarrava tutti i normali sbocchi del dolore. La sua mente non avrebbe potuto resistere molto a lungo sotto quella tensione, riflettei. — McCann, le dica qualcosa, le faccia qualcosa che la stimoli — bisbigliai. — La faccia arrabbiare violentemente, oppure piangere. Una cosa o l'altra, non importa quale. McCann annui. Le portò via la piccola dalle braccia e la spinse dietro di sé. Si chinò, col volto vicino a quello della donna. In tono brutale le disse: — Vuota il sacco, Mollie! Perché hai ucciso John? Per un attimo Mollie rimase immobile, senza capire. Poi un tremito la scosse. La paura svanì dai suoi occhi e la collera ne prese il posto. Si gettò su McCann, picchiandogli i pugni in faccia. McCann l'afferrò e le immobilizzò le braccia. La bambina si mise a strillare. Il corpo della donna si rilassò, le braccia le ricaddero lungo i fianchi. Si
accasciò sul pavimento, chinò il capo sulle ginocchia, e finalmente scoppiò in pianto. Vidi che McCann voleva rialzarla e consolarla, ma lo fermai. — La lasci piangere. È la cosa migliore. Dopo un breve istante Mollie guardò McCann e gli chiese, tremando: — Non intendevi sul serio quello che hai detto, eh, Dan? McCann rispose: — No, so che non sei stata tu, Mollie. Ma adesso devi parlare col dottore. C'è un sacco di cose da fare. Mollie, tornata quasi del tutto in sé, mi chiese: — Vuole interrogarmi, dottore? Oppure le racconto io quello che è successo? McCann suggerì: — Diglielo come l'hai detto a me. Comincia con la bambola. Io replicai: — Va bene, mi racconti la storia. Se avrò delle domande gliele farò quando avrà finito. Mollie cominciò. — Ieri pomeriggio Dan, cioè lui, è venuto qui per portarmi fuori a fare una corsa in macchina. Di solito John non arriva a casa... non arrivava... fino alle sei circa: ma ieri era preoccupato per me ed è tornato a casa presto, intorno alle tre. Dan gli è... gli era simpatico, e lui mi ha spinta a andare. Quando siamo ritornati erano poco più delle sei. «"Mentre eri fuori, Mollie, è arrivato un regalo per la piccola" mi ha detto John. "È un'altra bambola. Ci scommetto che l'ha mandata Tom". Tom è mio fratello. «Sul tavolo c'era una grossa scatola, e io ho sollevato il coperchio. Dentro c'era la bambola più viva che si possa immaginare. Una cosa perfetta. Una piccola bambola con l'aspetto di una bambina. Non una bambina piccola, ma una ragazzina di dieci o dodici anni. Vestita come una scolaretta, con i libri legati con una cinghia tenuta sopra una spalla. Alta soltanto una trentina di centimetri, ma perfetta. Un viso dolcissimo, il viso di un angioletto! «John ha detto: "Era indirizzata a te, Mollie, ma ho pensato che fossero fiori e l'ho aperta. Sembra quasi che possa parlare, eh? Ci scommetto che è quella che si chiama una bambola-ritratto. Una ragazzina ha posato per questo, di sicuro". «Allora mi sono convinta che l'aveva mandata Tom, perché aveva già dato una bambola alla piccola Mollie, e una mia amica che... che è morta... ne aveva data alla piccola un'altra, presa nello stesso posto, e mi aveva detto che la donna che le faceva l'aveva convinta a posare per una bambola. Così, mettendo insieme queste cose, ho capito che Tom era andato a prenderne un'altra per la piccola Mollie. Ma ho chiesto a John: "Non c'erano
dentro due righe, un biglietto, o qualcosa del genere?". Mi ha risposto: "No. Oh, sì, c'era una cosa strana. Dov'è? Devo essermela ficcata in tasca". «Si è frugato nelle tasche e ha tirato fuori una funicella. Aveva dei nodi, e sembrava fatta di capelli. Gli ho detto: "Chissà cos'ha avuto in mente Tom? ". John se l'è rimessa in tasca, e io non ho più pensato alla corda. «La piccola Mollie dormiva. Abbiamo messo la bambola vicino a lei, dove l'avrebbe potuta vedere al risveglio. Quando si è svegliata, è andata in estasi. Abbiamo cenato, e Mollie ha giocato con la bambola. Quando l'abbiamo messa a letto, volevo portargliela via, ma la piccola piangeva e allora l'abbiamo lasciata dormire con la bambola. Noi abbiamo giocato a carte fino alle undici, e poi ci siamo preparati per andare a letto. «La piccola Mollie è piuttosto irrequieta, e dorme ancora in un basso lettino a sbarre, così non può cadere fuori. Il lettino è in camera nostra, nell'angolo vicino a una delle due finestre. Tra le due finestre c'è il mio tavolo da toilette, e il nostro letto ha la testata contro la parete di fronte alle finestre. Ci siamo fermati a guardare Mollie, come facciamo... facevamo... sempre. Dormiva profondamente con un braccio stretto intorno alla bambola, che posava la testa sulla sua spalla. «John ha detto: "Dio, Mollie! Quella bambola sembra viva come la piccola! Non ci sarebbe da meravigliarsi di vederla alzarsi e camminare. La ragazzina che ha posato per lei doveva essere deliziosa". «Ed era vero. Aveva un visino delizioso, dolcissimo... Oh, dottor Lowell, proprio questo rende tutto più orribile, così atrocemente terrificante...» Vidi che il suo sguardo cominciava ad accendersi di paura. McCann disse: — Coraggio, Mollie! — Ho cercato di prendere la bambola — continuò Mollie, tornata di nuovo calma. — Era così graziosa che avevo paura che la piccola potesse rotolarle sopra o rovinarla in qualche altro modo. Ma la bambina la teneva ben salda, e non volevo svegliarla. Così l'ho lasciata lì. Mentre ci stavamo spogliando, John ha tolto la funicella dalla tasca. «"Che strani nodi" ha detto. "Quando parli con Tom, chiedigli a che cosa serve." L'ha gettata sul suo comodino e in poco tempo si è addormentato. E poi mi sono addormentata anch'io. «E poi mi sono svegliata, oppure ho pensato di essermi svegliata. Non so se ero desta o sognavo. Doveva essere un sogno, e tuttavia... Oh, Dio... John è morto... l'ho udito morire.. .» Si mise di nuovo a piangere, per un breve istante. Poi continuò: — Se
ero sveglia, dev'essere stato il silenzio a svegliarmi. E tuttavia... Perciò ritengo che stessi sognando! Non poteva esserci un silenzio come quello, se non in un sogno. Qui siamo al secondo piano, e dalla strada viene sempre qualche rumore. In quel momento non ce n'era neanche un po'. Era come se... Come se il mondo intero fosse stato ridotto d'improvviso al silenzio. Mi è sembrato di mettermi a sedere sul letto, in ascolto, in avido ascolto del più lieve rumore. Non sentivo neppure respirare John. Ero spaventata, perché c'era qualcosa di terrificante in quel silenzio. Qualcosa... di vivo! Qualcosa... di malvagio! Ho cercato di chinarmi su John, ho cercato di toccarlo, di scuoterlo. «Non potevo muovermi! Non potevo spostare un dito! Ho cercato di parlare, di gridare. Non potevo! «Le tendine delle finestre erano in parte tirate. Da sotto, e ai lati, filtrava una luce fioca che veniva dalla strada. Di colpo, è scomparsa. La stanza era buia, completamente buia. «E poi è cominciato il bagliore verde. «In principio, era un barlume pallidissimo. Non veniva da fuori. Era nella stanza stessa. Si accendeva e si spegneva, si accendeva e si spegneva. Ma ogni volta che diminuiva poi tornava più forte di prima. Era verde... come la luce delle lucciole. O come quando si guarda la luna attraverso dell'acqua verde e limpida. Alla fine il bagliore verde è divenuto fisso. Sembrava luce, e tuttavia non era luce. Non era brillante: era soltanto una luce diffusa come un riflesso. Ed era dappertutto, sotto la toilette, sotto le sedie. Voglio dire che non proiettava ombre. Vedevo ogni cosa nella stanza. Vedevo la piccola addormentata nel suo lettino, con la testa della bambola sulla sua spalla... «La bambola si è mossa! «Ha girato la testa, e sembrava ascoltare il respiro della piccola. Ha messo le mani sul braccio della bambina. Il braccio si è scostato... «La bambola si è messa a sedere! «E a questo punto ero sicura di sognare. Lo strano silenzio, lo strano riverbero verde, e quest'ultima cosa... «La bambola ha scavalcato il fianco del lettino, e si è lasciata cadere a terra. Si è diretta verso il letto saltellando sul pavimento come una bambina, e facendo dondolare con la cinghia i libri di scuola. Mentre si avvicinava girava la testa a destra e a sinistra, guardando ben bene la stanza come una bambina curiosa. Si è accorta della toilette e si è fermata, guardando in su verso lo specchio. Si è arrampicata sulla sedia che sta davanti al
tavolo della toilette. È saltata dal sedile al tavolo, ha gettato da parte i libri, e ha cominciato a rimirarsi nello specchio. «Si è pavoneggiata tutta. Si è girata e si è guardata, prima da sopra una spalla e poi dall'altra. Ho pensato: "Che sogno strano e fantastico". La bambola ha avvicinato la faccia allo specchio e si è riassettata e carezzata i capelli. Ho pensato: "Che bambolina vanitosa". E poi ho pensato: "Sto sognando tutto questo perché John ha detto che la bambola era così viva che non si sarebbe meravigliato di vederla camminare". E poi ho pensato: "Ma non può essere un sogno, perché non cercherei di spiegarmi quello che sogno!". E poi tutto sembrava così assurdo che mi sono messa a ridere. Sapevo di non aver fatto nessun rumore. Sapevo che non potevo... che la risata era dentro di me. Ma era come se la bambola mi avesse sentita. Si è girata e ha guardato dritto verso di me. «Ho sentito il cuore che quasi si fermava. Ho avuto degli incubi, dottor Lowell; ma neanche nel peggiore di quegli incubi mi sono sentita come quando gli occhi della bambola hanno incontrato i miei. «Erano gli occhi di un demonio! «Splendevano di rosso. Voglio dire che erano... erano... luminosi. Come gli occhi di certi animali al buio. Ma era la loro... la loro... diabolicità a darmi la sensazione che una mano mi avesse stretto il cuore! Quegli occhi infernali in quel viso simile a un angelo di Dio... «Non so per quanto tempo la bambola è rimasta lì a fissarmi con occhi malvagi. Ma alla fine si è messa giù a sedere sul bordo della toilette, facendo penzolare le gambe come i bambini e sempre con gli occhi fissi nei miei. Poi lentamente, senza fretta, ha sollevato il braccìno e ha portato la mano all'altezza della nuca. Con la stessa lentezza ha riportato in avanti il braccio. Aveva in mano un lungo spillone, simile a un pugnale. «Dal tavolo della toilette è saltata sul pavimento. È venuta saltellando verso di me, e per un attimo è stata nascosta dall'estremità del letto. Si è arrampicata sul letto e si è fermata ai piedi di John, sempre guardandomi con quegli occhi rossi. «Ho cercato di gridare, ho cercato di muovermi, ho cercato di scuotere John. Ho pregato: "Oh, Dio, sveglialo. Dio mio, sveglialo". «La bambola ha distolto lo sguardo da me. Se ne stava lì, ferma, e guardava John. Ha cominciato a strisciare sul suo corpo, su, fino alla testa. Ho cercato di muovere la mano per seguirla. Non ho potuto. Poi mi è uscita di vista. «Ho sentito un gemito, un singhiozzo atroce. Ho sentito John fremere,
poi allungarsi e contorcersi. L'ho udito sospirare. «Nella parte più profonda di me sapevo che John stava morendo, e non potevo fare niente. In quel silenzio. In quella luce verde. «Ho udito qualcosa, come il suono di un flauto, venire dalla strada, oltre le finestre. Ho udito dei passi minuscoli affrettarsi. Ho visto la bambola correre saltellando sul pavimento e balzare sul davanzale della finestra. Per un attimo è rimasta là, in ginocchio, a guardar fuori in strada. In mano aveva qualcosa. Poi ho visto che era la funicella annodata che John aveva gettato sul suo comodino. «Ho udito di nuovo il suono del flauto. La bambola si è calata fuori della finestra. Ho visto di sfuggita i suoi occhi rossi, ho visto le sue manine aggrapparsi al davanzale, ed è spanta. «Quel bagliore verde ha tremolato, poi è svanito. Intorno alle tendine era tornata la luce della strada. Parve che il silenzio venisse... succhiato via. «Poi qualcosa come un'ondata di oscurità mi ha investita e buttata sotto. Prima che mi ricoprisse, ho sentito l'orologio battere le due. «Quando mi sono risvegliata, o sono tornata in me, o diciamo proprio risvegliata, se era soltanto un sogno, mi sono girata verso John. Giaceva là, immobile. L'ho toccato. Era freddo... così freddo! «Ho capito che era morto! «Dottor Lowell, mi dica. Che cosa era sogno e che cosa realtà? Non è possibile, lo so, che una bambola abbia ucciso John! «Forse si è girato verso di me mentre moriva, e il sogno è nato da questo? O sono io che... in sogno... l'ho ucciso?» XII. La tecnica di Madame Mandilip L'angoscia, nello sguardo di Mollie, vietava di dirle la verità. Perciò mentii. — In quanto a questo, almeno, sono in grado di consolarla. Suo marito è morto per una causa del tutto naturale: embolo al cervello. L'esame che ho effettuato mi ha convinto in pieno. Lei non c'entra per nulla. Per quanto riguarda la bambola... be', lei ha fatto un sogno insolitamente vivido, e nulla più. Mollie mi fissò con lo sguardo di chi darebbe l'anima per credere a quanto gli dicono. — Ma l'ho sentito morire! — protestò. — È possibilissimo — replicai; e mi tuffai in una spiegazione piuttosto scientifica che Mollie, come sapevo, non avrebbe del tutto afferrato, e che
perciò sarebbe forse stata convincente. — Può darsi che lei fosse in dormiveglia, cioè in quella che noi chiamiamo la soglia del conscio. Con tutta probabilità l'intero sogno le è stato provocato dai rumori che le sono giunti all'orecchio: il suo subconscio ha cercato di spiegarli e ha concepito così tutto il dramma fantastico che lei mi ha narrato. Quello che nel suo sogno le è parso richiedere parecchi minuti, in realtà le ha attraversato le mente in una frazione di secondo. Il subconscio ha un tempo suo particolare: chiunque può constatarlo. Una porta sbatte, o si produce un altro rumore improvviso e violento che desta il dormiente. Quando questi è sveglio del tutto, ha il ricordo di un sogno straordinariamente vivido che terminava con un forte rumore: in realtà il suo sogno è iniziato col rumore stesso. Può sembrare che il sogno sia durato ore: invece è stato quasi istantaneo, essendosi svolto nel breve attimo tra il rumore e il risveglio. Mollie emise un profondo sospiro, e nel suo sguardo diminuì un poco l'espressione di angoscia. Qualcosa avevo ottenuto. Sfoderai l'argomento decisivo. — Deve tener presente un'altra cosa: le sue condizioni. La gravidanza rende molte donne particolarmente soggette a sogni realistici, di solito a contenuto sgradevole. Talvolta dà addirittura delle... delle allucinazioni. Mollie bisbigliò: — Questo è vero. Quando la piccola Mollie era in arrivo facevo i sogni più spaventosi... Esitò, e vidi il dubbio rannuvolarle di nuovo il volto. — Ma la bambola! La bambola è sparita! — esclamò. Imprecai tra me e me: mi aveva colto alla sprovvista e non avevo una risposta pronta. Ma l'aveva McCann. Senza scomporsi replicò: — Certo che è sparita, Mollie. L'ho buttata giù io nella spazzatura. Dopo quello che mi hai detto ho pensato che era meglio per te se non la vedevi più. — Dove l'hai trovata? — chiese Mollie con voce sorda. — L'ho cercata da tutte le parti. — Direi che non eri in forma per fare lunghe ricerche — replicò McCann. — L'ho trovata in fondo al lettino della piccola, tutta fatta su nelle coperte. Era scassata. Sembrava che la bambina ci avesse ballato su mentre dormiva. Mollie commentò, esitando: — Può darsi che sia scivolata li. Non credo di aver guardato. Io feci la voce dura, perché Mollie non sospettasse un'intesa tra McCann e me, e dissi: — Non doveva far questo, McCann. Se lei avesse fatto vede-
re la bambola alla signora Gilmore, la signora avrebbe capito subito di avere soltanto sognato, e si sarebbe risparmiata un bel po' d'angoscia. — Be', non sono un dottore. — La voce di McCann era imbronciata. — Ho fatto il meglio che pensavo. — Vada giù e veda se può trovarla — gli ordinai seccamente. Lui mi lanciò un'occhiata penetrante. Gli feci un cenno col capo... e sperai che avesse compreso. Di lì a poco tornò. — Hanno portato via le immondizie solo un quarto d'ora fa — riferì tutto triste. — E anche la bambola. Ho trovato questo, però. Sollevò una piccola cinghia da cui penzolava una mezza dozzina di libri in miniatura. Chiese: — Mollie, erano questi che hai sognato che la bambola gettava sul tavolo della toilette? Mollie spalancò gli occhi, poi girò il capo di scatto. — Sì — mormorò. — Per favore, Dan, mettili via. Non li voglio vedere. McCann mi guardò con un'espressione di trionfo. — Allora forse avevo ragione quando ho buttato via la bambola, dottore. — Se non altro, — replicai — adesso che la signora Gilmore è convinta che era tutto un sogno, non ci sono state conseguenze spiacevoli. Presi le gelide mani di Mollie nelle mie. — E ora le prescriverò qualcosa. Non voglio che rimanga qui un solo attimo più del necessario. Voglio che metta in una valigia tutto quello che può servire a lei e alla bambina per una settimana o giù di lì, e che parta subito. Sto pensando alle sue condizioni, e alla piccola vita in arrivo. Provvederò io a tutte le formalità indispensabili; può dare istruzioni a McCann per quel che riguarda... gli ulteriori dettagli. Ma voglio che parta. Lo farà? Con mio grande sollievo acconsenti prontamente. Ci fu un attimo piuttosto straziante quando lei e la bambina dissero addio al cadavere, ma pochi minuti dopo erano già partite con McCann per andare da certi parenti. La bambina avrebbe desiderato portare con sé «le bambole» ma io mi ero opposto, anche a rischio di ridestare i sospetti della madre. Volevo che nulla di quanto proveniva da Madame Mandilip le seguisse nel loro rifugio. McCann mi aveva spalleggiato, e le due bambole erano rimaste. Chiamai un impresario di pompe funebri che conoscevo, e nell'attesa feci un ultimo esame al cadavere. Ero sicuro che nessuno avrebbe notato la minuscola puntura, e non correvo alcun rischio di autopsia in quanto il mio certificato di morte non sarebbe stato messo in dubbio. Quando l'impresario arrivò gli spiegai il motivo dell'assenza della moglie: maternità imminente, e partenza dietro mio ordine. Verbalizzai che la morte era stata pro-
vocata da trombosi, e mi rattristai alquanto rammentando l'analoga diagnosi formulata dal medico del banchiere, e quello che ne avevo pensato. Dopo che il cadavere fu portato via, e mentre attendevo che McCann tornasse, cercai di orientarmi nella fantasmagoria in cui, così mi sembrava, mi stavo muovendo da un tempo infinito. Provai a liberare la mente da ogni pregiudizio, da ogni idea preconcetta su ciò che può e ciò che non può essere. Cominciai con l'ammettere che quella Madame Mandilip possedesse i segreti di un'arte ignorata dalla scienza moderna, ma mi rifiutai di chiamare quest'arte magia o stregoneria. Questi termini non significano nulla, perché sono stati applicati attraverso i secoli a fenomeni del tutto naturali le cui cause rimanevano ignote ai non iniziati. Fino a non molto tempo fa, per esempio, l'accensione di un fiammifero era una «stregoneria» per numerose tribù selvagge. No, Madame Mandilip non era affatto una «strega», come invece la giudicava Ricori. Possedeva una scienza sconosciuta, ecco tutto. Trattandosi di una scienza, dovevano esistere delle leggi immutabili che la governavano, per quanto potessero essermi sconosciute. Se le attività della fabbricante di bambole, così come le immaginavo, non obbedivano alle nostre leggi di causa ed effetto, dovevano tuttavia conformarsi a leggi proprie. Non avevano dunque nulla di soprannaturale: il fatto era, semplicemente, che al pari dei selvaggi non sapevo che cosa faceva bruciare il fiammifero. Ritenevo di aver intuito qualcosa di queste leggi, qualcosa delle tecniche della donna (uso il termine «tecniche» nel senso di insieme delle singole fasi di realizzazione materiale di una determinata arte). La funicella annodata, la «scala della strega», era evidentemente un elemento essenziale nel processo di animazione delle bambole. Una era stata ficcata in tasca a Ricori, che poco dopo aveva subito la prima aggressione; io stesso ne avevo trovata un'altra accanto al suo letto dopo gli inquietanti eventi della notte: mi ero addormentato tenendola con me... e avevo tentato di assassinare il mio paziente! Una terza funicella si trovava insieme alla bambola che aveva ucciso John Gilmore. Chiaro dunque che la funicella era un componente della formula che permetteva di far muovere le bambole. In opposizione a questo c'era il fatto che il bighellone ubriaco non poteva aver avuto addosso una «scala della strega» quando era stato aggredito dalla bambola Peters. La ragione, forse, era questa: la funicella serviva solo all'avviamento iniziale delle bambole; una volta messe in moto, il loro funzionamento poteva
protrarsi per un periodo indefinito. C'erano prove di un rituale costante, relativo alla fabbricazione delle bambole. Anzitutto, come sembrava, occorreva ottenere il libero consenso della futura vittima a fungere da modello; poi ci voleva una ferita che fornisse l'occasione di applicare l'unguento che provocava la morte sconosciuta; infine la bambola doveva essere un fedele duplicato della vittima stessa. Che la causa della morte fosse la medesima per tutti i casi era dimostrato dall'identità dei sintomi. Ma le bambole, con la loro capacità di locomozione, c'entravano davvero con quelle morti? Erano effettivamente un elemento essenziale del piano? La donna che le fabbricava poteva anche crederlo; anzi, senza dubbio ne era convinta. Ma io no. Ero disposto ad ammettere che la bambola che aveva trafitto Ricori avesse avuto le sembianze di Peters; che la «bambola infermiera» vista dalle guardie sul davanzale della finestra di Ricori potesse essere stata quella per la quale aveva posato la Walters; che la bambola che aveva ficcato lo spillone nel cervello di Gilmore avesse avuto, forse, le fattezze della piccola Anita, la scolaretta di undici anni. Ma la mia ragione si ribellava con tutte le forze al pensiero che queste bambole fossero state animate da «qualcosa» di Peters, della Walters, di Anita, e che, alla morte di costoro, una parte della loro essenza vitale, o della mente, o dell'«anima», fosse stata sottratta, mutata in un concentrato di malvagità, e sigillata all'interno di quei fantocci dallo scheletro di filo metallico. No, non potevo costringere la mia ragione ad accettarne neppure la possibilità. Le mie meditazioni furono interrotte dal ritorno di McCann. — Tutto a posto — disse laconicamente. Gli chiesi: — McCann, per caso, non diceva mica la verità, quando ha detto che aveva trovato la bambola? — No, dottore. La bambola era davvero scomparsa. — Allora, dove ha preso i libriccini? — Proprio dove Mollie ha detto che la bambola li aveva gettati: sul tavolo da toilette. Non li aveva neanche visti, e io li ho sgraffignati dopo che mi ha raccontato la storia. Avevo un presentimento... E ho avuto ragione, no? — Mi ha fatto rimanere di stucco — replicai. — Però non so cos'a-
vremmo potuto dire se Mollie avesse cercato la funicella con i nodi. — Non sembra che la funicella la preoccupasse troppo; ma... — McCann esitò. — Ma secondo me, dottore, ha una maledetta importanza. Io dico che se non portavo fuori Mollie, e John non fosse stato a casa prima del solito, e Mollie apriva lei la scatola invece di John, era lui a trovare morta nel letto Mollie. — Vuole dire. — Voglio dire che le bambole attaccano proprio chi ha preso la funicella — concluse McCann con voce cupa. Be', era pressappoco quel che pensavo io. — Ma perché qualcuno dovrebbe voler uccidere Mollie? — chiesi. — Forse qualcuno pensa che sa troppe cose. A proposito, volevo dirle che quella megera della Mandilip sa di essere sorvegliata. — Bene, le sue spie sono migliori delle nostre! — La mia frase riecheggiava quella di Ricori; spiegai allora a McCann cos'era accaduto quella notte, e perché l'avevo fatto cercare. — E questo — disse lui quando ebbi finito — dimostra che la Mandilip sa chi c'è dietro gli uomini che la sorvegliano. Ha tentato di far fuori il capo e Mollie: adesso proverà con noi, dottore. — Le bambole sono guidate — dissi. — La nota di flauto serve da richiamo. Non scompaiono nell'etere: ubbidiscono alla nota e si dirigono in un modo o nell'altro verso chi la produce. Inoltre, devono provenire dal negozio. Perciò occorre che una delle due donne le porti fuori. Come hanno fatto a eludere gli uomini di guardia? Il volto magro di McCann era turbato. — Non lo so. Ma è stata la ragazza bianca come un pesce. Mi lasci dire quello che ho scoperto, dottore. Dopo che abbiamo parlato, ieri sera, sono andato a sentire se i ragazzi avevano da dirmi qualcosa. E ne ho sentito delle belle. Verso le quattro, mi dicono, la ragazza va nel retro e la vecchia porta una sedia nel negozio. Gli uomini di guardia non ci danno peso. Ma verso le sette chi è che vedono passare per la strada e entrare nel negozio? La ragazza! Allora se la prendono con quelli di guardia dietro la casa, ma loro non l'hanno vista uscire e danno la colpa a quelli davanti. «Poi, verso le undici, uno che viene a dare il cambio porta notizie ancora più brutte. Dice che era giù all'inizio di Broadway, quando un coupé gira l'angolo, e lo guida la ragazza. Non può sbagliarsi, perché l'ha già vista nel negozio. La ragazza va su per Broadway come un fulmine. Lui vede che nessuno la insegue, e si guarda intorno per cercare un taxi. Naturalmente
non ce n'è in vista neanche uno, e neanche un'auto parcheggiata da portar via. Allora raggiunge gli altri e chiede come diavolo spiegano la faccenda, e anche stavolta nessuno ha visto la ragazza uscire. «Così mi dicono. Allora prendo un paio di ragazzi e ci mettiamo a rastrellare i dintorni per scoprire dov'è che la ragazza tiene il coupé. Non abbiamo per niente fortuna finché, intorno alle quattro, uno degli uomini di guardia mi viene incontro. Dice che verso le tre ha visto la ragazza, o almeno gli è sembrata la ragazza, passare per la strada dietro l'angolo dopo il negozio. Porta due grosse valigie, che a quanto pare non le danno nessun fastidio. Cammina in fretta, ma si sta allontanando dal negozio. Lui accelera per vederla meglio, quando tutto d'un tratto lei non c'è più. Lui annusa qua e là nel punto in cui l'ha vista, ma non c'è più neanche l'ombra. È piuttosto buio, ispeziona le porte e i cortiletti bassi intorno alle case, ma le porte sono chiuse e non c'è nessuno nei cortili. Allora ci rinuncia e viene a cercarmi. «Io vado a dare un'occhiata al posto. È a circa un terzo dell'isolato dietro l'angolo, e tra il negozio e l'angolo ci sono otto numeri. Sono quasi tutti negozi, e sopra direi che ci sono dei magazzini. Non abita molta gente, là: le case sono di tipo vecchio. Comunque non scopro come fa la ragazza a tornare al negozio. Dico che forse l'uomo si è sbagliato: o ha visto un'altra persona, oppure si è messo in mente lui d'aver visto qualcuno. Ma poi cerchiamo un po' più da vicino, e dopo un po' troviamo qualcosa che può andar bene per metterci dentro una macchina. In quattro e quattr'otto apriamo la porta, e c'è proprio un coupé, col motore ancora caldo. Non è lì fermo da molto tempo, ed è anche lo stesso tipo di coupé che guidava la ragazza, come dice quello che l'ha vista. «Io richiudo per bene la porta e torno dagli uomini di guardia, e faccio la guardia anch'io per il resto della notte. Nessuna luce nel negozio. Ma intorno alle nove compare la ragazza dentro il negozio e lo apre!» — Tuttavia — intervenni a questo punto — lei non ha alcuna prova concreta che la ragazza sia uscita. Quella che il suo uomo ha creduto di aver vista potrebbe non essere la stessa che intendiamo noi. McCann mi rivolse un'occhiata di compassione. — È uscita nel pomeriggio e non l'hanno vista, no? Cosa le impediva di fare lo stesso di notte? L'uomo l'ha vista guidare un coupé, no? E noi abbiamo trovato un coupé come quello proprio vicino a dove è sparita. Mi misi a riflettere. Non c'era alcun motivo per non prestar fede a McCann, e le ore in cui la ragazza era stata vista avevano una sinistra
coincidenza. A mezza voce dissi: — Il periodo in cui la ragazza è rimasta fuori, nel pomeriggio, corrisponde a quello in cui è stata portata la bambola dai Gilmore. L'altro periodo, nella notte, corrisponde a quello dell'aggressione a Ricori e della morte di John Gilmore. — Ha fatto centro! — esclamò McCann. — La ragazza va a portare la bambola da Mollie, e poi torna indietro. Poi va fuori ancora e manda le bambole addosso al capo. Aspetta finché ricompaiono e poi va a ritirare quella che ha lasciato da Mollie, e scappa a casa con le bambole nelle valigie. Non riuscii a frenare l'irritazione per la sensazione di essere impotente e all'oscuro, che si impadronì di me. In tono sarcastico dissi: — Allora lei ritiene, suppongo, che la ragazza sia uscita di casa per il camino, a cavallo di una scopa. — No — replicò McCann tutto serio. — No, dottore, non penso così. Ma quelle case sono vecchie, e penso che forse c'è uno stretto passaggio, o qualcosa che collega all'esterno. In ogni modo, adesso gli uomini fanno la guardia alla strada e al nascondiglio del coupé, e la ragazza non può più tirarlo fuori. Poi aggiunse, con fare imbronciato: — Però non dico che non possa cavalcare una scopa, all'occorrenza. Bruscamente annunciai: — McCann, ho intenzione di andare a parlare con quella Madame Mandilip. Voglio che lei venga con me. — Sarò al suo fianco, dottore. Con le armi in pugno. — No, intendo vederla da solo — replicai. — Ma voglio che lei stia fuori a fare buona guardia. A McCann la cosa non garbava molto: discusse un po', e alla fine, con riluttanza, acconsenti. Andai al telefono e feci il numero del mio ambulatorio. Rispose Braile, il quale m'informò che Ricori si stava riprendendo con sbalorditiva rapidità. Gli chiesi di badare lui a tutto quanto per il resto della giornata, e mi inventai un consulto per giustificare tale richiesta. Poi mi feci passare la stanza di Ricori, e pregai l'infermiera di dirgli che McCann era con me, che stavamo seguendo una certa pista, che al mio ritorno gli avrei riferito il risultato, e che, se lui non aveva obiezioni, volevo che McCann rimanesse con me per tutto il pomeriggio. Ricori fece rispondere che McCann doveva eseguire i miei ordini come se fosse stato lui stesso a impartirli. Avrebbe desiderato parlarmi, ma non
lo volevo io. Adducendo a pretesto una fretta terribile chiusi la comunicazione. Feci un pranzo ottimo e abbondante. Ritenevo che mi avrebbe aiutato a tenermi più avvinto alla realtà, o a ciò che ritenevo realtà, quando avrei conosciuto colei che appariva maestra di illusioni. McCann invece era stranamente silenzioso e preoccupato. Suonavano le tre quando fui pronto per andare a conoscere Madame Mandilip. XIII. Madame Mandilip Ero fermo davanti alla vetrina del negozio di bambole, cercando di vincere un'ostinata repulsione a entrare. Sapevo che McCann era di guardia e che alcuni uomini di Ricori stavano sorvegliando dalle case di fronte, mentre altri erano mescolati ai passanti: nonostante il rombo metallico della sopraelevata, il frastuono del traffico lungo la Battery, e la vita apparentemente normale della strada, il negozio era una fortezza assediata. E io ero lì tremante al suo limitare, come alla porta di un mondo ignoto. C'erano solo poche bambole in vetrina, ma erano abbastanza insolite da attirare l'attenzione di un bambino e anche di un adulto. Non così belle come quella regalata alla Walters, o le due che avevo visto dai Gilmore; ma eccellenti richiami lo stesso. All'interno del negozio la luce era attenuata: riuscii a scorgere una ragazza magra che si muoveva al banco. La nipote di Madame Mandilip, senza dubbio. Le dimensioni del negozio non autorizzavano certo ad aspettarsi nel retro una stanza grandiosa come quella descritta nel diario della Walters; però le case del quartiere erano antiche, e non era da escludere che il retro del negozio fosse più grande del negozio stesso. D'improvviso, spazientito, ruppi ogni indugio. Aprii la porta ed entrai. La ragazza si voltò, osservandomi mentre mi avvicinavo al banco; ma non disse nulla. Le diedi una rapida occhiata esaminatrice. Tipo isterico, chiaramente: uno dei più perfetti che avessi mai visto. Rilevai gli occhi sporgenti, d'un azzurro slavato, con una vaga fissità e le pupille dilatate; il collo lungo e magro e i lineamenti alquanto asciutti; il pallore del volto e le dita allungate e sottili. Teneva le mani intrecciate: potei vedere che erano insolitamente flessibili, il che completava fino all'ultimo particolare la sindrome dell'isteria descritta da Laignel-Lavastine. In altra epoca e in altre circostanze sarebbe stata una sacerdotessa, una profetessa o una santa.
La paura era la sua ancella: di questo non c'era alcun dubbio. Tuttavia ero sicuro che non di me aveva paura: piuttosto si trattava di un'intensa paura innaturale annidata fra le radici del suo essere, che le suggeva la linfa vitale: una paura spirituale. Guardai i suoi capelli: erano di un colore argento-cenere. Il colore... il colore dei capelli di cui erano fatte le funicelle annodate! Quando la ragazza vide che le stavo osservando i capelli, sembrò accorgersi per la prima volta di me. La vacuità del suo sguardo si attenuò e apparve un'espressione vigile. Nel tono più neutro possibile dissi: — Sono stato colpito dalle bambole che ha in vetrina. Ho una nipotina che credo ne gradirebbe molto una. — Le bambole sono in vendita. Se ce n'è una che le va bene la può comprare. Al prezzo segnato. Il tono era indifferente, e la voce bassa, quasi un bisbiglio. Ma mi sembrò che lo sguardo si fosse fatto più vigile di prima. — Suppongo — replicai simulando una certa irritazione — che ciò vada bene per un cliente qualunque. Ma si dà il caso che questa bambina sia la mia nipote prediletta, e per lei voglio quanto c'è di meglio. Sarebbe troppo disturbo per lei mostrarmi qualche altra bambola, magari più bella, se ne ha? Gli occhi della ragazza ebbero un attimo di esitazione. Mi venne l'idea che stesse ascoltando qualche suono che io non potevo percepire. Poi di colpo i suoi modi persero l'indifferenza e divennero gentili, e in quello stesso istante avvertii un altro sguardo che mi esaminava e frugava dentro di me. Questa sensazione era così forte che involontariamente mi girai lanciando un'occhiata circolare nel negozio. Oltre alla ragazza e a me, non c'era nessuno. All'estremità del banco si vedeva una porta, ma era chiusa. Guardai un istante verso la vetrina, ma non scorsi né McCann né altri. Poi, come lo scatto di un otturatore fotografico, lo sguardo invisibile cessò di colpo. Mi rivolsi di nuovo alla ragazza. Aveva sparpagliato sul banco una mezza dozzina di scatole e le stava aprendo. Sollevò su di me due occhi innocenti, quasi dolci, e disse: — Ma certo che può vedere tutto quello che abbiamo. Mi dispiacerebbe se avesse pensato che i suoi desideri mi lasciavano indifferente. È mia zia che fa le bambole, e ama molto i bambini. Non permetterebbe mai che un cliente altrettanto amante dei bambini uscisse insoddisfatto dal negozio. Era un discorso singolare, stranamente artificioso, pronunciato in modo tale che ebbi l'impressione che la ragazza lo stesse recitando dietro sugge-
rimento; tuttavia non mi colpi quanto il mutamento sottile avvenuto nella ragazza stessa. La sua voce non era più apatica: ora vibrava di energia. E lei, prima inerte e indifferente, aveva acquistato vigore, e perfino un pizzico di vivacità. Sul volto le era apparso un po' di colorito, e gli occhi, persa del tutto l'espressione vacua, avevano un debole lampo, più di scherno che di malvagità. Osservai le bambole. — Sono deliziose — dissi alla fine. — Ma sono le più belle che ha? Vede, si tratta di un'occasione alquanto speciale: la mia nipotina compie sette anni. Il prezzo non ha importanza: purché, naturalmente, rimanga entro limiti ragionevoli. Udii la ragazza sospirare, e la guardai. Gli occhi slavati avevano riacquistato la precedente fissità piena di paura, e il lampo di scherno era scomparso. Il volto aveva perso il colorito. All'improvviso avvertii di nuovo lo sguardo invisibile posarsi su di me, più penetrante di prima, e di nuovo lo sentii cessare bruscamente. La porta dietro al banco si aprì. Benché fossi preparato allo spettacolo più straordinario grazie alla descrizione della fabbricante di bambole data dalla Walters, l'aspetto della donna mi suscitò una viva impressione. La mole e l'altezza di lei erano rese ancora più imponenti dalla vicinanza delle bambole e della snella figura della ragazza. Era una gigantessa, quella che mi osservava dalla soglia: una gigantessa la cui faccia massiccia, con zigomi alti e sporgenti, labbro superiore ricoperto da folta peluria, e bocca carnosa, aveva un aspetto mascolino in grottesco contrasto col petto enorme. Guardai i suoi occhi e scordai del tutto la bizzarria del volto e del corpo. Erano immensi, luminosi, di un nero brillante, e così vivi che ne rimasi sconcertato. Sembrava che fossero due spiritelli, indipendenti dal corpo, e da essi sgorgava un flusso di vitalità che mi faceva scorrere nei nervi un fremito caldo in cui, almeno per il momento, non c'era nulla di sinistro. Con qualche difficoltà distolsi lo sguardo dal suo, e cercai di vederle le mani. Ma era tutta avviluppata in un'ampia veste nera, nelle cui pieghe le mani erano nascoste. Fissai di nuovo gli occhi nei suoi, in cui ora scorsi lo stesso lampo di derisione e disprezzo che avevo visto in quelli della ragazza. La donna parlò, e compresi che la vibrazione carica di vitalità che avevo percepita nella voce della ragazza era stata un'eco di quel timbro profondo e sonoramente melodioso. — Non le piacciono le bambole che mia nipote le ha mostrato?
Feci appello alla mia presenza di spirito e replicai: — Sono tutte magnifiche, madame... madame... — Mandilip — disse lei con voce tranquilla. — Madame Mandilip. Non ha mai sentito questo nome, nevvero? — Sfortunatamente — risposi con una certa ambiguità. Poi continuai: — Ho una nipote, una bambina. Desidero qualcosa di particolarmente bello per il suo settimo compleanno. Tutto ciò che mi è stato mostrato è magnifico, ma vorrei sapere se non c'è qualcosa... — Qualcosa di... particolare! — La donna sottolineò l'aggettivo. — Qualcosa di più bello ancora? Be', forse c'è. Ma quando do a un cliente qualcosa di particolare.. . — questa volta fui sicuro che la parola fosse stata pronunciata con enfasi — voglio sapere con chi ho a che fare. Mi ritiene una strana negoziante, non è vero? Scoppiò a ridere, e io rimasi meravigliato per la freschezza, la giovanilità, la strana dolcezza vibrante di quella risata. Con un sensibile sforzo mi riportai alla realtà e mi misi di nuovo all'erta. Trassi dal portafogli un biglietto di visita. Non avevo certo intenzione che lei mi riconoscesse, come avrebbe fatto se le avessi dato il mio biglietto vero, e neanche di attirare la sua attenzione su qualcuno al quale avrebbe potuto fare del male: perciò mi ero preparato a questa eventualità prendendo il biglietto di un amico medico, morto tempo addietro. La donna gli diede una rapida occhiata. — Ah, lei è un professionista — commentò. — Un medico. Bene, adesso che ci conosciamo venga con me: le mostrerò le mie bambole migliori. Mi precedette attraverso la porta e lungo un corridoio ampio e buio. Sfiorò il mio braccio, e ancora una volta avvertii quel singolare fremito pieno di vitalità. Si fermò davanti a un'altra porta, girandosi verso di me. — È qui — disse — che tengo le bambole migliori, bambole... particolari! Scoppiò di nuovo a ridere, poi spalancò la porta. Varcai la soglia e mi arrestai, guardandomi intorno con un rapido senso di agitazione. Quella non era affatto una vasta stanza piena di incantesimi, come l'aveva descritta la Walters. Certo, era un po' più grande di quanto ci si sarebbe aspettato; ma dov'erano i raffinati pannelli, gli arazzi antichi, lo specchio magico «simile alla metà di un'enorme goccia di acqua cristallina» , e tutte quelle altre cose per cui la Walters aveva giudicato la stanza un paradiso? La luce penetrava da una finestra con le tende semiaperte, che dava su
un cortiletto recinto e spoglio. Le pareti e il soffitto erano ricoperti di legno liscio e macchiato. Una delle pareti era interamente occupata da armadietti a muro con le antine di legno. Su un'altra parete c'era uno specchio, e lo specchio era tondo: ma qui finiva ogni somiglianza con la descrizione della Walters. C'era un caminetto, di quelli che si possono vedere in qualunque casa normale della vecchia New York. Sulle pareti c'erano alcune stampe. L'«enorme tavolo», simile al «tavolone da pranzo di un castello», era di tipo assai comune, ricoperto di abiti da bambola in fasi diverse di lavorazione. La mia agitazione aumentò. Se la Walters aveva inventato a proposito della stanza, cos'altro nel suo diario era invenzione... o almeno, come avevo congetturato leggendolo, il prodotto di una fantasia troppo accesa? Riconobbi tuttavia che non aveva inventato nulla riguardo agli occhi e alla voce della fabbricante di bambole, e che non aveva esagerato l'aspetto di questa né le caratteristiche della nipote. La donna parlò, interrompendo le mie riflessioni e riportandomi alla realtà. — La mia stanza la interessa? La sua voce era soave, con una nota, mi parve, di segreto divertimento. — Qualunque stanza in cui un artista crea — risposi — suscita interesse. E lei è una vera artista, Madame Mandilip. — Ah sì? Come può dire questo? Era stata una topica, ma rimediai prontamente. — Sono un appassionato di arte, e ho visto alcune delle sue bambole. Non occorre un'intera galleria di quadri di... Raffaello, per esempio, per capire che era un sommo artista. Basta un quadro solo. La donna mi sorrise nel modo più amichevole. Chiuse la porta alle mie spalle e indicò una poltrona accanto al tavolo. — Non le dà fastidio attendere qualche minuto prima che le mostri le mie bambole? Devo finire un vestitino. L'ho promesso a una bambina che verrà tra poco a ritirarlo. Non impiegherò molto tempo. — Ma certo — replicai, e mi misi a sedere. Lei aggiunse, con voce dolce: — C'è tranquillità, qui. E lei sembra stanco. Ha lavorato sodo, eh? E adesso è stanco. Mi rilassai. Di colpo mi resi conto che ero stanco davvero. Per un istante la tensione mi si allentò e chiusi gli occhi. Quando li riaprii vidi che la donna si era seduta davanti al tavolo.
Finalmente potei scorgerle le mani. Erano lunghe, delicate, bianche: le più splendide mani che avessi mai osservato. Come gli occhi parevano dotati di vita propria, così quelle mani sembravano cose vive, indipendenti dal corpo al quale appartenevano. La donna le posò sul tavolo e parlò di nuovo con voce carezzevole. — È bello andare ogni tanto in un posto tranquillo. Un posto dove c'è pace. Si diventa così stanchi... così stanchi... Così esausti... così esausti. Prese dal tavolo un vestitino e cominciò a cucire. Lunghe dita bianche guidavano l'ago, mentre l'altra mano girava e spostava il piccolo abito. Com'era meraviglioso il movimento di quelle lunghe mani bianche! Era simile a un ritmo, a un canto. E così riposante! La donna disse, con voce dolce e sommessa: — Sì, in questa stanza non giunge nulla dal mondo esterno. Tutto è pace e riposo. Riposo... Allontanai a malincuore lo sguardo dalla lenta danza di quelle mani, dall'ondeggiamento di quelle dita lunghe e delicate che si muovevano in modo così ritmico e riposante. Gli occhi della donna erano puntati su di me, dolci e gentili, pieni di quella pace di cui aveva parlato. Non ci sarebbe stato nulla di male nel rilassarmi un momento, nel riprender forza per la lotta che doveva giungere di lì a poco. Ed ero stanco. Non mi ero reso conto di quanto fossi stanco! Posai di nuovo lo sguardo sulle mani della donna. Strane mani, estranee a quell'enorme corpo, come gli occhi, come la voce. E forse non ne facevano parte davvero! Forse quel corpo grossolano era soltanto un travestimento, un guscio di protezione del vero corpo al quale appartenevano gli occhi e le mani e la voce. Riflettei su questa considerazione, osservando i lenti ritmi delle mani. Che aspetto poteva avere il corpo al quale appartenevano? Splendido come loro, come gli occhi, come la voce? La donna stava canticchiando uno strano motivo. Era una melodia soporifera, come una ninnananna. Mi scivolava lungo i nervi stanchi, dentro la mente esausta, riversando sonno, sonno, come se quelle mani avessero intessuto sonno, come se quegli occhi avessero fatto sgorgare sonno su di me... Sonno! Qualcosa dentro di me scoppiò in una collera furiosa, ordinandomi di scuotere da me quella sonnolenza, quel letargo. La violenza dello sforzo che occorse per portarmi, boccheggiante, alla superficie della coscienza, mi fece capire che dovevo essere scivolato a
grande profondità in quello strano sonno; e per un istante, sulla soglia della piena lucidità, vidi la stanza come l'aveva vista la Walters. Ampia, inondata di luce calda, con gli arazzi antichi, i pannelli intagliati dietro i quali stavano in agguato forme nascoste che ridevano... ridevano di me. Su una parete c'era lo specchio, ed era simile alla metà di un'enorme goccia di acqua cristallina, all'interno della quale le immagini degli intagli sulla cornice tremolavano come il riflesso della vegetazione intorno a un limpido stagno in mezzo alla foresta! L'immensa stanza parve oscillare... e scomparve. Mi trovai accanto a una poltrona rovesciata, nella stessa stanza in cui mi aveva condotto la fabbricante di bambole. E lei era vicino a me, molto vicino. Mi stava osservando con una certa perplessità, e, mi parve, con un'ombra di mortificazione. Mi balenò l'idea che aveva l'aria di essere stata inaspettatamente interrotta. Interrotta? Quando si era alzata dalla sedia? Per quanto tempo avevo dormito? Che cosa mi aveva fatto mentre stavo dormendo? E quel terribile sforzo di volontà, grazie al quale mi ero liberato dalla sua trappola, che cosa le aveva impedito di completare? Feci per parlare e non ci riuscii. Rimasi lì con la lingua bloccata, furibondo e umiliato. Mi resi conto di essermi fatto intrappolare come un vero pivellino, io che avrei dovuto rimanere sempre all'erta e diffidare di qualunque gesto. Intrappolato dalla voce e dagli occhi e dalle mani ondeggianti, dal ripetuto suggerimento che ero stanco, così stanco, che lì c'era pace e sonno, sonno. Che cosa mi aveva fatto mentre dormivo? Perché non potevo muovermi? Ero immobile, muto, inanimato, come se tutta la mia energia si fosse esaurita in quell'unico e tremendo sforzo per respingere la trappola di sonno. Non un muscolo rispondeva all'ordine della mia volontà: le deboli mani di questa si tendevano verso i muscoli, e ricadevano. La donna scoppiò a ridere. Si diresse agli armadietti a muro, che stavano sulla parete di fronte. I miei occhi la seguirono, impotenti. Non avvertii la minima diminuzione della paralisi che mi bloccava. La donna premette una molla, e l'anta di un armadietto si abbassò. All'interno c'era una bambola con le fattezze di bambina. Una ragazzina dal viso dolce e sorridente. La guardai bene e mi sentii mancare il cuore. Nelle sue piccole mani intrecciate c'era uno spillone-pugnale, e compresi che quella era la bambola che si era staccata dalle braccia della bimbetta dei Gilmore, aveva scavalcato il bordo del lettino, era andata saltellando
verso il letto, e aveva conficcato... — Questa è una delle migliori e più particolari. — Gli occhi della donna erano fissi su di me, pieni di scherno crudele. — Una brava bambola! Forse un pochino distratta, ogni tanto. Si scorda di riportare indietro i suoi libri di scuola quando va in visita. Ma è così ubbidiente! Le piacerebbe, per la sua nipotina? Scoppiò a ridere di nuovo, con una risata giovanile, argentina, malvagia. E di colpo compresi che Ricori aveva ragione, e che quella donna doveva essere uccisa. Feci appello a tutta la mia volontà per balzare su di lei. E non riuscii a muovere un dito. Le lunghe mani bianche strisciarono verso l'armadietto successivo e premettero la molla nascosta. Questa volta il senso di mancamento al cuore divenne la morsa di una mano di ghiaccio. Dall'armadietto mi fissava la Walters. Ed era crocefissa! La bambola era così perfetta, così viva che sembrava di vedere la ragazza in persona attraverso un binocolo capovolto. Non riuscivo a considerarla una bambola: vedevo in lei soltanto la vera Walters. Indossava l'uniforme da infermiera, ma senza cuffia, e i capelli neri le scendevano scarmigliati intorno al volto. Aveva le braccia tese in fuori, e nel palmo di ciascuna mano era stato conficcato un piccolo chiodo che bloccava la mano stessa contro la parete di fondo dell'armadietto. I piedi erano nudi e accavallati uno sull'altro, e all'altezza dei tarsi era stato infilato un altro chiodo. Sopra la testa c'era una piastrina che completava la spaventosa e blasfema imitazione. Vi lessi: Il martire bruciato. La donna, con una voce simile a miele raccolto da fiori infernali, mormorò: — Questa bambola non si è comportata bene. Ha disubbidito. Io punisco le mie bambole quando non si comportano bene. Ma vedo che lei è addolorato. D'accordo, per ora, è stata punita abbastanza. Le lunghe mani bianche si introdussero nell'armadietto ed estrassero i tre chiodi. La donna mise in piedi la bambola, appoggiandola contro il fondo, e si girò verso di me. — Forse le piacerebbe questa per sua nipote? Ahimè, non è in vendita! Dovrà imparare ancora molte cose prima di potersi allontanare di nuovo da me. La sua voce cambiò: perse la dolcezza diabolica e divenne gravida di minaccia. — E adesso mi ascolti, dottor Lowell! Come! Credeva forse che non sa-
pessi che era lei! L'ho riconosciuta dal primo istante! Anche lei ha bisogno di una lezione. — I suoi occhi fiammeggiarono. — Avrà la lezione che si merita, stolto che non è altro! Sì, stolto, lei che presume di poter guarire le menti e non sa nulla, nulla dico, di ciò che è in realtà una mente. Lei, che considera la mente come null'altro che un organo di una macchina fatta di carne e sangue, nervi e ossa, e non sa nulla di ciò che essa contiene. Lei, che non ammette l'esistenza di ciò che non può controllare nelle sue provette o vedere nel suo microscopio. Lei, che definisce la vita come una reazione chimica, e la coscienza come prodotto di certe cellule. Stolto! E tuttavia lei e quel barbaro di Ricori avete osato intralciarmi, ostacolarmi, circondarmi di spie! Avete osato minacciare me, Me, che posseggo la saggezza degli antichi di fronte alla quale la vostra scienza è come un gracchiar di cornacchie! Stolti! Io conosco gli abitatori della mente, i poteri che si manifestano attraverso di essa, e quelli che abitano di là da essa. Costoro accorrono alla mia chiamata! E lei crede di opporre la sua meschina scienza alla mia! Stolto! Mi ha capita? Parli! Puntò un dito su di me. Sentii che la gola mi si liberava, e compresi che ero di nuovo in grado di parlare. — Strega d'inferno! — gridai con voce roca. — Maledetta assassina! La farò finire sulla sedia elettrica! La donna si avvicinò sghignazzando. — Vorrebbe consegnarmi alla legge? Ma chi le crederebbe? Nessuno! L'ignoranza che la vostra scienza ha incoraggiato è la mia sicurezza. Il buio della vostra incredulità è la mia fortezza inespugnabile. Vada a giocare con le sue macchine, stolto! Giochi con le sue macchine, ma non interferisca più con me! La sua voce tornò completamente tranquilla. — Ora mi stia bene a sentire. Se vuole vivere, se vuole che le persone a lei care rimangano vive, porti via le sue spie. Non può salvare Ricori: è mio. E lei non pensi più a me e non s'intrometta più nelle mie faccende. Non ho paura delle sue spie: ne sono soltanto disturbata. Le porti via. Subito. Se al tramonto le vedo ancora appostate... Mi afferrò una spalla con una stretta che mi lasciò il segno, e mi spinse in direzione della porta. — Via! Mi sforzai di chiamare a raccolta la mia volontà e di sollevare le braccia. Se ci fossi riuscito avrei abbattuto la donna come una bestia feroce. Ma non potei muoverle. Attraversai la stanza come un automa, avviandomi al-
la porta. La donna l'apri. Udii uno strano fruscio provenire dagli armadietti a muro. Con mossa rigida voltai la testa. La bambola Walters era caduta in avanti, e sporgeva dall'orlo con metà corpo. Le braccia penzolavano, come per implorarmi di portarla via. Nei palmi erano visibili i segni lasciati dai chiodi della crocefissione. I suoi occhi erano fissi sui miei. — Via! — ripeté la donna. — E non dimentichi! Con le stesse movenze rigide percorsi il corridoio ed entrai nel negozio. La ragazza mi osservò con uno sguardo confuso e pieno di paura. Come se una mano mi avesse spinto inesorabilmente in avanti, attraversai il negozio e uscii sulla strada. Mi sembrò di udire, anzi, udii, la dolce e perversa risata di scherno della donna. XIV. La fabbricante di bambole colpisce Nell'attimo in cui misi piede in strada, ritrovai la padronanza della volontà e dei movimenti. In un improvviso scoppio d'ira mi girai per rientrare nel negozio. A una spanna dalla soglia fui fermato da qualcosa, come un muro invisibile. Non potevo avanzare di un passo, e neppure sollevare le mani per toccare la porta. Era come se a quel punto la mia volontà si rifiutasse di funzionare, o meglio, come se gambe e braccia si rifiutassero di ubbidire alla mia volontà. Compresi che si trattava di uno straordinario tipo di suggestione postipnotica, dello stesso genere dei fenomeni che mi avevano tolto ogni capacità di movimento in presenza della fabbricante di bambole e spedito fuori della sua tana come un automa. Vidi McCann che mi veniva incontro e, per un istante, ebbi la folle idea di ordinargli di entrare e uccidere Madame Mandilip a rivoltellate; ma il buon senso mi avverti subito che non avremmo potuto fornire un motivo logico per tale assassinio, e che probabilmente l'avremmo espiato sullo stesso dispositivo per esecuzioni capitali di cui avevo minacciato la donna. — Cominciavo a preoccuparmi, dottore — disse McCann. — Un po' ancora e piombavo dentro. — Andiamocene, McCann — replicai. — Voglio arrivare a casa più in fretta possibile. Mi scrutò in volto ed emise un fischio. — Sembra aver sostenuto battaglia, dottore.
— Infatti. E l'ha vinta Madame Mandilip. Per ora. — Lei è uscito abbastanza tranquillo. Non come il capo, con la megera che gli sputava in faccia l'inferno. Cos'è successo? — Glielo racconterò più tardi. Ora mi lasci stare per un po'. Ho bisogno di riflettere. Quello che in realtà mi occorreva era di riprendere la padronanza di me. Mi sembrava che la mia mente, semiaccecata, annaspasse alla ricerca della realtà tangibile. Era come se fosse stata avviluppata in ragnatele particolarmente ripugnanti e dei brandelli aderissero ancora, dopo che mi ero liberato lacerando la rete. Salimmo in auto e per alcuni minuti procedemmo in silenzio. Poi McCann non resistette alla curiosità. — A ogni modo, — chiese — che cosa pensa, di quella? Ormai avevo preso la mia decisione. Non avevo mai provato nulla che fosse anche lontanamente paragonabile alla ripugnanza, al gelido odio, all'implacabile bramosia di uccidere, che quella donna aveva destato in me. Non era per il mio orgoglio offeso, benché questo fosse già abbastanza doloroso. No, era per la convinzione che nella stanza dietro il negozio di bambole allignasse la malvagità più mostruosa. Una malvagità inumana, innaturale, come se la fabbricante di bambole fosse davvero uscita pari pari dall'inferno in cui credeva Ricori. Non ci potevano essere compromessi con simile malvagità, né con la donna nella quale si era annidata. Risposi a McCann: — In tutto il mondo non si troverebbe niente di così malvagio come quella donna. Non lasciatevi sfuggire di mano la ragazza un'altra volta. Ieri notte, si sarà accorta che l'avete vista? — Non so. Credo di no. — Metta subito altri uomini di guardia davanti e dietro la casa, e lo faccia apertamente, in modo che le donne non possano evitare di accorgersene. A meno che la ragazza sappia di essere stata vista, lei e la donna penseranno che ignoriamo ancora l'altra uscita, e crederanno che siamo convinti che abbia potuto sgusciar fuori davanti o da dietro senza farsi notare. Tenete un'auto pronta a ciascuna estremità della strada in cui la ragazza nasconde il coupé; ma state attenti a non destare sospetti. Se appare la ragazza, seguitela... — M'interruppi esitando. — E poi? — chiese McCann. — Voglio che sia presa. O portata via, o rapita: come vuole dire lei. La cosa deve essere fatta nel massimo silenzio. Lascio a lei di provvedere a questo: sa meglio di me come vanno sbrigate simili faccende. Agite in fretta e in silenzio: però non troppo vicino al negozio. Più lontano che potete.
Imbavagliate la ragazza, legatela se necessario; ma prendetela. Poi, frugate l'auto da cima a fondo, e portate a casa mia la ragazza e tutto quello che avrete trovato. Ha capito bene? — Se si fa vedere la piglieremo — replicò McCann. — Ha intenzione di farle il terzo grado? — Sì, e anche qualcosa di più. Voglio vedere che cosa farà la donna. Può darsi che questo la induca a compiere qualche mossa che ci metta in grado di impadronirci legalmente di lei e di consegnarla alla giustizia. Abbia o non abbia dei servi invisibili, è mia intenzione privarla della serva visibile. Può darsi che ciò renda visibili anche gli altri. Quanto meno, le metterà i bastoni fra le ruote. McCann mi guardò con aria interrogativa. — Quella donna deve averle dato un bel colpo, dottore. — Proprio così — risposi, molto asciutto. Lui esitò un poco, e alla fine chiese: — Glielo dirà, al capo, di questa faccenda? — Stasera, forse. O forse no. Dipenderà dalle sue condizioni. — Be', se dobbiamo organizzare qualcosa come un rapimento, direi che bisogna avvisarlo. Replicai seccamente: — McCann, le ho detto che Ricori vuole che lei ubbidisca ai miei ordini come se venissero da lui. Le ho dato degli ordini, e ne assumo io ogni responsabilità. — Okay — bofonchiò McCann, ma vidi che non era ancora convinto del tutto. In effetti, supponendo che Ricori si fosse sufficientemente ripreso, non c'era alcun motivo concreto per cui non gli dovessi riferire quanto era accaduto durante il mio incontro con Madame Mandilip. Per Braile invece la cosa cambiava. Quasi convinto com'ero dell'affetto tra lui e la Walters, non potevo raccontargli della bambola crocefissa, che, tra l'altro, continuavo a considerare mentalmente come la Walters crocefissa. Se gliene avessi parlato, sapevo bene che non ci sarebbe stato modo di impedirgli un'immediata aggressione alla fabbricante di bambole, e non volevo che ciò accadesse. Mi resi conto tuttavia di un'ostinatissima riluttanza a riferire a Ricori i particolari della mia visita: la stessa riluttanza funzionava nei confronti di Braile, anche per quegli avvenimenti che non riguardavano la bambola Walters. E perché la provavo anche nei riguardi di McCann? L'attribuii alla mia vanità ferita. Ci fermammo di fronte a casa mia. Mancava poco alle sei. Prima di
scendere dall'auto ripetei tutte le istruzioni. McCann annui. — Okay, dottore. Se la ragazza esce, la pigliamo. Entrai in casa, e trovai un appunto di Braile in cui mi diceva che sarebbe venuto da me solo dopo cena. Ne fui lieto: non mi sorrideva l'idea di dovermi sottoporre alle sue domande. Appresi che Ricori stava dormendo, e che riacquistava le forze con rapidità sbalorditiva. Incaricai l'infermiera di dirgli, se si fosse svegliato, che sarei andato da lui dopo cena. Poi mi buttai sul divano, cercando di schiacciare un sonnellino prima di mangiare. Non riuscii a dormire: tutte le volte che mi appisolavo mi appariva davanti agli occhi la faccia della fabbricante di bambole, e mi trovavo di colpo più sveglio di prima. Alle sette mi alzai e feci una buona cena abbondante, bevendo deliberatamente almeno il doppio della dose di vino che di solito mi concedo e terminando con un caffè forte. Quando mi alzai da tavola mi sentivo davvero meglio, con la mente vigile e di nuovo padrone di me: o così ritenevo. Avevo deciso di informare Ricori delle istruzioni da me date a McCann riguardo al rapimento della ragazza. Sapevo che questo avrebbe provocato un minuzioso interrogatorio a proposito della mia visita al negozio, ma avevo già pronta la versione da raccontargli. Con un tuffo al cuore mi resi conto che quella versione era tutto ciò che potevo raccontare! Mi resi conto, cioè, del fatto che, anche volendo, non sarei stato capace di riferire agli altri i particolari che avevo eliminato, e che ciò accadeva per volere della fabbricante di bambole. Era una suggestione postipnotica, della stessa natura delle altre inibizioni da lei gettate sopra la mia volontà: le inibizioni che mi avevano sottratto ogni facoltà quando ero in sua presenza, e fatto uscire dal suo negozio come un automa, e respinto dalla porta quando stavo per rientrare! Durante quel breve sonno catalettico la donna mi aveva detto: — Questo e questo puoi raccontarlo. Questo e quest'altro no. Non potevo parlare della bambola bambina col viso d'angelo e dello spillone-pugnale che aveva spento a Gilmore la fiamma della vita. Non potevo parlare della bambola Walters e della sua crocefissione. Non potevo parlare della tacita ammissione, da parte della donna, di essere responsabile delle morti che ci avevano messo sulle sue tracce. L'essermi reso conto di ciò, tuttavia, mi fece sentire ancora meglio. Finalmente ero su un terreno comprensibile, provvisto di quel carattere tangibile che cercavo affannosamente; un terreno assolutamente estraneo alla stregoneria e alle potenze occulte, un terreno che rientrava interamente nel
dominio della mia scienza. Anch'io avevo usato lo stesso procedimento con i miei pazienti, numerose volte, riportando alla normalità la loro mente grazie a simili suggestioni post-ipnotiche. C'era comunque un sistema, mediante il quale avrei potuto liberare del tutto la mia stessa mente dai comandi della fabbricante di bambole, se l'avessi voluto. Dovevo usarlo? Decisi cocciutamente di no: sarebbe stato come ammettere che avevo paura di Madame Mandilip. L'odiavo, questo sì: ma non la temevo. Conoscendo ora la sua tecnica, sarebbe stato insensato non osservarne i risultati su di me in qualità di cavia. Mi dissi che ormai avevo esperimentato tutta la gamma di tali suggestioni, e che il mio inatteso risveglio aveva impedito alla donna di introdurmene in mente altre. Ahimè, la fabbricante di bambole aveva detto la verità chiamandomi «stolto» ! Quando giunse Braile fui in grado di riceverlo con tutta serenità. Feci appena in tempo a salutarlo che telefonò l'infermiera per comunicare che Ricori era perfettamente sveglio, e ansioso di vedermi. — Che fortuna! — dissi a Braile. — Venga con me: mi risparmierà di fare lo stesso racconto due volte. — Quale racconto? — chiese. — La mia visita a Madame Mandilip. — È andato da lei? — disse in tono incredulo. — Ho passato con lei il pomeriggio. È una donna molto... molto interessante. Venga a sentire anche lei. Mi diressi in fretta alla dipendenza, sordo alle sue domande. Ricori era seduto a letto. Gli feci una breve visita: benché ancora un po' debole, poteva essere tolto dall'elenco dei pazienti. Mi congratulai con lui per la guarigione davvero rapida. Gli bisbigliai: — Ho visto la sua strega, e le ho parlato. Ho molte cose da riferirle. Dica alle guardie di mettersi fuori della porta: io congederò l'infermiera per un po'. Quando guardie e infermiera furono uscite mi lanciai nel resoconto degli avvenimenti di quel giorno, cominciando dall'istante in cui McCann mi aveva chiamato nell'appartamento dei Gilmore. Ricori, con volto truce, mi ascoltò mentre riferivo il racconto di Mollie, poi disse: — Prima il fratello e ora il marito! Povera, povera Mollie! Ma sarà vendicata! Sì, sarà vendicata fino in fondo! Fornii la versione grossolanamente incompleta del mio incontro con
Madame Mandilip, e riferii a Ricori quello che avevo ordinato a McCann di fare. — Così, almeno per questa notte, potremo dormire in pace — conclusi. — Se la ragazza esce con le bambole, McCann l'acchiappa. Se non esce non può succedere nulla. Sono del tutto convinto che la Mandilip non può colpire senza la ragazza. Spero che lei approvi, Ricori. Mi scrutò attentamente per un istante. — Approvo, dottor Lowell. Approvo completamente. Lei ha agito come avrei agito io stesso. Però... però non credo che ci abbia riferito tutto ciò che è accaduto tra lei e la strega. — Neanch'io — aggiunse Braile. Io mi alzai. — A ogni modo, vi ho detto l'essenziale. E adesso sono stanco morto. Ho intenzione di fare il bagno e andare a letto. Sono le nove e mezzo. Se la ragazza uscirà non sarà prima delle undici, e probabilmente più tardi. Voglio dormire finché McCann non la porta qui. Se questo non accade dormirò tutta la notte. Non ho altro da dire. Rinviamo le domande a domattina. Lo sguardo penetrante di Ricori non mi aveva lasciato un istante. — Perché non dorme qui? Non sarebbe più sicuro, per lei? Un'onda di forte irritazione mi travolse. Il mio orgoglio era già stato abbastanza ferito dal mio comportamento con la fabbricante di bambole e dal modo in cui lei mi aveva vinto in astuzia. La proposta di nascondermi dietro le armi degli uomini di Ricori riapriva la ferita. — Non sono un bambino — risposi con ira. — Sono perfettamente in grado di badare a me stesso. Non ho bisogno di vivere dietro uno schermo di armigeri... Mi interruppi, pentito di aver parlato così. Ma Ricori non manifestò alcuna collera. Annui e si calò all'indietro sui cuscini. — Mi ha detto quello che volevo sapere. Le è andata assai male con la strega, dottor Lowell. E non ci ha riferito tutto... tutto l'essenziale. — Mi dispiace, Ricori! — replicai. — Non stia a dispiacersi. — Per la prima volta sorrise. — Capisco perfettamente. Sono un po' psicologo anch'io. Ma una cosa le dico: poco importa se stanotte McCann conduce qui la ragazza oppure no. Domani la strega morirà, e con lei la ragazza. Non dissi nulla. Richiamai l'infermiera e feci appostare di nuovo le guardie all'interno della stanza. Per quanto fossi fiducioso, non volevo correre rischi con la sicurezza di Ricori. Non gli avevo detto della precisa mi-
naccia di Madame Mandilip contro di lui, ma non l'avevo dimenticata. Braile mi accompagnò nello studio. In tono di scusa mi disse: — So che dev'essere maledettamente stanco, Lowell, e non ho intenzione di tormentarla. Ma vorrei che mi lasciasse rimanere con lei nella sua stanza mentre dorme. Sempre con la mia ostinata irritazione gli replicai: — Per amor di Dio, Braile, non ha sentito quel che ho detto a Ricori? Le sono molto grato eccetera eccetera, ma vale anche per lei. — Allora — disse tranquillamente — rimarrò qui a vegliare nello studio finché non arrivi McCann o spunti l'alba. Appena sento un rumore nella sua stanza, entro. Ogni volta che voglio darle un'occhiata per vedere se tutto va bene, entro. Non chiuda la porta a chiave, se no sarò costretto ad abbatterla. Mi sono spiegato? Diventai ancora più furibondo. Braile soggiunse: — Parlo sul serio. — Benissimo — dissi. — Faccia come diavolo le pare. Entrai nella mia stanza, sbattendo la porta dietro di me. Ma non la chiusi a chiave. Ero stanco: nessun dubbio su questo. Anche un'ora di sonno sarebbe stata utile. Decisi di fare a meno del bagno, e cominciai a spogliarmi. Stavo togliendo la camicia quando notai uno spillino appuntato a sinistra, all'altezza del cuore. Scostai la camicia e guardai all'interno. Lì, affrancata con lo spillo, c'era una di quelle funicelle annodate! Feci un passo in direzione della porta, con la bocca già aperta per chiamare Braile. Ma mi fermai all'istante. Non gliel'avrei mostrata: ne sarebbero nate domande senza fine, e io volevo dormire. Dio, che bisogno di dormire! Meglio bruciare la funicella, prima. Cercai un fiammifero per darle fuoco... ma sentii il passo di Braile davanti alla porta e la ficcai rapidamente nella tasca dei pantaloni. — Cosa vuole? — gridai. — Volevo solo assicurarmi che stesse andando a letto. Socchiuse la porta. Quello che voleva vedere, naturalmente, era se l'avevo chiusa a chiave. Io non dissi nulla e continuai a spogliarmi. La mia camera da letto, che si trova al secondo piano dell'abitazione, è ampia e ha il soffitto alto. Dà sul retro, di fianco allo studio. Ci sono due finestre, che si affacciano sul giardinetto e sono incorniciate dai rampicanti. Il lampadario è un affare massiccio e di stile antico, pieno di prismi di cristallo molato (credo che si chiamino «gocce»): i lunghi ciondoli disposti
in sei cerchi dai quali si dipartono i porta-candele. È un modello in dimensioni ridotte di quei deliziosi lampadari di stile coloniale del Palazzo dell'Indipendenza a Filadelfia, e quando comprai la casa non volli che fosse tolto né adattato in modo da potervi applicare lampadine elettriche. Il mio letto si trova all'estremità della stanza, e quando mi giro sul fianco sinistro intravedo il riquadro delle finestre alla luce di deboli riflessi. Questi stessi riflessi sono catturati dai prismi, cosicché, il lampadario diventa una minuscola nube dotata di un confuso scintillio, incessante e quasi ipnotizzante. In giardino c'è un vecchio pero, l'ultimo superstite di un frutteto: in primavera, quando a New York arrivano i primi tepori, solleva verso il sole le braccia tutte coperte di fiori. Il lampadario è all'altezza della pediera del letto. L'interruttore che comanda le luci elettriche, invece, è accanto alla testata. Nella parete laterale si trova un vecchio d'ammetto, con i fianchi di marmo scolpito e un'ampia cappa al di sopra. Per poter seguire con precisione quello che ora racconterò, occorre ricordare bene questa descrizione. Quando ebbi finito di spogliarmi, Braile, evidentemente rassicurato della mia docilità, chiuse la porta e tornò nello studio. Io presi la funicella annodata, la «scala della strega», e la gettai con disprezzo sul tavolo. Quel gesto fu un po' una bravata, credo; forse, se non fossi stato così sicuro di McCann, avrei seguito la mia primitiva intenzione di bruciarla. Mi preparai un sedativo, spensi la luce, e mi ficcai a letto. Il sedativo fece effetto rapidamente. Affondai in un mare di sonno, giù, sempre più giù. Mi svegliai. Mi guardai intorno. Come avevo fatto ad arrivare in quello strano luogo? Mi trovavo in una fossa circolare, poco profonda e bordata di erba. L'orlo della fossa mi arrivava solo all'altezza delle ginocchia. La fossa era al centro di una distesa circolare e piatta, con un diametro di circa quattrocento metri. Anche la distesa era coperta d'erba: un'erba strana, dai fiori purpurei. Al limitare del cerchio di erba si chinavano alberi sconosciuti, alberi incrostati di smeraldi verdi e scarlatti, alberi con rami penduli carichi di foglie simili a felci e avviluppati da sottili rampicanti che sembravano serpenti. Gli alberi racchiudevano il prato, guardinghi e vigili, mi tenevano d'occhio, attendevano che mi muovessi. No, non erano gli alberi a tenermi d'occhio! In mezzo a loro si celavano degli esseri, degli esseri malvagi, diabolici, ed erano questi a tenermi d'occhio, ad attendere che mi muovessi! Ma come avevo fatto a trovarmi là? Mi guardai le gambe, tesi le braccia. Indossavo ancora il pigiama azzurro che avevo quando ero andato a letto.
A letto a casa mia. A casa mia a New York. Come avevo fatto ad arrivare in quel luogo? Non mi sembrava di stare sognando. A questo punto vidi che tre sentieri conducevano fuori della fossa. Scavalcavano l'orlo e si dirigevano verso i boschi, ognuno in una direzione diversa. E d'improvviso compresi che dovevo prendere uno di questi sentieri, e che era per me di vitale importanza scegliere quello di destra, l'unico che si potesse percorrere senza pericoli, mentre gli altri due mi avrebbero condotto in potere di quegli esseri appiattati. La fossa prese a restringersi, e sentii il fondo sollevarsi sotto i miei piedi. La fossa mi stava espellendo! Balzai sul sentiero alla mia destra, e cominciai a percorrerlo a passo lento. Poi involontariamente mi misi a correre in direzione del bosco, sempre più in fretta. Quando fui più vicino, vidi che il sentiero, largo circa un metro e fittamente bordato dagli alberi, penetrava nel bosco diritto come la traiettoria di una freccia, scomparendo a distanza in una confusa macchia verde. Aumentai ancora di più la velocità. Ero entrato nel bosco, e gli esseri invisibili si precipitarono in silenzio da ogni direzione radunandosi fra gli alberi che bordavano il sentiero, assiepandosi lungo i lati di esso. Ignoravo che cosa fossero, quegli esseri, che cosa mi avrebbero fatto se fossero riusciti a prendermi: sapevo solo che nessuna sofferenza immaginabile poteva paragonarsi a ciò che avrei dovuto subire se mi avessero acciuffato. Avanti, avanti attraverso il bosco, ogni passo un incubo. Avvertivo mani tendersi per afferrarmi, udivo striduli bisbigli. Sudato, tremante, giunsi al limitare del bosco e sbucai in una vasta pianura senza alberi, che si stendeva fino al lontano orizzonte. Era priva di sentieri e coperta di erba scura e avvizzita. Era simile, pensai, alla landa inaridita delle tre streghe del Macbeth. Pazienza. Meglio quella che il bosco incantato. Mi arrestai, guardando indietro verso gli alberi, e sentii che ne proveniva lo sguardo fisso di migliaia di occhi malvagi. Voltai le spalle e presi ad avanzare nella pianura avvizzita. Sollevai lo sguardo al cielo; era d'un verde caliginoso. Su su in alto due globi oscuri cominciarono a fiammeggiare. Due stelle nere... No, non erano stelle. Erano occhi. Gli occhi della fabbricante di bambole. Guardavano in giù verso di me dal caliginoso cielo verde. All'orizzonte di quello strano mondo cominciarono a spuntare due mani colossali. Cominciarono a strisciare nella mia direzione, per afferrarmi e scagliarmi di nuovo nel bosco. Bianche mani dalle lunghe dita, e ciascuna
delle lunghe dita bianche aveva vita propria. Le mani della fabbricante di bambole. Gli occhi si avvicinarono, le mani si agitarono a minore distanza. Dal cielo giunsero ripetuti scoppi di risa. La risata della fabbricante di bambole. Mi svegliai, o mi sembrò di svegliarmi, con la risata che ancora mi risuonava negli orecchi. Ero nella mia stanza e sedevo nel letto, con la schiena diritta come un fuso. Gocciolavo di sudore, e il cuore mi batteva così forte da farmi sussultare l'intero corpo. Vidi che la luce proveniente dalle finestre faceva scintillare il lampadario come una piccola nube indistinta: vidi il riquadro delle finestre debolmente tratteggiato nell'oscurità. C'era un gran silenzio. Colsi un movimento in una delle finestre. Volli alzarmi dal letto per vedere di che si trattava. Il mio corpo era paralizzato! Nella stanza apparve un fioco bagliore verdastro. Dapprima fu simile alla fosforescenza baluginante che si può osservare su un tronco marcio. Aumentava e diminuiva, aumentava e diminuiva, ma ogni volta diventava più intenso. La stanza ne fu tutta illuminata. Il lampadario luccicava come uno smeraldo in decomposizione. Alla finestra apparve una faccina. La faccia di una bambola! Sentii il cuore sussultare, poi mi si gelò il sangue per la disperazione. Pensai: «McCann non è riuscito! È la fine!». La bambola mi guardò, sogghignando. Il volto, perfettamente rasato, era quello di un uomo di quarant'anni circa. Aveva naso lungo, bocca larga, labbra sottili. Gli occhi, molto ravvicinati, con sopracciglia cespugliose, fiammeggiavano come rubini. La bambola si arrampicò sul davanzale e si tuffò nella stanza a testa in avanti. Rimase per un attimo in equilibrio sul capo, dondolando le gambe. Fece un doppio salto mortale e atterrò sui piedi, con una manina sulle labbra e gli occhi rossi fissi sui miei, in attesa. In attesa di applausi! Era vestita con calzamaglia e giubbetto da acrobata di circo. Mi fece un inchino, poi indicò la finestra con un gesto pomposo. Un'altra faccina stava sbirciando. Severa e impassibile, era la faccia di un uomo sui sessant'anni, ornata da corte fedine. Mi fissò con un'espressione quale immaginai che un banchiere potrebbe assumere quando una persona da lui odiata gli si rivolge per un prestito. Trovai l'immagine piuttosto divertente, e di colpo non mi sentii più divertito.
Una bambola banchiere! Una bambola acrobata! Le bambole corrispondenti a due delle persone che avevano subito la morte sconosciuta! La bambola banchiere scese dalla finestra con movenze composte. Indossava un abito da sera perfetto in tutti i particolari, dalla marsina alla camicia con lo sparato rigido. Si voltò, e con la stessa compostezza di prima alzò una mano verso il davanzale della finestra. Là c'era un'altra bambola, che aveva le fattezze di una donna all'incirca della stessa età della bambola banchiere e indossava come quella un perfetto abito da sera. La zitella! La bambola zitella si appoggiò con mosse affettate alla mano offertale e saltò con leggerezza sul pavimento. Dalla finestra sbucò una quarta bambola, coperta dai piedi al collo da una calzamaglia guarnita di lustrini. Prese la rincorsa e spiccò un balzo, atterrando accanto alla bambola acrobata. Guardò in su verso di me, sogghignando, quindi fece un inchino. Le quattro bambole si avviarono nella mia direzione: davanti i due acrobati, dietro la zitella e il banchiere, a braccetto e con passo lento e compassato. Erano grottesche, stravaganti. Ma non comiche. Dio mio, no! Oppure, se avevano una comicità, era della specie di cui si sollazzano i diavoli. Pensai disperatamente: — Braile è proprio dall'altro lato della porta! Se solo potessi fare un po' di rumore! Le quattro bambole si arrestarono e parvero consultarsi. I due acrobati fecero un salto mortale, quindi portarono una mano alla schiena estraendo dal fodero nascosto uno spillone-pugnale. La stessa arma apparve nelle mani di banchiere e zitella, quindi le quattro bambole puntarono gli spilloni, come spade, verso di me. Poi ripresero l'avanzata in direzione del mio letto. Gli occhi rossi della seconda bambola acrobata (compresi che si trattava del trapezista) si posarono sul lampadario. La bambola si arrestò esaminandolo. Lo indicò alle altre, rimise lo spillone nel fodero, e piegò le ginocchia appoggiandovi le mani a coppa. La prima bambola annui, quindi esitò: evidentemente stava calcolando l'altezza del lampadario dal pavimento e la via migliore per raggiungerlo. La seconda bambola indicò il caminetto, ed entrambe si arrampicarono sulle fiancate raggiungendo l'ampia mensola. Le due bambole più anziane rimasero a osservarle, apparentemente molto interessate; però non rinfoderarono gli spilloni.
L'acrobata si piegò sulle ginocchia, e il trapezista mise un piedino nelle mani dell'altra. La prima bambola si raddrizzò: la seconda fu proiettata dalla mensola al lampadario, si aggrappò a un cerchio di prismi, e rimase penzoloni. L'altra bambola spiccò immediatamente un salto, si afferrò al lampadario, e restò appesa anch'essa accanto alla compagna adorna di lustrini. Vidi il vecchio e pesante infisso vibrare e ondeggiare. Una dozzina di «gocce» di cristallo precipitarono a terra schiantandosi: nel silenzio assoluto il rumore parve un'esplosione. Udii Braile precipitarsi alla porta. La spalancò e rimase sulla soglia. Io potevo scorgerlo benissimo grazie al bagliore verde, ma sapevo che lui invece non vedeva nulla: per lui la stanza era immersa nelle tenebre. — Lowell! — gridò. — Va tutto bene? Accenda la luce! Tentai di urlare, di metterlo in guardia. Invano! Avanzò a tentoni, girò intorno al letto, e fece per dirigersi all'interruttore. Fu proprio lì, credo, che si accorse delle bambole. Si arrestò di colpo, proprio sotto il lampadario, e guardò in su. Nel contempo la bambola sopra di lui, tenendosi aggrappata con una mano sola, estrasse lo spillone dal fodero; poi si lasciò cadere sulle spalle di Braile, pugnalandolo malvagiamente alla gola! Braile emise un grido strozzato. Uno solo. Poi il grido si mutò in un orribile sospiro gorgogliante. A questo punto vidi il lampadario ondeggiare e vacillare; quindi, spezzatosi il vecchissimo supporto, cadde addosso a Braile e alla diabolica bambola che gli stava squarciando la gola, con uno schianto che fece tremare l'intera casa. Il bagliore verde scomparve di botto. Udii risuonare nella stanza un precipitoso trepestio, simile al rumore di grossi topi in fuga. La paralisi mi abbandonò. Brancolai verso l'interruttore e accesi la luce, poi balzai dal letto. Delle piccole sagome si arrampicarono sulla finestra e schizzarono fuori. Udii quattro scoppi attutiti, simili ai colpi di un fuciletto a turacciolo. Davanti alla porta vidi Ricori, in mezzo alle due guardie che sparavano verso la finestra con rivoltelle munite di silenziatore. Mi chinai su Braile. Era morto stecchito. Il lampadario gli era caduto in pieno sulla testa, fracassandogli il cranio. Ma... Ma Braile doveva esser già morto prima che il lampadario crollasse... aveva la gola squarciata... la carotide recisa...
E la bambola che l'aveva assassinato era scomparsa! XV. La giovane strega Mi rialzai, commentando amaramente: — Aveva ragione lei, Ricori. I servitori di quella donna sono migliori dei suoi. Ricori non rispose, e continuò a guardare Braile con volto pieno di compassione. Io aggiunsi: — Se tutti i suoi uomini mantengono le promesse come McCann, il fatto che lei sia ancora vivo è per me uno dei più grandi miracoli. Ricori mi fissò con occhi cupi. — McCann non è soltanto intelligente: è anche fedele. Non lo condannerò senza prima averlo ascoltato. Invece le dico, dottor Lowell, che se lei fosse stato più sincero con me, questa sera, il dottor Braile non sarebbe morto. Trasalii a queste parole: erano fin troppo vere. Fui travolto da un'ondata di pentimento, e di pena, e di ira impotente. Se non avessi permesso al mio maledetto orgoglio di avere il sopravvento su di me, se avessi raccontato a Braile e a Ricori tutto quello che potevo del mio incontro con la fabbricante di bambole, spiegando perché ero incapace di riferire alcuni particolari, se mi fossi affidato a Braile per farmi disinibire mediante una controipnosi... Anzi, se solo avessi accettato l'offerta di Ricori di proteggermi, o quella di Braile di vegliare su di me mentre dormivo, questo non sarebbe accaduto. Diedi un'occhiata nello studio e vidi che c'era l'infermiera di Ricori. Sentii dei bisbigli fuori della porta: domestici forse, o qualcuno accorso dalla clinica al fracasso prodotto dal lampadario. Con voce abbastanza ferma dissi all'infermiera: — È caduto il lampadario mentre il dottor Braile era ai piedi del mio letto e parlava con me. È morto sul colpo. Ma non lo dica agli altri: spieghi solo che il lampadario è caduto ferendo il dottor Braile. Rimandi tutti a letto, e dica che lo stiamo portando all'ospedale. Poi torni qui con la Porter e veda di togliere tutto il sangue che può. Ma lasci il lampadario così com'è. Quando fu uscita mi rivolsi agli uomini di Ricori. — Che cosa avete visto quando avete sparato? — A me son sembrate scimmie — rispose il primo. — O nanetti — aggiunse il secondo. Guardai Ricori, e gli lessi in volto quello che aveva visto lui. Strappai
dal letto la sopracoperta. — Ricori, vorrei che i suoi uomini tirassero su Braile e lo avvolgessero in questa — dissi. — Poi dovrebbero portarlo nella stanzetta accanto allo studio e sistemarlo sul lettino. Ricori fece un cenno alle due guardie, e quelle sollevarono Braile dai detriti di cristallo infranto e metallo contorto. Aveva faccia e collo tagliuzzati dai frammenti di «gocce», e per puro caso una di tali ferite era vicina al punto in cui la bambola aveva conficcato lo spillone. Era un taglio profondo, e probabilmente aveva reciso a sua volta la carotide. Ricori e io seguimmo gli uomini nella stanzetta: quelli deposero il cadavere sul lettino, poi Ricori ordinò loro di tornare nella mia camera a fare la guardia mentre le due infermiere erano lì. Quando furono usciti richiuse la porta della stanzetta e si rivolse a me. — Che cos'ha intenzione di fare, dottor Lowell? Avevo solo voglia di piangere, ma risposi: — È un caso per il coroner, naturalmente. Devo avvisare subito la polizia. — Che cosa pensa di raccontare? — Che cos'ha visto alla finestra, Ricori? — Ho visto... ho visto le bambole! — Anch'io. Posso forse raccontare alla polizia che cosa ha ucciso Braile prima che il lampadario cadesse? Sa bene che non posso. No, dirò che stavamo parlando, e a un certo punto, senza preavviso, il lampadario gli è precipitato addosso, e qualche scheggia di cristallo gli ha trapassato la gola. Che cos'altro posso dire? Questo è abbastanza credibile, mentre la verità è incredibile del tutto. Mi interruppi, e la mia resistenza venne meno: per la prima volta dopo molti anni scoppiai in pianto. — Ricori, lei aveva ragione. La colpa di tutto ciò non è di McCann, ma soltanto mia. La vanità di un vecchio. Se avessi detto tutto, senza reticenze, lui ora sarebbe vivo. E invece no, invece no. Sono io il suo assassino. Ricori cercò di consolarmi, con la dolcezza di una donna. — Non è stata colpa sua. Così come lei è, e come ha ragionato per tanto tempo, non poteva agire in altro modo. Se la sua incredulità, del tutto naturale, ha offerto un'occasione alla strega... Be', anche questo non è colpa sua. Ma ora quella donna non avrà altre occasioni: questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Mise le mani sulle mie spalle. — Non chiami subito la polizia: aspetti almeno che McCann si sia fatto
vivo. È quasi mezzanotte e, se non dovesse venire, telefonerà senz'altro. Adesso vado nella mia stanza e mi vesto, perché quando avrò parlato con McCann dovrò lasciarla. — Che cosa intende fare, Ricori? — Uccidere la strega — rispose tranquillamente. — Uccidere lei e la ragazza. Prima dell'alba. Ho atteso troppo a lungo: ora non aspetto più. Non devono uccidere ancora. Un'ondata di debolezza mi travolse, e mi accasciai su una sedia. La vista mi si offuscò. Ricori mi diede un po' d'acqua, e la bevvi avidamente. Nonostante il rombo negli orecchi, udii bussare alla porta, e uno degli uomini di Ricori gridare: — È arrivato McCann. — Digli di entrare — ordinò Ricori. La porta si aprì, e McCann irruppe nella stanza. — L'ho presa... Si arrestò, fissandoci. I suoi occhi si posarono sul lettino dove giaceva il cadavere ricoperto, e il volto gli si rabbuiò. — Cos'è successo? — Le bambole hanno ucciso il dottor Braile — rispose Ricori. — Hai catturato la ragazza troppo tardi, McCann. Perché? — Ucciso Braile? Le bambole? Dio! — McCann parlò come se una mano gli avesse afferrato la gola. — Dov'è la ragazza, McCann? — chiese Ricori. — Giù in macchina, imbavagliata e legata — rispose McCann con voce sorda. Ricori gli chiese: — Quando l'hai catturata? E dove! Io guardai McCann, e d'improvviso avvertii una forte ondata di compassione e simpatia sgorgare dal rimorso e dalla vergogna che provavo. — Si sieda. McCann — gli dissi. — La colpa di quello che è accaduto è molto più mia che sua. Ricori replicò freddamente: — Lasci che sia io a giudicare questo. McCann, hai messo delle macchine a ciascuna estremità della strada, come ti aveva ordinato il dottor Lowell? — Sì. — Allora comincia da lì. McCann prese a dire: — Verso le undici compare nella strada la ragazza. Io sono a est e Paul a ovest. «Dico a Tony: "L'abbiamo in pugno". La ragazza porta due valigie. Si
guarda intorno e galoppa dove abbiamo trovato il coupé. Apre la porta, e quando esce in macchina va a ovest, dove c'è Paul. Io avevo detto a Paul quello che mi aveva raccomandato il dottore, di non catturarla troppo vicino al negozio. Vedo che Paul la segue: faccio una volata giù per la strada e mi metto dietro a Paul. «Il coupé gira in West Broadway, e alla ragazza capita un colpo di fortuna. È appena arrivato il traghetto da Staten Island, e la strada è piena zeppa di macchine. Una Ford salta fuori sulla sinistra, cercando di superare un'altra macchina. Paul si scontra con la Ford e va a incastrarsi in un pilone della sopraelevata. Succede un quarantotto. Ci metto un minuto o due per uscire dall'ingorgo, ma ormai il coupé è scomparso. «Salto giù dalla macchina e telefono a Rod. Gli dico di acchiappare la ragazza appena la vede, anche a costo di legarla quand'è davanti al negozio. E quando l'hanno presa, portarla subito qui. «Vengo anch'io da queste parti, perché penso che si è diretta qui. Giro un po' intorno e poi do un'occhiata nel parco. Dico che quella strega ha avuto tutte le fortune, e adesso deve capitarne una anche a me. Infatti vedo il coupé fermo sotto gli alberi. Così acchiappiamo la ragazza. Non ha nessuna resistenza, però la imbavagliamo e la ficchiamo in macchina. Tony allontana il coupé e lo fruga da cima a fondo. Non c'è dentro niente oltre alle due valigie, che sono vuote. Allora portiamo qui la ragazza.» Io chiesi: — Quanto tempo è trascorso tra la cattura della ragazza e il vostro arrivo qui? — Un dieci-quindici minuti, forse. Tony ha quasi smontato tutto il coupé, e c'è voluto un po' di tempo. Lanciai un'occhiata a Ricori. McCann doveva aver messo le mani sulla ragazza all'incirca nel momento in cui Braile era morto. Ricori annui. — Stava aspettando le bambole, naturalmente. — Cosa devo fare con quella strega? — chiese McCann. Si era rivolto a Ricori, non a me. Ricori non rispose, e fissò McCann con uno sguardo stranamente concentrato. Ma vidi che stringeva la mano sinistra, riaprendola poi a dita divaricate. McCann disse: — Okay, capo. Si diresse alla porta. Non occorreva un intuito particolare per capire che aveva ricevuto un ordine, sul cui contenuto non potevo avere dubbi. — Alt! — gridai. Gli tagliai la strada e mi appoggiai alla porta con la schiena. — Mi ascolti, Ricori. Ho qualcosa da dire a questo proposito. Il dottor Braile era per me un amico, come lo era Peters per lei. Qualunque
sia la colpa di Madame Mandilip, la ragazza non può far altro che eseguire i suoi ordini. La sua volontà è totalmente dominata dalla fabbricante di bambole, e anzi ho il forte sospetto che sia quasi sempre sotto completo controllo ipnotico. Non posso dimenticare che ha cercato di salvare la Walters. Non voglio che sia assassinata. — Se lei ha ragione, dottor Lowell, questo è un motivo di più perché sia eliminata subito — replicò Ricori. — Così la strega non potrà usarla prima di venire eliminata lei stessa. — Insisto, Ricori. C'è un altro motivo. Voglio interrogarla. Forse scoprirò i sistemi di Madame Mandilip, il mistero delle bambole, la ricetta dell'unguento, e se ci sono altri in possesso delle sue cognizioni. Può darsi che la ragazza sappia tutto questo, e forse anche di più. E se lo sa posso farglielo dire. McCann, in tono cinico, disse: — Ma davvero? — In che modo? — chiese Ricori. — Usando la stessa trappola con cui mi ha catturato la fabbricante di bambole — risposi tetramente. Ricori mi fissò per un buon minuto con uno sguardo duro. Alla fine disse: — Dottor Lowell, è l'ultima volta che il mio parere su questa faccenda cede davanti al suo. Per me, lei ha torto, e sono convinto di aver fatto male a non uccidere la strega il giorno stesso in cui l'ho incontrata. Sono anche convinto che ogni istante di vita che concediamo alla ragazza sia un istante carico di pericolo per noi. Ad ogni modo cedo. Per quest'ultima volta. — McCann, porti la ragazza nell'ambulatorio — dissi subito. — Ma aspetti che abbia mandato via chi eventualmente si trova da basso. Scesi al pianoterra, seguito da McCann e Ricori. Non c'era nessuno. Sistemai sul mio tavolo da lavoro un apparecchio derivato dallo specchio Luys, il dispositivo usato per la prima volta alla Salpetrière di Parigi per indurre il sonno ipnotico. L'apparecchio consiste di due file parallele di piccoli riflettori che ruotano l'una in direzione opposta all'altra. Un raggio di luce vi batte sopra, di modo che i riflettori stessi sono alternativamente illuminati e oscuri. Il congegno è utilissimo, ed ero convinto che la ragazza, avvezza da tempo all'ipnosi, non avrebbe potuto resistergli a lungo. Collocai una comoda poltrona nella posizione più opportuna e abbassai le luci affinché non intralciassero il funzionamento dello specchio ipnotico. Avevo appena terminato questi preparativi che McCann e un altro uomo di Ricori portarono dentro la ragazza. La sistemarono nella poltrona, e io le tolsi da sopra la bocca il bavaglio con cui era stata ridotta al silenzio. — Tony, torna in macchina — disse Ricori. — Tu, McCann, rimani qui.
XVI. Fine della giovane strega La ragazza non oppose la minima resistenza. Sembrava del tutto chiusa in se stessa, e mi rivolgeva lo stesso sguardo fisso e vacuo che le avevo notato durante la mia visita al negozio. Le presi le mani, e lei le abbandonò passivamente nelle mie. Erano gelide. In tono dolce e rassicurante le dissi: — Ragazza mia, nessuno vuol farle del male. Si distenda, si rilassi. Si metta comoda nella poltrona. Io voglio solo aiutarla. Dorma, se lo desidera. Dorma. Non sembrò che mi avesse udito, e continuò a guardarmi con l'identica vacua fissità. Le lasciai andare le mani, presi una sedia, mi sistemai di fronte a lei, e misi in moto i piccoli specchi rotanti. Gli occhi della ragazza si rivolsero subito in quella direzione e rimasero fissi sugli specchi, come affascinati. Vidi che il suo corpo si distendeva, appoggiandosi allo schienale della poltrona, e le palpebre cominciavano ad abbassarsi. — Dorma — dissi con voce sommessa. — Qui nessuno può farle del male. Nessuno può farle del male mentre dorme. Dorma... dorma... Gli occhi le si chiusero e un sospiro le sfuggi dalle labbra. — Ora sta dormendo — continuai. — Lei non si sveglierà finché non gliel'ordino io. Finché non gliel'ordino io non può risvegliarsi. Con una voce infantile, bisbigliando, la ragazza ripeté: — Sto dormendo; non posso risvegliarmi finché non me l'ordina lei. Fermai gli specchi. — Intendo farle alcune domande — dissi. — Lei ascolterà, e poi risponderà senza mentire. Non può rispondere se non dicendo la verità, e lo sa bene. Mi fece eco, sempre con quella debole voce infantile: — Devo risponderle dicendo la verità. Lo so bene. Non potei trattenermi dal gettare un'occhiata di trionfo a Ricori e a McCann. Ricori si stava facendo il segno della croce, e mi fissava con occhi sbarrati in cui leggevo dubbio e sgomento. Capii che stava pensando che anch'io conoscessi la stregoneria. McCann invece masticava nervosamente senza distogliere lo sguardo dalla ragazza. — Cominciai con le domande, scegliendo per prime quelle che potevano turbarla di meno. — È davvero la nipote di Madame Mandilip? — No. — Chi è, allora?
— Non lo so. — Quando vi siete messe insieme, e perché? — Vent'anni fa. Io ero a Vienna in una crèche, in un brefotrofio. Mi ha portata via da lì. Mi ha insegnato a chiamarla zia. Ma non lo è. — Dove avete vissuto dopo di allora? — A Berlino, a Parigi, e poi a Londra, Praga, Varsavia. — Madame Mandilip ha fabbricato bambole in ciascuna di queste città? La ragazza non rispose: rabbrividì, e le palpebre cominciarono a fremere. — Dorma! Ricordi, non può risvegliarsi finché non gliel'ordino io! Dorma! Risponda alla mia domanda. — Sì — bisbigliò. — E le bambole hanno ucciso in ciascuna città? — Sì. — Dorma. Stia tranquilla: non le può accadere nulla di male. L'agitazione della ragazza era tornata piuttosto forte, e mi allontanai per un momento dal soggetto delle bambole. — Dov'è nata Madame Mandilip? — Non lo so. — Che età ha? — Non lo so. Una volta gliel'ho chiesto: lei è scoppiata a ridere e ha detto che per lei il tempo non significa nulla. Avevo cinque anni quando mi ha presa con sé, e il suo aspetto era lo stesso di oggi. — Ha dei complici? Voglio dire, ci sono altri che fabbricano le bambole? — Uno. Gli ha insegnato lei. Era il suo amante a Praga. — Il suo amante! — esclamai, incredulo. Davanti agli occhi mi balzò l'immagine dell'enorme corpo volgare, del petto immenso, e della grossa faccia da cavallo di Madame Mandilip. La ragazza replicò: — So a che cosa sta pensando. Ma possiede un altro corpo, e lo indossa ogni volta che lo desidera. È un corpo splendido, al quale appartengono i suoi occhi, le mani, la voce. Quando indossa quel corpo è meravigliosa. Terribilmente meravigliosa. L'ho vista molte volte con quel corpo. Un altro corpo! Un'illusione, naturalmente, come la stanza incantata descritta dalla Walters e che io stesso avevo intravista quando mi ero strappato dalla trappola ipnotica in cui la donna mi aveva irretito. Un'immagine proiettata dalla sua mente nella mente della ragazza. Chiusi l'argomento e
passai al nocciolo della questione. — Madame Mandilip uccide con due sistemi, vero? Con l'unguento e con le bambole. — Sì, con la pomata e con le bambole. — Quante persone ha ucciso a New York con l'unguento? La ragazza rispose indirettamente: — Ha fabbricato quattordici bambole da quando siamo qui. Così c'erano altri casi di cui non avevo notizia! Chiesi: — E quante persone sono state uccise dalle bambole? — Venti. Sentii Ricori bestemmiare, e gli lanciai un'occhiata di ammonimento. Era chinato in avanti, terreo in volto e teso; McCann, da parte sua, aveva cessato di masticare. — In che modo fabbrica le bambole? — Non lo so. — Sa allora come fa a preparare l'unguento? — No. Lo prepara in segreto. — Cos'è che anima le bambole? — Vuole dire che cosa le rende... vive? — Si. — Qualcosa preso dai morti! Udii Ricori bestemmiare di nuovo, a mezza voce. Continuai: — Se non sa in che modo vengono fabbricate le bambole, saprà almeno che cosa occorre per renderle... vive. Di che si tratta? La ragazza non rispose. — Deve rispondermi. Deve ubbidirmi. Parli! — La sua domanda non è chiara — replicò. — Le ho già riferito che qualcosa preso dai morti rende vive le bambole. Cos'altro vorrebbe conoscere? — Cominci da quando la persona che poserà per una bambola incontra per la prima volta Madame Mandilip, e vada avanti fino al momento in cui la bambola diventa... viva, come ha detto lei. Con voce irreale la ragazza prese a dire: — Occorre che questa persona vada da lei spontaneamente. Così mi ha spiegato lei stessa. Deve poi acconsentire che lei faccia una bambola: ma di propria volontà, senza coercizioni. E non importa nulla che non sappia a che cosa ha acconsentito. Lei deve cominciare subito il modello provvisorio. Prima di aver terminato il secondo, cioè la bambola destinata a vivere, deve trovare un'occasione per
poter applicare la pomata. Mi ha detto che la pomata dà la libertà a uno degli esseri che dimorano nella mente, e che questo deve andare da lei e penetrare nella bambola. Mi ha detto anche che questo non è il solo inquilino della mente, ma gli altri non la interessano. E non sceglie tutti quelli che le si presentano. In che modo riconosca quelli con cui può trattare, o che cosa faccia sì che lei scelga quelli giusti, non lo so. Poi fabbrica la seconda bambola. Appena questa è terminata, la persona che ha posato per la bambola stessa comincia a morire. Quando è morta, la bambola prende vita e ubbidisce a lei, come tutte le altre. La ragazza si interruppe, come per un ripensamento, e aggiunse: — Tutte tranne una. — La quale...? — È la sua ex infermiera. Si rifiuta di ubbidire. Mia... mia zia la tortura, la punisce, e tuttavia non riesce a dominarla. Io ho portato qui ieri notte la piccola infermiera insieme a un'altra bambola perché uccidessero l'uomo che mia... mia zia aveva maledetto. L'infermiera non si è ribellata; ma poi ha lottato con l'altra bambola salvando così l'uomo. È una cosa che mia zia non riesce a capire, una cosa che la turba e che mi dà speranza. La voce della ragazza si spense. Poi d'improvviso riprese, piena di energia. — Bisogna che si sbrighi. Dovrei essere già tornata con le bambole. Fra poco mia zia comincerà a cercarmi. Devo andare, se no si metterà sulle mie tracce, e se mi trova qui mi ucciderà. Le chiesi: — Lei ha portato le bambole per uccidere me? — Naturalmente. — E dove si trovano ora? — Stavano tornando da me. I suoi uomini mi hanno catturata prima che le bambole potessero raggiungermi. Andranno... a casa. Le bambole si spostano molto in fretta, quando occorre. È più difficile quando non sono con me, tutto qui: ma torneranno a casa comunque. — Perché uccidono, le bambole? — Per... compiacere... mia zia. — E la funicella con i nodi, che ruolo riveste? La ragazza rispose: — Non lo so, ma mia zia dice... — Poi di colpo, con voce piena di disperazione come un bambino atterrito, mormorò: — Mi sta cercando! I suoi occhi frugano per trovarmi, le sue mani strisciano... Mi ha vista! Oh, mi nasconda! Mi nasconda, presto... Replicai: — Dorma più profondamente! Giù, più giù, torni giù nel sonno
profondo. Adesso sua zia non la può più trovare! Adesso lei è ben nascosta! La ragazza bisbigliò: — Sono profondamente addormentata. Mi ha persa di vista. Sono nascosta. Ma è qui sopra di me, mi sta ancora cercando. Ricori e McCann si erano alzati dalla sedia mettendosi accanto a me. Ricori mi chiese: — Crede davvero che la strega sia sulle sue tracce? — No — risposi. — Ma non si tratta di uno sviluppo inaspettato della situazione. La ragazza è stata sotto il controllo della donna così a lungo e così a fondo che questa reazione è del tutto naturale. Può essere frutto di suggestione ipnotica, oppure è il ragionamento del suo stesso subconscio: sta infrangendo un ordine, ed è stata minacciata di punizione qualora avesse... Con voce disperata la ragazza gridò: — Mi ha vista! Mi ha trovata! Le sue mani si tendono verso di me! — Dorma! Torni a dormire profondamente! Sua zia non può farle del male. L'ha persa di vista un'altra volta! La ragazza non rispose, ma udii un debole lamento uscirle dal fondo della gola. — Cristo! — imprecò raucamente McCann. — Non può far qualcosa per lei? Ricori, col volto terreo e gli occhi pieni di uno splendore innaturale, esclamò: — La lasci morire! Ci risparmierà dei fastidi! — Mi ascolti e ubbidisca — dissi duramente alla ragazza. — Adesso conterò fino a cinque. Quando arrivo a cinque... si svegli! Si svegli subito! Dovrà balzare dal sonno così in fretta che sua zia non possa raggiungerla! Ubbidisca! Cominciai a contare lentamente. Se l'avessi risvegliata di colpo, con tutta probabilità le avrei davvero causato la morte che la fabbricante di bambole, come le diceva la sua mente distorta, le aveva minacciata. — Uno... due... tre. La ragazza emise un grido terrificante. E quindi... — Mi ha presa! Le sue mani mi schiacciano il cuore! Ahhh... Il suo corpo si contrasse, e un guizzo lo percorse tutto. Poi si rilasciò, affondando inerte nella poltrona. Le palpebre si sollevarono, gli occhi fissarono senza più vedere, la mandibola ricadde. Le strappai il corpetto, appoggiai al cuore lo stetoscopio. Non batteva più. Ed ecco che dalla gola morta proruppe una voce dalla sonorità di un or-
gano, dolce, carica di minaccia e di disprezzo. — Stolti! La voce di Madame Mandilip! XVII. Brucia, strega, brucia! Cosa abbastanza curiosa, Ricori fu il meno impressionato di noi tre. Io mi ero sentito accapponare la pelle, e McCann, benché non avesse mai udito prima la voce della fabbricante di bambole, era notevolmente scosso. Fu lo stesso Ricori a rompere il silenzio. — È sicuro che sia morta? — Non c'è il minimo dubbio, Ricori. Lui fece un cenno a McCann e gli disse: — Portala giù nella macchina. — Cos'ha intenzione di fare? — chiesi. — Uccidere la strega — rispose. Con ironica compunzione recitò: — «Neanche la morte le dividerà». — Poi aggiunse, con veemenza: — E bruceranno insieme nell'inferno, per l'eternità ! Mi guardò con occhi simili a succhielli. — Lei non approva, dottor Lowell? — Non lo so, Ricori... Francamente non lo so. Oggi io stesso avrei voluto uccidere quella donna con le mie mani, ma ora la collera mi è cessata. Quello che lei intende fare va contro ogni mio istinto, ogni mia abitudine mentale, ogni mia convinzione riguardante il modo in cui la giustizia dovrebbe essere amministrata. Mi sembra... mi sembra nulla più che un assassinio! — Ha sentito la ragazza, no? — disse Ricori. — Venti persone uccise dalle bambole in questa sola città. E quattordici bambole fabbricate, cioè quattordici persone morte come Peters! — Ma, Ricori, nessun tribunale riconoscerebbe come prova valida una dichiarazione resa sotto ipnosi. Potrebbe essere vera, e potrebbe non esserlo. La ragazza non era normale. Quanto ha detto, forse, era soltanto frutto della sua immaginazione. Senza una prova a sostegno, nessun tribunale di questo mondo si baserebbe su tali affermazioni per emettere una condanna. — No, nessun tribunale di questo mondo. — Ricori mi prese per le spalle. — Lei è convinto che si trattasse della verità? Non potei rispondere, perché nel mio intimo sentivo che era senz'altro la verità. — Proprio così, dottor Lowell! — esclamò Ricori. — Lei mi ha risposto ugualmente. Sa bene, come lo so io, che la ragazza ha detto la verità. Sa
bene, come lo so io, che la nostra legge non può punire la strega. Ecco perché devo ucciderla io. Facendo questo, io, Ricori, non sono un assassino. No, sono il giustiziere nominato da Dio! Attese che io parlassi, ma di nuovo non potei dire nulla. Indicò la ragazza. — McCann, fa' come t'ho detto. Poi torna qui. Quando McCann fu uscito con l'esile corpo fra le braccia, Ricori soggiunse: — Dottor Lowell, deve venire con me per essere testimone dell'esecuzione. A queste parole sobbalzai. — Ricori, non posso — dissi. — Sono estremamente stanco, nel corpo e nello spirito. Ne ho passate troppe, oggi. Sono affranto dal dolore... Mi interruppe. — Deve venire, a costo di portarla noi di peso, imbavagliato come abbiamo fatto con la ragazza e legato. Le dirò perché. Lei sta combattendo contro se stesso. Se rimane da solo, può darsi che i suoi dubbi scientifici abbiano il sopravvento e che lei cerchi di fermarmi prima che abbia fatto quello che giuro davanti a Cristo, alla Sua Santa Madre, e a tutti i Beati, di fare. Può darsi che lei ceda alla stanchezza e riferisca l'intera faccenda alla polizia. Non correrò questo rischio. Le sono affezionato, dottor Lowell, molto affezionato. Ma le dico che se mia madre stessa cercasse di fermarmi in quest'azione, me la toglierei di torno altrettanto inesorabilmente. — Verrò con lei — dissi. — Allora avvisi l'infermiera di portarmi gli abiti. Finché questa faccenda non sarà terminata, lei e io restiamo insieme. Non voglio correre altri rischi. Presi il telefono e ordinai quanto aveva chiesto Ricori. Poi tornò McCann, e Ricori gli disse: — Appena mi sono vestito andiamo al negozio di bambole. Chi c'è in macchina con Tony? — Larson e Cartello. — Bene. Può darsi che la strega sappia che stiamo arrivando. Può darsi che abbia ascoltato attraverso gli orecchi morti della ragazza, così come ha parlato dalla sua gola morta. Non fa nulla. Supponiamo che non sia così. La porta è sprangata? — Capo, io non sono stato nel negozio — rispose McCann. — Non lo so. C'è una lastra di vetro. Se la porta è sprangata la scassineremo. Mentre ti vesti, Tony preparerà gli attrezzi. Ricori si voltò verso di me. — Dottor Lowell, lei ha detto che verrà con me. Vuol darmi la sua parola che non cambierà idea né cercherà di intro-
mettersi in quello che intendo fare? — Le do la mia parola, Ricori. — McCann, non occorre che dopo tu torni qui. Aspettaci in macchina. Ricori si vesti rapidamente. Mentre uscivo di casa insieme a lui, un orologio batté la una. Ricordai che questa strana avventura era iniziata, settimane prima, proprio alla stessa ora. Prendemmo posto sul sedile posteriore dell'auto, tenendo in mezzo a noi la ragazza morta. Sul sedile centrale stavano Larson e Cartello: un flemmatico svedese il primo, un italiano piccolo e nerboruto il secondo. Al volante c'era Tony, e accanto a lui McCann. Filammo giù per il viale, e dopo circa mezz'ora eravamo in Broadway bassa. Avvicinandoci alla strada del negozio di bambole diminuimmo la velocità. Il cielo era coperto di nuvole, dalla baia soffiava un vento freddo. Rabbrividii, ma non per il vento. Arrivammo all'angolo della strada del negozio. Da parecchi isolati non incontravamo veicoli, non vedevamo passanti. Era come se avessimo attraversato una città di morti. La strada del negozio era altrettanto deserta. Ricori disse a Tony: — Portaci di fronte al negozio di bambole. Noi usciremo. Poi vai all'angolo e aspettaci là. Il mio cuore batteva all'impazzata. La notte era così oscura che sembrava inghiottire il bagliore dei lampioni stradali. Nel negozio non c'erano luci, e nel vano della porta, di stile antico e posto allo stesso livello della strada, si annidavano le tenebre. Il vento gemeva, e potevo udire le onde frangersi sui contrafforti della Battery. Mi chiesi se avrei potuto varcare la soglia del negozio, o se di nuovo mi avrebbe trattenuto l'inibizione indottami dalla fabbricante di bambole. McCann scivolò fuori dell'auto, reggendo il corpo della ragazza, e la depose davanti alla porta, nell'ombra. Uscimmo anche noi quattro: Ricori, io, Larson, Cartello. L'auto si allontanò. E io provai di nuovo quel senso di angosciosa irrealtà che così spesso mi aveva assalito da quando, sul mio cammino, era comparsa per la prima volta la fabbricante di bambole. Il piccolo italiano spalmò sul vetro della porta una sostanza viscosa, e al centro dell'area applicò una ventosa di gomma; poi si trasse di tasca un attrezzo col quale tracciò sul vetro un cerchio del diametro di una trentina di centimetri. La punta dell'attrezzo penetrò nel vetro come se si fosse trattato di cera. Tenendo la ventosa con una mano, l'uomo picchiettò leggermente il vetro con un martello rivestito di gomma, e il cerchio si staccò dalla lastra rimanendo attaccato alla ventosa. L'operazione non aveva prodotto il
minimo rumore. L'uomo infilò una mano nel foro e, sempre senza rumore, annaspò all'interno per qualche istante. Si udì un debole scatto, e la porta si spalancò. McCann sollevò la ragazza morta. Entrammo nel negozio silenziosi come spettri, e il piccolo italiano rimise a posto il disco di vetro. Scorsi vagamente la porta del corridoio che conduceva nel retro, in quella stanza maledetta. L'italiano girò la maniglia, ma la porta era chiusa a chiave: armeggiò per qualche istante e quella si spalancò. Ci infilammo nel corridoio come ombre, Ricori in testa e McCann dietro di lui con la ragazza. Ci arrestammo davanti all'altra porta... E questa si spalancò prima che Cartello l'avesse toccata! E udimmo la voce di Madame Mandilip! — Entrate, signori. È stato gentile da parte vostra riportarmi la mia diletta nipote! Avrei voluto venirvi incontro all'altra porta... ma sono una donna vecchia, vecchia e paurosa! McCann sussurrò: — Fatti in là, capo! Passò sul braccio sinistro il corpo della ragazza, tenendolo come uno scudo, ed estratta la rivoltella fece per scavalcare Ricori. Questi lo spinse di lato, e puntando la propria automatica varcò la soglia. Io seguii McCann, e gli altri due mi vennero dietro. Diedi una rapida occhiata circolare nella stanza. La fabbricante di bambole era seduta al tavolo, e cuciva. Era tranquilla, ostensibilmente calma: non sollevò neppure lo sguardo verso di noi. Le sue lunghe dita bianche danzavano al ritmo dell'ago. Nel caminetto ardeva la brace. La stanza era molto calda, e nell'aria si avvertiva un'intensa fragranza a me sconosciuta. Guardai verso gli armadietti delle bambole. Erano tutti aperti. Dall'interno, fila sopra fila, ci fissavano con occhi verdi, azzurri, grigi, neri. Bambole così perfette da sembrare nani veri, esibiti in qualche grottesco spettacolo da Luna Park. Dovevano essercene decine e decine. Alcune erano vestite come gli americani, altre come i tedeschi, altre ancora come gli spagnoli, i francesi, gli inglesi; alcune invece indossavano costumi che non riconobbi. Scorsi inoltre una ballerina, un fabbro col martello sollevato, un cavaliere francese... Uno studente tedesco con la spada impugnata e cicatrici livide sul volto. Una donna di strada dalla bocca volgare, e subito dopo di lei un fantino. Un Apache con un coltello in mano e sulla faccia gialla un'espressione folle e drogata... Il bottino di Madame Mandilip, proveniente da una dozzina di paesi diversi!
Le bambole sembravano sul punto di spiccare un salto. Di rovesciarsi su di noi. Di travolgerci. Mi feci animo, costringendomi a considerare quell'esercito di bambole vive come se non fossero state altro che fantocci inanimati. Osservai che un armadietto era vuoto, e un altro, e un altro ... Cinque armadietti vuoti in totale. Mancavano le quattro bambole che avevo visto marciare alla mia volta nella paralisi del bagliore verde, e la bambola Walters. Strappai lo sguardo da quelle file di bambole con gli occhi fissi su di noi, e osservai di nuovo Madame Mandilip, che continuava tranquillamente a cucire come se fosse stata sola, come se non si fosse accorta di noi, come se sul suo cuore non fosse puntata la rivoltella di Ricori. E cuciva, cuciva e cantava con voce sommessa. Davanti a lei, sul tavolo, c'era la bambola Walters! Giaceva supina. Aveva le braccia unite insieme all'altezza dei polsi mediante numerosi giri di funicelle intrecciate, fatte con i capelli color cenere, e le mani erano immobilizzate sopra l'elsa di uno spillone-pugnale! Potei vedere tutte queste cose, che hanno richiesto una lunga descrizione, in un tempo brevissimo: non più di qualche secondo. La concentrazione della fabbricante di bambole sul suo lavoro di cucito, la sua completa indifferenza nei nostri riguardi, il silenzio stesso, formavano uno schermo tra noi e lei, una barriera sempre più spessa benché invisibile. L'acuta fragranza diveniva sempre più intensa. McCann lasciò cadere a terra il corpo della ragazza. Cercò di parlare, una volta, due... Al terzo tentativo ci riuscì. Con voce rauca e strozzata disse a Ricori: — Uccidila, se no lo faccio io. Ricori non si mosse. Stava tutto rigido, con l'automatica puntata al cuore della donna e gli occhi fissi sulle sue mani danzanti. Non sembrò aver udito McCann, o se l'udì, non gli prestò attenzione. La canzone della donna non cessava: sembrava un ronzio di api, era un sussurro dolce, distillava il sonno come le api distillano il miele, distillava sonno... Ricori spostò la presa sull'arma, scattò in avanti, e abbatté il calcio della rivoltella sul polso di Madame Mandilip. La mano ricadde, le lunghe dita bianche si contorsero, si contorsero e si attorcigliarono in modo orribile, come serpenti con la schiena spezzata... Ricori sollevò l'arma per un secondo colpo, ma prima che quella si abbattesse di nuovo la donna balzò in piedi, rovesciando la sedia. Lungo gli armadietti corse un bisbiglio, simile a un sottile velo di suono. Le bambole sembrarono chinarsi, piegarsi in avanti...
Ora gli occhi della donna erano puntati su di noi, simili a nere stelle ardenti in cui danzassero minuscole fiamme scarlatte. Parvero penetrare in ciascuno di noi e al tempo stesso in tutti insieme. La sua volontà ci investi, travolgendoci. Era tangibile come un'ondata. Sentii che mi colpiva come se fosse stata un oggetto materiale, e avvertii una specie di intorpidimento penetrare in me. Vidi la mano di Ricori che impugnava la rivoltella contrarsi e impallidire, e compresi che l'identico intorpidimento lo stava afferrando, così come afferrava McCann e gli altri. La fabbricante di bambole ci aveva presi in trappola un'altra volta! Mormorai: — Non la guardi, Ricori, non guardi i suoi occhi. Con uno sforzo tremendo strappai i miei da quelli neri e fiammeggianti della donna. Caddero sulla bambola Walters... Con movenze rigide allungai una mano per prenderla, non so perché. Ma la donna fu più veloce: afferrò la bambola con la mano sana e la strinse al petto. Poi, con voce vibrante di una dolcezza che scorreva per ogni nervo accelerando la paralisi già in atto, gridò: — Non mi volete guardare? Non mi volete guardare? Stolti! Non potete fare null'altro! E qui ebbe inizio quello strano, stranissimo episodio che segnò il principio della fine. La pungente fragranza parve vibrare, fremere, divenire più intensa. Qualcosa di simile a una bruma scintillante sgorgò dal nulla e ricopri Madame Mandilip, velandole la faccia cavallina e l'immane corpo. Attraverso quella nebbia si scorgevano soltanto gli occhi brillanti. La bruma scomparve. Davanti a noi stava una donna di sbalorditiva bellezza: alta, snella, di proporzioni perfette. Era nuda, ma i capelli, neri e serici, la vestivano in parte fino alle ginocchia, lasciando intravedere la pelle leggermente dorata. Soltanto gli occhi, le mani, la bambola ancora stretta a un seno eretto e pieno ci dicevano chi era quella donna. L'automatica scivolò dalla mano di Ricori, e sentii le rivoltelle degli altri cadere anch'esse a terra. Sapevo che tutti e quattro erano immobili come me, sbigottiti per quella incredibile trasformazione e del tutto in balia del potente flusso emanato dalla fabbricante di bambole. Questa tese un dito verso Ricori e scoppiò a ridere. — Tu vorresti uccidere me. Me! Raccogli la tua arma, Ricori, e prova! Il corpo di Ricori si piegò lentamente, lentamente. Potevo vederlo solo con la coda dell'occhio, perché il mio sguardo non riusciva a staccarsi dalla donna, e sapevo che anche per lui era così, e che i suoi occhi, fissi in quelli di lei, si sollevavano a mano a mano che il corpo si chinava. Più che vede-
re, sentii che la sua mano si era tesa fino a sfiorare la rivoltella, e cercava di sollevarla. Lo udii gemere, e la donna scoppiò di nuovo a ridere. — Basta così, Ricori. Non puoi! Il corpo di Ricori si raddrizzò di scatto, come se una mano l'avesse afferrato per il mento e sollevato. Udii un fruscio alle mie spalle, uno scalpiccio di minuscoli piedi, uno sgambettio di piccoli corpi che mi oltrepassavano. Quattro bambole si fermarono davanti alla donna, le quattro che avevano marciato alla mia volta nel bagliore verde, la bambola banchiere, la bambola zitella, l'acrobata, il trapezista. Si schierarono in fila, guardandoci con occhi torvi. Quattro spillonipugnali erano puntati nella nostra direzione come minuscole spade. E di nuovo la donna riempi la stanza con la sua risata. In tono carezzevole disse: — No, no, miei piccoli. Non ho bisogno di voi. Tese un dito verso di me. — Sai che questo mio corpo non è che illusione, vero? Parla! — Sì. — E che questi ai miei piedi, e tutti gli altri, non sono che illusioni? — Questo non lo so. — Sai troppe cose. E ne sai troppo poche. Perciò devi morire, mio troppo saggio e troppo sciocco dottore. — I grandi occhi della donna indugiarono su di me con beffarda pietà, e l'amabile viso assunse un'espressione malvagiamente compassionevole. — Anche Ricori deve morire, perché sa troppe cose. E in quanto a voialtri, dovete morire anche voi. Ma non per mano della mia piccola gente. Non qui. No! A casa tua, mio buon dottore. Andrete tutti là, in silenzio, senza parlare né tra di voi né con altri che vi capiti di incontrare strada facendo. E quando sarete arrivati vi butterete uno addosso all'altro, vi ucciderete a vicenda, vi sbranerete come lupi, come... La donna fece un passo indietro barcollando. Vidi, o credetti di vedere, la bambola Walters dibattersi. Quindi, rapida come un serpente quando colpisce, sollevò le mani legate e conficcò lo spillone nella gola della fabbricante di bambole... lo torse selvaggiamente, lo conficcò ancora e ancora, pugnalando la gola dorata della donna nell'esatto punto in cui l'altra bambola aveva pugnalato Braile! E lo stesso grido strozzato emesso da Braile, ora lo lanciò la donna, un grido orribile, di estremo dolore... Si strappò la bambola dal petto e la scagliò lontano. Quella fu proiettata
in direzione del caminetto, ruzzolò, e giunse a contatto della brace ardente. Ci fu una vampata abbagliante, un'ondata di calore intensa come quella che avevo sentito quando il fiammifero di McCann era caduto sulla bambola Peters. Colpite da quell'ondata, le bambole ai piedi della donna svanirono in un momento. Da loro eruppe un'istantanea colonna dello stesso fuoco abbagliante, che si arrotolò intorno alla donna avvolgendola dai piedi fino alla testa. Vidi il simulacro di bellezza dissolversi. Al suo posto c'erano la faccia cavallina e l'enorme corpo di Madame Mandilip, con gli occhi bruciati e ciechi, le lunghe mani bianche strette intorno alla gola squarciata, ora non più bianca ma rosseggiante del suo stesso sangue. Rimase così per un istante, poi crollò a terra. Nell'attimo in cui cadde si ruppe l'incantesimo che ci immobilizzava. Ricori si chinò sulla massa informe che era stata la fabbricante di bambole, e vi sputò sopra. Con voce piena di trionfo gridò: — Brucia, strega, brucia! Mi spinse verso la porta, indicando le file di bambole che ora, stranamente, sembravano prive di vita. Semplici bambole che ci fissavano con occhi spenti! Dalle tende e dalle tappezzerie il fuoco si protendeva verso di loro. Si stava lanciando su di loro quasi fosse stato lo spirito vendicativo di una fiamma purificatrice. Ci precipitammo fuori della stanza e lungo il corridoio, sbucando nel negozio. Le fiamme ci inseguirono nel corridoio, nel negozio stesso. Fuggimmo in strada. Ricori gridò: — Svelti! In macchina! La strada rosseggiò di colpo al bagliore delle fiamme. Sentii finestre spalancarsi, udii grida di avvertimento e di allarme. Ci tuffammo nell'auto in attesa, che schizzò via all'istante. XVIII. L'arte occulta «Hanno fatto dei simulacri recanti la mia immagine e simili al mio aspetto, quelli che per mezzo di una polvere hanno sottratto il mio respiro, strappato i miei capelli, lacerato i miei abiti, impedito ai miei piedi di muoversi; con un unguento di erbe nocive mi hanno
frizionato; alla mia morte mi hanno condotto... O Dio del Fuoco, distruggili!» Erano trascorse tre settimane dalla morte della fabbricante di bambole. Ricori e io stavamo cenando a casa mia. Tra noi era caduto il silenzio, e io l'avevo rotto con la strana invocazione che apre questo capitolo, epilogo del mio racconto, senza quasi accorgermi di aver parlato ad alta voce. Ma Ricori mi lanciò un'occhiata penetrante. — È una citazione? Da che cosa? Risposi: — Da una tavoletta d'argilla, che porta un'iscrizione fatta da qualche Caldeo dei tempi di Assurnizirpal, tremila anni fa. Ricori replicò: — In quelle poche parole ha raccontato tutta la nostra storia! — Proprio così, Ricori. C'è tutto: le bambole, l'unguento, la tortura, la morte, e la fiamma purificatrice. — È strano — rifletté Ricori. — Tremila anni fa... e già allora conoscevano il male e il suo rimedio. «Simulacri simili al mio aspetto... Hanno sottratto il mio respiro... Un unguento di erbe nocive... Alla mia morte mi hanno condotto... O Dio del Fuoco, distruggili!» Sì, è proprio il nostro caso, dottor Lowell. Replicai: — Le bambole della morte sono molto, molto più antiche di Ur dei Caldei. Più antiche della storia stessa. Dalla notte in cui Braile fu ucciso ho ripercorso il loro cammino attraverso i tempi: ed è un cammino lungo, Ricori, molto lungo. Sono state trovate sepolte a gran profondità sotto i focolari dei Cro-Magnon, focolari i cui fuochi morirono ventimila anni fa. E sono state trovate sotto a focolari ancora più freddi, appartenenti a popoli ancora più antichi. Bambole di selce, bambole di pietra, bambole intagliate nelle zanne di mammouth, nelle ossa dell'orso delle caverne, nei canini della tigre dai denti a sciabola. Già a quei tempi conoscevano l'arte occulta, Ricori. Lui annui. — Una volta avevo con me un uomo per cui provavo molta simpatia. Era della Transilvania. Un giorno gli chiesi perché fosse venuto in America. Mi raccontò una strana storia. Disse che nel suo villaggio c'era una ragazza la cui madre, così si mormorava, sapeva cose che nessun cristiano doveva sapere. Disse proprio così, con circospezione e facendosi il segno della croce. La ragazza era avvenente, desiderabile; tuttavia egli non l'amava. Invece sembrava che la ragazza amasse lui; o forse era la sua indifferenza che l'attirava. Un pomeriggio, rincasando dalla caccia, l'uomo
passò davanti alla capanna della ragazza. Questa lo chiamò. Egli aveva sete, e bevve il vino che lei gli offri. Era un vino buono. Lo rese allegro. Ma non lo fece innamorare di lei. «Tuttavia l'uomo entrò con la ragazza nella capanna, e bevve dell'altro vino. Ridendo, si lasciò tagliare alcuni capelli, e accorciare le unghie delle mani, e prelevare gocce di sangue dal polso e un po' di saliva dalla bocca. Sempre ridendo salutò la ragazza e tornò a casa, e si mise a dormire. Quando si risvegliò erano le prime ore della sera, e tutto quello che ricordava era che aveva bevuto del vino con la ragazza, ma niente di più. «Qualcosa gli disse di andare in chiesa. Andò in chiesa, e d'improvviso, quando si inginocchiò a pregare, ricordò qualcosa di più. Ricordò che la ragazza gli aveva preso i capelli, i pezzetti di unghia, la saliva, il sangue. E provò un'urgente necessità di andare da quella ragazza per vedere che cosa stava facendo con i suoi capelli, i pezzettini delle sue unghie, la sua saliva, il suo sangue. Diceva che era stato come se il santo davanti al quale si era messo in ginocchio gli avesse comandato di fare così. «Perciò si diresse furtivamente alla capanna della ragazza, scivolò attraverso 41 bosco, si arrampicò fino alla sua finestra. Guardò dentro. Lei sedeva al focolare, e manipolava un impasto come per fare il pane. Lui si vergognò di essere salito furtivamente e con quei pensieri. Ma poi vide che nell'impasto lei lasciava cadere i capelli che gli aveva tagliato, i pezzettini di unghie, il sangue, la saliva, e li mescolava all'impasto. Quindi la vide prendere l'impasto e modellare con questo un uomo in miniatura. E gli spruzzò dell'acqua sulla testa, battezzandolo con lo stesso nome di lui mediante strane parole che non poté capire. «L'uomo era spaventato, ma anche molto arrabbiato. E comunque era coraggioso. Rimase ad osservare finché la ragazza non ebbe terminato. La vide avvolgere il fantoccio nel grembiule, andare alla porta, uscire, e allontanarsi. Egli la segui: era un cacciatore, sapeva camminare senza far rumore, e la ragazza non si accorse che la stava seguendo. Ella arrivò a un bivio, e qui innalzò una preghiera alla luna nuova che splendeva. Poi scavò una buca, e in quella buca depose il fantoccio impastato con le sue mani. Quindi vi orinò sopra. Dopo di che esclamò: "Zaru! (così si chiamava quell'uomo) Zaru! Zaru! Io ti amo. Quando questo simulacro si sarà putrefatto tu mi dovrai correre dietro come il cane corre dietro alla cagna. Tu sei mio, Zaru, anima e corpo. A mano a mano che il simulacro marcisce, tu divieni mio. Quando il simulacro sarà putrefatto, tu sarai tutto mio. Per l'eternità e per l'eternità e per l'eternità! "
«Ricopri il fantoccio con la terra. L'uomo si lanciò su di lei e la strangolò. Avrebbe voluto dissotterrare il simulacro, ma senti delle voci e si spaventò ancora di più e scappò. Non tornò al villaggio, e invece s'imbarcò per l'America. «Dopo il primo giorno di traversata, mi disse, senti d'improvviso delle mani che gli si aggrappavano alle reni, che lo trascinavano in direzione del parapetto, del mare. Verso il villaggio, verso la ragazza. Allora capì che non l'aveva uccisa. Lottò contro quelle mani, lottò notte dopo notte. Non osava dormire, perché quando dormiva sognava di essere là a quel bivio, con la ragazza accanto: e tre volte si svegliò appena in tempo per impedirsi di finire in mare. «Quindi la forza delle mani cominciò a indebolirsi. E alla fine, ma non per molti mesi, lui non le senti più. Tuttavia continuava ad avere paura, finché non gli giunsero notizie dal villaggio. Non si era sbagliato: non aveva ucciso la ragazza. Ma più tardi l'aveva fatto qualcun altro. Quella ragazza possedeva ciò che lei, dottore, ha chiamato "arte occulta". Sì! Forse alla fine questa si rivoltò contro la ragazza stessa, come alla fine si è rivoltata contro la strega che conosciamo.» Io replicai: — È curioso che lei dica questo, Ricori. È strano che lei parli di arte occulta che si rivolta contro chi la possiede. Ma di ciò parlerò più tardi. Amore e odio e potere: queste tre brame sembrano essere sempre state le tre gambe del tripode su cui arde il fuoco segreto, i supporti della piattaforma dalla quale le bambole della morte si lanciano. «Sa chi è stato il primo Creatore di Bambole di cui abbiamo notizia? No? Bene, era un dio, Ricori. Si chiamava Khnum. Era un dio molto ma molto anteriore allo Jahvè dei Giudei, che, come lei ricorderà, era anch'egli un creatore di bambole. Infatti ne aveva modellate due nel Giardino dell'Eden e le aveva animate, ma aveva dato loro due soli diritti inalienabili: il diritto di soffrire e il diritto di morire. Khnum era un dio di gran lunga più misericordioso. Non negò il diritto di morire, ma non ritenne che le bambole dovessero soffrire; gli piacque vederle divertirsi nel breve spazio della vita. Khnum era così vecchio che aveva governato in Egitto secoli e secoli prima che venissero ideate le piramidi e la sfinge. Aveva un fratello di nome Kepher, un dio con la testa di scarabeo. Era stato Kepher a inviare un pensiero sulla superficie del Caos, un pensiero che la fece increspare, come se fosse stato una leggera brezza. Questo pensiero fecondò il Caos, e da esso nacque il mondo. «Soltanto un'increspatura sulla superficie, Ricori! Se fosse penetrato nel-
la pelle del Caos, o si fosse spinto anche più in fondo, nel cuore, che cosa non potrebbe essere, ora, l'umanità? Comunque, increspando la superficie del Caos, il pensiero realizzò quella cosa superficiale che è l'uomo. Da quel momento in poi il compito di Khnum fu di tendere la mano nei grembi delle donne e modellare il corpo del piccolo che vi giaceva dentro, e per questo lo chiamarono il Dio-Vasaio. Fu lui che, per ordine di Ammone, il più potente degli dèi giovani, modellò il corpo della grande regina Hatshepsut che Ammone stesso generò, giacendo con la madre di lei sotto le sembianze del faraone suo marito. Almeno, così tramandarono i sacerdoti dell'epoca. «Ma mille anni prima c'era un principe che Iside e Osiride amavano molto per la sua bellezza, il suo coraggio, la sua forza. In nessun luogo sulla terra, pensavano, c'era una donna adatta a lui. Perciò chiamarono Khnum, il Dio-Vasaio, perché ne creasse una. Khnum arrivò, con mani affusolate come quelle di... di Madame Mandilip, e provviste, come le sue, di singole dita vive. Il dio modellò nell'argilla una donna così bella che perfino la dea Iside provò un briciolo di invidia. Gli dèi dell'antico Egitto erano molto scrupolosi, per cui fecero cadere nel sonno il principe, gli misero accanto la donna, e li confrontarono (il termine nell'antico papiro è «provarono»). Ahimè! La donna non andava bene: era troppo piccola. Perciò Khnum modellò un'altra bambola. Ma questa era troppo grande. E soltanto dopo aver modellato e distrutto sei bambole si trovarono le dimensioni giuste: gli dèi rimasero soddisfatti, e il fortunato principe ricevette la sua moglie perfetta, che era una bambola. «Secoli e secoli dopo, ai tempi di Ramesse III, avvenne che un uomo cercasse e scoprisse questo segreto di Khnum, il Dio-Vasaio. Aveva passato tutta la vita a cercarlo. Era vecchio e curvo e appassito, ma il desiderio delle donne era ancora forte in lui. Tutto quello che seppe fare col segreto di Khnum fu di soddisfare quel desiderio. Ma senti la necessità di un modello. Quali erano le donne più attraenti che avrebbe potuto usare come modelle? Le mogli del faraone, naturalmente. Così quest'uomo fece certe bambole in forma e sembianza di coloro che accompagnavano il faraone quando si recava dalle mogli. Inoltre fece una bambola con le sembianze del faraone stesso; ed entrò in questa animandola. Quindi le altre sue bambole lo portarono nell'harem reale. Le guardie, come poi le stesse mogli del faraone, credettero che egli fosse il faraone vero: e come tale lo ricevettero. «Ma, mentre usciva, entrò il faraone vero. Dev'essere stata proprio una
bella scenetta, Ricori: d'improvviso, miracolosamente, il faraone duplicato nel suo stesso harem! Ma Khnum, vedendo che cosa era accaduto, si sporse dal Cielo e toccò le bambole, togliendo loro la vita. Ed esse caddero a terra, e si vide ciò che erano: soltanto bambole. «E là dove prima si trovava il secondo faraone c'era adesso una bambola, e rannicchiato accanto a lei un vecchio tremante e raggrinzito! «Può trovare la storia, e un resoconto ben dettagliato del processo che ne segui, in un papiro dell'epoca; credo che ora sia al Museo Egizio di Torino. C'è anche un elenco delle torture che subì il mago prima di essere bruciato. Ora, non c'è alcun dubbio che ci furono tali accuse, e che ci fu questo processo; il papiro è autentico. Ma che cosa c'era, in realtà, dietro a tutto ciò? Qualcosa è successo, ma di che si è trattato? Il racconto è soltanto un'altra testimonianza di superstizione, oppure riguarda fatti che sono frutto dell'arte occulta?» Ricori disse: — Lei stesso ha osservato il frutto dell'arte occulta. Non è ancora convinto della sua realtà? Non gli risposi e continuai: — La funicella annodata, la «scala della strega». Anche questa è cosa antichissima. Il più antico documento della legislazione dei Franchi, la Legge Salica, stesa in forma scritta circa millecinquecento anni fa, prevedeva le pene più severe per quelli che annodavano ciò che veniva chiamato il Nodo della Strega. — La ghirlanda della strega — disse Ricori in italiano. — Be', anche al mio paese si conosce quella cosa maledetta, e per nostra grande sfortuna! Colsi una nota di spavento nel suo volto pallido, nelle sue dita contratte; e mi affrettai a dire: — Naturalmente, Ricori, lei si rende conto che tutto quello che ho detto è leggenda. Folclore. Senza la minima base scientifica dimostrabile. Ricori si alzò con violenza gettando indietro la sedia. Mi fissò, incredulo, e con voce forzata chiese: — Vuole sostenere ancora che quella macchinazione diabolica di cui siamo stati testimoni può essere spiegata mediante la scienza che lei conosce? Mi agitai sulla sedia, a disagio. — Non ho detto questo, Ricori. Dico che Madame Mandilip era tanto un'assassina quanto una straordinaria ipnotizzatrice, una maestra di illusioni... Ricori mi interruppe, stringendo il bordo del tavolo con le mani. — Lei crede che le sue bambole fossero... illusioni? La mia risposta fu indiretta. — Lei sa quanto fosse reale quell'illusione di uno splendido corpo. Tuttavia l'abbiamo visto dissolversi a contatto del-
la vera realtà delle fiamme. Era sembrato vero come le bambole, Ricori. Di nuovo mi interruppe. — Il pugnale nel mio cuore, la bambola che uccise Gilmore, la bambola che assassinò Braile, la bambola benedetta che trucidò la strega! Le chiama illusioni? Un po' risentito, e avvertendo l'antica incredulità tornare di colpo intensa, risposi: — È del tutto possibile che lei stesso, obbedendo a una suggestione postipnotica della fabbricante di bambole, si sia conficcato lo spillone nel cuore! È possibile che, obbedendo a un'analoga suggestione, indotta non so quando né dove né come, la sorella di Peters abbia ucciso lei stessa il marito. Il lampadario cadde addosso a Braile quando io ero, lo ammetto, sotto l'influsso di simili suggestioni postipnotiche... e può darsi che sia stata una scheggia di cristallo a recidergli la carotide. Riguardo alla morte della fabbricante di bambole, apparentemente per mano della bambola Walters... Be', può anche darsi che la sua mente anormale fosse vittima a volte delle medesime illusioni che lei suscitava nelle menti altrui. Quella donna, benché intelligentissima, era pazza, e dominata dal morboso impulso di circondarsi delle effigi di quelli che aveva ucciso con l'unguento. Margherita di Valois, regina di Navarra, portava sempre con sé i cuori imbalsamati di una dozzina o più di amanti che erano morti per lei. Non aveva ucciso quegli uomini, ma sapeva di essere stata la causa della loro morte; e lo sapeva con assoluta certezza, come se li avesse strangolati con le sue stesse mani. Il meccanismo psicologico implicato nella collezione di cuori della regina e nella collezione di bambole di Madame Mandilip è uno solo, e identico. Ricori non si era rimesso a sedere; ancora con quella voce forzata replicò: — Le ho chiesto se ritiene illusione l'uccisione della strega. Risposi: — Se mi fissa in quel modo, Ricori, mi mette molto a disagio. Comunque, sto rispondendo alla sua domanda. Ripeto che è possibile che nella propria mente la Mandilip fosse a volte vittima delle stesse illusioni che provocava nella mente altrui, e che a volte credesse lei stessa che le bambole fossero vive. Ed è inoltre possibile che quella strana mente abbia concepito un odio per la bambola Walters, e che infine, nello stato di irritazione causatole dal nostro attacco, tale convinzione si sia rivoltata contro la donna. Questa era l'idea che avevo in mente poco fa, quando ho detto che era curioso che lei parlasse di arte occulta che si rivolta contro quelli che la possiedono. La Mandilip aveva tormentato la bambola: perciò si aspettava che la bambola si vendicasse, avendone l'occasione. Tanto intensa era questa convinzione, o attesa, che quando arrivò il momento favorevole,
si immedesimò addirittura nella bambola. Il suo pensiero divenne azione! La donna, così come lei stesso, può benissimo essersi conficcata lo spillone in gola. — Stolto! Questa parola uscì dalla bocca di Ricori, e tuttavia la voce era a tal punto simile a quella di Madame Mandilip quando parlava nella sua stanza incantata o quando si era espressa attraverso le labbra morte di Laschna, che mi appoggiai allo schienale rabbrividendo. Ricori era piegato sul tavolo. I suoi occhi neri erano vacui, privi di espressione. Preso dal panico gridai con tutta la mia voce: — Ricori! Si svegli! ... La terrificante vacuità dei suoi occhi scomparve; lo sguardo tornò penetrante, si fissò su di me. Ricori disse, di nuovo con la sua voce: — Sono sveglio. Sono così sveglio che non la starò più ad ascoltare! Invece... Invece mi ascolti lei, dottor Lowell. Sa cosa le dico? Al diavolo la sua scienza! E le dico che oltre i confini del materiale, davanti ai quali la sua mente si arresta, ci sono forze ed energie che ci odiano, e che tuttavia Dio, nella sua imperscrutabile sapienza, permette che esistano. Le dico che queste forze possono passare attraverso il velo della materia e manifestarsi in creature come la fabbricante di bambole. È così! Streghe e stregoni a braccetto col diavolo! È così! E ci sono altre forze, a noi amiche, che si manifestano in coloro che esse hanno scelto. «Le dico che Madame Mandilip era una maledetta strega. Uno strumento delle forze del male. Una donna prostituitasi a Satana. È bruciata come ogni strega dovrebbe bruciare. Brucerà nell'inferno! Per l'eternità! Io le dico che la piccola infermiera era uno strumento delle forze del bene, e ora si trova felice in Paradiso, ora e per tutta l'eternità!» Ricori tacque, tremando per l'ardore stesso del suo sfogo. Poi mi mise una mano sulla spalla. — Mi dica, dottor Lowell, sinceramente, come se avesse la mia fede in Dio e si trovasse davanti al Suo trono. Mi dica, queste sue spiegazioni scientifiche la convincono realmente? Con voce calmissima risposi: — No, Ricori. No, infatti. FINE